Il Circolo Carlo Rosselli è una realtà associativa presente a Milano sin dal 1981. http://www.circolorossellimilano.org/
lunedì 28 febbraio 2011
domenica 27 febbraio 2011
Stefano Rolando: Quando certi signori di 82 anni...
Piero Bassetti parla al Teatro Dal Verme
alla kermesse di avvio della campagna di Giuliano Pisapia
proponendo l’apertura alla società civile
e un impegno verso l’astensione e verso il “terzo polo”.
Milano 26 febbraio 2011 - Si deve al coraggio, alla freschezza, alla chiarezza di questo signore di ottantadue anni (l’età che aveva Sandro Pertini quando arrivò al Quirinale), la maggiore sorpresa della serata di apertura della campagna di Giuliano Pisapia per l’elezione del nuovo sindaco di Milano. Questo signore è un milanese di tradizione, già sprinter azzurro alle olimpiadi di Londra del 1950 e presidente fondatore della Regione Lombardia. Poi tante altre cose (tra cui parlamentare democristiano, presidente della Camera di Commercio di Milano e della rete nazionale e mondiale delle Camere di Commercio). Piero Bassetti. Invitato da Pisapia a parlare al Teatro Dal Verme, ha strappato questa sera prolungati applausi e, alla fine, anche un assolo di una ragazza “Bravo Piero!”. Per aver detto la verità. Milano ha bisogno di cambiamento, lo stesso che noi DC chiedemmo anni fa accettando di aprirci al centrosinistra a guida socialista. Anche la città moderata, di tradizione liberale, legata alla cultura di impresa, lo chiede. Dovete dimostrare che la vostra alleanza sa misurarsi con questa collaborazione con istanze diverse, con una convergenza con parti dell’astensionismo e con il terzo polo, soprattutto nel ballottaggio. Fuori dunque dai miti della sinistra perdente e della sinistra ideologica. Serve un’alleanza di forze riformatrici con una visione di sviluppo della città. Ha annunciato un documento – che porta la sua firma e anche quella dell’ex presidente della Corte Costituzionale Valerio Onida che ha dato un suo contributo di idee sull’etica pubblica e la legalità – invitando chi pensa di rappresentare più la società civile che la politica militante a firmare e a sostenere una prospettiva partecipativa e progettuale per una Milano diversa, che può aiutare molto l’intero Paese a trovare strade di rilancio. Il documento annunciato da Piero Bassetti è al link
http://www.stefanorolando.it/index.php?option=com_content&view=article&id=755:il-documento-lanciato-da-piero-bassetti-al-dal-verme-allapertura-della-campagna-di-giuliano-pisapia&catid=39:testi&Itemid=63
alla kermesse di avvio della campagna di Giuliano Pisapia
proponendo l’apertura alla società civile
e un impegno verso l’astensione e verso il “terzo polo”.
Milano 26 febbraio 2011 - Si deve al coraggio, alla freschezza, alla chiarezza di questo signore di ottantadue anni (l’età che aveva Sandro Pertini quando arrivò al Quirinale), la maggiore sorpresa della serata di apertura della campagna di Giuliano Pisapia per l’elezione del nuovo sindaco di Milano. Questo signore è un milanese di tradizione, già sprinter azzurro alle olimpiadi di Londra del 1950 e presidente fondatore della Regione Lombardia. Poi tante altre cose (tra cui parlamentare democristiano, presidente della Camera di Commercio di Milano e della rete nazionale e mondiale delle Camere di Commercio). Piero Bassetti. Invitato da Pisapia a parlare al Teatro Dal Verme, ha strappato questa sera prolungati applausi e, alla fine, anche un assolo di una ragazza “Bravo Piero!”. Per aver detto la verità. Milano ha bisogno di cambiamento, lo stesso che noi DC chiedemmo anni fa accettando di aprirci al centrosinistra a guida socialista. Anche la città moderata, di tradizione liberale, legata alla cultura di impresa, lo chiede. Dovete dimostrare che la vostra alleanza sa misurarsi con questa collaborazione con istanze diverse, con una convergenza con parti dell’astensionismo e con il terzo polo, soprattutto nel ballottaggio. Fuori dunque dai miti della sinistra perdente e della sinistra ideologica. Serve un’alleanza di forze riformatrici con una visione di sviluppo della città. Ha annunciato un documento – che porta la sua firma e anche quella dell’ex presidente della Corte Costituzionale Valerio Onida che ha dato un suo contributo di idee sull’etica pubblica e la legalità – invitando chi pensa di rappresentare più la società civile che la politica militante a firmare e a sostenere una prospettiva partecipativa e progettuale per una Milano diversa, che può aiutare molto l’intero Paese a trovare strade di rilancio. Il documento annunciato da Piero Bassetti è al link
http://www.stefanorolando.it/index.php?option=com_content&view=article&id=755:il-documento-lanciato-da-piero-bassetti-al-dal-verme-allapertura-della-campagna-di-giuliano-pisapia&catid=39:testi&Itemid=63
sabato 26 febbraio 2011
Network per il socialismo europeo: Lettera aperta al compagno Vendola
LETTERA APERTA AL COMPAGNO NICHI VENDOLA
PRESIDENTE DI SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA’
Caro Vendola,
abbiamo apprezzato il tuo messaggio al Convegno svolto il 19 febbraio a Livorno sul tema “Dalla scissione comunista all’unione per il socialismo nel XXI secolo”; l’esito del confronto lì sviluppato ed i riscontri positivi che riceviamo sulla nostra iniziativa, ci inducono a chiedere a Te ed ai compagni di S.E.L. una riflessione conclusiva su una opzione strategica che noi riteniamo utile anche in vista dell’auspicato riassetto della sinistra italiana.
Da troppo tempo il rinnovamento e la ricostruzione della sinistra italiana sono all’ordine del giorno per poter essere differiti. Si tratta, a nostro avviso, di prendere atto, come ha detto Fausto Bertinotti al convegno di Livorno, del fallimento di due progetti: quello della costruzione di una seconda sinistra alternativa e quello del PD.
Un terzo progetto, invece, non è mai decollato ed è quello di un grande partito popolare socialista con forza e ruolo paragonabili a quelli degli omologhi partiti socialisti e socialdemocratici europei. Un progetto, insomma, con una chiara identità politica di sinistra, fortemente ancorato all’Europa e che faccia riferimento al Socialismo europeo, inteso come insieme di valori in continuo rinnovamento e arricchimento grazie alla fertile contaminazione con altre esperienze politiche e culturali.
L’Europa è l’orizzonte politico e strategico nel quale può vivere ed affermarsi il socialismo nel terzo millennio. La crisi economica impone a tutta la sinistra un complessivo ripensamento anche sul fronte della teoria e della politica economica. La ripresa di un intervento pubblico nella sfera economica e la riconquista di un efficace peso politico e sociale del mondo del lavoro nelle sue nuove e varie articolazioni non possono oggi che passare attraverso una dimensione sovranazionale. L’Europa diviene, quindi, un’opzione strategica, a partire dalla quale le forze socialiste e di sinistra possono candidarsi per un effettivo governo dello sviluppo non subordinato alle logiche del capitalismo finanziario internazionale e alle politiche liberiste da esso ispirate.
Insomma, quali che siano i limiti dell’UE, noi siamo convinti che il futuro si giochi su scenari internazionali e regional-continentali, cioè alla stessa scala dei problemi da affrontare e del livello di organizzazione delle imprese multinazionali o dei conglomerati finanziari.
In questo orizzonte europeo s’impone, a nostro avviso, un’interlocuzione privilegiata e prioritaria con il socialismo organizzato nel PSE, che rappresenta, malgrado le recenti e ripetute sconfitte elettorali, il gruppo più consistente, e in alcuni paesi il solo, delle forze democratiche e progressiste.
Un rapporto stretto, ancorché non esclusivo, con il socialismo europeo non può ridursi ad una mera questione di affiliazione tout court al PSE poiché ciò di cui si avverte la necessità è soprattutto volontà di misurarsi a livello europeo con le forze socialiste sul piano programmatico e politico ed anche, se la parola non fosse stata abusata nel passato, ideologico.
Dopo mesi di dibattito nei grandi partiti socialisti e socialdemocratici europei, si è fatta ormai strada, dopo il Congresso di Praga del PSE, una posizione , che invoca una svolta a sinistra in netta rottura col recente passato. Di questa svolta sostanzialmente maggioritaria sono testimonianza il documento congiunto del Partito socialista francese e della SPD tedesca da un lato e l’esito del congresso del Labour party inglese – con l’elezione di Ed Miliband - dall’altro.
Questa revisione critica del proprio passato, presente anche nei paesi nordici, dall’Islanda alla Norvegia, dalla Svezia alla Finlandia, rappresenta un indubbio rinnovamento del tradizionale pensiero socialdemocratico e va senz’altro apprezzata ed incoraggiata. Servono nuove forme organizzative: a livello europeo le confederazioni di partiti nazionali, anzi dei loro gruppi dirigenti, non hanno futuro e non sono in grado di incidere. Una nuova idea d’Europa, che inserisca coesione sociale, solidarietà, equità e giustizia tra i valori fondanti della UE, ha bisogno di una sinistra più unita, anche se plurale, e che sia in grado di sviluppare e proporre una sua visione di società, in altre parole ritrovare l’ispirazione socialista e libertaria, lasciando alle sue spalle le drammatiche e troppo spesso tragiche divisioni del XX° secolo.
Il partito che rappresenti, caro Vendola, già contiene nel suo nome due dei valori fondanti della nuova sinistra: la sensibilità ambientalista e la vocazione per la libertà. Queste scelte vanno completate e arricchite con i filoni socialista e comunista, questi ultimi non intesi come concrete formazioni storiche, poiché non hanno raggiunto integralmente i propri obiettivi (le socialdemocrazie), o li hanno traditi, (il comunismo sovietico), ma come aspirazioni comunitarie ad una società più giusta, libera ed eguale da costruire nella democrazia e con un alto tasso di partecipazione popolare alla amministrazione pubblica e dei lavoratori alla gestione e/o controllo delle imprese.
Crediamo, dunque, che il percorso svolto da te e dai fondatori di Sinistra Ecologia Libertà e l’evoluzione in atto nei partiti socialisti europei determini – oggi - le condizioni politiche per un avvicinamento di S.E.L al PSE ed alle formazioni ad esso aderenti e che ciò potrà innescare un circuito virtuoso sia nella sinistra europea che italiana, accelerando tendenze o processi in atto sia nel P.D. che nel PSI.
In una fase così drammatica per il nostro Paese, l’atto politico che vi proponiamo di compiere non sarebbe certo solo un fatto formale, bensì una scelta lungimirante, di grande responsabilità nazionale, potenzialmente produttiva di conseguenze politiche rilevanti nell’intero centrosinistra. A tutti si chiede una sfida alle idee tradizionali e alle identità autoreferenziali e un superamento nei fatti di un malinteso patriottismo di partito, spesso nutrito dai rancori del passato piuttosto che animato da un nuovo slancio proiettato nel futuro.
24 febbraio 2011
Il Coordinamento Nazionale del Network per il Socialismo Europeo
PRESIDENTE DI SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA’
Caro Vendola,
abbiamo apprezzato il tuo messaggio al Convegno svolto il 19 febbraio a Livorno sul tema “Dalla scissione comunista all’unione per il socialismo nel XXI secolo”; l’esito del confronto lì sviluppato ed i riscontri positivi che riceviamo sulla nostra iniziativa, ci inducono a chiedere a Te ed ai compagni di S.E.L. una riflessione conclusiva su una opzione strategica che noi riteniamo utile anche in vista dell’auspicato riassetto della sinistra italiana.
Da troppo tempo il rinnovamento e la ricostruzione della sinistra italiana sono all’ordine del giorno per poter essere differiti. Si tratta, a nostro avviso, di prendere atto, come ha detto Fausto Bertinotti al convegno di Livorno, del fallimento di due progetti: quello della costruzione di una seconda sinistra alternativa e quello del PD.
Un terzo progetto, invece, non è mai decollato ed è quello di un grande partito popolare socialista con forza e ruolo paragonabili a quelli degli omologhi partiti socialisti e socialdemocratici europei. Un progetto, insomma, con una chiara identità politica di sinistra, fortemente ancorato all’Europa e che faccia riferimento al Socialismo europeo, inteso come insieme di valori in continuo rinnovamento e arricchimento grazie alla fertile contaminazione con altre esperienze politiche e culturali.
L’Europa è l’orizzonte politico e strategico nel quale può vivere ed affermarsi il socialismo nel terzo millennio. La crisi economica impone a tutta la sinistra un complessivo ripensamento anche sul fronte della teoria e della politica economica. La ripresa di un intervento pubblico nella sfera economica e la riconquista di un efficace peso politico e sociale del mondo del lavoro nelle sue nuove e varie articolazioni non possono oggi che passare attraverso una dimensione sovranazionale. L’Europa diviene, quindi, un’opzione strategica, a partire dalla quale le forze socialiste e di sinistra possono candidarsi per un effettivo governo dello sviluppo non subordinato alle logiche del capitalismo finanziario internazionale e alle politiche liberiste da esso ispirate.
Insomma, quali che siano i limiti dell’UE, noi siamo convinti che il futuro si giochi su scenari internazionali e regional-continentali, cioè alla stessa scala dei problemi da affrontare e del livello di organizzazione delle imprese multinazionali o dei conglomerati finanziari.
In questo orizzonte europeo s’impone, a nostro avviso, un’interlocuzione privilegiata e prioritaria con il socialismo organizzato nel PSE, che rappresenta, malgrado le recenti e ripetute sconfitte elettorali, il gruppo più consistente, e in alcuni paesi il solo, delle forze democratiche e progressiste.
Un rapporto stretto, ancorché non esclusivo, con il socialismo europeo non può ridursi ad una mera questione di affiliazione tout court al PSE poiché ciò di cui si avverte la necessità è soprattutto volontà di misurarsi a livello europeo con le forze socialiste sul piano programmatico e politico ed anche, se la parola non fosse stata abusata nel passato, ideologico.
Dopo mesi di dibattito nei grandi partiti socialisti e socialdemocratici europei, si è fatta ormai strada, dopo il Congresso di Praga del PSE, una posizione , che invoca una svolta a sinistra in netta rottura col recente passato. Di questa svolta sostanzialmente maggioritaria sono testimonianza il documento congiunto del Partito socialista francese e della SPD tedesca da un lato e l’esito del congresso del Labour party inglese – con l’elezione di Ed Miliband - dall’altro.
Questa revisione critica del proprio passato, presente anche nei paesi nordici, dall’Islanda alla Norvegia, dalla Svezia alla Finlandia, rappresenta un indubbio rinnovamento del tradizionale pensiero socialdemocratico e va senz’altro apprezzata ed incoraggiata. Servono nuove forme organizzative: a livello europeo le confederazioni di partiti nazionali, anzi dei loro gruppi dirigenti, non hanno futuro e non sono in grado di incidere. Una nuova idea d’Europa, che inserisca coesione sociale, solidarietà, equità e giustizia tra i valori fondanti della UE, ha bisogno di una sinistra più unita, anche se plurale, e che sia in grado di sviluppare e proporre una sua visione di società, in altre parole ritrovare l’ispirazione socialista e libertaria, lasciando alle sue spalle le drammatiche e troppo spesso tragiche divisioni del XX° secolo.
Il partito che rappresenti, caro Vendola, già contiene nel suo nome due dei valori fondanti della nuova sinistra: la sensibilità ambientalista e la vocazione per la libertà. Queste scelte vanno completate e arricchite con i filoni socialista e comunista, questi ultimi non intesi come concrete formazioni storiche, poiché non hanno raggiunto integralmente i propri obiettivi (le socialdemocrazie), o li hanno traditi, (il comunismo sovietico), ma come aspirazioni comunitarie ad una società più giusta, libera ed eguale da costruire nella democrazia e con un alto tasso di partecipazione popolare alla amministrazione pubblica e dei lavoratori alla gestione e/o controllo delle imprese.
Crediamo, dunque, che il percorso svolto da te e dai fondatori di Sinistra Ecologia Libertà e l’evoluzione in atto nei partiti socialisti europei determini – oggi - le condizioni politiche per un avvicinamento di S.E.L al PSE ed alle formazioni ad esso aderenti e che ciò potrà innescare un circuito virtuoso sia nella sinistra europea che italiana, accelerando tendenze o processi in atto sia nel P.D. che nel PSI.
In una fase così drammatica per il nostro Paese, l’atto politico che vi proponiamo di compiere non sarebbe certo solo un fatto formale, bensì una scelta lungimirante, di grande responsabilità nazionale, potenzialmente produttiva di conseguenze politiche rilevanti nell’intero centrosinistra. A tutti si chiede una sfida alle idee tradizionali e alle identità autoreferenziali e un superamento nei fatti di un malinteso patriottismo di partito, spesso nutrito dai rancori del passato piuttosto che animato da un nuovo slancio proiettato nel futuro.
24 febbraio 2011
Il Coordinamento Nazionale del Network per il Socialismo Europeo
Franco Astengo: Caduta delle dittature e assalto alle democrazie
CADUTA DELLE DITTATURE E ASSALTO ALLA DEMOCRAZIA: UN PARADOSSO SUL TEMA DEL POTERE
Questo abbozzo di riflessione, limitata al terreno teorico – politico, ci è stata suggerita dal presentarsi, nella stretta attualità, da un apparente paradosso: mentre nel Nord-Africa cadono le dittature, tra rivoluzioni di “velluto” e incredibili bagni di sangue, in Italia si sta preparando l'ennesimo assalto alla democrazia, principalmente sul terreno della divisioni dei poteri, quella storica individuata dall'Illuminismo.
Questo perché, davvero, nella settimana prossima il tema della giustizia sarà affrontato, proprio nel nostro Paese, in quella direzione tentando di completare un antico sogno: l'immunità per “l'unto del signore” (perfezionando così un meccanismo di detenzione del potere in forma “personale”, quasi mutuato da quel tipo di forma del potere che sta crollando – appunto – in Nord Africa e che rimane in piedi nei paesi dell'ex-URSS) e la soggezione del potere giudiziario a quello politico.
L'assenza di una riflessione su questi punti, proprio dal versante teorico, appare come una grave lacuna, in particolare a sinistra, laddove i soggetti politici esistenti paiono aver rinunciato ad un qualsiasi ruolo in questo senso, affidandosi, da un lato, ad una sorta di pragmatismo spicciolo sul modello dettato dalla politologia e dalla sociologia statunitense (compreso il discorso delle primarie) e dall'altro muovendosi su di un terreno di “narrazione” quasi millenaristica, imperniata su di una sorta di salvifica “personalizzazione” (salvo improvvise scivolate nel più deteriore politicismo): una personalizzazione, alla fine, non molto diversa nei suoi risvolti fattuali da quella esercitata dall'Avversario con la A maiuscola (ricordando sempre che gli originali normalmente prevalgono sulle imitazioni).
Riprendiamo, però, il tema centrale del discorso e, cioè quello del potere, partendo dalle origini della sua concezione.
Nel lessico corrente potere è la capacità di produrre effetti da parte di una forza in un ambiente.
In senso politico, il potere è sempre potere dell'uomo sull'uomo, vale a dire la capacità di condizionare il comportamento di altri uomini.
Aristotele, distingue, nella “Politica” tre tipi di potere in base all'ambito su cui si esercita: il potere dei padri sui figli, il potere dei padroni sugli schiavi, il potere dei governanti sui governati, vale a dire il potere politico in senso stretto.
In età moderna Locke riprende questa classificazione quando apre il secondo dei suoi “Trattati sul governo” distinguendo il potere del padre sui figli, dal capitano di una galera sui galeotti ( la forma moderna di perpetuazione della schiavitù, a fini economici) e del governante sui sudditi.
Ma ancora Max Weber, in una pagina di “Economia e Società”, dopo aver distinto il potere “costituito in virtù di una costellazione di interessi”, dunque il potere specificatamente economico, e il potere “costituito in virtù dell'Autorità” precisa che quest'ultimo è rappresentato dal “potere del padre di famiglia o dal potere di ufficio o dal potere del principe”.
Il potere d'ufficio è la tipica forma del potere burocratico, è il potere rappresentato dalla grande impresa o dalla pubblica amministrazione, la “famiglia pubblica” come anche è stata chiamata.
