Il Circolo Carlo Rosselli è una realtà associativa presente a Milano sin dal 1981. http://www.circolorossellimilano.org/
venerdì 31 dicembre 2021
Franco Astengo: Sinistra 2022
SINISTRA 2022 di Franco Astengo
L’ampia disamina dello stato delle cose in atto contenuta sulle colonne del “Manifesto” del 31 dicembre in un editoriale firmato da Norma Rangeri comprende (per l’ennesima volta, in uno sforzo davvero importante che il quotidiano comunista sta compiendo sotto questo profilo) un richiamo al “ piccolo mondo antico della sinistra non dà segnali di riflessione autocritica”.
Provo allora ad affrontare ancora una volta l’argomento (spinoso) del "c'è vita a sinistra?" allo scopo di provare a fissare alcuni possibili punti fermi in previsione del nuovo anno.
Nell'occasione mi limito a frequentare i “rami bassi” dell’agire politico : non senza, in precedenza a qualsivoglia altra argomentazione, segnalare con forza l’entità del ricatto cui sono sottoposte le istituzioni della Repubblica in occasione della prossima elezione presidenziale.
In nome di una “autorità esterna” l’ex-presidente della BCE sta mettendo in mora l’intero sistema politico chiedendo, in pratica, l’unanimità per sancire la fine definitiva del sistema parlamentare definito dalla Costituzione del ‘48 (una situazione che si verifica, è bene ricordarlo, in tempi di drammatiche emergenze sociali prima ancora che sanitarie).
Questo giudizio, che ho cercato di formulare nel modo più sintetico e preciso, rende superfluo l’interrogarsi su di un punto nodale: nell’immediato la collocazione della sinistra rispetto al “perimetro Draghi”, non può essere che di opposizione qualunque sia l’esito dell’elezione del Presidente della Repubblica.
La priorità che deve assolutamente assumersi la sinistra è quella dell’individuazione del terreno costituzionale come necessario riferimento centrale.
Vanno analizzati a fondo due punti:
1) Quello delle scelte possibili sul terreno della politica internazionale: ruolo dell’Europa/neo atlantismo/ripresa di logiche di schieramento in blocchi;
2) La promozione di un’idea di struttura politica non movimentista ma saldamente ancorata alla tradizione e alla storia della sinistra legata al movimento operaio.
Occorre, inoltre, comprendere che un quadro strategico di ripresa delle istanze di uguaglianza, libertà, solidarietà sociale passano, per quel che riguarda il “caso italiano”, attraverso questa stretta cruna dell’ago del recupero della presenza istituzionale.
A sinistra abbiamo vissuto un passato di divisioni dovute anche ad una volontà di mantenimento di pregiudiziali ideologiche ormai ampiamente superate dalla storia.
Non siamo in grado di pronosticare se il 2022 sarà o meno un anno elettorale.
In ogni caso va proposto un programma molto semplice:
E’ necessario lavorare per costruire la possibilità di una adeguata presenza in Parlamento per un soggetto che tenga fede all’ideale e alla pratica della Costituzione Repubblicana.
Un soggetto fondato sulla centralità del Parlamento e sull’antifascismo corrispondente a quanto socialmente si sta muovendo nel Paese e in Europa (come ha dimostrato lo sciopero del 16 dicembre) per contrastare l’aggressività neo liberista che si affianca ormai a tensioni di destra
cui sarebbe imperdonabile rispondere con una sostanziale acquiescenza alla torsione autoritaria che si sta cercando di imporre al Parlamento e al Paese.
giovedì 30 dicembre 2021
mercoledì 29 dicembre 2021
martedì 28 dicembre 2021
Franco Astengo: Bilancio di un anno
2021: BILANCIO DI UN ANNO E ASPETTATIVE DELUSE di Franco Astengo
L’anno 2021 si chiude dopo che sono state deluse le aspettative di riuscire a rovesciare il paradigma stabilito dall’emergenza sanitaria tra scienza, tecnica, politica.
Ormai da due lunghi, interminabili, anni non la politica ma scienza e tecnica impongono modi, tempi, scelte, orientamenti economici, stili di vita.
In questo modo il capitalismo continua a dettare le sue leggi e il ciclo del tempo procede rispondendo soltanto alle necessità del momento con l’allargamento delle disuguaglianze,l’intensificazione dello sfruttamento, la crescita del divario cognitivo.
