domenica 5 giugno 2011

Paolo Bagnoli: La nottata non è passata

Dall'Avvenire dei lavoratori

Dibattito politico


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La nottata

non è passata


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Berlusconi è stato bocciato. Il pd, dopo tante frustrazioni, suona le campane. Il segnale elettorale è evidente: l’Italia considera chiuso il ciclo di Berlusconi. Ma qual è la strada che porta da qui al "dopo"?Nessuno ancora è in grado di dirlo.


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di Paolo Bagnoli


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Come è naturale che sia dopo ogni elezione, chi vince festeggia e chi perde rinserra le fila. Certo che, questa volta, il passaggio è stato particolare avendo il presidente del consiglio giocato l’occasione come un giudizio su se stesso. La sfida è stata raccolta: Silvio Berlusconi è stato bocciato.

Si è, così, aperto un quadro politico nuovo che è difficile capire come possa evolversi o, anche, involgersi. In generale, il tutto ha dimostrato, al di là di vincitori e vinti, che il sistema non funziona e questo è il problema maggiore.

Il pd, dopo tante frustrazioni, suona le campane. Se ne comprendono benissimo le ragioni. Ma le vittorie di Pisapia e di De Magistris, che non si sarebbero potute verificare senza il concorso del pd, sono solo in parte ascrivibili al partito di Bersani poiché il senso dei voti che i due hanno ricevuto pone proprio al pd questioni di fondo riguardanti la sua natura, la qualità e credibilità della propria opposizione nonché della classe dirigente che esprime; pongono, cioè, al pd una questione esistenziale:vale a dire quale partito in effetti esso sia dopochè l’illusionismo veltroniano, tutto fondato sull’esclusivismo bipolarista, sé è rivelato nella sua vera natura; quella di essere, appunto, un’illusione. E se, certo, non si può imputare al pd qualche cedimento nell’esprimere l’antiberlusconismo, è altrettanto vero che tale fattore non si è dimostrato un collante sufficiente per motivare un partito. Il problema del pd, infatti, non consiste nella difficoltà di dar vita ad una formazione dalla matrice confusa ed eterodossa che prende corpo nella “politica spoliticata”, quanto di essere un “partito”, ossia un corpo politico che non si risolve positivamente nell’essere “anti”, ma in una precisa cifra di rappresentanza sociale, indirizzo ideologico, precisa riconoscibilità di valori, cultura e metodo democratico. L’evocazione delle primarie come strada suppletiva del mancante non solo ha evidenziato vuoto di sostanza, poiché non esiste tecnicalità che surroghi la sostanza; soprattutto in politica.

Pisapia e De Magistris, testimonianze di esigenze e situazioni diverse, tra le tante cose che pongono c’ anche quella di una precisa domanda di politica al pd. Non riusciamo, al momento, a capire se la domanda è stata capita e, se sì, come possa articolarsi la risposta poichè, per quanto possa sembrare un paradosso, se i due sindaci che personificano la vittoria su Berlusconi non ce la dovessero, poi, nella loro successiva azione nelle rispettive città, dovercela fare, è facile arguire che la responsabilità ricadrà, giusto o ingiusto che possa essere, sul pd.

Pisapia e De Magistris in comune hanno solo la vittoria sul nemico comune da fronti di versi, ma un tratto identico li accomuna:vale a dire che si è alzata forte, intorno a loro, la richiesta di ridare al paese una sinistra degna di questo nome dopo gli sfasci di Veltroni e Bertinotti. Il problema non è per niente secondario imponendo un complesso di problemi di non facile soluzione. Essi, comunque, risulteranno condizionati dalla forma del sistema politico smantellando una volta per tutte l’indecoroso bipolarismo che ha creato più problemi di quanti ne abbia risolti; vale a dire nessuno.

Il nodo è cruciale e non rappresenta un passaggio indolore non solo per la navigazione parlamentar-istituzionale che comporta, ma anche in quanto, siamo convinti, che se esso si verificasse assisteremmo ad una ricomposizione con successiva ricomposizione delle forze in campo e il pd non ne uscirebbe indenne. E’ chiaro, tuttavia, che tale aspetto tocca le corde profonde della crisi repubblicana e poiché la politica democratica, la democrazia repubblicana, viene prima di tutto è evidente che a tale primario interesse niente deve essere sovraordinato. D’Alema ha recentemente lanciato una proposta che ci sembra di buon senso per un governo di fine legislatura, ma – opinione tutta nostra – crediamo che, se dal colle più alto, non arriva una spinta essa rischia di rimanere al palo di partenza delle buone intenzioni. Vedremo, naturalmente.

A destra il quadro è più chiaro, ma una sconfitta di questo tipo e caratteristiche non è pensabile sia risolvibile con il gioco dei quattro cantoni; ossia spostando uno, mettendo al suo posto un altro, promettendo chissaché con una spavalderia che non ci sembra convincere più la grande massa di servitorelli riuniti attorno al cavaliere i quali stanno pensando, oramai, solo a come potersi salvare. Se non leggiamo, poi, male i movimenti di gente democristiana “doc” nonché di ex-missini che hanno abbandonato Fini ci sembra che si ragiona oramai, in larghi strati del partitone berlusconiano, su logiche nuove che danno agli sgoccioli l’esperienza politica del cavaliere. La fine formale del bipolarismo torna, quindi, utile anche a loro.

Pienamente in panne appare la Lega che dopo tante dichiarazioni guerriere deve prendere atto che essa serve a Berlusaconi per vincere mentre quest’ultimo le serve per perdere. Il disegno di tracimare elettoralmente e divenire forza nazionale è fallito; il ballottaggio cui è stata costretta a Varese dice più di ogni altra considerazione. Anche alla Lega serve staccarsi, in quanto partito, da Berlusconi perché non è che si faccia presa, oramai, con le oscenità rivoltanti di Borghezio, le giullaresche furbate di Calderoni o le banalità a basso mercato di Bricolo che si possa surrogare una politica che ha un punto solo di aggancio, Tremonti, da tutti un po’ troppo lodato, visto che, grazie al suo immobilismo, il Paese si è impoverito e il debito, nonostante tutto il rigore, è aumentato. Brunetta, cui difetta il senso del ridicolo, ha detto che “il Paese ha tenuto” e che chi sta peggio sono i “commercianti. ”Peccato che quello stesso giorno – il 24 maggio – non avesse letto i giornali che davano grande rilievo ad uno studio dell’Istat che denunciava come, per la crescita, l’Italia sia il fanalino di coda della UE e che oramai una persona su quattro è a rischio povertà. Che il 18, 8% dei ragazzi in Italia lascia gli studi subito dopo gli anni dell’obbligo e bighellona senza lavoro andando, così, a incrementare l’unico dato che non ha registrato recessioni: quello dell’esercito dei senza futuro.

Questo quadro d’insieme è stato definito dal cardinale Bagnasco come una politica “inguardabile e noiosa”; premessa per una denuncia dai toni aspri e veritieri della condizione italiana.

Il segnale elettorale è evidente: l’Italia considera chiuso il ciclo di Berlusconi; questo è chiarissimo, ma da qui al dopo Berlusconi tutto è ancora molto oscuro. La nottata, insomma, non è ancora passata.

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