Nello Stato, come si è sviluppato in Europa tra il XVII ed il XIX secolo, giunge a compimento il processo di istituzionalizzazione del potere avviato nei secoli precedenti.
In questo processo vengono a sintetizzarsi tre tendenze, che convergono nel garantire un consolidamento del sistema statale: a)la crescente”spersonalizzazione” dei rapporti di potere: il potere coincide sempre meno con le singole persone a cui è attribuita facoltà di prendere decisioni vincolanti e sempre più attraverso la macchina normativa; b) la crescente “formalizzazione”; l'esercizio del potere si orienta sempre più nettamente a regole, procedimenti rituali; c) la crescente “integrazione” dei rapporti di potere in un ordinamento onnicomprensivo: il potere si cementa con una struttura sociale che lo sostiene e ne viene sostenuta.
Solo su questa base potrà svilupparsi quella forma di potere estraneo alla sovranità che è, secondo Foucault, il potere “disciplinare”.
Se, agli albori della modernità. Hobbes (il filosofo nel quale, come rileva Levi Strauss, “potentia” fisica e “potestas” giuridica vengono a coincidere) teorizzava ancora l'indivisibilità del potere sovrano e dunque la permanenza nelle stesse mani della spada della guerra e della spada della giustizia, rivendicando al sovrano secolare anche le tradizionali prerogative della Chiesa, quali la convocazione delle assemblee, la nomina dei pastori e la remissione dei peccati, con Locke, Montesquieu e Sieyès matura, invece, la dottrina della separazione dei poteri, destinata a diventare il cardine dello Stato di diritto liberale.
In particolare l'abate Sieyès, con la sua teorizzazione dei rapporti tra potere costituente e poteri costituiti, pone le basi per la teoria moderna della Costituzione come atto normativo mirante a definire e disciplinare la titolarità e l'esercizio del potere sovrano.
Al potere viene riconosciuta sia la funzione costitutiva della società politica (potere costituente) sia quella regolativa della società civile (potere costituito).
Per la sua duplice natura di prima fonte del diritto e di decisione fondamentale sulla forma da dare all'unità di un popolo, il potere costituente è un potere onnipotente: all'origine dell'ordine costituzionale sta un atto di rottura rivoluzionaria, che si iscrive ancora nel codice dell'assolutismo politico.
Questi capisaldi della teoria costituzionale del potere entrano in crisi nel corso del XX secolo.
A perdere presa sulla realtà sono tanto l'idea del potere costituente, quanto quello della classica divisione dei poteri.
Pare essersi strutturato un “dualismo” del potere che ha soppiantato la centralità del Parlamento, riproponendo lo schema che vede, da una parte, lo stato governativo che ha prevalso sullo stato legislativo (con l'inflazione dei decreti e delle decisioni particolaristiche) e dall'altro la modifica dei poteri, con una contrapposizione diretta tra potere esecutivo e potere giudiziario, senza alcuna possibilità di intermediazione da parte dei cosiddetti “corpi intermedi”.
L'età contemporanea è inoltre l'epoca in cui i confini del potere politico tornano a confondersi: l'età delle ideocrazie totalitarie e l'età della colonizzazione del potere politico da parte di quello economico.
E' l'età della politicizzazione e della proliferazione dei poteri sociali: anche la società dei diritti è, in fondo, una società di micropoteri.
Il potere diventa quindi una risorsa che non si divide tra coloro che lo detengono come proprietà esclusiva e coloro che lo subiscono, è piuttosto una risorsa che circola attraverso un'organizzazione reticolare.
Il potere non si concentra al vertice ma si disperde nella società transitando attraverso gli individui, questo è anche il senso della tesi dell'inflazione del potere sviluppata da Luhmann, in conseguenza della quale non solo nella sua variante totalitaria, ma anche in quella democratica la società contemporanea è dunque una società nella quale il potere politico appare problematico.
La grande finzione della modernità, l'assunzione di confini netti tra potere economico, politico, ideologico, tra potere costituente e poteri costituiti oppure ancora tra esecutivo, legislativo, giudiziario sembra proprio essere venuta meno.
Ritorniamo, quindi, al punto di partenza: quale risposta possibile, nel quadro di questa modificazione profonda della realtà del potere, alla richiesta di superamento dell'autocrazia che viene dal Nord Africa e quale opposizione da portare avanti, in Italia, al tentativo di riunificare gli incerti confini delle forme del potere proprio in una nuova autocrazia?
Si tratta di temi da non sottovalutare, principalmente da parte delle forze che intendono richiamarsi a “storici” concetti di esercizio della democrazia, in particolare in un rapporto equilibrato e positivo tra rappresentatività politica e governabilità.
La sola strada,a questo punto, appare essere quella di tornare ad essere rigorosi interpreti delle distinzione tra “potere costituente” e “potere costituito”, respingendo l'idea di una sopraffazione dell'economico e del sociale nei riguardi del “politico”.
Una nuova teoria dell' “autonomia del politico”? No, piuttosto, una sorta di “ritorno allo Statuto”.
Nel caso italiano la Costituzione del 1948 ha rappresentato un momento di superbo equilibrio nel mantenimento della classica divisione dei poteri e di costruzione di rapporti sociali misurati sul raccordo tra diritti e doveri.
La difesa e l'affermazione della democrazia, laddove essa è reclamata quasi come “nuova frontiera” e laddove essa è attaccata in nome di una ritorno alla “modernità” del principato (o “sultanato” che dir si voglia) passa attraverso l'affermazione del dettato Costituzionale nella sua interezza: un punto sul quale poggiare per una iniziativa politica conseguente ,partendo proprio dall'idea della “centralità” del Parlamento e delle assemblee elettive ed il ritorno al concetto di rappresentatività politica e di separazione dei poteri, rifiutando l'idea di una presunta “post-modernità” che altro non sarebbe che un brusco ritorno al passato.
Savona, li 26 Febbraio 2011 Franco Astengo
Questo abbozzo di riflessione, limitata al terreno teorico – politico, ci è stata suggerita dal presentarsi, nella stretta attualità, da un apparente paradosso: mentre nel Nord-Africa cadono le dittature, tra rivoluzioni di “velluto” e incredibili bagni di sangue, in Italia si sta preparando l'ennesimo assalto alla democrazia, principalmente sul terreno della divisioni dei poteri, quella storica individuata dall'Illuminismo.
Questo perché, davvero, nella settimana prossima il tema della giustizia sarà affrontato, proprio nel nostro Paese, in quella direzione tentando di completare un antico sogno: l'immunità per “l'unto del signore” (perfezionando così un meccanismo di detenzione del potere in forma “personale”, quasi mutuato da quel tipo di forma del potere che sta crollando – appunto – in Nord Africa e che rimane in piedi nei paesi dell'ex-URSS) e la soggezione del potere giudiziario a quello politico.
L'assenza di una riflessione su questi punti, proprio dal versante teorico, appare come una grave lacuna, in particolare a sinistra, laddove i soggetti politici esistenti paiono aver rinunciato ad un qualsiasi ruolo in questo senso, affidandosi, da un lato, ad una sorta di pragmatismo spicciolo sul modello dettato dalla politologia e dalla sociologia statunitense (compreso il discorso delle primarie) e dall'altro muovendosi su di un terreno di “narrazione” quasi millenaristica, imperniata su di una sorta di salvifica “personalizzazione” (salvo improvvise scivolate nel più deteriore politicismo): una personalizzazione, alla fine, non molto diversa nei suoi risvolti fattuali da quella esercitata dall'Avversario con la A maiuscola (ricordando sempre che gli originali normalmente prevalgono sulle imitazioni).
Riprendiamo, però, il tema centrale del discorso e, cioè quello del potere, partendo dalle origini della sua concezione.
Nel lessico corrente potere è la capacità di produrre effetti da parte di una forza in un ambiente.
In senso politico, il potere è sempre potere dell'uomo sull'uomo, vale a dire la capacità di condizionare il comportamento di altri uomini.
Aristotele, distingue, nella “Politica” tre tipi di potere in base all'ambito su cui si esercita: il potere dei padri sui figli, il potere dei padroni sugli schiavi, il potere dei governanti sui governati, vale a dire il potere politico in senso stretto.
In età moderna Locke riprende questa classificazione quando apre il secondo dei suoi “Trattati sul governo” distinguendo il potere del padre sui figli, dal capitano di una galera sui galeotti ( la forma moderna di perpetuazione della schiavitù, a fini economici) e del governante sui sudditi.
Ma ancora Max Weber, in una pagina di “Economia e Società”, dopo aver distinto il potere “costituito in virtù di una costellazione di interessi”, dunque il potere specificatamente economico, e il potere “costituito in virtù dell'Autorità” precisa che quest'ultimo è rappresentato dal “potere del padre di famiglia o dal potere di ufficio o dal potere del principe”.
Il potere d'ufficio è la tipica forma del potere burocratico, è il potere rappresentato dalla grande impresa o dalla pubblica amministrazione, la “famiglia pubblica” come anche è stata chiamata.
Nello Stato, come si è sviluppato in Europa tra il XVII ed il XIX secolo, giunge a compimento il processo di istituzionalizzazione del potere avviato nei secoli precedenti.
In questo processo vengono a sintetizzarsi tre tendenze, che convergono nel garantire un consolidamento del sistema statale: a)la crescente”spersonalizzazione” dei rapporti di potere: il potere coincide sempre meno con le singole persone a cui è attribuita facoltà di prendere decisioni vincolanti e sempre più attraverso la macchina normativa; b) la crescente “formalizzazione”; l'esercizio del potere si orienta sempre più nettamente a regole, procedimenti rituali; c) la crescente “integrazione” dei rapporti di potere in un ordinamento onnicomprensivo: il potere si cementa con una struttura sociale che lo sostiene e ne viene sostenuta.
Solo su questa base potrà svilupparsi quella forma di potere estraneo alla sovranità che è, secondo Foucault, il potere “disciplinare”.
Se, agli albori della modernità. Hobbes (il filosofo nel quale, come rileva Levi Strauss, “potentia” fisica e “potestas” giuridica vengono a coincidere) teorizzava ancora l'indivisibilità del potere sovrano e dunque la permanenza nelle stesse mani della spada della guerra e della spada della giustizia, rivendicando al sovrano secolare anche le tradizionali prerogative della Chiesa, quali la convocazione delle assemblee, la nomina dei pastori e la remissione dei peccati, con Locke, Montesquieu e Sieyès matura, invece, la dottrina della separazione dei poteri, destinata a diventare il cardine dello Stato di diritto liberale.
In particolare l'abate Sieyès, con la sua teorizzazione dei rapporti tra potere costituente e poteri costituiti, pone le basi per la teoria moderna della Costituzione come atto normativo mirante a definire e disciplinare la titolarità e l'esercizio del potere sovrano.
Al potere viene riconosciuta sia la funzione costitutiva della società politica (potere costituente) sia quella regolativa della società civile (potere costituito).
Per la sua duplice natura di prima fonte del diritto e di decisione fondamentale sulla forma da dare all'unità di un popolo, il potere costituente è un potere onnipotente: all'origine dell'ordine costituzionale sta un atto di rottura rivoluzionaria, che si iscrive ancora nel codice dell'assolutismo politico.
Questi capisaldi della teoria costituzionale del potere entrano in crisi nel corso del XX secolo.
A perdere presa sulla realtà sono tanto l'idea del potere costituente, quanto quello della classica divisione dei poteri.
Pare essersi strutturato un “dualismo” del potere che ha soppiantato la centralità del Parlamento, riproponendo lo schema che vede, da una parte, lo stato governativo che ha prevalso sullo stato legislativo (con l'inflazione dei decreti e delle decisioni particolaristiche) e dall'altro la modifica dei poteri, con una contrapposizione diretta tra potere esecutivo e potere giudiziario, senza alcuna possibilità di intermediazione da parte dei cosiddetti “corpi intermedi”.
L'età contemporanea è inoltre l'epoca in cui i confini del potere politico tornano a confondersi: l'età delle ideocrazie totalitarie e l'età della colonizzazione del potere politico da parte di quello economico.
E' l'età della politicizzazione e della proliferazione dei poteri sociali: anche la società dei diritti è, in fondo, una società di micropoteri.
Il potere diventa quindi una risorsa che non si divide tra coloro che lo detengono come proprietà esclusiva e coloro che lo subiscono, è piuttosto una risorsa che circola attraverso un'organizzazione reticolare.
Il potere non si concentra al vertice ma si disperde nella società transitando attraverso gli individui, questo è anche il senso della tesi dell'inflazione del potere sviluppata da Luhmann, in conseguenza della quale non solo nella sua variante totalitaria, ma anche in quella democratica la società contemporanea è dunque una società nella quale il potere politico appare problematico.
La grande finzione della modernità, l'assunzione di confini netti tra potere economico, politico, ideologico, tra potere costituente e poteri costituiti oppure ancora tra esecutivo, legislativo, giudiziario sembra proprio essere venuta meno.
Ritorniamo, quindi, al punto di partenza: quale risposta possibile, nel quadro di questa modificazione profonda della realtà del potere, alla richiesta di superamento dell'autocrazia che viene dal Nord Africa e quale opposizione da portare avanti, in Italia, al tentativo di riunificare gli incerti confini delle forme del potere proprio in una nuova autocrazia?
Si tratta di temi da non sottovalutare, principalmente da parte delle forze che intendono richiamarsi a “storici” concetti di esercizio della democrazia, in particolare in un rapporto equilibrato e positivo tra rappresentatività politica e governabilità.
La sola strada,a questo punto, appare essere quella di tornare ad essere rigorosi interpreti delle distinzione tra “potere costituente” e “potere costituito”, respingendo l'idea di una sopraffazione dell'economico e del sociale nei riguardi del “politico”.
Una nuova teoria dell' “autonomia del politico”? No, piuttosto, una sorta di “ritorno allo Statuto”.
Nel caso italiano la Costituzione del 1948 ha rappresentato un momento di superbo equilibrio nel mantenimento della classica divisione dei poteri e di costruzione di rapporti sociali misurati sul raccordo tra diritti e doveri.
La difesa e l'affermazione della democrazia, laddove essa è reclamata quasi come “nuova frontiera” e laddove essa è attaccata in nome di una ritorno alla “modernità” del principato (o “sultanato” che dir si voglia) passa attraverso l'affermazione del dettato Costituzionale nella sua interezza: un punto sul quale poggiare per una iniziativa politica conseguente ,partendo proprio dall'idea della “centralità” del Parlamento e delle assemblee elettive ed il ritorno al concetto di rappresentatività politica e di separazione dei poteri, rifiutando l'idea di una presunta “post-modernità” che altro non sarebbe che un brusco ritorno al passato.
Savona, li 26 Febbraio 2011 Franco Astengo
Peppe Giudice: Vendola e il PSE
VENDOLA E il PSE: Un articolo del Foglio
.pubblicata da Giuseppe Giudice il giorno venerdì 25 febbraio 2011 alle ore 22.42.cari amici e compagni vi sottopongo questo articolo del Foglio inviatomi da Alessandro Porcelluzzi
leggetevelo bene e commentate
La via di Vendola alla scalata del PD si chiama Partito socialista europeo
Che volesse "destrutturare il centrosinistra" l'aveva dichiarato un
paio di settimane fa al sito di Libertà e giustizia, finora però quale
fosse la sua via alla distruzione creatrice Nichi Vendola non l'aveva
ancora detto. La risposta si chiama Partito socialista europeo, il
rassemblement continentale a cui i democratici non possono aderire
senza perdere gli ex democristiani. Il governatore della Puglia
insomma - mentre Pier Luigi Bersani fa l'osservatore esterno e
combatte con la voglia di PPE di Fioroni - si appresta a mettersi
nella foto di gruppo con i Zapatero, i Miliband, i Papandreou e
intestarsi una riconoscibile quanto "vendibile" tradizione politica
riformista (un tempo da lui definita con sprezzo "governista"). Un
primo accenno pubblico alla "svolta di Vendola" prossima ventura è
toccato farlo, com'è giusto, domenica scorsa a Fausto Bertinotti:
"Dobbiamo prendere atto del fallimento di due progetti: quello della
costruzione di una sinistra alternativa e quello del Pd", ha detto
commemorando il 90esimo della scissione comunista di Livorno: "Si
impone un nuovo inizio che non può non partire da un rapporto col
socialismo europeo". Ben tornati a Bad Godesberg, allora, e tanti
saluti alla "Sinistra europea" con Izquierda Unida e Die Linke voluta
proprio da Bertinotti. Queste, però, non sono solo le elucubrazioni di
un ex presidente della camera diversamente occupato. Lo conferma un
breve dialogo intercorso recentemente tra lo stesso Vendola e un
deputato del Pd di rito socialista. Chiede quest'ultimo, in un casuale
incontro alla Camera: "Ma tu che cazzo vuoi fare con questo partito?".
Risposta secca di Nichi: "Il Partito socialista europeo". Conclusione:
"Se lo fai, vengo con te". Non sarebbe il solo, peraltro, se è vero
che nell'area ex ds per comodità nota come "dalemiana" comincia a
circolare una certa preoccupazione per l'indebita occupazione di suolo
riformista da parte del performer pugliese. In Sel, peraltro, una
componente socialista c'è già e lo stesso Vendola ha ultimamente
stretto contatti con ambienti del Pse: ormai va avanti e indietro da
Bruxelles più che da Barletta e a fine novembre, per dire, ha ospitato
in Puglia il capogruppo socialista all'Europarlamento Martin Schulz
(quello del "kapò"). La cosidetta "sinistra del Pd"(Vita, Nerozzi,
forse Cofferati e qualcun altro) è già in fibrillazione e lavora
sempre più spesso col "Network per il socialismo europeo" dell'ex
Legacoop Lanfranco Turci, ambasciatore vendoliano, in vista
dell'ordalia delle primarie. L'unico ostacolo di Nichi, manco a farlo
apposta, è la magistratura: ieri gli è ripiombata addosso l'inchiesta
sulla sanità pugliese con annessa richiesta di arresto per il suo ex
assessore e grande elettore alle primarie Alberto Tedesco, oggi
senatore democrat. C'è da scommettere che il danno sarà tutto per
Bersani. Perchè? Perchè Vendola è come la Ruthie di Bob Dylan: gli
altri sanno solo ciò di cui avete bisogno, ma lui sa quello che
volete.
Marco Palombi
.pubblicata da Giuseppe Giudice il giorno venerdì 25 febbraio 2011 alle ore 22.42.cari amici e compagni vi sottopongo questo articolo del Foglio inviatomi da Alessandro Porcelluzzi
leggetevelo bene e commentate
La via di Vendola alla scalata del PD si chiama Partito socialista europeo
Che volesse "destrutturare il centrosinistra" l'aveva dichiarato un
paio di settimane fa al sito di Libertà e giustizia, finora però quale
fosse la sua via alla distruzione creatrice Nichi Vendola non l'aveva
ancora detto. La risposta si chiama Partito socialista europeo, il
rassemblement continentale a cui i democratici non possono aderire
senza perdere gli ex democristiani. Il governatore della Puglia
insomma - mentre Pier Luigi Bersani fa l'osservatore esterno e
combatte con la voglia di PPE di Fioroni - si appresta a mettersi
nella foto di gruppo con i Zapatero, i Miliband, i Papandreou e
intestarsi una riconoscibile quanto "vendibile" tradizione politica
riformista (un tempo da lui definita con sprezzo "governista"). Un
primo accenno pubblico alla "svolta di Vendola" prossima ventura è
toccato farlo, com'è giusto, domenica scorsa a Fausto Bertinotti:
"Dobbiamo prendere atto del fallimento di due progetti: quello della
costruzione di una sinistra alternativa e quello del Pd", ha detto
commemorando il 90esimo della scissione comunista di Livorno: "Si
impone un nuovo inizio che non può non partire da un rapporto col
socialismo europeo". Ben tornati a Bad Godesberg, allora, e tanti
saluti alla "Sinistra europea" con Izquierda Unida e Die Linke voluta
proprio da Bertinotti. Queste, però, non sono solo le elucubrazioni di
un ex presidente della camera diversamente occupato. Lo conferma un
breve dialogo intercorso recentemente tra lo stesso Vendola e un
deputato del Pd di rito socialista. Chiede quest'ultimo, in un casuale
incontro alla Camera: "Ma tu che cazzo vuoi fare con questo partito?".
