Caro Cassano, arrampicarsi sui vetri è esercizio difficile, talvolta mostra la corda. Gli italiani si sono con chiarezza espressi contro le privatizzazioni e le liberalizzazioni e chi vorrà di nuovo indirizzarsi per quella strada se la dovrà vedere ancora con i referendum. La globalizzazione senza regole, che ha consentito di imporre il confronto produttivistico tra paesi dove si pagano salari infimi e di livello infimo sono le tassazioni ed i contributi sociali, ha fatto fare un salto pauroso all’indietro alla civiltà europea, che era fondata sul lavoro e sulla tutela rigorosa del lavoro. Le liberalizzazioni, che nessuno ha spiegato per bene di che si tratti, in verità consistono nell’eliminare i controlli preventivi e successivi sulle attività economiche che incidono sull’ambiente e sul territorio, generando la devastazione territoriale che è sotto gli occhi di tutti. La privatizzazione dei servizi pubblici da rendere inevitabilmente in regime di monopolio comporta la conseguenza di una decadenza dei servizi ed ingiustificati aumenti tariffari, in uno con straordinari ed altrettanto ingiustificati arricchimenti dei gestori privati, come dimostra l’esperienza interna (le nostre autostrade dispongono di livelli tecnologici uguali a quelli dei tempi in cui sono state costruite e la vicenda di Latina fa testo per quel che attiene all’acqua) ed internazionale (esemplari sono l’evoluzione dopo la privatizzazione delle un tempo mitiche ferrovie inglesi ed il dissesto del sistema idrico inglese dopo le privatizzazioni). Tali impostazioni hanno consentito al capitalismo internazionale di annullare gli effetti redistributivi del welfare dei decenni precedenti, di rimpoverire chi vive del proprio lavoro e di arricchire in maniera smodata chi gode di posizioni di rendita personali (il management che si autopromuove senza regole), patrimoniali o finanziarie. Gli italiani hanno detto in modo chiaro che di tali impostazioni non vogliono più sentir parlare: chi ha orecchi da intendere, intenda, chi insiste sulla deriva liberista, pretendendo di rappresentare i ceti del lavoro dipendente ed autonomo e delle professioni andrà incontro a cattive sorprese. Cari saluti. Giovanni Baccalini
Pienamente d'accordo. Il capitalismo selvaggio sostenuto dalla ingannevole tesi dell'autoregolamentazione del mercato, assomiglia al mare aperto dove i pescecani dominano e sbranano.
I fatti degli ultimi anni l'hanno ampiamente dimostrato. La "democrazia" non può diventare il "mare aperto dei pescecani sociali", cioè la cortina di tornasole per gli allocchi.
Questo non vuol dire, come gli interessati ipocritamente sostengono, che si vuole uno statalismo rigido e paralizzante, ma uno Stato che, in nome degli interessi collettivi e del bene comune stabilisca delle regole e le faccia rispettare.
Una volta stabilite le regole, è necessaria la massima durezza nel perseguire chi le viola provocando danni al patrimonio comune e ai cittadini. Il principio nelle democrazie rappresentative deve essere quello di tutela degli interessi della comunità. Quando essi si scontrano con gli interessi privati e individuali, fondati quasi sempre sull'egoismo del puro profitto, questi ultimi debbono fare un passo indietro, arretrare.
Senza con ciò nutrire intenti di mortificazione per progetti, iniziative e attività che promuovono benessere e si conciliano col bene comune.
Se così non sarà, l'aggressione alla natura continuerà, le megalopoli diventeranno sempre più invivibili, la barbarie raggiungerà tali livelli da portare l'umanità a fare la fine suicida dei lemmi della Lapponia.
Da tener presente che il capitalismo mondiale non solo sfrutta la forza-lavoro dell'uomo, ma spadroneggia sui mari, sulla terra ferma, sui fiumi, sulle foreste, cioè su tutto lo Sphero di memoria empedoclea. Non sfuggono a questo dominio i mezzi d'informazione, specie quelli prezzolati per deviare dalla retta via l'opinione e la coscienza individuale e collettiva.
Perciò il rispetto delle regole finalizzato prevalentemente al procacciamento del bene comune, diventa un imprerativo categorico nell'accezione kantiana. Gli statisti, i politologi, i poltici, i reggitori dell'amministrazione pubblica, gli economisti, gli studiosi, nonchè i liberi cittadini, sono chiamati a riflettere responsabilmente sulle scelte del futuro.
