I punti critici della proposta di coalizione di emergenza democratica
di Alfonso Gianni
pubblicato su il Riformista del 18 febbraio
La proposta lanciata da Nichi Vendola di una coalizione di emergenza democratica, dalla sinistra di Sel alla nuova destra di Fini, ha indubbiamente il merito di smuovere le acque di un dibattito che si era fatto ormai stantio sul tema primarie sì, primarie no. Bene ha fatto il Riformista a darle il giusto rilievo. Il guaio è che quella proposta rischia di incontrare più ostacoli di quanti non ne voglia sormontare. Non si tratta della riproposizione, che sarebbe fuori tempo massimo, benché ragionevole, di un governo di “decantazione” per condurre il paese a elezioni sulla base di una nuova legge elettorale. Qui è esplicitamente previsto un passaggio elettorale auspicato come immediato sulla base della legge vigente. Mi pare però difficile andare a chiedere un voto ai cittadini con l’esplicita previsione di farli tornare a votare di lì a pochi mesi. La coalizione proposta da Vendola dovrebbe reggersi su tre punti programmatici: una nuova legge elettorale, nuove norme in materia di conflitto di interessi e sul sistema informativo. E’ chiaro che è il primo punto a definire la natura del governo e la sua durata, poiché, fatta la nuova legge, sarebbe naturale fare conseguire l’immediato scioglimento delle camere. Per fare questo – e questo valeva anche nel caso di un governo nato dall’attuale parlamento – bisognerebbe che tra le forze della coalizione ci fosse una credibile unità di intenti sulla legge da fare, che compete al futuro parlamento non certo a un decreto legge del governo. Di questa condizione non vi è traccia. Limitandoci al campo del centrosinistra vi è chi propone il modello tedesco, chi quello francese, chi un pasticcio degno delle gag televisive di Corrado Guzzanti. Se ci allarghiamo a destra la confusione aumenta. Comprendo bene che la proposta di Vendola – che è legata anche al nome di Rosi Bindi, talmente degno che vorrei più ancora diventasse la prima Presidente donna della Repubblica – vuole restringere il campo d’azione del futuro governo a questioni di risanamento democratico e nel contempo tamponare le inopinate aperture di credito ai leghisti fatte da Bersani. Ho paura si tratti di una illusione. Qualunque governo non può fare a meno di affrontare temi economici, nella più grande crisi da ottanta anni a questa parte, se non altro per l’incombenza della legge finanziaria. Il fatto che questi siano largamente sovra determinati dal nuovo patto di stabilità definito in sede Ue, non assolve le responsabilità politiche dei governi nazionali in carica. Come sappiamo è già difficile trovare una quadra su questi temi nel centrosinistra, figuriamoci con i seguaci di Fini e di Casini, tra i quali abbondano i protagonisti diretti e i sostenitori attivi dei tagli alla spesa sociale, dalla privatizzazione dell’acqua allo scempio della scuola pubblica. C’è poi da dubitare che l’antiberlusconismo in quanto tale, seppure in versione virtuosa, risulti vincente in una competizione elettorale con le norme attuali, visto che molto si gioca sugli indecisi e sugli astensionisti. Questi ultimi, a destra quanto forse soprattutto a sinistra, cercano per rimotivarsi ben altri stimoli che non soluzioni presentate come puramente transitorie. Un passaggio elettorale mette sempre in gioco il profilo identitario delle forze in esso impegnate e guai a nasconderlo. Per questo continuo a pensare che non esistono scorciatoie né alternative al centrosinistra , di cui dobbiamo discutere non solo modalità delle primarie, ma soprattutto punti qualificanti di un programma credibile, e che la condizione migliore per sconfiggere Berlusconi sia la presenza elettoralmente autonoma di un terzo polo della destra moderata. Conosco bene i rischi di una simile competizione, ma chi vuole coltivare pensieri lunghi sulla società italiana, sulla sua necessaria rinascita dal degrado civile e economico nel quale è piombata - come ci hanno detto le straordinarie manifestazioni delle donne e non solo dello scorso sabato – non può limitarsi a improbabili tattiche. Oltretutto con l’effetto collaterale di spiazzare se stessi anziché gli avversari.
1 commento:
Ha sollevato molte discussioni e dubbi la proposta dei giorni scorsi di Vendola di candidare Rosy Bindi a premier per una eventuale coalizioni di tutte le opposizioni contro Berlusconi e il centro destra.E' tuttavia evidente anche per i militanti e i "simpatizzanti" di Sel che Vendola non può stare a sventolare la bandiera delle primarie all'infinito,pena il rischio dell'isolamento e del solipsismo,mentre tutto attorno si parla d'altro e ci si preoccupa d'altro:dalla fiat alla crisi economica,dal degrado civile indotto dagli scandali di berlusconi fino al rischio di una vera rottura istituzionale.L'ipotesi del Cln nasce da questi ultimi due fattori e la proposta Bindi sembra mirata a evitare che la scelta del Cln finisca per dare la palma puramente e semplicemente a Casini.Ma questa scelta incontra varie obiezioni:1 )che berlusconi cada davvero e non riesca invece a durare comunque,magari allontanando l'impatto immediato degli scandali,2 )che tutto il centro possa acconsentire a questa scelta(v. le difficoltà di Fini),3) che difficilmente si può fare un governo su solo tre o quattro obiettivi di tipo istituzionale ,rinviando a una seconda fase i temi e le scelte su cui inevitabilmente il Cln si dividerebbe,visto il tempo che la complessità degli obiettivi istituzionali richiederebbe.D'altro lato con questa immonda legge elettorale il rischio che una opposizione divisa riconsegni il governo a berlusconi c'è tutto.Come se ne esce?Credo che per quanto possa apparire schematico e semplicistico,si debba scommettere su uno dei due possibili scenari e su quello impostare le scelte tattiche e strategiche.In altri termini o si accetta l'ipotesi di uno scenario alla caimano e allora bisogna a tutti i costi puntare su cln e liberazione,o si scommette su una legislatura che cmq continua e allora da sinistra bisogna scegliere di accumulare più fieno possibile in cascina,cioè cercare nuovi consensi politici e sociali,accentuando i temi programmatici distintivi di una sinistra che io definirei socialista nel senso forte del termine e che cmq ha in sel oggi la più significativa espressione.Questo vuol dire accentuare il confronto e l'iniziativa sui temi sociali,a cominciare dalle scelte pericolose che si stanno discutendo in queste settimane in europa e che sembrano totalmente fuori dal radar del pd.E con essi i temi della disoccupazione e della precarietà,recuperando i raporti col movimento dei giovani,con le lotte per il lavoro e cogliendo il grande significato di rivolta civile delle manifestazioni delle donne di domenica scorsa.naturalmente i due scenari possono avere molti punti di contatto,ma la scelta fra l'uno o l'altro definisce il posizionamento conseguente
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