Risposta secca di Nichi: "Il Partito socialista europeo". Conclusione:
"Se lo fai, vengo con te". Non sarebbe il solo, peraltro, se è vero
che nell'area ex ds per comodità nota come "dalemiana" comincia a
circolare una certa preoccupazione per l'indebita occupazione di suolo
riformista da parte del performer pugliese. In Sel, peraltro, una
componente socialista c'è già e lo stesso Vendola ha ultimamente
stretto contatti con ambienti del Pse: ormai va avanti e indietro da
Bruxelles più che da Barletta e a fine novembre, per dire, ha ospitato
in Puglia il capogruppo socialista all'Europarlamento Martin Schulz
(quello del "kapò"). La cosidetta "sinistra del Pd"(Vita, Nerozzi,
forse Cofferati e qualcun altro) è già in fibrillazione e lavora
sempre più spesso col "Network per il socialismo europeo" dell'ex
Legacoop Lanfranco Turci, ambasciatore vendoliano, in vista
dell'ordalia delle primarie. L'unico ostacolo di Nichi, manco a farlo
apposta, è la magistratura: ieri gli è ripiombata addosso l'inchiesta
sulla sanità pugliese con annessa richiesta di arresto per il suo ex
assessore e grande elettore alle primarie Alberto Tedesco, oggi
senatore democrat. C'è da scommettere che il danno sarà tutto per
Bersani. Perchè? Perchè Vendola è come la Ruthie di Bob Dylan: gli
altri sanno solo ciò di cui avete bisogno, ma lui sa quello che
volete.
Marco Palombi
venerdì 25 febbraio 2011
Corrado Ocone: la perdita del cuscinetto
La perdita del cuscinetto
.pubblicata da Corrado Ocone il giorno venerdì 25 febbraio 2011 alle ore 9.32. di Corrado Ocone
“Le nuove ragioni del socialismo”, anno IX, n.85, gennaio 2011
“La vita dell’uomo moderno non è favorevole all’approfondimento. Essa si sottrae alla tranquillità e alla contemplazione, è una vita di attività continua e affrettata, una lotta senza scopo e riflessione. Chi si ferma un istante è subito superato…Il nostro sguardo è sempre rivolto alla novità più recente, a ogni istante siamo sotto il dominio di ciò che è ultimo, e quello che precede è subito dimenticato, non soltanto prima di comprenderlo, ma addirittura ancor prima di vederlo con esattezza”. Era il 1935 quando Nicolai Hartmann, grande filosofo tedesco ancora poco conosciuto in Italia, scriveva queste parole nella sua Fondazione dell’ontologia. Da allora, il fenomeno descritto in modo così vivido ed efficace si è ancora più radicalizzato: grazie ai nuovi media, dalla televisione ad Internet, viviamo ormai in un mondo dell’informazione globale che, proprio perché dominata dal mito della velocità e della novità, spesso o quasi mai possiede quei requisiti di attendibilità o veridicità che pure sarebbero necessari. Viviamo nel tempo della realtà in presa diretta, di cui i reality sono per così dire l’epifenomeno paradigmatico. Anche in considerazione del fatto che mostrano in definitiva come nulla vi sia di più irreale o fantastico di una realtà costruita sull’im-mediato.
Sul fenomeno dell’accelerazione e compressione sul presente dell’esperienza temporale non mancano certo le analisi storiche, sociologiche, psicologiche, filosofiche. Non ne sono state ancora molto scandagliate invece le conseguenze politiche: i nessi fra di essa e la “crisi teorica” e “reale” della democrazia. Una crisi che porta la democrazia a trasfigurarsi in qualcosa di molto diverso rispetto al dispositivo classico fondato sulla rappresentanza, avvicinandola pericolosamente alla configurazione populistico-demagogica di certi regimi autoritari (in campo scientifico non a caso ha avuto fortuna il termine post-democrazia coniato dal politologo inglese Colin Crouch). L’elemento comune, a mio avviso, è in quello che, civettando un po’, si potrebbe definire il predominio del tre sul due, cioè nell’affievolirsi e nella scomparsa in entrambi gli ambiti del terzo, dell’elemento di mediazione fra gli opposti. Una vita che non ci porta a riflettere per bene sugli elementi che ci pone innanzi la realtà, che “non è favorevole all’approfondimento” come dice Hartmann, è una vita basata sulle emozioni e sulle impressioni, sulle immagini piuttosto che sui concetti. Esse vengono assunte in maniera acritica, non mediata, senza il distacco che è proprio di quell’ “osservatore” imparziale di smithiana memoria. Ugualmente succede che in politica i partiti storici e il parlamento non fungano più da cuscinetto fra la pancia degli elettori e i leader carismatici, perdendo quella funzione storica di organizzazione e articolazione fra i diversi interessi che realizzavano mediando fra di essi e fra essi e le idealità.
Ma in verità la crisi della mediazione è ancora più generale. Oggi persino i processi si svolgono, come è noto, prima che nei tribunali in quelle pubbliche piazze che sono diventate le televisioni E la mediazione rischia purtroppo di eclissarsi persino nella società se, come accade, la politica colpisce e impoverisce quei ceti medi o “riflessivi” che per Croce rappresentavano la borghesia in senso ideale (altra cosa da quella storica e concreta a cui non risparmiava critiche anche feroci). La “classe media” in democrazia adempie, infatti, proprio al compito di anteporre l’universale, che è proprio della cultura e dell’istruzione, ad una visione strettamente economicistica del reale.
Irriflessione diffusa, morte dei partiti, insignificanza dei parlamenti, giustizia-spettacolo, impoverimento dei ceti medi, politiche (soprattutto di bilancio) sacrificanti la cultura in ogni sua espressione: come si vede tutto si tiene. E tutto purtroppo descrive alla perfezione lo “stato presente” della democrazia in Occidente e soprattutto, con aspetti di indubbia radicalità, nel suo anello più fragile che è l’Italia.
.
.pubblicata da Corrado Ocone il giorno venerdì 25 febbraio 2011 alle ore 9.32. di Corrado Ocone
“Le nuove ragioni del socialismo”, anno IX, n.85, gennaio 2011
“La vita dell’uomo moderno non è favorevole all’approfondimento. Essa si sottrae alla tranquillità e alla contemplazione, è una vita di attività continua e affrettata, una lotta senza scopo e riflessione. Chi si ferma un istante è subito superato…Il nostro sguardo è sempre rivolto alla novità più recente, a ogni istante siamo sotto il dominio di ciò che è ultimo, e quello che precede è subito dimenticato, non soltanto prima di comprenderlo, ma addirittura ancor prima di vederlo con esattezza”. Era il 1935 quando Nicolai Hartmann, grande filosofo tedesco ancora poco conosciuto in Italia, scriveva queste parole nella sua Fondazione dell’ontologia. Da allora, il fenomeno descritto in modo così vivido ed efficace si è ancora più radicalizzato: grazie ai nuovi media, dalla televisione ad Internet, viviamo ormai in un mondo dell’informazione globale che, proprio perché dominata dal mito della velocità e della novità, spesso o quasi mai possiede quei requisiti di attendibilità o veridicità che pure sarebbero necessari. Viviamo nel tempo della realtà in presa diretta, di cui i reality sono per così dire l’epifenomeno paradigmatico. Anche in considerazione del fatto che mostrano in definitiva come nulla vi sia di più irreale o fantastico di una realtà costruita sull’im-mediato.
Sul fenomeno dell’accelerazione e compressione sul presente dell’esperienza temporale non mancano certo le analisi storiche, sociologiche, psicologiche, filosofiche. Non ne sono state ancora molto scandagliate invece le conseguenze politiche: i nessi fra di essa e la “crisi teorica” e “reale” della democrazia. Una crisi che porta la democrazia a trasfigurarsi in qualcosa di molto diverso rispetto al dispositivo classico fondato sulla rappresentanza, avvicinandola pericolosamente alla configurazione populistico-demagogica di certi regimi autoritari (in campo scientifico non a caso ha avuto fortuna il termine post-democrazia coniato dal politologo inglese Colin Crouch). L’elemento comune, a mio avviso, è in quello che, civettando un po’, si potrebbe definire il predominio del tre sul due, cioè nell’affievolirsi e nella scomparsa in entrambi gli ambiti del terzo, dell’elemento di mediazione fra gli opposti. Una vita che non ci porta a riflettere per bene sugli elementi che ci pone innanzi la realtà, che “non è favorevole all’approfondimento” come dice Hartmann, è una vita basata sulle emozioni e sulle impressioni, sulle immagini piuttosto che sui concetti. Esse vengono assunte in maniera acritica, non mediata, senza il distacco che è proprio di quell’ “osservatore” imparziale di smithiana memoria. Ugualmente succede che in politica i partiti storici e il parlamento non fungano più da cuscinetto fra la pancia degli elettori e i leader carismatici, perdendo quella funzione storica di organizzazione e articolazione fra i diversi interessi che realizzavano mediando fra di essi e fra essi e le idealità.
Ma in verità la crisi della mediazione è ancora più generale. Oggi persino i processi si svolgono, come è noto, prima che nei tribunali in quelle pubbliche piazze che sono diventate le televisioni E la mediazione rischia purtroppo di eclissarsi persino nella società se, come accade, la politica colpisce e impoverisce quei ceti medi o “riflessivi” che per Croce rappresentavano la borghesia in senso ideale (altra cosa da quella storica e concreta a cui non risparmiava critiche anche feroci). La “classe media” in democrazia adempie, infatti, proprio al compito di anteporre l’universale, che è proprio della cultura e dell’istruzione, ad una visione strettamente economicistica del reale.
Irriflessione diffusa, morte dei partiti, insignificanza dei parlamenti, giustizia-spettacolo, impoverimento dei ceti medi, politiche (soprattutto di bilancio) sacrificanti la cultura in ogni sua espressione: come si vede tutto si tiene. E tutto purtroppo descrive alla perfezione lo “stato presente” della democrazia in Occidente e soprattutto, con aspetti di indubbia radicalità, nel suo anello più fragile che è l’Italia.
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peppe giudice: sel e il pse
.pubblicata da Giuseppe Giudice il giorno giovedì 24 febbraio 2011 alle ore 22.34.SeL ed il PSE
SeL non può continuare ad essere il partito del leader. Intendiamoci, Vendola ha svolto un ruolo determinante quantomeno nello smuovere le acque stagnanti del centrosinistra e nel costruire una speranza di sinistra per molti delusi dal PD (il consenso a Vendola in larga parte viene da quella direzione).
Ma non si vive di sole primarie, soprattutto se le elezioni si allontanano. E comunque se pure si registra una crescita di consensi a SeL, siamo lontani da quel “big bang” di cui ha parlato Bertinotti a Livorno. Il PD resta avvitato nelle sue contraddizioni che lo paralizzano. E non si smuove. E sappiamo benissimo che senza terremotare in positivo il PD e governare da sinistra i processi d scomposizione che necessariamente devono aprirsi, difficilmente riusciremo a costruire quella sinistra che serve non a noi militanti, ma al paese.
E’ senza dubbio auspicabile che nel PD si costituisca una area critica di sinistra e legata al PSE.
Ma è SeL che oggi dovrebbe svolgere il ruolo propulsivo come soggetto politico non meramente espressione di una leadership.
Ma per fare questo occorre trasformare il “racconto” di una nuova sinistra in progetto, proposta politica rigorosa, strategia ed identità.
Se SeL è il primo passo verso la costruzione di una sinistra larga, popolare e di governo il suo posto non può non essere nel PSE. E’ oggi una scelta che va fatta con grande determinazione, perché significa dare una fisionomia ed una identità precisa ad un soggetto politico che non può reggersi solo con un leader forte e carismatico, ma ha bisogno di un coerente orizzonte strategico.
Come abbiamo detto a Livorno, una chiara e inequivocabile scelta socialista di SeL avrebbe un effetto dirompente sul PD e potrebbe veramente innescare un processo che porti a risolvere a sinistra le gravi contraddizioni di quel partito. E non lasciare il marchio PSE in mano ad un personaggio insignificante e becero come Nencini.
Del resto chiaramente lo ha detto Bertinotti (che pure è stato l’ideatore del progetto – fallito – si Sinistra Europea) nel convegno sopra nominato. E’ solo nel socialismo europeo che può confluire la sinistra larga che immaginiamo.
E quindi bisogna aver il coraggio di spezzare definitivamente le resistenze (perché così è) di coloro che ancora celebrano il lutto per la caduta del Muro di Berlino (anche in sel ve ne sono – ce n’è magari anche qualcuno nel PD!). Noi ci siamo separati da coloro che celebrano il lutto del garofano; così facciano altri, per altri lutti!
Senza una sinistra larga e socialista vi sarà sempre un centrosinistra moderato e subalterno ai poteri forti. IL centro-sinistra degli anni 60 riuscì a compiere una importante opera riformatrice perché aveva una forte sinistra interna fondata sull’asse PSI-Sinistra DC di allora.
Il PD ha affossato tale possibilità, ma una nuova sinistra socialista la può riaprire.
PEPPE GIUDICE
SeL non può continuare ad essere il partito del leader. Intendiamoci, Vendola ha svolto un ruolo determinante quantomeno nello smuovere le acque stagnanti del centrosinistra e nel costruire una speranza di sinistra per molti delusi dal PD (il consenso a Vendola in larga parte viene da quella direzione).
Ma non si vive di sole primarie, soprattutto se le elezioni si allontanano. E comunque se pure si registra una crescita di consensi a SeL, siamo lontani da quel “big bang” di cui ha parlato Bertinotti a Livorno. Il PD resta avvitato nelle sue contraddizioni che lo paralizzano. E non si smuove. E sappiamo benissimo che senza terremotare in positivo il PD e governare da sinistra i processi d scomposizione che necessariamente devono aprirsi, difficilmente riusciremo a costruire quella sinistra che serve non a noi militanti, ma al paese.
E’ senza dubbio auspicabile che nel PD si costituisca una area critica di sinistra e legata al PSE.
Ma è SeL che oggi dovrebbe svolgere il ruolo propulsivo come soggetto politico non meramente espressione di una leadership.
Ma per fare questo occorre trasformare il “racconto” di una nuova sinistra in progetto, proposta politica rigorosa, strategia ed identità.
Se SeL è il primo passo verso la costruzione di una sinistra larga, popolare e di governo il suo posto non può non essere nel PSE. E’ oggi una scelta che va fatta con grande determinazione, perché significa dare una fisionomia ed una identità precisa ad un soggetto politico che non può reggersi solo con un leader forte e carismatico, ma ha bisogno di un coerente orizzonte strategico.
Come abbiamo detto a Livorno, una chiara e inequivocabile scelta socialista di SeL avrebbe un effetto dirompente sul PD e potrebbe veramente innescare un processo che porti a risolvere a sinistra le gravi contraddizioni di quel partito. E non lasciare il marchio PSE in mano ad un personaggio insignificante e becero come Nencini.
Del resto chiaramente lo ha detto Bertinotti (che pure è stato l’ideatore del progetto – fallito – si Sinistra Europea) nel convegno sopra nominato. E’ solo nel socialismo europeo che può confluire la sinistra larga che immaginiamo.
E quindi bisogna aver il coraggio di spezzare definitivamente le resistenze (perché così è) di coloro che ancora celebrano il lutto per la caduta del Muro di Berlino (anche in sel ve ne sono – ce n’è magari anche qualcuno nel PD!). Noi ci siamo separati da coloro che celebrano il lutto del garofano; così facciano altri, per altri lutti!
Senza una sinistra larga e socialista vi sarà sempre un centrosinistra moderato e subalterno ai poteri forti. IL centro-sinistra degli anni 60 riuscì a compiere una importante opera riformatrice perché aveva una forte sinistra interna fondata sull’asse PSI-Sinistra DC di allora.
Il PD ha affossato tale possibilità, ma una nuova sinistra socialista la può riaprire.
PEPPE GIUDICE
giovedì 24 febbraio 2011
mercoledì 23 febbraio 2011
Lanfranco Turci: Alla sinistra PD
Lanfranco Turci alla Sinistra PD
Il Network per il socialismo europeo( https://www.facebook.com/notes/network-per-il-socialismo-europeo/dichiarazione-di-intenti-per-la-costituzione-di-una-rete-nazionale-di-circoli-e-/147665715287349 ) è una associazione in via di costruzione che abbiamo lanciato nel settembre dello scorso anno.Essa si propone di mettere in rete e provare a unificare su una comune piattaforma politico culturale la molteplicità di circoli,gruppi,riviste online e singoli compagni sparsi(molti, ma non tutti, provenienti dalla storia socialista),militanti nei partiti del centro sinistra o fuori dai partiti, uniti dalla comune insoddisfazione per l’assetto attuale della sinistra italiana. Insoddisfatti e convinti che solo una profonda riorganizzazione della sinistra attorno a un grande partito unitario, popolare e di massa collegato al socialismo europeo,può consentirle di porsi all’altezza della gravità e novità della crisi economica e sociale in atto,di cui il berlusconismo costituisce solo una specifica aggravante nazionale. Abbiamo tenuto il 19 febbraio scorso un importante convegno a Livorno insieme alla lega dei socialisti di quella città,una organizzazione di socialisti aderente a Sel,sul tema:”Dalla scissione di Livorno all’unione nel socialismo del 21° secolo”
( http://www.radioradicale.it/scheda/321490 ).Si è trattato di un confronto di notevole livello ,sia per l’analisi della crisi ,sia per la discussione sullo stato del Pd,del Psi e di Sel e della possibilità di promuovere quel “big bang” di cui Bertinotti ha parlato anche in quella sede.Tratto unificante è stata la convinzione ,espressa anche nel messaggio di Vendola,oltre che nella tesi da sempre sostenuta da Macaluso,che solo il socialismo europeo può costituire l’orizzonte in cui collocare una rinnovata sinistra italiana.
Per questo sono venuto con grande interesse oggi a questo vostro incontro. Il nostro discorso non ha possibilità di sviluppo se non trova anche un esplicito interlocutore interno al Pd,come lo ha trovato in Sel e nelle componenti critiche del Psi. Nel Pd di oggi il pensiero più strutturato non è quello di sinistra e di ispirazione socialista.E’ invece quello che potremmo definire social liberista rappresentato dall’area di Veltroni,che raccoglie il contributo di compagni di notevole valore,come i miei vecchi amici Salvati e Morando.E’ un pensiero ancora tutto interno alla influenza del blairismo degli anni novanta,alla idea del successo senza limiti della globalizzazione guidata dal capitalismo finanziario, cui si tratterebbe unicamente di accompagnare politiche di modernizzazione(quelle di cui Salvati ha recentemente lamentato la non attuazione in Italia per colpa di un bipolarismo immaturo e litigioso) e di prudente solidarietà sociale. Bersani ,con la sua maggioranza composita,esprime in confronto a quell’area una collocazione più di sinistra,ma si tratta di un riflesso debole,quasi residuale e inconfessato, di ciò che eravamo,piuttosto che della consapevolezza della necessità di mettere in discussione il patto paralizzante che sta alla base del Pd. Non basta il programmismo sovrabbondante cui si dedica la segreteria Bersani se non c’è un messaggio politico chiaro e netto ,rivolto ai soggetti sociali che questa crisi vivono sulla propria pelle,ai lavoratori che perdono il posto di lavoro,ai precari,alle partite IVA in via di impoverimento,agli studenti e ai ricercatori,alle donne di domenica 13 febbraio.Ma come può mandare questo messaggio un partito che si è diviso fra l’appoggio esplicito a Marchionne e quello timido e quasi silenzioso alla Fiom?C’è stato qualche tempo fa un lampo improvviso di una luce diversa rappresentato dal documento dei “giovani turchi”( http://santilli.ilcannocchiale.it/post/2535138.html ),ma come un lampo è subito scomparso senza lasciare una visibile traccia..Parafrasando Tacito si potrebbe dire”hanno fatto un deserto e l’hanno chiamato… Pd!”La rimozione della storia del Pci e con essa della tradizione socialista, che a modo suo nel Pci era profondamente incorporata,ha disarmato la sinistra proprio mentre la crisi economica internazionale ripropone domande di fondo sul capitalismo e sull’antagonismo che una sinistra degna di questo nome non può non rappresentare nei confronti delle sue logiche dominanti.Siamo ancora alla coda delle terze vie,mentre in Europa,fra i partiti socialisti si guarda alla crisi e alla ricerca di nuovi paradigmi politici e economici che essa richiede. D’altro lato è significativo che il Pd continui a arrovellarsi sui temi del risanamento del debito pubblico,senza collegarli al dibattito sugli squilibri europei,sulle politiche neomercantiliste della Germania,sui limiti delle politiche neoliberiste del patto di Maastricht,dell’agenda di Lisbona e su tutto l’impianto della politica monetaria della BCE. Si stanno discutendo in queste settimane in Europa scelte che potrebbero condizionare il nostro futuro in modo irrevocabile e portare allo stesso collasso della costruzione europea. Ma questi temi non entrano nel dibattito pubblico del nostro paese,anche per l’europeismo retorico cui continuiamo ad affidarci.