Il "mondo gòlobale" pare che ci stia regalando una realtà dove i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Non c'è da preoccuparsi? Un saluto da Roel.
Forse, ricollegandoci anche ai msgs di Giovanni, bisognerebbe che noi socialisti, ricominciassimo a dire chiaramente che nel dopoguerra il mondo ha vissuto uno dei più grandi cicli di espansione capitalista della storia, con un incredibile aumento del benessere, ma dire anche che nei paesi guida (NordAmerica ed Europa, con Giappone e Australia up to a point) chi ha garantito che questo benessere materiale coincidesse anche con un ineguagliato sviluppo delle libertà civili, del rispetto per le persone, della liberazione degli individui dalle oppressioni di ogni genere (vi ricordate il Vescovo di Prato?) è stato il modello socialdemocratico-labourista (uso le categorie in senso molto ampio) che con il New Deal vigeva anche in USA anche se non si chiamava così. Quando sentivo parlare di Terza Via mi irritavo perché la Terza via era già lì, era già stata imboccata con successo. Poi con gli anni ’70 è cominciato i periodo dell’impazzimento, la liberazione della persona ha spaventato il fondo nero della potenza americana, sono rispuntati fuori i Gelli e i Cossiga, gli zombies del fascismo e del franquismo, e gli americani hanno cominciato ad ammazzare, torturare delegando ai peggiori dei militari, quelli che non hanno mai fatto guerre, ma solo polizia al servizio dei ricchi, due decenni di follia all’insegna dell’anticomunismo. Comunismo che intanto era già morto. Alla fine ci siamo dovuti sorbire gli ideologhi da prima liceo come Fukuyama perché il Parlamento mediatico aveva deciso che erano fighi. Intanto la socialdemocrazia è stata messa in castigo e sono arrivati quelli del “siamo noi la California, siamo noi la libertà”. Ma la libertà deve essere per tutti non solo per quelli che vanno al Billionaire con i nostri soldi. E il benessere non è benessere senza diritti per tutti. Gli italiani hanno pagato caro l’aver seguito degli imbonitori a stipendio, fiancheggiati dai terzini “simil-liberali” che hanno fatto credere che libertà e sviluppo potessero essere davvero promossi da a) il parassita parastatale Berlusconi che fa i soldi con i nostri denari b) Bossi che rappresenta il protezionismo più gretto (messa in economia la Lega ha fatto solo buchi) c) Formigoni che rappresenta l’affarismo dei mercanti nel tempio, soldi nel nome del Signore d) Fini un corporativista fascista. E questi quattro cavalieri dell’Apocalisse avrebbero dovuto fare la rivoluzione liberale in Italia? Eppure è quello che Panebianco, Galli della Loggia, Sergio Romano, Battista e tutti gli altri maestrini “liberali” ci hanno fatto credere per quasi ventanni, pestando a sinistra con le mazze di baseball e di tanto in tanto spolverando un po’ di forfora dal bavero del Cavaliere. Chi osava alzare il ditino prendeva anche una dose aggiuntiva di botte dalla macchina buonsensaia dei reparti speciali di prevenzione dell’antiberlusconismo (RSPAb) “Non demonizzate, non demonizzate che perdiamo voti. Troviamo un bel candidato di centro (Montezemolo, Albertini,Casini, perchè no Fini eccetera). Cerchiamo di rimettere i piedi per terra, facciamo vedere che i cavalieri dell’Apocalisse (Fini al fondo si è rivelato il meno indecente, almeno fa il subacqueo e si è un po’ tenuto su) sono anche orridi: ma vi pare possibile che un paese debba affidare le sue sorti a ceffi come Bossi che farfuglia mumbojumbo incomprensibili, Berlusconi inceronato come una comparsa dell’Aida, Formigoni vestito da Paperoga e ispido come Arafat appena uscito dal barbiere? Ma vi rendete conto? G
non posso che seguirLa nelle non eccelse cortesia e raffinatezza del Suo ragionamento, per parlare anch’io di vetri e specchi, facendoLe presente che c’è chi, anziché guardarsi attorno, preferisce guardar sempre in uno specchio, vedendovi invariabilmente riflessa la propra immagine, cioè quel che fa comodo guardare.
