I referendum: un’occasione “politica” decisa dai cittadini
di Renzo Penna
In un appello[1] a sostegno dei Referendum del 12 e 13 giugno, sottoscritto il 28 aprile da ambientalisti, fisici , sindacalisti, giornalisti, economisti e parroci - tra i quali l’amico don Walter Fiocchi - si sostiene che: “La politica italiana si è allontanata dalla società come mai era successo in passato. L’azione del governo è sempre più segnata dagli interessi personali del Presidente del Consiglio, da derive autoritarie, da minacce alla Costituzione”.
E ancora che: “L’economia del paese non riesce a uscire dalla crisi iniziata tre anni fa, e la politica non riconosce il fallimento di vent’anni di privatizzazioni, che hanno lasciato a poche grandi imprese – sempre più spesso straniere – decisioni chiave sul nostro futuro. Tutto questo aggrava le minacce alla democrazia, il declino del paese e l’insostenibilità del nostro modello di sviluppo”.
Per concludere che: “Un successo dei SI al Referendum costringerebbe la politica – sia del governo che dell’opposizione – a fare i conti con la volontà dei cittadini. L’impegno delle mobilitazioni sociali non si limiterebbe a manifestazioni finora inascoltate”, ma metterebbe l’Italia sulla via di uno sviluppo più sostenibile e di una democrazia più partecipata.
In questa prospettiva i referendum - forse ancora di più che per il loro merito - rappresentano l’occasione tutta “politica” per portare a compimento le numerose mobilitazioni di questi anni che hanno visto, in più occasioni, impegnati milioni di uomini e donne sui temi della democrazia, della giustizia, della informazione; su quelli del lavoro, dei diritti sindacali, dei contratti, del precariato dei giovani; sui diritti delle donne e sulle disuguaglianze; sulla scuola, l’università, la ricerca, la cultura, la tutela dell’ambiente e la sostenibilità dello sviluppo; sui temi della legalità e della lotta alle mafie, dei diritti, dell’antirazzismo, della solidarietà con profughi e immigrati, della pace, del rifiuto delle guerre, della solidarietà con chi lotta per la democrazia in altri paesi.
Una mobilitazione - ma questo i sottoscrittori dell’appello non potevano ancora saperlo - che viene dopo gli straordinari risultati delle recenti elezioni amministrative, caratterizzate, in particolare a Milano e a Napoli, dall’elezione a sindaco di personalità come Giuliano Pisapia e De Magistris, fortemente autonome e indipendenti dagli apparati e dai partiti.
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Anche per questa condizione, sul contenuto dei tre referendum che si occupano di questioni ambientali, condivido molto il taglio concreto e per nulla ideologico con il quale Mario Tozzi[2] li ha recentemente analizzati, domandandosi quali vantaggi porta ai cittadini avere, ad esempio per l’acqua, una maggiore presenza di privati nel servizio idrico o, per l’energia, il ritorno al nucleare.
Oggi nel nostro Paese l’acqua potabile ha un costo molto contenuto, di circa un euro o poco più, ogni mille litri e viene garantita salubre ed abbondante alla stragrande maggioranza della popolazione. Nei confronti dell’acqua minerale - dove come italiani primeggiamo nei consumi - costa al litro da 400 a 800 volte di meno. I sostenitori del “no” dichiarano che con la presenza dei privati nella gestione delle aziende questi provvederebbero a riparare la rete degli acquedotti che attualmente ha perdite uguali o superiori al 40%. Ma costoro, secondo Tozzi, ignorano tre decisivi fatti: a) l’acqua che perdono le condotte ritorna in gran parte in falda e, quindi, agli acquedotti; b) il vero spreco dell’acqua è nell’ agricoltura che ne consuma circa il 60%, contro poco più del 10% di quella potabile; c) nessun privato si farà carico di una spesa che viene valutata, cautelativamente, tra i 60 e gli 80 miliardi di euro.
Come conseguenza i veri motivi della forzata privatizzazione decisa dal governo e condivisi anche da una parte non secondaria del centro sinistra, riguardano, nella sostanza, il solo interesse e il profitto per le imprese, senza alcun vantaggio per i cittadini. A prova di ciò, in Italia, dove la gestione - come a Lucca o ad Agrigento - è stata affidata ai privati, si sono sempre sollevate le proteste dei cittadini per effetto dell’aumento delle tariffe, mentre il servizio non è per nulla migliorato. Non è un caso che in Francia, dove ci sono le principali società multinazionali dell’acqua, la capitale, Parigi, sia tornata ad una gestione pubblica, dopo anni di privatizzazione.
Anche il referendum sull’energia nucleare può essere valutato non solo per la vulnerabilità agli incidenti - risultata drammaticamente evidente nell’impianto di Fukushima dove le perdite radioattive non sono state ancora fermate e non si sa quando quei luoghi potranno tornare ad essere abitati - ma nella concreta verifica su quali sarebbero i supposti vantaggi che il ritorno all’atomo porta ai cittadini, all’ambiente e al fabbisogno energetico nazionale.
Sul versante dei costi - documenta Mario Tozzi - già oggi l’energia nucleare, secondo i dati del Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti, è la più cara fra tutte: 11,15 cent/kWh contro i 9,61 dell’eolico e gli 8,03 del gas. Inoltre un impianto nucleare del tipo previsto dal governo italiano costa tra gli 8 e i 10 miliardi di euro, senza considerare i costi dello smantellamento e della inertizzazione delle scorie che finiscono per essere sopportati dalla collettività. In queste condizioni la bolletta energetica costerà di più specie in un paese come l’Italia che dovrebbe iniziare a impiantare dal nulla nuove centrali.
Anche in questo caso, in tutta evidenza, il vantaggio è solo per i gruppi destinati a costruire e gestire le centrali che, infatti, si oppongono decisamente al referendum.
In conclusione i quesiti riferiti all’acqua e all’energia, su cui si voterà domenica e lunedì, possono essere valutati in maniera molto semplice e diretta dai cittadini. In base al loro concreto interesse e ai vantaggi che determinano o meno alla collettività e all’ambiente.
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