E’ dunque evidente che il Pd così com’è non rappresenta uno strumento adeguato a dare alla sinistra una prospettiva di vittoria,a dialogare con i movimenti che sembrano svilupparsi in un altro pianeta in confronto a quello in cui vive la politica italiana.Non rappresenta uno stumento adeguato a mobilitare la gran massa di elettori potenziali di sinistra che si sono allontanati verso l’astensione e il disimpegno o hanno cercato una via d’uscita nel giustizialismo gridato e senza respiro dell’Idv.Dobbiamo dare atto che Sel e l’iniziativa di Vendola hanno cominciato a muovere le acque a sinistra.C’è oggi un po’ più di fiducia. La”narrazione” di Vendola ,per quanto immaginifica,e più allusiva che sostanziale, ha dimostrato col suo successo il bisogno diffuso di ritrovare i luoghi ideali e sociali della sinistra. Non a caso Vendola ,anche forzando in confronto alla sua storia personale e al vissuto di tanti militanti di Sel,ha riconosciuto nel socialismo una bussola per il futuro. Certo,Sel da sola non può bastare.Il grosso delle forze di sinistra,la maggioranza dell’eredità elettorale del Pci sta ancora nel Pd. Sarebbe stupido ignorarlo o pensare di ricominciare una sorta di accumulazione primitiva partendo dal pur importante 8-9%. Vendola chiudendo il recente congresso di Sel è ricorso all’immagine del seme che deve morire per germogliare e riprodursi. Il tema delle primarie di coalizione,da cui non a caso il Pd si sta ritraendo,potrebbero o forse,bisogna dire,avrebbero potuto costituire il terreno su cui provare a realizzare una semina di vasta scala e verificare se fra le crepe dell’amalgama in decomposizione s’è formato abbastanza humus da produrre nuovi frutti. Nel momento in cui D’Alema definisce le primarie un’opa ostile sul pd sembra voler mettere un veto invalicabile,ma ammette anche tutta la debolezza dell’ impianto e la paura,nella difficoltà o meglio nella mancanza di idee con cui ristrutturarlo,che esso possa subire un tracollo repentino.Qui secondo me può giocare un ruolo importante una rinnovata area autonoma di sinistra dentro il Pd.Non si può immaginare che il massimo della sinistra sia rappresentato da D’Alema quando veste i panni di presidente della Feps o da Bersani con l’evocazione della sua (che è anche mia)origine emiliana. Mi auguro che da questa prima iniziativa di oggi possa uscire un richiamo trasversale alle aree del Pd così come sono strutturate oggi e possa aprirsi un processo di modifica significativa degli equilibri interni. La recente vicenda Fiat ha già operato come un discrimine significativo,occorrerebbe tirare le fila di quello scontro.Ma non tocca a me,che sono solo un interessato esterno,dire quello che dovreste fare. Voglio invece ribadire come per una associazione quale il Network per il socialismo europeo sia di vitale interesse trovare anche dentro il Pd un’area con cui lavorare e magari condividere l’ambizioso progetto di un grande partito popolare e socialista per il prossimo futuro. Viviamo una stagione dominata dall’emergenza continua, dal pericolo Berlusconi per la democrazia italiana alle elezioni sempre imminenti. Bisogna riuscire a alzare gli occhi da questa testa di Medusa che non ci consente,non dico pensieri lunghi come invocava Berlinguer,ma neppure pensieri a medio termine. Davvero dobbiamo pensare di passare attraverso una nuova fase egemonizzata da una destra rispettabile à la Monti o à la Casini?E comunque,se ad alleanze anche riduttive delle nostre aspirazioni dovessimo per forza passare,non sarebbe meglio per tutti,anche per un fisiologico funzionamento della democrazia,che la sinistra ci andasse unita,con una sua immagine netta e mobilitante,forte di un suo campo visibile e organizzato,come avviene nella maggioranza dei paesi europei?
21/2/2011
Il Network per il socialismo europeo( https://www.facebook.com/notes/network-per-il-socialismo-europeo/dichiarazione-di-intenti-per-la-costituzione-di-una-rete-nazionale-di-circoli-e-/147665715287349 ) è una associazione in via di costruzione che abbiamo lanciato nel settembre dello scorso anno.Essa si propone di mettere in rete e provare a unificare su una comune piattaforma politico culturale la molteplicità di circoli,gruppi,riviste online e singoli compagni sparsi(molti, ma non tutti, provenienti dalla storia socialista),militanti nei partiti del centro sinistra o fuori dai partiti, uniti dalla comune insoddisfazione per l’assetto attuale della sinistra italiana. Insoddisfatti e convinti che solo una profonda riorganizzazione della sinistra attorno a un grande partito unitario, popolare e di massa collegato al socialismo europeo,può consentirle di porsi all’altezza della gravità e novità della crisi economica e sociale in atto,di cui il berlusconismo costituisce solo una specifica aggravante nazionale. Abbiamo tenuto il 19 febbraio scorso un importante convegno a Livorno insieme alla lega dei socialisti di quella città,una organizzazione di socialisti aderente a Sel,sul tema:”Dalla scissione di Livorno all’unione nel socialismo del 21° secolo”
( http://www.radioradicale.it/scheda/321490 ).Si è trattato di un confronto di notevole livello ,sia per l’analisi della crisi ,sia per la discussione sullo stato del Pd,del Psi e di Sel e della possibilità di promuovere quel “big bang” di cui Bertinotti ha parlato anche in quella sede.Tratto unificante è stata la convinzione ,espressa anche nel messaggio di Vendola,oltre che nella tesi da sempre sostenuta da Macaluso,che solo il socialismo europeo può costituire l’orizzonte in cui collocare una rinnovata sinistra italiana.
Per questo sono venuto con grande interesse oggi a questo vostro incontro. Il nostro discorso non ha possibilità di sviluppo se non trova anche un esplicito interlocutore interno al Pd,come lo ha trovato in Sel e nelle componenti critiche del Psi. Nel Pd di oggi il pensiero più strutturato non è quello di sinistra e di ispirazione socialista.E’ invece quello che potremmo definire social liberista rappresentato dall’area di Veltroni,che raccoglie il contributo di compagni di notevole valore,come i miei vecchi amici Salvati e Morando.E’ un pensiero ancora tutto interno alla influenza del blairismo degli anni novanta,alla idea del successo senza limiti della globalizzazione guidata dal capitalismo finanziario, cui si tratterebbe unicamente di accompagnare politiche di modernizzazione(quelle di cui Salvati ha recentemente lamentato la non attuazione in Italia per colpa di un bipolarismo immaturo e litigioso) e di prudente solidarietà sociale. Bersani ,con la sua maggioranza composita,esprime in confronto a quell’area una collocazione più di sinistra,ma si tratta di un riflesso debole,quasi residuale e inconfessato, di ciò che eravamo,piuttosto che della consapevolezza della necessità di mettere in discussione il patto paralizzante che sta alla base del Pd. Non basta il programmismo sovrabbondante cui si dedica la segreteria Bersani se non c’è un messaggio politico chiaro e netto ,rivolto ai soggetti sociali che questa crisi vivono sulla propria pelle,ai lavoratori che perdono il posto di lavoro,ai precari,alle partite IVA in via di impoverimento,agli studenti e ai ricercatori,alle donne di domenica 13 febbraio.Ma come può mandare questo messaggio un partito che si è diviso fra l’appoggio esplicito a Marchionne e quello timido e quasi silenzioso alla Fiom?C’è stato qualche tempo fa un lampo improvviso di una luce diversa rappresentato dal documento dei “giovani turchi”( http://santilli.ilcannocchiale.it/post/2535138.html ),ma come un lampo è subito scomparso senza lasciare una visibile traccia..Parafrasando Tacito si potrebbe dire”hanno fatto un deserto e l’hanno chiamato… Pd!”La rimozione della storia del Pci e con essa della tradizione socialista, che a modo suo nel Pci era profondamente incorporata,ha disarmato la sinistra proprio mentre la crisi economica internazionale ripropone domande di fondo sul capitalismo e sull’antagonismo che una sinistra degna di questo nome non può non rappresentare nei confronti delle sue logiche dominanti.Siamo ancora alla coda delle terze vie,mentre in Europa,fra i partiti socialisti si guarda alla crisi e alla ricerca di nuovi paradigmi politici e economici che essa richiede. D’altro lato è significativo che il Pd continui a arrovellarsi sui temi del risanamento del debito pubblico,senza collegarli al dibattito sugli squilibri europei,sulle politiche neomercantiliste della Germania,sui limiti delle politiche neoliberiste del patto di Maastricht,dell’agenda di Lisbona e su tutto l’impianto della politica monetaria della BCE. Si stanno discutendo in queste settimane in Europa scelte che potrebbero condizionare il nostro futuro in modo irrevocabile e portare allo stesso collasso della costruzione europea. Ma questi temi non entrano nel dibattito pubblico del nostro paese,anche per l’europeismo retorico cui continuiamo ad affidarci.
E’ dunque evidente che il Pd così com’è non rappresenta uno strumento adeguato a dare alla sinistra una prospettiva di vittoria,a dialogare con i movimenti che sembrano svilupparsi in un altro pianeta in confronto a quello in cui vive la politica italiana.Non rappresenta uno stumento adeguato a mobilitare la gran massa di elettori potenziali di sinistra che si sono allontanati verso l’astensione e il disimpegno o hanno cercato una via d’uscita nel giustizialismo gridato e senza respiro dell’Idv.Dobbiamo dare atto che Sel e l’iniziativa di Vendola hanno cominciato a muovere le acque a sinistra.C’è oggi un po’ più di fiducia. La”narrazione” di Vendola ,per quanto immaginifica,e più allusiva che sostanziale, ha dimostrato col suo successo il bisogno diffuso di ritrovare i luoghi ideali e sociali della sinistra. Non a caso Vendola ,anche forzando in confronto alla sua storia personale e al vissuto di tanti militanti di Sel,ha riconosciuto nel socialismo una bussola per il futuro. Certo,Sel da sola non può bastare.Il grosso delle forze di sinistra,la maggioranza dell’eredità elettorale del Pci sta ancora nel Pd. Sarebbe stupido ignorarlo o pensare di ricominciare una sorta di accumulazione primitiva partendo dal pur importante 8-9%. Vendola chiudendo il recente congresso di Sel è ricorso all’immagine del seme che deve morire per germogliare e riprodursi. Il tema delle primarie di coalizione,da cui non a caso il Pd si sta ritraendo,potrebbero o forse,bisogna dire,avrebbero potuto costituire il terreno su cui provare a realizzare una semina di vasta scala e verificare se fra le crepe dell’amalgama in decomposizione s’è formato abbastanza humus da produrre nuovi frutti. Nel momento in cui D’Alema definisce le primarie un’opa ostile sul pd sembra voler mettere un veto invalicabile,ma ammette anche tutta la debolezza dell’ impianto e la paura,nella difficoltà o meglio nella mancanza di idee con cui ristrutturarlo,che esso possa subire un tracollo repentino.Qui secondo me può giocare un ruolo importante una rinnovata area autonoma di sinistra dentro il Pd.Non si può immaginare che il massimo della sinistra sia rappresentato da D’Alema quando veste i panni di presidente della Feps o da Bersani con l’evocazione della sua (che è anche mia)origine emiliana. Mi auguro che da questa prima iniziativa di oggi possa uscire un richiamo trasversale alle aree del Pd così come sono strutturate oggi e possa aprirsi un processo di modifica significativa degli equilibri interni. La recente vicenda Fiat ha già operato come un discrimine significativo,occorrerebbe tirare le fila di quello scontro.Ma non tocca a me,che sono solo un interessato esterno,dire quello che dovreste fare. Voglio invece ribadire come per una associazione quale il Network per il socialismo europeo sia di vitale interesse trovare anche dentro il Pd un’area con cui lavorare e magari condividere l’ambizioso progetto di un grande partito popolare e socialista per il prossimo futuro. Viviamo una stagione dominata dall’emergenza continua, dal pericolo Berlusconi per la democrazia italiana alle elezioni sempre imminenti. Bisogna riuscire a alzare gli occhi da questa testa di Medusa che non ci consente,non dico pensieri lunghi come invocava Berlinguer,ma neppure pensieri a medio termine. Davvero dobbiamo pensare di passare attraverso una nuova fase egemonizzata da una destra rispettabile à la Monti o à la Casini?E comunque,se ad alleanze anche riduttive delle nostre aspirazioni dovessimo per forza passare,non sarebbe meglio per tutti,anche per un fisiologico funzionamento della democrazia,che la sinistra ci andasse unita,con una sua immagine netta e mobilitante,forte di un suo campo visibile e organizzato,come avviene nella maggioranza dei paesi europei?
21/2/2011
Tomaso Greco: A Milano la precarietà si può battere. Un'idea per Pisapia
A Milano la precarietà si può battere. Un’idea per Pisapia.
di Tomaso Greco
Se vi hanno detto che Milano è una città post-industriale, vi hanno informato male. Milano è una grande fabbrica a cielo aperto, forse la più grande d’Europa, solo non ne vediamo gli sbuffi, i fumi, le torri. Produce quotidianamente precarietà, da quasi dieci anni. Nel dedalo di stage non retribuiti o pagati a buon pasto, di contratti a progetto, collaborazioni, lavoro subordinato svolto nelle forme di lavoro autonomo, si è persa una generazione e forse più. Uno su mille ce la fa e, dopo la traversata tra i marosi del precariato, approda a un posto di lavoro stabile e con delle garanzie. Ma questo non cambia l’immagine di una metropoli dove, a fronte di un gran numero di opportunità, è sempre più difficile entrare in forma stabile nel mondo del lavoro. E non è solo un problema che riguarda le nuove generazioni: investe la città condannandola all’invecchiamento -sempre più giovani “scelgono” di vivere nell’hinterland per sottrarsi
al caro vita milanese- o a veder partire i migliori talenti. Un problema politico che investirà chi sederà a Palazzo Marino per i prossimi cinque anni. Giuliano Pisapia ha una carta importante da giocare per ridurre e, perché no, sconfiggere il precariato. Se infatti è prevedibile che il mercato del lavoro milanese sarà in espansione in vista di Expo 2015 e, in quanto tale, capace di attrarre risorse e persone dal resto d’Italia, con gli attuali meccanismi in entrata rischia di lasciare, a manifestazione passata, una voragine ancora più larga di quella attuale. Serve un sindaco capace di chiedere e ottenere una legge che dia vita, almeno fino al 2016, al contratto unico di inserimento con flessibilità decrescente. Del resto ne hanno parlato in molti, da Nerozzi a Ichino, ma hanno dovuto fare i conti con un mercato del lavoro messo in ginocchio dalla crisi. Funzionerebbe così: i preesistenti contratti di lavoro subordinato rimangono tali,
mentre le nuove assunzioni sono tutte regolate con un contratto di lavoro a tempo indeterminato che può essere risolto nei primi tre anni. A flessibilità decrescente perché se per i primi mesi può essere risolto senza oneri per il datore di lavoro, successivamente l’indennità da pagare al lavoratore aumenta in maniera proporzionale alla durata del contratto. Al termine dei tre anni scattano le tutele previste per tutti gli altri contratti subordinati. I vantaggi per il lavoratore sono quelli di uscire, da subito, dall’insicurezza. I vantaggi per l’azienda sono di poter investire in modo continuativo sulla formazione del lavoratore e, cosa non indifferente, essere esentata dal pagamento dei contributi per i primi sei mesi del contratto. Contributi che dovranno venire successivamente versati solo nel caso il rapporto si interrompa, per decisione del datore di lavoro, prima della fine del terzo anno. Il vantaggio per la città, e per il Paese,
sarebbe enorme. Se la Moratti vanta, a torto o a ragione, il Pgt come fiore all’occhiello della sua amministrazione, ridisegnare la fisionomia lavorativa del capoluogo lombardo, mettendo fine all’ostracismo per chi ha meno di 35 anni, potrebbe essere la vera grande riforma di cui Milano ha bisogno.
di Tomaso Greco
Se vi hanno detto che Milano è una città post-industriale, vi hanno informato male. Milano è una grande fabbrica a cielo aperto, forse la più grande d’Europa, solo non ne vediamo gli sbuffi, i fumi, le torri. Produce quotidianamente precarietà, da quasi dieci anni. Nel dedalo di stage non retribuiti o pagati a buon pasto, di contratti a progetto, collaborazioni, lavoro subordinato svolto nelle forme di lavoro autonomo, si è persa una generazione e forse più. Uno su mille ce la fa e, dopo la traversata tra i marosi del precariato, approda a un posto di lavoro stabile e con delle garanzie. Ma questo non cambia l’immagine di una metropoli dove, a fronte di un gran numero di opportunità, è sempre più difficile entrare in forma stabile nel mondo del lavoro. E non è solo un problema che riguarda le nuove generazioni: investe la città condannandola all’invecchiamento -sempre più giovani “scelgono” di vivere nell’hinterland per sottrarsi
al caro vita milanese- o a veder partire i migliori talenti. Un problema politico che investirà chi sederà a Palazzo Marino per i prossimi cinque anni. Giuliano Pisapia ha una carta importante da giocare per ridurre e, perché no, sconfiggere il precariato. Se infatti è prevedibile che il mercato del lavoro milanese sarà in espansione in vista di Expo 2015 e, in quanto tale, capace di attrarre risorse e persone dal resto d’Italia, con gli attuali meccanismi in entrata rischia di lasciare, a manifestazione passata, una voragine ancora più larga di quella attuale. Serve un sindaco capace di chiedere e ottenere una legge che dia vita, almeno fino al 2016, al contratto unico di inserimento con flessibilità decrescente. Del resto ne hanno parlato in molti, da Nerozzi a Ichino, ma hanno dovuto fare i conti con un mercato del lavoro messo in ginocchio dalla crisi. Funzionerebbe così: i preesistenti contratti di lavoro subordinato rimangono tali,
mentre le nuove assunzioni sono tutte regolate con un contratto di lavoro a tempo indeterminato che può essere risolto nei primi tre anni. A flessibilità decrescente perché se per i primi mesi può essere risolto senza oneri per il datore di lavoro, successivamente l’indennità da pagare al lavoratore aumenta in maniera proporzionale alla durata del contratto. Al termine dei tre anni scattano le tutele previste per tutti gli altri contratti subordinati. I vantaggi per il lavoratore sono quelli di uscire, da subito, dall’insicurezza. I vantaggi per l’azienda sono di poter investire in modo continuativo sulla formazione del lavoratore e, cosa non indifferente, essere esentata dal pagamento dei contributi per i primi sei mesi del contratto. Contributi che dovranno venire successivamente versati solo nel caso il rapporto si interrompa, per decisione del datore di lavoro, prima della fine del terzo anno. Il vantaggio per la città, e per il Paese,
sarebbe enorme. Se la Moratti vanta, a torto o a ragione, il Pgt come fiore all’occhiello della sua amministrazione, ridisegnare la fisionomia lavorativa del capoluogo lombardo, mettendo fine all’ostracismo per chi ha meno di 35 anni, potrebbe essere la vera grande riforma di cui Milano ha bisogno.
Pier Luigi Camagni: Una nuova sinistra. Se non ora, quando?