Dissentire da, o criticare un intervento, richiede inanzitutto non prender fischi per fiaschi. E, se si vuol equivocare tra privatizzazioni e liberalizzazioni, si faccia pure, ma non si venga a descrivere le liberalizzazioni come cose “che nessuno ha spiegato per bene di che si tratti, in verità consistono nell’eliminare i controlli preventivi e successivi sulle attività economiche che incidono sull’ambiente e sul territorio, generando la devastazione territoriale che è sotto gli occhi di tutti”: questa è la via che in questo Paese è stata seguita nel privatizzare, e che non può esser definita come liberalizzazione, ed è una delle ragioni per le quali ho sostenuto (vedi http://www.spazioliblab.it/?p=2901) i quattro SI. In quanto alla deriva liberista, questa è cosa ben diversa dalla concezione di mercato aperto che ne ha il sottoscritto e molti come lui; concezione che richiede, proprio perché lo svolgimento delle attività economiche possa esser aperto e libero, e non risolversi a vantaggio dei pochi ed a danno dei più, la presenza di regole, controlli, ed anche interventi, necessariamente pubblici. Ma sostenere che, comunque e dovunque, la mano pubblica agisca a vantaggio dei più (consumatori o contribuenti che siano) mi sembra pura utopia, almeno ove non sussista un forte controllo dal basso: gli esempi delle aziende di Stato in Italia lo dimostrano….. Ed allora, se se ne vuol ragionare, benissimo; ma, per cortesia, senza mettere in bocca agli interlocutori, per amor di polemica, posizioni che non sono le loro, e senza ricorrere ai comodi equivoci sui termini: liberale vuol dire una cosa, e liberista un’altra. Confonderli, e’ esattamente la stessa cosa che identificare il socialismo con il socialismo reale dell’età post-stalinista. Se poi lo sviluppare metodi critici di ragionamento, La induce a considerar ciò arrampicate su vetri e specchi, allora non mi resta che dispiacermi di non riuscire ad arruolarmi in alcuna tifoseria: né nella Sua, né in quella avversa alla Sua.
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Caro Cassano, arrampicarsi sui vetri è esercizio difficile, talvolta mostra la corda. Gli italiani si sono con chiarezza espressi contro le privatizzazioni e le liberalizzazioni e chi vorrà di nuovo indirizzarsi per quella strada se la dovrà vedere ancora con i referendum. La globalizzazione senza regole, che ha consentito di imporre il confronto produttivistico tra paesi dove si pagano salari infimi e di livello infimo sono le tassazioni ed i contributi sociali, ha fatto fare un salto pauroso all’indietro alla civiltà europea, che era fondata sul lavoro e sulla tutela rigorosa del lavoro. Le liberalizzazioni, che nessuno ha spiegato per bene di che si tratti, in verità consistono nell’eliminare i controlli preventivi e successivi sulle attività economiche che incidono sull’ambiente e sul territorio, generando la devastazione territoriale che è sotto gli occhi di tutti. La privatizzazione dei servizi pubblici da rendere inevitabilmente in regime di monopolio comporta la conseguenza di una decadenza dei servizi ed ingiustificati aumenti tariffari, in uno con straordinari ed altrettanto ingiustificati arricchimenti dei gestori privati, come dimostra l’esperienza interna (le nostre autostrade dispongono di livelli tecnologici uguali a quelli dei tempi in cui sono state costruite e la vicenda di Latina fa testo per quel che attiene all’acqua) ed internazionale (esemplari sono l’evoluzione dopo la privatizzazione delle un tempo mitiche ferrovie inglesi ed il dissesto del sistema idrico inglese dopo le privatizzazioni). Tali impostazioni hanno consentito al capitalismo internazionale di annullare gli effetti redistributivi del welfare dei decenni precedenti, di rimpoverire chi vive del proprio lavoro e di arricchire in maniera smodata chi gode di posizioni di rendita personali (il management che si autopromuove senza regole), patrimoniali o finanziarie. Gli italiani hanno detto in modo chiaro che di tali impostazioni non vogliono più sentir parlare: chi ha orecchi da intendere, intenda, chi insiste sulla deriva liberista, pretendendo di rappresentare i ceti del lavoro dipendente ed autonomo e delle professioni andrà incontro a cattive sorprese. Cari saluti. Giovanni Baccalini
Pienamente d'accordo. Il capitalismo selvaggio sostenuto dalla ingannevole tesi dell'autoregolamentazione del mercato, assomiglia al mare aperto dove i pescecani dominano e sbranano.