Il berlusconismo è alla fine. O meglio lo è Berlusconi, anche se non è detto che il Governo cadrà a breve - anzi, io sono convinto del contrario, acquisto dopo acquisto la maggioranza si va incrementando - o che la scelta della via giudiziaria per farlo cadere - profondamente sbagliata da un punto di vista politico, che non significa avvallare la pretesa di impunità di Berlusconi - possa avere qualche risultato.
Pure, in una situazione politica che parrebbe estremamente favorevole, la sinistra non riesce a rinascere e si avviluppa, da almeno un anno a questa parte, in una controversia “interna” che la allontana dal sentire della gente e dai suoi problemi.
Da una parte vi è il PD - che a mio avviso non ha assolutamente abbandonato il progetto veltroniano di un PD a vocazione, non solo maggioritaria, ma di partito unico della sinistra - che punta esclusivamente sul tema delle alleanze. Meglio, della santa alleanza, da Fini, Casini a Vendola e, magari, a Ferrero, pur di battere Berlusconi. Non chiarisce, però, cosa dovrebbe fare questa maggioranza, così eterogenea, dopo aver mandato a casa Berlusconi.
Quali saranno i temi dell’azione del Governo? Come si concilieranno le posizioni su laicità dello stato e diritti civili? E sul tema del lavoro? Priorità ai lavoratori – e non intendo solo la FIOM – o a Marchionne? Con i precari o chi li vuole precarizzare?
Dall’altra c’è Vendola - l’unica vera novità nel panorama della sinistra italiana, non vedendo io alcuna novità in rottamatori e similia – che però, altrettanto, commette un errore. E l’errore è di puntare tutto, per dar vita a questo processo di scomposizione e ricomposizione che costituisce il grande cantiere della nuova forza della sinistra, al tema della leadership.
Lo ha fatto, tempo fa – e, allora, giustamente per i tempi -, ponendo alla propria candidatura alle primarie per la premiership del centro-sinistra, ma lo ha fatto anche pochi giorni fa con la proposta, infausta – e non per la persona che, assolutamente, stimo, ma per mancanza di visione strategica -, della candidatura di Rosy Bindi.
Il tema della leadership, e della sua personale candidatura, poteva funzionare - anche per far emergere le contraddizioni interne al PD -, se si fosse andati a votare a breve, ma Vendola sa bene che non può reggere la candidatura per due anni, o anche un anno solo.
Soprattutto, occorre che la sinistra, come diceva bene Piero Sansonetti in un intervento dei giorni scorsi, si affranchi dal berlusconismo e «per uscire dal berlusconismo la sinistra -paradossalmente – ha un solo modo: cancellare la sua ossessione anti-Berlusconi e ricominciare a discutere, a progettare e anche a difendere i suoi valori veri, libertari, garantisti e egualitari».
Esattamente l’opposto di quanto fatto fino ad ora, stretta nella morsa della scelta tra alleanze o leadership e, comunque, con l’unico collante dell’antiberlusconismo.
Non più alleanze o leadership, quindi, ma la messa in campo di un progetto.
Del resto, già due anni fa, il professor Lazar, in un’intervista a l’Espresso, indicava, oltre a leadership e alleanze, altri due limiti importanti della sinistra che non riusciva a vincere: la sociologia dell’elettorato – l’incapacità, cioè, di tornare a parlare al proprio blocco sociale di riferimento: ceti popolari, giovani, ecc. – e, soprattutto, l’identità – cioè il progetto che si vuole costruire e a cui si chiamano gli elettori-.
Usava, allora, Lazar un vocabolo spesso usato anche da Nichi Vendola: narrazione; e diceva «che tipo di narrazione fa – la sinistra - se davanti ha una destra che gioca molto sulle emozioni e sui sentimenti? Narrare non significa far sognare, ma scegliere la mobilitazione che si vuole suscitare».
Scomposizione e ricomposizione, quindi, per progetto di “casa comune” ma anche e principalmente di proposta politica che sappia parlare agli operai di Mirafiori e Pomigliano – sia quelli che hanno votato no come quelli che hanno votato sì –, ai giovani precari, al popolo dell’acqua, piuttosto che ai movimenti, a chi non arriva a fine mese e anche ad artigiani, piccoli imprenditori, popolo delle partite IVA e, più in generale, quel ceto medio che si è visto gettato sempre più verso l’impoverimento dalla politica economica di una destra che ha portato l’Italia ad avere il più alto indice di diseguaglianza d’Europa.
Come sintetizzava bene Lazar: «Lavorare, lavorare, lavorare per costruire un'offerta politica credibile e alternativa».
In tutta Europa, dove la sinistra lo sta facendo, i risultati stanno arrivando.
Pier Luigi Camagni
Pure, in una situazione politica che parrebbe estremamente favorevole, la sinistra non riesce a rinascere e si avviluppa, da almeno un anno a questa parte, in una controversia “interna” che la allontana dal sentire della gente e dai suoi problemi.
Da una parte vi è il PD - che a mio avviso non ha assolutamente abbandonato il progetto veltroniano di un PD a vocazione, non solo maggioritaria, ma di partito unico della sinistra - che punta esclusivamente sul tema delle alleanze. Meglio, della santa alleanza, da Fini, Casini a Vendola e, magari, a Ferrero, pur di battere Berlusconi. Non chiarisce, però, cosa dovrebbe fare questa maggioranza, così eterogenea, dopo aver mandato a casa Berlusconi.
Quali saranno i temi dell’azione del Governo? Come si concilieranno le posizioni su laicità dello stato e diritti civili? E sul tema del lavoro? Priorità ai lavoratori – e non intendo solo la FIOM – o a Marchionne? Con i precari o chi li vuole precarizzare?
Dall’altra c’è Vendola - l’unica vera novità nel panorama della sinistra italiana, non vedendo io alcuna novità in rottamatori e similia – che però, altrettanto, commette un errore. E l’errore è di puntare tutto, per dar vita a questo processo di scomposizione e ricomposizione che costituisce il grande cantiere della nuova forza della sinistra, al tema della leadership.
Lo ha fatto, tempo fa – e, allora, giustamente per i tempi -, ponendo alla propria candidatura alle primarie per la premiership del centro-sinistra, ma lo ha fatto anche pochi giorni fa con la proposta, infausta – e non per la persona che, assolutamente, stimo, ma per mancanza di visione strategica -, della candidatura di Rosy Bindi.
Il tema della leadership, e della sua personale candidatura, poteva funzionare - anche per far emergere le contraddizioni interne al PD -, se si fosse andati a votare a breve, ma Vendola sa bene che non può reggere la candidatura per due anni, o anche un anno solo.
Soprattutto, occorre che la sinistra, come diceva bene Piero Sansonetti in un intervento dei giorni scorsi, si affranchi dal berlusconismo e «per uscire dal berlusconismo la sinistra -paradossalmente – ha un solo modo: cancellare la sua ossessione anti-Berlusconi e ricominciare a discutere, a progettare e anche a difendere i suoi valori veri, libertari, garantisti e egualitari».
Esattamente l’opposto di quanto fatto fino ad ora, stretta nella morsa della scelta tra alleanze o leadership e, comunque, con l’unico collante dell’antiberlusconismo.
Non più alleanze o leadership, quindi, ma la messa in campo di un progetto.
Del resto, già due anni fa, il professor Lazar, in un’intervista a l’Espresso, indicava, oltre a leadership e alleanze, altri due limiti importanti della sinistra che non riusciva a vincere: la sociologia dell’elettorato – l’incapacità, cioè, di tornare a parlare al proprio blocco sociale di riferimento: ceti popolari, giovani, ecc. – e, soprattutto, l’identità – cioè il progetto che si vuole costruire e a cui si chiamano gli elettori-.
Usava, allora, Lazar un vocabolo spesso usato anche da Nichi Vendola: narrazione; e diceva «che tipo di narrazione fa – la sinistra - se davanti ha una destra che gioca molto sulle emozioni e sui sentimenti? Narrare non significa far sognare, ma scegliere la mobilitazione che si vuole suscitare».
Scomposizione e ricomposizione, quindi, per progetto di “casa comune” ma anche e principalmente di proposta politica che sappia parlare agli operai di Mirafiori e Pomigliano – sia quelli che hanno votato no come quelli che hanno votato sì –, ai giovani precari, al popolo dell’acqua, piuttosto che ai movimenti, a chi non arriva a fine mese e anche ad artigiani, piccoli imprenditori, popolo delle partite IVA e, più in generale, quel ceto medio che si è visto gettato sempre più verso l’impoverimento dalla politica economica di una destra che ha portato l’Italia ad avere il più alto indice di diseguaglianza d’Europa.
Come sintetizzava bene Lazar: «Lavorare, lavorare, lavorare per costruire un'offerta politica credibile e alternativa».
In tutta Europa, dove la sinistra lo sta facendo, i risultati stanno arrivando.
Pier Luigi Camagni
PES: Una tassa europea sulle transazioni finanziarie
Traduzione a cura di Elena Chinaglia
Abbiamo bisogno del tuo aiuto, poiché il tiro alla fune per la tassa sulle transazioni finanziarie non è finito.
Il 2 febbraio l’ala destra del Parlamento Europeo (PE) ha mostrato il suo vero volto. Invece di sottoscrivere l’appello per la creazione di una nuova fonte di entrate, la cosiddetta tassa sulle transazioni finanziarie (TTF), ha preferito continuare a strangolare le economie europee imponendo tagli selvaggi ai loro bilanci. Essa si aspetta che siano i cittadini comuni a pagare il conto per le conseguenze della crisi finanziaria.
Abbiamo bisogno del tuo sostegno per far loro cambiare idea!
Con 21 voti a favore e 21 voti contro, la maggioranza della Commissione per gli Affari Economici e Monetari del PE, formata da conservatori e liberali, ha respinto l’appello per l’introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie. L’appello è stato ritirato dalla relazione d’iniziativa della deputata del Gruppo dell'Alleanza Progressista di Socialisti e Democratici (S&D) Anni Podimata.
Tuttavia la lotta continua: il gruppo S&D rilancerà la proposta relativa a una TTF europea nella sessione plenaria di Marzo.
Scrivendo una semplice e-mail, puoi fare la differenza: I conservatori e i liberali sono divisi sulla questione. Per tale motivo è fondamentale che i cittadini continuino a scrivere lettere a tutti i deputati conservatori e liberali prima che intervenga il voto decisivo in plenaria.
Se volete aiutarci a costituire una lobbying a favore della tassa TTF, leggete il briefing su come far pressione sui deputati di destra del PE.
Non dimentichiamo che un certo numero di coloro che questa settimana hanno votato contro, lo scorso anno si erano espressi a favore di una TTF europea. Siffatti cinici voltafaccia vanno denunciati pubblicamente.
Una tassa europea dello 0,05% su ciascuna transazione finanziaria darebbe un gettito di 200 miliardi di Euro. Senza pesare sui cittadini comuni, essa farebbe contribuire gli speculatori a ripianare gli effetti della loro crisi finanziaria.
SALVATE LA TASSA SULLE TRANSAZIONI FINANZIARIE! AGITE ORA O LASCERETE LA DESTRA CONDANNARE LA TASSA ROBIN-HOOD
Il PSE lancia un appello a tutti i cittadini perché scrivano ai loro deputati al Parlamento Europeo (PE) per mostrare il loro sostegno all'introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie (TTF): http://www.pes.org/en/blogs/pes-blog/save-ftt-act-now-or-let-conservatives-vote-down-robin-hood-tax.
Recentemente in Commissione Affari Economici e Monetari del P.E. un voto paritario, 21 a 21, ha permesso ai conservatori ed ai liberali di bloccare l'introduzione della tassa sulle transazioni finanziarie.
I conservatori ed i liberali sono in realtà divisi su questo tema. Per far loro cambiare parere prima della prossima sessione plenaria scrivete ai deputati del Partito Popolare Europeo (http://www.eppgroup.eu/members/it/ByCountryList.asp?MemberCountry=it) e dell'Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l'Europa (http://www.alde.eu/alde-group/alde-meps-list-member-european-parliament/) del vostro paese. Il voto di ogni deputato europeo è determinante per salvare la TTF ed ogni lettera può fare la differenza.
Lettera standard da inviare ai deputati
Onorevole
nel quadro della relazione dell'On. Anni PODIMATA « sui finanziamenti a livello mondiale ed europeo » sono stati depositati degli emendamenti contro l'introduzione della tassa sulle transazioni finanziarie.
Io invece sostengo l'introduzione di questa tassa poiché, come è largamente riconosciuto, limiterebbe l'aspetto strettamente speculativo e socialmente inutile delle transazioni finanziarie.
La crisi bancaria e finanziaria ha lasciato molti governi europei con un debito colossale gravante sul bilancio nazionale. In quanto contribuente sono già chiamato/a a contribuire al rimborso del debito e probabilmente lo saranno anche i miei figli e nipoti. Come me sicuramente molti altri contribuenti s'interrogano: " chi ci aiuterà a pagare questo debito ? ". I contribuenti resteranno soli od anche il mercato finanziario e gli speculatori saranno giustamente chiamati a contribuire per riparare i danni da loro stessi causati ? Non è accettabile che i profitti del settore economico siano a vantaggio di pochi allorché noi che siamo la maggioranza paghiamo per i loro errori. Il modo in cui i governi distribuiranno le resposabilità fra Wall Street et Maine Street sarà determinante per le prossime elezioni.
I cittadini sono stufi di vedere i loro dirigenti rifiutarsi di agire, perciò io Le chiedo di sostenere l'introduzione d'una tassa sulle transazioni finanziarie a livello europeo, senza attendere che il G20 prenda una decisione o che la Commissione Affari Economici e Monetari la respinga di nuovo.
In quanto Cittadino/a, Elettore e Contribuente, Le chiedo di appoggiare la TTF sia in commissione che in occasione del voto in plenaria.
Come la grande maggioranza del Suo elettorato seguirò da vicino i dibattiti in seno al Parlamento Europeo e le posizioni che saranno assunte dal Suo partito.
Gradisca, Onorevole, i miei più rispettosi saluti
Firma
Per maggiori informazioni visitate il sito degli Europei per la riforma finanziaria (http://europeansforfinancialreform.org/en) o contattate il PSE: pes.activists@pes.org.
Abbiamo bisogno del tuo aiuto, poiché il tiro alla fune per la tassa sulle transazioni finanziarie non è finito.
Il 2 febbraio l’ala destra del Parlamento Europeo (PE) ha mostrato il suo vero volto. Invece di sottoscrivere l’appello per la creazione di una nuova fonte di entrate, la cosiddetta tassa sulle transazioni finanziarie (TTF), ha preferito continuare a strangolare le economie europee imponendo tagli selvaggi ai loro bilanci. Essa si aspetta che siano i cittadini comuni a pagare il conto per le conseguenze della crisi finanziaria.
Abbiamo bisogno del tuo sostegno per far loro cambiare idea!
Con 21 voti a favore e 21 voti contro, la maggioranza della Commissione per gli Affari Economici e Monetari del PE, formata da conservatori e liberali, ha respinto l’appello per l’introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie. L’appello è stato ritirato dalla relazione d’iniziativa della deputata del Gruppo dell'Alleanza Progressista di Socialisti e Democratici (S&D) Anni Podimata.
Tuttavia la lotta continua: il gruppo S&D rilancerà la proposta relativa a una TTF europea nella sessione plenaria di Marzo.
Scrivendo una semplice e-mail, puoi fare la differenza: I conservatori e i liberali sono divisi sulla questione. Per tale motivo è fondamentale che i cittadini continuino a scrivere lettere a tutti i deputati conservatori e liberali prima che intervenga il voto decisivo in plenaria.
Se volete aiutarci a costituire una lobbying a favore della tassa TTF, leggete il briefing su come far pressione sui deputati di destra del PE.
Non dimentichiamo che un certo numero di coloro che questa settimana hanno votato contro, lo scorso anno si erano espressi a favore di una TTF europea. Siffatti cinici voltafaccia vanno denunciati pubblicamente.
Una tassa europea dello 0,05% su ciascuna transazione finanziaria darebbe un gettito di 200 miliardi di Euro. Senza pesare sui cittadini comuni, essa farebbe contribuire gli speculatori a ripianare gli effetti della loro crisi finanziaria.
SALVATE LA TASSA SULLE TRANSAZIONI FINANZIARIE! AGITE ORA O LASCERETE LA DESTRA CONDANNARE LA TASSA ROBIN-HOOD
Il PSE lancia un appello a tutti i cittadini perché scrivano ai loro deputati al Parlamento Europeo (PE) per mostrare il loro sostegno all'introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie (TTF): http://www.pes.org/en/blogs/pes-blog/save-ftt-act-now-or-let-conservatives-vote-down-robin-hood-tax.
Recentemente in Commissione Affari Economici e Monetari del P.E. un voto paritario, 21 a 21, ha permesso ai conservatori ed ai liberali di bloccare l'introduzione della tassa sulle transazioni finanziarie.
I conservatori ed i liberali sono in realtà divisi su questo tema. Per far loro cambiare parere prima della prossima sessione plenaria scrivete ai deputati del Partito Popolare Europeo (http://www.eppgroup.eu/members/it/ByCountryList.asp?MemberCountry=it) e dell'Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l'Europa (http://www.alde.eu/alde-group/alde-meps-list-member-european-parliament/) del vostro paese. Il voto di ogni deputato europeo è determinante per salvare la TTF ed ogni lettera può fare la differenza.
Lettera standard da inviare ai deputati
Onorevole
nel quadro della relazione dell'On. Anni PODIMATA « sui finanziamenti a livello mondiale ed europeo » sono stati depositati degli emendamenti contro l'introduzione della tassa sulle transazioni finanziarie.
Io invece sostengo l'introduzione di questa tassa poiché, come è largamente riconosciuto, limiterebbe l'aspetto strettamente speculativo e socialmente inutile delle transazioni finanziarie.
La crisi bancaria e finanziaria ha lasciato molti governi europei con un debito colossale gravante sul bilancio nazionale. In quanto contribuente sono già chiamato/a a contribuire al rimborso del debito e probabilmente lo saranno anche i miei figli e nipoti. Come me sicuramente molti altri contribuenti s'interrogano: " chi ci aiuterà a pagare questo debito ? ". I contribuenti resteranno soli od anche il mercato finanziario e gli speculatori saranno giustamente chiamati a contribuire per riparare i danni da loro stessi causati ? Non è accettabile che i profitti del settore economico siano a vantaggio di pochi allorché noi che siamo la maggioranza paghiamo per i loro errori. Il modo in cui i governi distribuiranno le resposabilità fra Wall Street et Maine Street sarà determinante per le prossime elezioni.
I cittadini sono stufi di vedere i loro dirigenti rifiutarsi di agire, perciò io Le chiedo di sostenere l'introduzione d'una tassa sulle transazioni finanziarie a livello europeo, senza attendere che il G20 prenda una decisione o che la Commissione Affari Economici e Monetari la respinga di nuovo.
In quanto Cittadino/a, Elettore e Contribuente, Le chiedo di appoggiare la TTF sia in commissione che in occasione del voto in plenaria.
Come la grande maggioranza del Suo elettorato seguirò da vicino i dibattiti in seno al Parlamento Europeo e le posizioni che saranno assunte dal Suo partito.
Gradisca, Onorevole, i miei più rispettosi saluti
Firma
Per maggiori informazioni visitate il sito degli Europei per la riforma finanziaria (http://europeansforfinancialreform.org/en) o contattate il PSE: pes.activists@pes.org.
martedì 22 febbraio 2011
Franco Bartolomei: Bertinotti, PSI e socialismo
Bertinotti, PSI e socialismo
Scritto da Franco Bartolomei
Lunedì 21 Febbraio 2011
Esistono, purtroppo, un insieme di ragioni politiche che stanno alla base di quelle carenze della iniziativa politica del Partito Socialista che di fatto consentono a Bertinotti di portare a compimento un percorso autocritico di riavvicinamento alla socialdemocrazia, sul riconoscimento di una fine dell'esperienza storica e politica del comunismo maturata nel momento in cui la crisi del capitalismo nel mondo sviluppato avrebbe dovuto, o potuto, al contrario rivalutarne le ragioni sociali, senza alcuna considerazione delle ragioni del socialismo italiano.
La mancata elaborazione dei motivi sostanziali della sconfitta del craxismo, e la incomprensione delle ragioni strutturali di crisi del modello neo-liberista, che nel nostro paese era stato introdotto utilizzando l'involucro istituzionale della Seconda Repubblica, hanno infatti costituito le vere ragioni di una debolezza politica e culturale che ha afflitto i gruppi dirigenti socialisti che si sono succeduti nello SDI e nell'attuale PSI in questo quindicennio, e che rischiano di marginalizzare definitivamente il ruolo del PSI proprio nel momento in cui il socialismo democratico diviene l'unico possibile approdo di tutta la sinistra.
La stessa dispersione della grande occasione costituita dall'originario progetto di Sinistra e Libertà altro non è che la ulteriore dimostrazione di fragilità di un gruppo dirigente che si ostina, purtroppo, a proseguire la propria azione attraverso lo stesso schema interpretativo dei rapporti a sinistra usato negli anni '80, ormai assolutamente superato dalla crisi di quel modello sociale e di rapporti economici la cui affermazione nella società costituì la vera ragione strutturale dei successi dell'impostazione politica craxiana, oggi assolutamente non più riproducibili.
Il crollo del modello sociale neo-liberista, dopo un trentennio di egemonia sociale, politica e culturale, ha segnato di fatto la sconfitta storica di tutte quelle esperienze del socialismo democratico che avevano erroneamente ritenuto che la questione sociale nell'occidente sviluppato fosse stata ormai risolta da uno sviluppo repentino, ineluttabilmente destinato a superare definitivamente le antiche contraddizioni del sistema capitalista, per cui il compito dei socialisti dovesse essere ridotto ad assecondare al meglio le capacità espansive insite nel mercato, nella logica d'impresa, e da ultimo nella stessa finanziarizzazione dell'economia.
Questa considerazione portava con sé l'idea forza che il socialismo democratico dovesse ineluttabilmente tornare ad interpretare politicamente una visione strutturale della critica sociale e della sua azione riformatrice.
Sulla base di questa riflessione di partenza sarebbe stato necessario aprire all'interno dell'universo politico socialista un processo critico dell'esperienza craxiana, rileggendo la crisi di sistema che stiamo attraversando alla luce delle idee, delle analisi, e della elaborazione culturale dell'altro grande filone di pensiero ed azione politica del socialismo Italiano moderno, quello lombardiano, spazzato via dalla memoria ufficiale del PSI prima del 93, e mai seriamente recuperato dai nuovi gruppi dirigenti (Boselli e Nencini) che lo hanno diretto nella esperienza politica della Seconda Repubblica.
Purtroppo questi nostri limiti indeboliscono la stessa rilevanza della novità della scelta compiuta da Bertinotti, che rischia seriamente di cadere nella tentazioni di supplire , un po' goffamente, ad un ruolo non suo, attraverso l'occupazione di uno spazio che il PSI si ostina a non voler ricoprire con determinazione e coerenza.
Franco Bartolomei
segreteria nazionale PSI
Scritto da Franco Bartolomei
Lunedì 21 Febbraio 2011
Esistono, purtroppo, un insieme di ragioni politiche che stanno alla base di quelle carenze della iniziativa politica del Partito Socialista che di fatto consentono a Bertinotti di portare a compimento un percorso autocritico di riavvicinamento alla socialdemocrazia, sul riconoscimento di una fine dell'esperienza storica e politica del comunismo maturata nel momento in cui la crisi del capitalismo nel mondo sviluppato avrebbe dovuto, o potuto, al contrario rivalutarne le ragioni sociali, senza alcuna considerazione delle ragioni del socialismo italiano.
La mancata elaborazione dei motivi sostanziali della sconfitta del craxismo, e la incomprensione delle ragioni strutturali di crisi del modello neo-liberista, che nel nostro paese era stato introdotto utilizzando l'involucro istituzionale della Seconda Repubblica, hanno infatti costituito le vere ragioni di una debolezza politica e culturale che ha afflitto i gruppi dirigenti socialisti che si sono succeduti nello SDI e nell'attuale PSI in questo quindicennio, e che rischiano di marginalizzare definitivamente il ruolo del PSI proprio nel momento in cui il socialismo democratico diviene l'unico possibile approdo di tutta la sinistra.
La stessa dispersione della grande occasione costituita dall'originario progetto di Sinistra e Libertà altro non è che la ulteriore dimostrazione di fragilità di un gruppo dirigente che si ostina, purtroppo, a proseguire la propria azione attraverso lo stesso schema interpretativo dei rapporti a sinistra usato negli anni '80, ormai assolutamente superato dalla crisi di quel modello sociale e di rapporti economici la cui affermazione nella società costituì la vera ragione strutturale dei successi dell'impostazione politica craxiana, oggi assolutamente non più riproducibili.
Il crollo del modello sociale neo-liberista, dopo un trentennio di egemonia sociale, politica e culturale, ha segnato di fatto la sconfitta storica di tutte quelle esperienze del socialismo democratico che avevano erroneamente ritenuto che la questione sociale nell'occidente sviluppato fosse stata ormai risolta da uno sviluppo repentino, ineluttabilmente destinato a superare definitivamente le antiche contraddizioni del sistema capitalista, per cui il compito dei socialisti dovesse essere ridotto ad assecondare al meglio le capacità espansive insite nel mercato, nella logica d'impresa, e da ultimo nella stessa finanziarizzazione dell'economia.
Questa considerazione portava con sé l'idea forza che il socialismo democratico dovesse ineluttabilmente tornare ad interpretare politicamente una visione strutturale della critica sociale e della sua azione riformatrice.
Sulla base di questa riflessione di partenza sarebbe stato necessario aprire all'interno dell'universo politico socialista un processo critico dell'esperienza craxiana, rileggendo la crisi di sistema che stiamo attraversando alla luce delle idee, delle analisi, e della elaborazione culturale dell'altro grande filone di pensiero ed azione politica del socialismo Italiano moderno, quello lombardiano, spazzato via dalla memoria ufficiale del PSI prima del 93, e mai seriamente recuperato dai nuovi gruppi dirigenti (Boselli e Nencini) che lo hanno diretto nella esperienza politica della Seconda Repubblica.
Purtroppo questi nostri limiti indeboliscono la stessa rilevanza della novità della scelta compiuta da Bertinotti, che rischia seriamente di cadere nella tentazioni di supplire , un po' goffamente, ad un ruolo non suo, attraverso l'occupazione di uno spazio che il PSI si ostina a non voler ricoprire con determinazione e coerenza.
Franco Bartolomei
segreteria nazionale PSI
Peppe Giudice: Anticapitalismo e socialismo
Anticapitalismo e socialismo.
.pubblicata da Giuseppe Giudice il giorno martedì 22 febbraio 2011
“Il socialismo è per definizione anticapitalista”. Questa frase non l’ha pronunciata Pietro Nenni o Lelio Basso ma Bettino Craxi in una intervista televisiva per commentare il risultato del Congresso Socialista del 1978 a Torino.
Qualcuno potrà meravigliarsi anche perché magari conosce solo la storia del PSI degli anni 80. Ma negli anni 70 era perfettamente naturale per un iscritto al PSI ed al PCI definirsi anticapitalista senza che questa affermazione venisse demonizzata.
Scrivo queste note stimolato dal compagno Geppino Vetrano il quale giustamente mi disse: “se noi parliamo di superamento del capitalismo, dobbiamo però indicare in positivo il percorso che noi indichiamo per conseguire questo superamento”. Perfettamente logico e serio.
Infatti l’anticapitalismo, senza una teoria positiva del socialismo che indichi attraverso quali percorsi, quali mediazioni politiche ed istituzionali si costruisce un progetto alternativo di società, è una pura declamazione astratta ed identitaria politicamente inoffensiva. Ricordate quando quelli di Rifondazione ripetevano meccanicamente e come slogan la famosa frase di Marx tratta dall’Ideologia Tedesca (e separata dal contesto sia testuale che storico) “il comunismo non è un ideale, un astratto dover essere ma il movimento reale che abolisce l’esistente”. Detta così non significa un cazzo. E Marx che notoriamente era molto irascibile avrebbe preso a calci in culo quei militanti di Rifondazione.
Lo stesso vale per la sinistra no-tav, no-pit stop, no-cock. Per essere più specifici io posso fare una seria battaglia per impedire che si perfori una montagna ricca di amianto (sappiamo i danni che questo arreca), ma altra cosa è fare una battaglia di principio contro l’Alta Velocità. No questa è una cazzata bella e buona che non definisce una sinistra ma solo una inconsapevole posizione reazionaria.
E torniamo al tema base,
Il grande filosofo tedesco Jurgen Habermas, subito dopo la caduta del Muro di Berlino, disse che il socialismo non sarebbe sparito se non fosse contemporaneamente scomparso l’oggetto della sua critica: il capitalismo.
Quindi per definire il nostro anticapitalismo dobbiamo innanzi tutto definire cos’è il capitalismo (opera non facile) e prendere atto delle dure ed inconfutabili lezioni della storia.
Il capitalismo lo possiamo definire come la più avanzata formazione sociale che si fonda sulla divisione ed il dominio di classe.
Marx definisce i vari periodi storici dell’umanità sulla base delle formazioni sociali fondate sui vari modi di produzione. Dopo la dissoluzione delle comunità primitive si sono succeduti il modo di produzione schiavistico, quello asiatico, il feudale ed il capitalistico.
La caratteristica innovativa del capitalismo rispetto ai modi di produzione precedenti è la generalizzazione della forma mercantile di produzione e di scambio (la terra, i mezzi di produzione ed il lavoro diventano tutte merci scambiabili sul mercato) e la separazione tra produttore e mezzi produzione. Quindi generalizzazione della forma mercato ma non invenzione del mercato che preesiste e di molto all’avvento del capitalismo. Del resto lo stesso Marx nel Capitale compie una netta distinzione tra produzione mercantile semplice (quella artigianale pre-industriale) e quella capitalistica.
Quindi capitalismo ed economia di mercato non sono sinonimi come si è voluto far credere dopo l’89. Diciamo che il capitalismo è una forma specifica di economia di mercato.
L’altra caratteristica peculiare del capitalismo che è stata individuata soprattutto dai neo-marxisti libertari del gruppo francese “Socialisme ou Barbarie” (che hanno molto ampliato ed allargato il campo di indagine di Marx) è che il capitalismo è la prima formazione sociale che pone il mercato e l’istanza economicista al centro della società. Castoriadis (che fu il capo di questo gruppo di matrice luxemburghiana) partendo dalla analisi del Marx dei Grundrisse sulla non neutralità della tecnologia nella organizzazione del lavoro (questo né Lenin né Kautsky lo compresero) la estende a tutta la società. Il capitalismo ha delle caratteristiche funzionaliste: deve rendere tutta la società coerente con il suo progetto di razionalità economica. Da questo punto di vista ha bisogno di un tipo antropologico confacente. Secondo Castoriadis Marx trascura un elemento centrale essenziale nella costruzione di una formazione sociale ed economica; quello dell’immaginario sociale che Marx riduce a fatto sovrastrutturale mentre esso è connaturato strettamente al modo di produzione. Il capitalismo non potrebbe sopravvivere senza la “giustificazione” della sua esistenza e del fatto che esso esprima una razionalità superiore fondata sul postulato della produzione per la produzione e lo sviluppo illimitato delle forze produttive. Castoriadis dice che la razionalità economica capitalistica è in realtà irrazionale proprio perché parziale ed unilaterale. In quanto espelle dal proprio orizzonte e tende anzi a colonizzare la razionalità autonoma del vivere sociale.
Il socialismo di fatto nasce proprio per combattere la razionalità unilaterale del capitalismo e rivendicare l’autodeterminazione democratica della società liberata da forme organiche di dominio di classe. Da questo punto di vista la lotta di classe non è un riflesso della dialettica tra forze produttive e rapporti di produzione ma ha un suo carattere politico di auto emancipazione della classe lavoratrice dall’essere un puro e semplice strumento della produzione.
Per tale ragione il socialismo è anticapitalista per definizione. Perché esso è un processo che auspica un ordine sociale liberato dalla centralità dell’economia e del profitto .
Ed è chiaramente una lotta di lungo-lunghissimo periodo che segue tutto il percorso della evoluzione stessa del capitalismo.
Del resto se non avessero operato forze anticapitalistiche nella società il capitalismo stesso si sarebbe autodistrutto, perché il mercato capitalistico lasciato alla propria logica pura sviluppa tendenze autodistruttive (proprio per la sua razionalità unilaterale).
Quindi quando si parla di superamento del capitalismo si intende un processo di portata storica che non può essere risolto certo con decreto.
La crisi attuale del capitalismo degli ultimi 25 anni non è probabilmente la crisi finale del sistema. Ma è una crisi estremamente seria. Con il capitalismo si possono fare compromessi (in Europa nel dopoguerra si è prodotto il modello sociale più avanzato) ma esso li rovescia non appena si modificano i rapporti di forza. I compromessi sono sempre dinamici e conflittuali: questo bisogna saperlo.
E soprattutto la deve ricordare una sinistra come quella italiana che è stata forse la più colpita dal profondo cambio di immaginario imposto dall’egemonia del capitalismo liberista. Per cui il capitalismo diveniva la fine della storia, un orizzonte invalicabile, lo stadio supremo della civiltà umana. La sinistra priva di una capacità di trascendere anche idealmente tale orizzonte ha accolto o con rassegnazione o con entusiasmo addirittura la modernizzazione capitalistico-liberista senza accorgersi delle gravissime contraddizioni (risultate poi fatali per lo stesso sistema) che esso produceva.
E soprattutto ha abbandonato la cosa più importante che Marx ci ha lasciato: il suo metodo (la sua filosofia della storia si è molto ingiallita). La capacita di confrontare idee e progetti con la dinamica reale dei processi sociali ed economici.
Per cui sono venute fuori le assurde marmellate liberal-socialiste alla Martelli (o alla Covatta di oggi) che vogliono realizzare con il bilancino l’optimum tra liberalismo e socialismo, categorie astoriche e confinate nell’iperuranio: tutte grosse cazzate.
Poi è venuto anche di peggio con Veltroni.
Ma noi dobbiamo indicare a grandi linee comunque le strade che caratterizzano la nostra critica al capitalismo ed il nostro progetto in positivo di alternativa sociale.
Dicevo che la crisi attuale è forse la più grave (non l’ultima). Il capitalismo (il socialismo reale è stato una sua cattiva imitazione) si fonda sullo sviluppo illimitato delle forze produttive e sulla produzione per la produzione e quindi svincolata dai bisogni reali della società. Il che presuppone che le risorse fisiche siano inesauribili. Ma così non è per l’evidenza che il mondo fisico è limitato.
In secondo luogo: la crescita economica fino agli anni 70 si traduceva in una crescita corrispondente di benessere sociale. Negli ultimi venticinque anni invece le diseguaglianze sono salite in modo esponenziale, il divario tra un consumo privato insensato ed ipertrofico e la povertà dei beni pubblici e collettivi è divenuto drammatico. Ci sono limiti sociali ed ecologici allo sviluppo capitalistico evidenti.
Quando Rosa Luxemburg parlava di “socialismo o barbarie” si riferiva al dato che dalla crisi del capitalismo si poteva uscire o con un ordine sociale più giusto, razionale ed avanzato, il socialismo, o con un regressione ed imbarbarimento dei rapporti sociali.
Questo rischio oggi è reale.
Quindi il socialismo del XXI secolo non potrà non trascendere l’orizzonte del capitalismo sia pur nel lungo periodo.
Ma questo che significa. Aboliamo il mercato o la proprietà privata in tutte le sue forme? Non è certo questo l’obbiettivo.
Il diritto di proprietà già oggi è sottoposto a trasformazioni e la rivoluzione informatica ne produrrà altre (pensiamo ad esempio allo scambio gratuito dei file tramite il “peer to peer”). Il mercato non va affatto abolito: non va più considerato il centro della società ma uno strumento al servizio di essa.
IL socialismo che noi vogliamo è tendenzialmente autogestionario. Pur riconoscendo la importanza dell’intervento pubblico diretto (soprattutto dopo la sbornia delle privatizzazioni “prodiane”) nel settore dei beni collettivi e dei settori strategici (proprietà collettiva con forme autonome di gestione aperte al controllo dei lavoratori e degli utenti) e l’esistenza di un settore privato (ma con forme di codeterminazione innovative), è nel campo della economia autogestita e cooperativa che dovrà svilupparsi il nuovo socialismo. La rivoluzione informatica permette oggi di ampliare molto lo spazio sociale-autogestito non riconducibile né allo stato né al mercato capitalistico. Fino a configurare lo sviluppo di un “terzo sistema” parallelo a stato e mercato (Giorgio Ruffolo).
Per evitare i rischi della degenerazione burocratica del socialismo è questa la strada maestra.
Le nostre società hanno bisogno di ricostruire una solidarietà concreta e vissuta. Questa economia sociale può essere il tessuto connettivo, come dice il compagno Geppino Vetrano, in cui può inverarsi questa solidarietà.
PEPPE GIUDICE
.
.pubblicata da Giuseppe Giudice il giorno martedì 22 febbraio 2011
“Il socialismo è per definizione anticapitalista”. Questa frase non l’ha pronunciata Pietro Nenni o Lelio Basso ma Bettino Craxi in una intervista televisiva per commentare il risultato del Congresso Socialista del 1978 a Torino.
Qualcuno potrà meravigliarsi anche perché magari conosce solo la storia del PSI degli anni 80. Ma negli anni 70 era perfettamente naturale per un iscritto al PSI ed al PCI definirsi anticapitalista senza che questa affermazione venisse demonizzata.
Scrivo queste note stimolato dal compagno Geppino Vetrano il quale giustamente mi disse: “se noi parliamo di superamento del capitalismo, dobbiamo però indicare in positivo il percorso che noi indichiamo per conseguire questo superamento”. Perfettamente logico e serio.
Infatti l’anticapitalismo, senza una teoria positiva del socialismo che indichi attraverso quali percorsi, quali mediazioni politiche ed istituzionali si costruisce un progetto alternativo di società, è una pura declamazione astratta ed identitaria politicamente inoffensiva. Ricordate quando quelli di Rifondazione ripetevano meccanicamente e come slogan la famosa frase di Marx tratta dall’Ideologia Tedesca (e separata dal contesto sia testuale che storico) “il comunismo non è un ideale, un astratto dover essere ma il movimento reale che abolisce l’esistente”. Detta così non significa un cazzo. E Marx che notoriamente era molto irascibile avrebbe preso a calci in culo quei militanti di Rifondazione.
Lo stesso vale per la sinistra no-tav, no-pit stop, no-cock. Per essere più specifici io posso fare una seria battaglia per impedire che si perfori una montagna ricca di amianto (sappiamo i danni che questo arreca), ma altra cosa è fare una battaglia di principio contro l’Alta Velocità. No questa è una cazzata bella e buona che non definisce una sinistra ma solo una inconsapevole posizione reazionaria.
E torniamo al tema base,
Il grande filosofo tedesco Jurgen Habermas, subito dopo la caduta del Muro di Berlino, disse che il socialismo non sarebbe sparito se non fosse contemporaneamente scomparso l’oggetto della sua critica: il capitalismo.
Quindi per definire il nostro anticapitalismo dobbiamo innanzi tutto definire cos’è il capitalismo (opera non facile) e prendere atto delle dure ed inconfutabili lezioni della storia.
Il capitalismo lo possiamo definire come la più avanzata formazione sociale che si fonda sulla divisione ed il dominio di classe.
Marx definisce i vari periodi storici dell’umanità sulla base delle formazioni sociali fondate sui vari modi di produzione. Dopo la dissoluzione delle comunità primitive si sono succeduti il modo di produzione schiavistico, quello asiatico, il feudale ed il capitalistico.
La caratteristica innovativa del capitalismo rispetto ai modi di produzione precedenti è la generalizzazione della forma mercantile di produzione e di scambio (la terra, i mezzi di produzione ed il lavoro diventano tutte merci scambiabili sul mercato) e la separazione tra produttore e mezzi produzione. Quindi generalizzazione della forma mercato ma non invenzione del mercato che preesiste e di molto all’avvento del capitalismo. Del resto lo stesso Marx nel Capitale compie una netta distinzione tra produzione mercantile semplice (quella artigianale pre-industriale) e quella capitalistica.