I fatti degli ultimi anni l'hanno ampiamente dimostrato. La "democrazia" non può diventare il "mare aperto dei pescecani sociali", cioè la cortina di tornasole per gli allocchi.
Questo non vuol dire, come gli interessati ipocritamente sostengono, che si vuole uno statalismo rigido e paralizzante, ma uno Stato che, in nome degli interessi collettivi e del bene comune stabilisca delle regole e le faccia rispettare.
Una volta stabilite le regole, è necessaria la massima durezza nel perseguire chi le viola provocando danni al patrimonio comune e ai cittadini. Il principio nelle democrazie rappresentative deve essere quello di tutela degli interessi della comunità. Quando essi si scontrano con gli interessi privati e individuali, fondati quasi sempre sull'egoismo del puro profitto, questi ultimi debbono fare un passo indietro, arretrare.
Senza con ciò nutrire intenti di mortificazione per progetti, iniziative e attività che promuovono benessere e si conciliano col bene comune.
Se così non sarà, l'aggressione alla natura continuerà, le megalopoli diventeranno sempre più invivibili, la barbarie raggiungerà tali livelli da portare l'umanità a fare la fine suicida dei lemmi della Lapponia.
Da tener presente che il capitalismo mondiale non solo sfrutta la forza-lavoro dell'uomo, ma spadroneggia sui mari, sulla terra ferma, sui fiumi, sulle foreste, cioè su tutto lo Sphero di memoria empedoclea. Non sfuggono a questo dominio i mezzi d'informazione, specie quelli prezzolati per deviare dalla retta via l'opinione e la coscienza individuale e collettiva.
Perciò il rispetto delle regole finalizzato prevalentemente al procacciamento del bene comune, diventa un imprerativo categorico nell'accezione kantiana. Gli statisti, i politologi, i poltici, i reggitori dell'amministrazione pubblica, gli economisti, gli studiosi, nonchè i liberi cittadini, sono chiamati a riflettere responsabilmente sulle scelte del futuro.
Il "mondo gòlobale" pare che ci stia regalando una realtà dove i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Non c'è da preoccuparsi? Un saluto da Roel.
Forse, ricollegandoci anche ai msgs di Giovanni, bisognerebbe che noi socialisti, ricominciassimo a dire chiaramente che nel dopoguerra il mondo ha vissuto uno dei più grandi cicli di espansione capitalista della storia, con un incredibile aumento del benessere, ma dire anche che nei paesi guida (NordAmerica ed Europa, con Giappone e Australia up to a point) chi ha garantito che questo benessere materiale coincidesse anche con un ineguagliato sviluppo delle libertà civili, del rispetto per le persone, della liberazione degli individui dalle oppressioni di ogni genere (vi ricordate il Vescovo di Prato?) è stato il modello socialdemocratico-labourista (uso le categorie in senso molto ampio) che con il New Deal vigeva anche in USA anche se non si chiamava così. Quando sentivo parlare di Terza Via mi irritavo perché la Terza via era già lì, era già stata imboccata con successo. Poi con gli anni ’70 è cominciato i periodo dell’impazzimento, la liberazione della persona ha spaventato il fondo nero della potenza americana, sono rispuntati fuori i Gelli e i Cossiga, gli zombies del fascismo e del franquismo, e gli americani hanno cominciato ad ammazzare, torturare delegando ai peggiori dei militari, quelli che non hanno mai fatto guerre, ma solo polizia al servizio dei ricchi, due decenni di follia all’insegna dell’anticomunismo. Comunismo che intanto era già morto. Alla fine ci siamo dovuti sorbire gli ideologhi da prima liceo come Fukuyama perché il Parlamento mediatico aveva deciso che erano fighi. Intanto la socialdemocrazia è stata messa in castigo e sono arrivati quelli del “siamo noi la California, siamo noi la libertà”. Ma la libertà deve essere per tutti non solo per quelli che vanno al Billionaire con i nostri soldi. E il benessere non è benessere senza diritti per tutti. Gli italiani hanno pagato caro l’aver seguito degli imbonitori a stipendio, fiancheggiati dai