Quindi capitalismo ed economia di mercato non sono sinonimi come si è voluto far credere dopo l’89. Diciamo che il capitalismo è una forma specifica di economia di mercato.
L’altra caratteristica peculiare del capitalismo che è stata individuata soprattutto dai neo-marxisti libertari del gruppo francese “Socialisme ou Barbarie” (che hanno molto ampliato ed allargato il campo di indagine di Marx) è che il capitalismo è la prima formazione sociale che pone il mercato e l’istanza economicista al centro della società. Castoriadis (che fu il capo di questo gruppo di matrice luxemburghiana) partendo dalla analisi del Marx dei Grundrisse sulla non neutralità della tecnologia nella organizzazione del lavoro (questo né Lenin né Kautsky lo compresero) la estende a tutta la società. Il capitalismo ha delle caratteristiche funzionaliste: deve rendere tutta la società coerente con il suo progetto di razionalità economica. Da questo punto di vista ha bisogno di un tipo antropologico confacente. Secondo Castoriadis Marx trascura un elemento centrale essenziale nella costruzione di una formazione sociale ed economica; quello dell’immaginario sociale che Marx riduce a fatto sovrastrutturale mentre esso è connaturato strettamente al modo di produzione. Il capitalismo non potrebbe sopravvivere senza la “giustificazione” della sua esistenza e del fatto che esso esprima una razionalità superiore fondata sul postulato della produzione per la produzione e lo sviluppo illimitato delle forze produttive. Castoriadis dice che la razionalità economica capitalistica è in realtà irrazionale proprio perché parziale ed unilaterale. In quanto espelle dal proprio orizzonte e tende anzi a colonizzare la razionalità autonoma del vivere sociale.
Il socialismo di fatto nasce proprio per combattere la razionalità unilaterale del capitalismo e rivendicare l’autodeterminazione democratica della società liberata da forme organiche di dominio di classe. Da questo punto di vista la lotta di classe non è un riflesso della dialettica tra forze produttive e rapporti di produzione ma ha un suo carattere politico di auto emancipazione della classe lavoratrice dall’essere un puro e semplice strumento della produzione.
Per tale ragione il socialismo è anticapitalista per definizione. Perché esso è un processo che auspica un ordine sociale liberato dalla centralità dell’economia e del profitto .
Ed è chiaramente una lotta di lungo-lunghissimo periodo che segue tutto il percorso della evoluzione stessa del capitalismo.
Del resto se non avessero operato forze anticapitalistiche nella società il capitalismo stesso si sarebbe autodistrutto, perché il mercato capitalistico lasciato alla propria logica pura sviluppa tendenze autodistruttive (proprio per la sua razionalità unilaterale).
Quindi quando si parla di superamento del capitalismo si intende un processo di portata storica che non può essere risolto certo con decreto.
La crisi attuale del capitalismo degli ultimi 25 anni non è probabilmente la crisi finale del sistema. Ma è una crisi estremamente seria. Con il capitalismo si possono fare compromessi (in Europa nel dopoguerra si è prodotto il modello sociale più avanzato) ma esso li rovescia non appena si modificano i rapporti di forza. I compromessi sono sempre dinamici e conflittuali: questo bisogna saperlo.
E soprattutto la deve ricordare una sinistra come quella italiana che è stata forse la più colpita dal profondo cambio di immaginario imposto dall’egemonia del capitalismo liberista. Per cui il capitalismo diveniva la fine della storia, un orizzonte invalicabile, lo stadio supremo della civiltà umana. La sinistra priva di una capacità di trascendere anche idealmente tale orizzonte ha accolto o con rassegnazione o con entusiasmo addirittura la modernizzazione capitalistico-liberista senza accorgersi delle gravissime contraddizioni (risultate poi fatali per lo stesso sistema) che esso produceva.
E soprattutto ha abbandonato la cosa più importante che Marx ci ha lasciato: il suo metodo (la sua filosofia della storia si è molto ingiallita). La capacita di confrontare idee e progetti con la dinamica reale dei processi sociali ed economici.
Per cui sono venute fuori le assurde marmellate liberal-socialiste alla Martelli (o alla Covatta di oggi) che vogliono realizzare con il bilancino l’optimum tra liberalismo e socialismo, categorie astoriche e confinate nell’iperuranio: tutte grosse cazzate.
Poi è venuto anche di peggio con Veltroni.
Ma noi dobbiamo indicare a grandi linee comunque le strade che caratterizzano la nostra critica al capitalismo ed il nostro progetto in positivo di alternativa sociale.
Dicevo che la crisi attuale è forse la più grave (non l’ultima). Il capitalismo (il socialismo reale è stato una sua cattiva imitazione) si fonda sullo sviluppo illimitato delle forze produttive e sulla produzione per la produzione e quindi svincolata dai bisogni reali della società. Il che presuppone che le risorse fisiche siano inesauribili. Ma così non è per l’evidenza che il mondo fisico è limitato.
In secondo luogo: la crescita economica fino agli anni 70 si traduceva in una crescita corrispondente di benessere sociale. Negli ultimi venticinque anni invece le diseguaglianze sono salite in modo esponenziale, il divario tra un consumo privato insensato ed ipertrofico e la povertà dei beni pubblici e collettivi è divenuto drammatico. Ci sono limiti sociali ed ecologici allo sviluppo capitalistico evidenti.
Quando Rosa Luxemburg parlava di “socialismo o barbarie” si riferiva al dato che dalla crisi del capitalismo si poteva uscire o con un ordine sociale più giusto, razionale ed avanzato, il socialismo, o con un regressione ed imbarbarimento dei rapporti sociali.
Questo rischio oggi è reale.
Quindi il socialismo del XXI secolo non potrà non trascendere l’orizzonte del capitalismo sia pur nel lungo periodo.
Ma questo che significa. Aboliamo il mercato o la proprietà privata in tutte le sue forme? Non è certo questo l’obbiettivo.
Il diritto di proprietà già oggi è sottoposto a trasformazioni e la rivoluzione informatica ne produrrà altre (pensiamo ad esempio allo scambio gratuito dei file tramite il “peer to peer”). Il mercato non va affatto abolito: non va più considerato il centro della società ma uno strumento al servizio di essa.
IL socialismo che noi vogliamo è tendenzialmente autogestionario. Pur riconoscendo la importanza dell’intervento pubblico diretto (soprattutto dopo la sbornia delle privatizzazioni “prodiane”) nel settore dei beni collettivi e dei settori strategici (proprietà collettiva con forme autonome di gestione aperte al controllo dei lavoratori e degli utenti) e l’esistenza di un settore privato (ma con forme di codeterminazione innovative), è nel campo della economia autogestita e cooperativa che dovrà svilupparsi il nuovo socialismo. La rivoluzione informatica permette oggi di ampliare molto lo spazio sociale-autogestito non riconducibile né allo stato né al mercato capitalistico. Fino a configurare lo sviluppo di un “terzo sistema” parallelo a stato e mercato (Giorgio Ruffolo).
Per evitare i rischi della degenerazione burocratica del socialismo è questa la strada maestra.
Le nostre società hanno bisogno di ricostruire una solidarietà concreta e vissuta. Questa economia sociale può essere il tessuto connettivo, come dice il compagno Geppino Vetrano, in cui può inverarsi questa solidarietà.
PEPPE GIUDICE
.
lunedì 21 febbraio 2011
Il mondo secondo Trichet e le sfide del socialismo europeo
>
In Europa, quasi 85 milioni di persone vivono al di sotto
> della soglia di povertà . Secondo il settimanale francese Marianne, un
> francese
> su sei vive con meno di 750 â,¬ al mese â?" in Italia abbiamo sette
> milioni
> e mezzo di persone che soffrono di condizioni di indigenza... Eppure, in
> un articolo apparso oggi su Repubblica
> (http://www.repubblica.it/economia/2011/02/20/news/trichet_salari-12693161/)
> , lâ?Tattuale presidente della Banca Centrale Europea Jean-Claude
> Trichet
> sostiene che â?oalzare i salari sarebbe stupidoâ? â?" chissà se si
> riferiva
> anche alle remunerazioni di banchieri e politici... Lâ?Timportante è
> non
> far salire lâ?Tinflazione: meglio affamare la gente e distruggere posti
> di
> lavoro che diminuire la rendita del capitale. [...]
Diego Dilettoso
In Europa, quasi 85 milioni di persone vivono al di sotto
> della soglia di povertà . Secondo il settimanale francese Marianne, un
> francese
> su sei vive con meno di 750 â,¬ al mese â?" in Italia abbiamo sette
> milioni
> e mezzo di persone che soffrono di condizioni di indigenza... Eppure, in
> un articolo apparso oggi su Repubblica
> (http://www.repubblica.it/economia/2011/02/20/news/trichet_salari-12693161/)
> , lâ?Tattuale presidente della Banca Centrale Europea Jean-Claude
> Trichet
> sostiene che â?oalzare i salari sarebbe stupidoâ? â?" chissà se si
> riferiva
> anche alle remunerazioni di banchieri e politici... Lâ?Timportante è
> non
> far salire lâ?Tinflazione: meglio affamare la gente e distruggere posti
> di
> lavoro che diminuire la rendita del capitale. [...]
Diego Dilettoso
domenica 20 febbraio 2011
sabato 19 febbraio 2011
Antonio Caputo: Ulisse e Tersite
Caso Ruby e conflitti vari: ignoranza o mala fede? Ulisse e Tersite
Ai poveri telespettatori, homo videns, e' toccato anche questo.
Assistere impietriti a "dialoghi" surreali tra gli invitati dai vari Lerner, Vespa, Paragone, Telese, Floris, Santoro , Lilli Gruber , il conduttore di Matrix di cui non riesco proprio a memorizzare il nome.
E nessuno che intervenga, come Ulisse con Tersite a dire: ora basta!
A dire come stanno le cose.
Anche parlamentari dell'opposizione ex magistrati e giuristi.
Affermazione "surreale" di "Tersite": La Camera, bypassando l'Ufficio di Presidenza, sollevera' conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte Costituzionale, perche' la competenza e' del Tribunale dei ministri, in tal modo pretendendo di sottrarre il processo al Tribunale di Milano ove e' incardinato.
Aberrante!
a) il processo pendente non verrebbe sospeso;
b) La Corte Costituzionale non potrebbe che dichiare innammissibile, se non anche irricevibile il ricorso, in quanto:
1. compete al Giudice e non al Parlamento qualificare il reato e in ipotesi sanzionarlo, individuando il Giudice competente;
2. Conflitto di attribuzione tra poteri dello stato significa, in italiano ancor prima che giuridicamente, delimitare la sfera di attribuzioni determinate da norme costituzionali, ma non risulta che la Camera dei deputati abbia competenze giuridizionali che solo al Giudice appartengono, salvo non ritenere che la Camera, novello "tribunale del popolo" possa giudicare l'imputato;
3.Il Tribunale dei Ministri, istituito con legge costituzionale del 1989 , vigila di Tangentopoli, appartiene comunque alla giurisdizione come il Tribunale di Milano, con l'unica differenza non trascurabile che, per poter darsi corso al giudizio e' necessaria la preventiva autorizzazione della Camera di appartenenza..
Con valutazione "insindacabile", la Camera "potrebbe" negare l'autorizzazione solo nel caso in cui reputi che l'inquisito " abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell'esercizio della funzione di Governo".
Come dire che che l'avere affidato la minorenne extracomunitaria priva di documenti alla Consigliera regionale ( e della Presidenza del Consiglio?) per ricoverarla a casa di una prostituta brasiliana concreterebbe un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante e comunque un preminente interesse pubblico.
Costituisce esercizio disperato di retorica stupirsi, in un contesto che non e' in grado di definire l'Etica pubblica, ignorando i principi di disciplina e onore nell'adempimento di pubbliche funzioni che pure i Costituenti inserirono in Costituzione (art.55 , secondo comma Costituzione della Repubblica).
Norma senza sanzione?
Dove sei Ulisse?
Antonio Caputo
Ai poveri telespettatori, homo videns, e' toccato anche questo.
Assistere impietriti a "dialoghi" surreali tra gli invitati dai vari Lerner, Vespa, Paragone, Telese, Floris, Santoro , Lilli Gruber , il conduttore di Matrix di cui non riesco proprio a memorizzare il nome.
E nessuno che intervenga, come Ulisse con Tersite a dire: ora basta!
A dire come stanno le cose.
Anche parlamentari dell'opposizione ex magistrati e giuristi.
Affermazione "surreale" di "Tersite": La Camera, bypassando l'Ufficio di Presidenza, sollevera' conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte Costituzionale, perche' la competenza e' del Tribunale dei ministri, in tal modo pretendendo di sottrarre il processo al Tribunale di Milano ove e' incardinato.
Aberrante!
a) il processo pendente non verrebbe sospeso;
b) La Corte Costituzionale non potrebbe che dichiare innammissibile, se non anche irricevibile il ricorso, in quanto:
1. compete al Giudice e non al Parlamento qualificare il reato e in ipotesi sanzionarlo, individuando il Giudice competente;
2. Conflitto di attribuzione tra poteri dello stato significa, in italiano ancor prima che giuridicamente, delimitare la sfera di attribuzioni determinate da norme costituzionali, ma non risulta che la Camera dei deputati abbia competenze giuridizionali che solo al Giudice appartengono, salvo non ritenere che la Camera, novello "tribunale del popolo" possa giudicare l'imputato;
3.Il Tribunale dei Ministri, istituito con legge costituzionale del 1989 , vigila di Tangentopoli, appartiene comunque alla giurisdizione come il Tribunale di Milano, con l'unica differenza non trascurabile che, per poter darsi corso al giudizio e' necessaria la preventiva autorizzazione della Camera di appartenenza..
Con valutazione "insindacabile", la Camera "potrebbe" negare l'autorizzazione solo nel caso in cui reputi che l'inquisito " abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell'esercizio della funzione di Governo".
Come dire che che l'avere affidato la minorenne extracomunitaria priva di documenti alla Consigliera regionale ( e della Presidenza del Consiglio?) per ricoverarla a casa di una prostituta brasiliana concreterebbe un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante e comunque un preminente interesse pubblico.
Costituisce esercizio disperato di retorica stupirsi, in un contesto che non e' in grado di definire l'Etica pubblica, ignorando i principi di disciplina e onore nell'adempimento di pubbliche funzioni che pure i Costituenti inserirono in Costituzione (art.55 , secondo comma Costituzione della Repubblica).
Norma senza sanzione?
Dove sei Ulisse?
Antonio Caputo
venerdì 18 febbraio 2011
Roberto Biscardini: Il PSI e le elezioni a Milano
MILANO, ELEZIONI, LA PROPOSTA DEI SOCIALISTI: O LISTA MUNICIPALE O LISTA LAICA E SOCIALISTA
“Continuiamo a sostenere l’opportunità di una lista municipale capace di includere più forze politiche e aree diverse della società civile. Se questo progetto non troverà consensi daremo vita ad una lista laica, libertaria e socialista.” Questa la proposta per Milano, fatta da Roberto Biscardini nella riunione della segreteria nazionale del PSI che ha aggiunto: “La più grande novità che il centrosinistra potrebbe mettere in campo è il superamento delle sue divisioni. Per unire forze politiche, partiti e società in un'unica lista municipale che faccia proprio il bisogno di unità presente nella società milanese. Noi lavoriamo in questa direzione.” Biscardini ha continuato: “Il centrosinistra dovrebbe cogliere la forza della manifestazione delle donne del 13 febbraio, per capire che la risorsa maggiore di quella piazza era l’assenza delle solite bandiere e dei soliti simboli. Questo è il nostro progetto e cercheremo alleati.”
“Continuiamo a sostenere l’opportunità di una lista municipale capace di includere più forze politiche e aree diverse della società civile. Se questo progetto non troverà consensi daremo vita ad una lista laica, libertaria e socialista.” Questa la proposta per Milano, fatta da Roberto Biscardini nella riunione della segreteria nazionale del PSI che ha aggiunto: “La più grande novità che il centrosinistra potrebbe mettere in campo è il superamento delle sue divisioni. Per unire forze politiche, partiti e società in un'unica lista municipale che faccia proprio il bisogno di unità presente nella società milanese. Noi lavoriamo in questa direzione.” Biscardini ha continuato: “Il centrosinistra dovrebbe cogliere la forza della manifestazione delle donne del 13 febbraio, per capire che la risorsa maggiore di quella piazza era l’assenza delle solite bandiere e dei soliti simboli. Questo è il nostro progetto e cercheremo alleati.”
Vittorio Melandri: Non c'è speranza
NON C’È SPERANZA
Oggi 18 febbraio 2011 la new entry nella grande famiglia del Corriere della Sera, Giorgio Fedel, sbarca in prima pagina.
Da una ricerca dentro l’archivio storico del Corriere, il Fedel risulta partito da pagina 56 il 13 ottobre 2010, per passar poi il 29 ottobre 2010, il 14 novembre 2010, il 9 dicembre 2010, il 7 gennaio 2011, e il 28 gennaio 2011, nell’ordine, dalle pagine 52, 28, 45, 40, e 54.
Oggi appunto viene lanciato in prima pagina per tracciare…………..
….. “L’incerto confine fra diritto e morale”.
Ci sarà pure una ragione, se il Direttore che a suo tempo fu “cacciato” dagli “avvocaticchi”… oggi dona la prima pagina ad un simile editorialista, …. O no????
Ovviamente, avvicinatosi il nostro, con sprezzo del pericolo, a tale confine, non può evitare il caso del giorno, il «caso Ruby» come lo chiama egli stesso, e nota che “alcune reazioni popolari” al caso stesso, hanno preso “una piega allarmante”, perché, sommandosi insieme nel “caso” in esame, “scandalo sessuale e vicenda penale”, da parte di molti, e si capisce bene dalla prosa di Fedel che sono per lui drammaticamente troppi, di questo “insieme” si sta appunto…. “facendo tutt’uno dei significati della condotta di Silvio Berlusconi”.
Or bene, sempre stando a questo campione di liberalismo…..
“Berlusconi non è certo stato un campione di autodisciplina. Ciò detto, resta il fatto che il tipo di reazione in questione è allarmante, giacché fa venir meno la linea di demarcazione che dovrebbe dividere la moralità dal diritto.”
E cosa invoca questo maestro per uscirne bene da questo lacerante conflitto fra “moralità e diritto”, fra le altre virtù da praticare…. invoca … e prendo fiato prima di scriverlo, essendo l’affermazione di quelle che non lasciano via di scampo alla ragione….
…invoca…… che sia praticata una sempre nobile…..
“….accettazione del principio di realtà….”
Sulla prima pagina del Corriere di oggi, l’editoriale di Giovanni Sartori, spiega anche molto bene come le attuali opposizioni possono “perdere le elezioni”, anzi, a leggerlo bene, si capisce non tanto come possono perderle, ma come “le perderanno”.
Sommando tutto questo insieme, e appunto accogliendo io il suggerimento di Fedel (che sono ben convinto per altro, lui non pratica affatto), proprio grazie al “principio di realtà” non posso che ricavarne la sconfortante convinzione che non c’è speranza.
E d’altra parte, solo qualche giorno or sono, Bersani, ha garantito che……….
……. la Lega non è razzista!!!
Sarà, ma il senso di questa “fideiussione” è che per mandare a casa Berlusconi ci dobbiamo tenere il “berlusconismo” e i suoi “alle…gati”, e anche questo ci dice che dobbiamo prepararci ad altri giorni amari, molto amari, amarissimi.
Personalmente riesco solo a consolarmi con la poesia.
Perché è vero, ha ragione Roberto Saviano, non è la maggioranza degli italiani ad essere criminale, ma purtroppo, come lo stesso Saviano ci narra a prezzo della sua “vita prigioniera”, una minoranza criminale tiene in ostaggio il paese, ed un’altra minoranza, grazie ad una legge elettorale “porcata”, esprime tuttora una maggioranza parlamentare.
I segni di risveglio della cosiddetta società civile sono certo confortanti, ma non sembrano bastare a recuperare il senno perduto, quello che forse come popolo abbiamo perso da tempo.