terzini “simil-liberali” che hanno fatto credere che libertà e sviluppo potessero essere davvero promossi da a) il parassita parastatale Berlusconi che fa i soldi con i nostri denari b) Bossi che rappresenta il protezionismo più gretto (messa in economia la Lega ha fatto solo buchi) c) Formigoni che rappresenta l’affarismo dei mercanti nel tempio, soldi nel nome del Signore d) Fini un corporativista fascista. E questi quattro cavalieri dell’Apocalisse avrebbero dovuto fare la rivoluzione liberale in Italia? Eppure è quello che Panebianco, Galli della Loggia, Sergio Romano, Battista e tutti gli altri maestrini “liberali” ci hanno fatto credere per quasi ventanni, pestando a sinistra con le mazze di baseball e di tanto in tanto spolverando un po’ di forfora dal bavero del Cavaliere. Chi osava alzare il ditino prendeva anche una dose aggiuntiva di botte dalla macchina buonsensaia dei reparti speciali di prevenzione dell’antiberlusconismo (RSPAb) “Non demonizzate, non demonizzate che perdiamo voti. Troviamo un bel candidato di centro (Montezemolo, Albertini,Casini, perchè no Fini eccetera). Cerchiamo di rimettere i piedi per terra, facciamo vedere che i cavalieri dell’Apocalisse (Fini al fondo si è rivelato il meno indecente, almeno fa il subacqueo e si è un po’ tenuto su) sono anche orridi: ma vi pare possibile che un paese debba affidare le sue sorti a ceffi come Bossi che farfuglia mumbojumbo incomprensibili, Berlusconi inceronato come una comparsa dell’Aida, Formigoni vestito da Paperoga e ispido come Arafat appena uscito dal barbiere? Ma vi rendete conto? G
Caro Baccalini,
non posso che seguirLa nelle non eccelse cortesia e raffinatezza del Suo ragionamento, per parlare anch’io di vetri e specchi, facendoLe presente che c’è chi, anziché guardarsi attorno, preferisce guardar sempre in uno specchio, vedendovi invariabilmente riflessa la propra immagine, cioè quel che fa comodo guardare.
Dissentire da, o criticare un intervento, richiede inanzitutto non prender fischi per fiaschi. E, se si vuol equivocare tra privatizzazioni e liberalizzazioni, si faccia pure, ma non si venga a descrivere le liberalizzazioni come cose “che nessuno ha spiegato per bene di che si tratti, in verità consistono nell’eliminare i controlli preventivi e successivi sulle attività economiche che incidono sull’ambiente e sul territorio, generando la devastazione territoriale che è sotto gli occhi di tutti”: questa è la via che in questo Paese è stata seguita nel privatizzare, e che non può esser definita come liberalizzazione, ed è una delle ragioni per le quali ho sostenuto (vedi http://www.spazioliblab.it/?p=2901) i quattro SI. In quanto alla deriva liberista, questa è cosa ben diversa dalla concezione di mercato aperto che ne ha il sottoscritto e molti come lui; concezione che richiede, proprio perché lo svolgimento delle attività economiche possa esser aperto e libero, e non risolversi a vantaggio dei pochi ed a danno dei più, la presenza di regole, controlli, ed anche interventi, necessariamente pubblici. Ma sostenere che, comunque e dovunque, la mano pubblica agisca a vantaggio dei più (consumatori o contribuenti che siano) mi sembra pura utopia, almeno ove non sussista un forte controllo dal basso: gli esempi delle aziende di Stato in Italia lo dimostrano….. Ed allora, se se ne vuol ragionare, benissimo; ma, per cortesia, senza mettere in bocca agli interlocutori, per amor di polemica, posizioni che non sono le loro, e senza ricorrere ai comodi equivoci sui termini: liberale vuol dire una cosa, e liberista un’altra. Confonderli, e’ esattamente la stessa cosa che identificare il socialismo con il socialismo reale dell’età post-stalinista. Se poi lo sviluppare metodi critici di ragionamento, La induce a considerar ciò arrampicate su vetri e specchi, allora non mi resta che dispiacermi di non riuscire ad arruolarmi in alcuna tifoseria: né nella Sua, né in quella avversa alla Sua.
Gim Cassano
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