Non riesco a spiegarmi diversamente come possa essere ancora ascoltato un uomo “fuor di senno”, che a proposito della ormai famosa telefonata notturna alla Questura di Milano, lo abbiamo anche sentito farfugliare, letteralmente farfugliare, di essere intervenuto per “scongiurare un incidente diplomatico”.
E non sono solo 315 deputati a libro paga a credergli, ma milioni e milioni di cittadini.
Anche per questo contro ciò che la logica mondana dovrebbe suggerirmi, continuo a credere che la possibilità di salvezza per tutti noi sia meglio indagata dai poeti che non dai politici.
E penso ad esempio ad un grande poeta del novecento, Giorgio Caproni sepolto nel piccolo cimitero di Loco sotto una lapide che porta inciso soltanto il nome, essendo state ritrovate fra le sue carte questi versi: «Lasciate senza nome, senza / data, la pietra bianca / che un giorno mi coprirà. / Col sole, prenderà (forse) il colore delle mie ossa / - sarà, / nella sua cornice nera / la mia faccia vera».
Da Caproni mi faccio aiutare per descrivere “Il fuor di senno” che da troppo tempo è alla guida del paese, anche se certamente non è per lui che il poeta ci ha lasciato questi versi.
IL FUOR DI SENNO
«Non si passa!», quasi
urlava. E teneva
– ritto in mezzo alla strada –
le braccia aperte, quasi
bastasse quella barriera
a bloccare l’irrompere
– fulmineo – della sera.
(Dalla raccolta “Il franco cacciatore”).
Chiedendo scusa più di altre volte, per la povera e amarissima prosa…. un saluto, vittorio
Oggi 18 febbraio 2011 la new entry nella grande famiglia del Corriere della Sera, Giorgio Fedel, sbarca in prima pagina.
Da una ricerca dentro l’archivio storico del Corriere, il Fedel risulta partito da pagina 56 il 13 ottobre 2010, per passar poi il 29 ottobre 2010, il 14 novembre 2010, il 9 dicembre 2010, il 7 gennaio 2011, e il 28 gennaio 2011, nell’ordine, dalle pagine 52, 28, 45, 40, e 54.
Oggi appunto viene lanciato in prima pagina per tracciare…………..
….. “L’incerto confine fra diritto e morale”.
Ci sarà pure una ragione, se il Direttore che a suo tempo fu “cacciato” dagli “avvocaticchi”… oggi dona la prima pagina ad un simile editorialista, …. O no????
Ovviamente, avvicinatosi il nostro, con sprezzo del pericolo, a tale confine, non può evitare il caso del giorno, il «caso Ruby» come lo chiama egli stesso, e nota che “alcune reazioni popolari” al caso stesso, hanno preso “una piega allarmante”, perché, sommandosi insieme nel “caso” in esame, “scandalo sessuale e vicenda penale”, da parte di molti, e si capisce bene dalla prosa di Fedel che sono per lui drammaticamente troppi, di questo “insieme” si sta appunto…. “facendo tutt’uno dei significati della condotta di Silvio Berlusconi”.
Or bene, sempre stando a questo campione di liberalismo…..
“Berlusconi non è certo stato un campione di autodisciplina. Ciò detto, resta il fatto che il tipo di reazione in questione è allarmante, giacché fa venir meno la linea di demarcazione che dovrebbe dividere la moralità dal diritto.”
E cosa invoca questo maestro per uscirne bene da questo lacerante conflitto fra “moralità e diritto”, fra le altre virtù da praticare…. invoca … e prendo fiato prima di scriverlo, essendo l’affermazione di quelle che non lasciano via di scampo alla ragione….
…invoca…… che sia praticata una sempre nobile…..
“….accettazione del principio di realtà….”
Sulla prima pagina del Corriere di oggi, l’editoriale di Giovanni Sartori, spiega anche molto bene come le attuali opposizioni possono “perdere le elezioni”, anzi, a leggerlo bene, si capisce non tanto come possono perderle, ma come “le perderanno”.
Sommando tutto questo insieme, e appunto accogliendo io il suggerimento di Fedel (che sono ben convinto per altro, lui non pratica affatto), proprio grazie al “principio di realtà” non posso che ricavarne la sconfortante convinzione che non c’è speranza.
E d’altra parte, solo qualche giorno or sono, Bersani, ha garantito che……….
……. la Lega non è razzista!!!
Sarà, ma il senso di questa “fideiussione” è che per mandare a casa Berlusconi ci dobbiamo tenere il “berlusconismo” e i suoi “alle…gati”, e anche questo ci dice che dobbiamo prepararci ad altri giorni amari, molto amari, amarissimi.
Personalmente riesco solo a consolarmi con la poesia.
Perché è vero, ha ragione Roberto Saviano, non è la maggioranza degli italiani ad essere criminale, ma purtroppo, come lo stesso Saviano ci narra a prezzo della sua “vita prigioniera”, una minoranza criminale tiene in ostaggio il paese, ed un’altra minoranza, grazie ad una legge elettorale “porcata”, esprime tuttora una maggioranza parlamentare.
I segni di risveglio della cosiddetta società civile sono certo confortanti, ma non sembrano bastare a recuperare il senno perduto, quello che forse come popolo abbiamo perso da tempo.
Non riesco a spiegarmi diversamente come possa essere ancora ascoltato un uomo “fuor di senno”, che a proposito della ormai famosa telefonata notturna alla Questura di Milano, lo abbiamo anche sentito farfugliare, letteralmente farfugliare, di essere intervenuto per “scongiurare un incidente diplomatico”.
E non sono solo 315 deputati a libro paga a credergli, ma milioni e milioni di cittadini.
Anche per questo contro ciò che la logica mondana dovrebbe suggerirmi, continuo a credere che la possibilità di salvezza per tutti noi sia meglio indagata dai poeti che non dai politici.
E penso ad esempio ad un grande poeta del novecento, Giorgio Caproni sepolto nel piccolo cimitero di Loco sotto una lapide che porta inciso soltanto il nome, essendo state ritrovate fra le sue carte questi versi: «Lasciate senza nome, senza / data, la pietra bianca / che un giorno mi coprirà. / Col sole, prenderà (forse) il colore delle mie ossa / - sarà, / nella sua cornice nera / la mia faccia vera».
Da Caproni mi faccio aiutare per descrivere “Il fuor di senno” che da troppo tempo è alla guida del paese, anche se certamente non è per lui che il poeta ci ha lasciato questi versi.
IL FUOR DI SENNO
«Non si passa!», quasi
urlava. E teneva
– ritto in mezzo alla strada –
le braccia aperte, quasi
bastasse quella barriera
a bloccare l’irrompere
– fulmineo – della sera.
(Dalla raccolta “Il franco cacciatore”).
Chiedendo scusa più di altre volte, per la povera e amarissima prosa…. un saluto, vittorio
Alfonso Gianni: I punti critici della proposta di coalizione
I punti critici della proposta di coalizione di emergenza democratica
di Alfonso Gianni
pubblicato su il Riformista del 18 febbraio
La proposta lanciata da Nichi Vendola di una coalizione di emergenza democratica, dalla sinistra di Sel alla nuova destra di Fini, ha indubbiamente il merito di smuovere le acque di un dibattito che si era fatto ormai stantio sul tema primarie sì, primarie no. Bene ha fatto il Riformista a darle il giusto rilievo. Il guaio è che quella proposta rischia di incontrare più ostacoli di quanti non ne voglia sormontare. Non si tratta della riproposizione, che sarebbe fuori tempo massimo, benché ragionevole, di un governo di “decantazione” per condurre il paese a elezioni sulla base di una nuova legge elettorale. Qui è esplicitamente previsto un passaggio elettorale auspicato come immediato sulla base della legge vigente. Mi pare però difficile andare a chiedere un voto ai cittadini con l’esplicita previsione di farli tornare a votare di lì a pochi mesi. La coalizione proposta da Vendola dovrebbe reggersi su tre punti programmatici: una nuova legge elettorale, nuove norme in materia di conflitto di interessi e sul sistema informativo. E’ chiaro che è il primo punto a definire la natura del governo e la sua durata, poiché, fatta la nuova legge, sarebbe naturale fare conseguire l’immediato scioglimento delle camere. Per fare questo – e questo valeva anche nel caso di un governo nato dall’attuale parlamento – bisognerebbe che tra le forze della coalizione ci fosse una credibile unità di intenti sulla legge da fare, che compete al futuro parlamento non certo a un decreto legge del governo. Di questa condizione non vi è traccia. Limitandoci al campo del centrosinistra vi è chi propone il modello tedesco, chi quello francese, chi un pasticcio degno delle gag televisive di Corrado Guzzanti. Se ci allarghiamo a destra la confusione aumenta. Comprendo bene che la proposta di Vendola – che è legata anche al nome di Rosi Bindi, talmente degno che vorrei più ancora diventasse la prima Presidente donna della Repubblica – vuole restringere il campo d’azione del futuro governo a questioni di risanamento democratico e nel contempo tamponare le inopinate aperture di credito ai leghisti fatte da Bersani. Ho paura si tratti di una illusione. Qualunque governo non può fare a meno di affrontare temi economici, nella più grande crisi da ottanta anni a questa parte, se non altro per l’incombenza della legge finanziaria. Il fatto che questi siano largamente sovra determinati dal nuovo patto di stabilità definito in sede Ue, non assolve le responsabilità politiche dei governi nazionali in carica. Come sappiamo è già difficile trovare una quadra su questi temi nel centrosinistra, figuriamoci con i seguaci di Fini e di Casini, tra i quali abbondano i protagonisti diretti e i sostenitori attivi dei tagli alla spesa sociale, dalla privatizzazione dell’acqua allo scempio della scuola pubblica. C’è poi da dubitare che l’antiberlusconismo in quanto tale, seppure in versione virtuosa, risulti vincente in una competizione elettorale con le norme attuali, visto che molto si gioca sugli indecisi e sugli astensionisti. Questi ultimi, a destra quanto forse soprattutto a sinistra, cercano per rimotivarsi ben altri stimoli che non soluzioni presentate come puramente transitorie. Un passaggio elettorale mette sempre in gioco il profilo identitario delle forze in esso impegnate e guai a nasconderlo. Per questo continuo a pensare che non esistono scorciatoie né alternative al centrosinistra , di cui dobbiamo discutere non solo modalità delle primarie, ma soprattutto punti qualificanti di un programma credibile, e che la condizione migliore per sconfiggere Berlusconi sia la presenza elettoralmente autonoma di un terzo polo della destra moderata. Conosco bene i rischi di una simile competizione, ma chi vuole coltivare pensieri lunghi sulla società italiana, sulla sua necessaria rinascita dal degrado civile e economico nel quale è piombata - come ci hanno detto le straordinarie manifestazioni delle donne e non solo dello scorso sabato – non può limitarsi a improbabili tattiche. Oltretutto con l’effetto collaterale di spiazzare se stessi anziché gli avversari.
di Alfonso Gianni
pubblicato su il Riformista del 18 febbraio
La proposta lanciata da Nichi Vendola di una coalizione di emergenza democratica, dalla sinistra di Sel alla nuova destra di Fini, ha indubbiamente il merito di smuovere le acque di un dibattito che si era fatto ormai stantio sul tema primarie sì, primarie no. Bene ha fatto il Riformista a darle il giusto rilievo. Il guaio è che quella proposta rischia di incontrare più ostacoli di quanti non ne voglia sormontare. Non si tratta della riproposizione, che sarebbe fuori tempo massimo, benché ragionevole, di un governo di “decantazione” per condurre il paese a elezioni sulla base di una nuova legge elettorale. Qui è esplicitamente previsto un passaggio elettorale auspicato come immediato sulla base della legge vigente. Mi pare però difficile andare a chiedere un voto ai cittadini con l’esplicita previsione di farli tornare a votare di lì a pochi mesi. La coalizione proposta da Vendola dovrebbe reggersi su tre punti programmatici: una nuova legge elettorale, nuove norme in materia di conflitto di interessi e sul sistema informativo. E’ chiaro che è il primo punto a definire la natura del governo e la sua durata, poiché, fatta la nuova legge, sarebbe naturale fare conseguire l’immediato scioglimento delle camere. Per fare questo – e questo valeva anche nel caso di un governo nato dall’attuale parlamento – bisognerebbe che tra le forze della coalizione ci fosse una credibile unità di intenti sulla legge da fare, che compete al futuro parlamento non certo a un decreto legge del governo. Di questa condizione non vi è traccia. Limitandoci al campo del centrosinistra vi è chi propone il modello tedesco, chi quello francese, chi un pasticcio degno delle gag televisive di Corrado Guzzanti. Se ci allarghiamo a destra la confusione aumenta. Comprendo bene che la proposta di Vendola – che è legata anche al nome di Rosi Bindi, talmente degno che vorrei più ancora diventasse la prima Presidente donna della Repubblica – vuole restringere il campo d’azione del futuro governo a questioni di risanamento democratico e nel contempo tamponare le inopinate aperture di credito ai leghisti fatte da Bersani. Ho paura si tratti di una illusione. Qualunque governo non può fare a meno di affrontare temi economici, nella più grande crisi da ottanta anni a questa parte, se non altro per l’incombenza della legge finanziaria. Il fatto che questi siano largamente sovra determinati dal nuovo patto di stabilità definito in sede Ue, non assolve le responsabilità politiche dei governi nazionali in carica. Come sappiamo è già difficile trovare una quadra su questi temi nel centrosinistra, figuriamoci con i seguaci di Fini e di Casini, tra i quali abbondano i protagonisti diretti e i sostenitori attivi dei tagli alla spesa sociale, dalla privatizzazione dell’acqua allo scempio della scuola pubblica. C’è poi da dubitare che l’antiberlusconismo in quanto tale, seppure in versione virtuosa, risulti vincente in una competizione elettorale con le norme attuali, visto che molto si gioca sugli indecisi e sugli astensionisti. Questi ultimi, a destra quanto forse soprattutto a sinistra, cercano per rimotivarsi ben altri stimoli che non soluzioni presentate come puramente transitorie. Un passaggio elettorale mette sempre in gioco il profilo identitario delle forze in esso impegnate e guai a nasconderlo. Per questo continuo a pensare che non esistono scorciatoie né alternative al centrosinistra , di cui dobbiamo discutere non solo modalità delle primarie, ma soprattutto punti qualificanti di un programma credibile, e che la condizione migliore per sconfiggere Berlusconi sia la presenza elettoralmente autonoma di un terzo polo della destra moderata. Conosco bene i rischi di una simile competizione, ma chi vuole coltivare pensieri lunghi sulla società italiana, sulla sua necessaria rinascita dal degrado civile e economico nel quale è piombata - come ci hanno detto le straordinarie manifestazioni delle donne e non solo dello scorso sabato – non può limitarsi a improbabili tattiche. Oltretutto con l’effetto collaterale di spiazzare se stessi anziché gli avversari.
Lanfranco Turci: Cosa c'è dietro la candidatura di Rosi Bindi
Lanfranco turci 17/2/2011
cosa c'è dietro la candidatura di rosy bindi a premier
Ha sollevato molte discussioni e dubbi la proposta dei giorni scorsi di Vendola di candidare Rosy Bindi a premier per una eventuale coalizioni di tutte le opposizioni contro Berlusconi e il centro destra.E' tuttavia evidente anche per i militanti e i "simpatizzanti" di Sel che Vendola non può stare a sventolare la bandiera delle primarie all'infinito,pena il rischio dell'isolamento e del solipsismo,mentre tutto attorno si parla d'altro e ci si preoccupa d'altro:dalla fiat alla crisi economica,dal degrado civile indotto dagli scandali di berlusconi fino al rischio di una vera rottura istituzionale.L'ipotesi del Cln nasce da questi ultimi due fattori e la proposta Bindi sembra mirata a evitare che la scelta del Cln finisca per dare la palma puramente e semplicemente a Casini.Ma questa scelta incontra varie obiezioni:1 )che berlusconi cada davvero e non riesca invece a durare comunque,magari allontanando l'impatto immediato degli scandali,2 )che tutto il centro possa acconsentire a questa scelta(v. le difficoltà di Fini),3) che difficilmente si può fare un governo su solo tre o quattro obiettivi di tipo istituzionale ,rinviando a una seconda fase i temi e le scelte su cui inevitabilmente il Cln si dividerebbe,visto il tempo che la complessità degli obiettivi istituzionali richiederebbe.D'altro lato con questa immonda legge elettorale il rischio che una opposizione divisa riconsegni il governo a berlusconi c'è tutto.Come se ne esce?Credo che per quanto possa apparire schematico e semplicistico,si debba scommettere su uno dei due possibili scenari e su quello impostare le scelte tattiche e strategiche.In altri termini o si accetta l'ipotesi di uno scenario alla caimano e allora bisogna a tutti i costi puntare su cln e liberazione,o si scommette su una legislatura che cmq continua e allora da sinistra bisogna scegliere di accumulare più fieno possibile in cascina,cioè cercare nuovi consensi politici e sociali,accentuando i temi programmatici distintivi di una sinistra che io definirei socialista nel senso forte del termine e che cmq ha in sel oggi la più significativa espressione.Questo vuol dire accentuare il confronto e l'iniziativa sui temi sociali,a cominciare dalle scelte pericolose che si stanno discutendo in queste settimane in europa e che sembrano totalmente fuori dal radar del pd.E con essi i temi della disoccupazione e della precarietà,recuperando i raporti col movimento dei giovani,con le lotte per il lavoro e cogliendo il grande significato di rivolta civile delle manifestazioni delle donne di domenica scorsa.naturalmente i due scenari possono avere molti punti di contatto,ma la scelta fra l'uno o l'altro definisce il posizionamento conseguente.
cosa c'è dietro la candidatura di rosy bindi a premier
Ha sollevato molte discussioni e dubbi la proposta dei giorni scorsi di Vendola di candidare Rosy Bindi a premier per una eventuale coalizioni di tutte le opposizioni contro Berlusconi e il centro destra.E' tuttavia evidente anche per i militanti e i "simpatizzanti" di Sel che Vendola non può stare a sventolare la bandiera delle primarie all'infinito,pena il rischio dell'isolamento e del solipsismo,mentre tutto attorno si parla d'altro e ci si preoccupa d'altro:dalla fiat alla crisi economica,dal degrado civile indotto dagli scandali di berlusconi fino al rischio di una vera rottura istituzionale.L'ipotesi del Cln nasce da questi ultimi due fattori e la proposta Bindi sembra mirata a evitare che la scelta del Cln finisca per dare la palma puramente e semplicemente a Casini.Ma questa scelta incontra varie obiezioni:1 )che berlusconi cada davvero e non riesca invece a durare comunque,magari allontanando l'impatto immediato degli scandali,2 )che tutto il centro possa acconsentire a questa scelta(v. le difficoltà di Fini),3) che difficilmente si può fare un governo su solo tre o quattro obiettivi di tipo istituzionale ,rinviando a una seconda fase i temi e le scelte su cui inevitabilmente il Cln si dividerebbe,visto il tempo che la complessità degli obiettivi istituzionali richiederebbe.D'altro lato con questa immonda legge elettorale il rischio che una opposizione divisa riconsegni il governo a berlusconi c'è tutto.Come se ne esce?Credo che per quanto possa apparire schematico e semplicistico,si debba scommettere su uno dei due possibili scenari e su quello impostare le scelte tattiche e strategiche.In altri termini o si accetta l'ipotesi di uno scenario alla caimano e allora bisogna a tutti i costi puntare su cln e liberazione,o si scommette su una legislatura che cmq continua e allora da sinistra bisogna scegliere di accumulare più fieno possibile in cascina,cioè cercare nuovi consensi politici e sociali,accentuando i temi programmatici distintivi di una sinistra che io definirei socialista nel senso forte del termine e che cmq ha in sel oggi la più significativa espressione.Questo vuol dire accentuare il confronto e l'iniziativa sui temi sociali,a cominciare dalle scelte pericolose che si stanno discutendo in queste settimane in europa e che sembrano totalmente fuori dal radar del pd.E con essi i temi della disoccupazione e della precarietà,recuperando i raporti col movimento dei giovani,con le lotte per il lavoro e cogliendo il grande significato di rivolta civile delle manifestazioni delle donne di domenica scorsa.naturalmente i due scenari possono avere molti punti di contatto,ma la scelta fra l'uno o l'altro definisce il posizionamento conseguente.
giovedì 17 febbraio 2011
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