Sfruttamento / disuguaglianze/ divario cognitivo: tre fattori che si alimentano con la detenzione del potere della conoscenza e delle sue complesse forme distribuzione ineguale.
Una presunta ribellione a questo stato di cose ha assunto, almeno nelle società affluenti, la ridicola dimensione di un individualismo presuntamente libertario ma in realtà coercitivo per qualsiasi possibilità di vita collettiva.
Non siamo stati ancora capaci di far comprendere come il rovesciamento del paradigma potrebbe essere ancora possibile se si riuscisse a far risaltare la necessità di una società dell’uguaglianza.
Uguaglianza nella sobrietà dei consumi collettivi e individuali, uguaglianza nella limitazione del profitto e della conseguente vacuità del consumismo egoistico.
Servirebbe ancora definire l’orizzonte di una società diversa per fare in modo di porsi davanti al mistero del futuro nella vita di tutti i giorni.
Pensare ad un “socialismo della finitudine”, al recupero di un senso del limite inteso come obiettivo possibile da realizzare accettando un principio di fondo : questa angosciante cappa di piombo che sovrasta le nostre vite dipende da un modello basato sull’illusione di massa di una società priva di valori morali e completamente fondata sul profitto e sul consumo.
lunedì 27 dicembre 2021
venerdì 24 dicembre 2021
Paolo Bagnoli, Un urlo contro un sistema ingiusto
Politica - la biscondola
da >>> nonmollare
un urlo contro
un sistema ingiusto
di Paolo Bagnoli
In Italia di una riforma fiscale che renda il sistema delle tasse più giusto si sente parlare da tempi lontani; già, se ne sente però solo parlare, perché poi non succede niente. Il Paese è ingessato in una rete statica che ne gli conferisce il primato di essere quello nel quale il rapporto tra imposte e Pil è praticamente stratosferico; residente in una stratosfera drammatica se ci si sofferma sul dato che il suddetto rapporto è ben al 42,9%.
Il dato viene dalla “Revenue Statistics 2021” dell’Ocse. Esso indica un peggioramento che ci avvicina ai punti europei più alti in materia. Il primo posto è occupato dalla Danimarca con il 46,5% - da notare, però, che nel 2019 era al 46,6% - seguita dalla Francia con il 45,4% - prima era al 49,9% - e dal Belgio passato dal 42,7% al 43,1%. Con il nostro quarto posto in classifica superiamo, così, Paesi quali la Svezia, al 42,6%; l’Austria, al 42,1% e la Finlandia al 41,9%. Sono tutte tassazioni alte, ma il livello del welfare è certamente assai migliore del nostro. Se scorriamo le statistiche vediamo che, per l’Italia, il 2013, con il 43,8%, sia stato l’anno con la tassazione più alta mentre il più basso, per restare nel ventennio, è il 2005 con il 39%. Abbiamo, in ogni caso, superato la Svezia: una sintesi che dice un po’ tutto. Per quasi sei mesi quello che viene guadagnato va in tasse: ecco la morale che ci dice come il sistema, se non vogliamo, dopo essere scampati alla pandemia, soffocare a causa delle tasse, necessiti di una seria riforma; continuare ad annunciarla per non farne di nulla aggrava solo la sfiducia popolare nelle istituzioni; alimenta l’antipolitica; incentiva l’evasione e l’elusione e allarga la forbice tra ricchi e poveri. Questo è il succo politico della questione. Il messaggio che ci viene dal recente sciopero indetto da CGIL e UIL in fondo è un urlo motivato su un sistema ingiusto che, anche con aggiustamenti marginali, non esce dalla logica generale per la quale chi ha di più, di più dovrebbe contribuire alle entrate dell’erario. E, a proposito dello sciopero, non si può non osservare quanto le giustificazioni sulla sua inopportunità visto il momento siano di maniera poiché in Italia, a ben vedere, il momento per scioperare non è stato mai giustificato. Esso è nella dialettica della democrazia, tanto più valida, quanto più si richiama il ritorno alla normalità; poi, ad ogni parte in causa, l’assumersi le proprie responsabilità.
Certo che si tratta di una questione complessa, ma essa è tra quelle centrali per permettere al Paese di esprimere tutte le sue positività; investe l’idea stessa che si ha dell’Italia e, quindi, della politica, ma se a essa non si è messo mano quando la politica era in campo, figuriamoci oggi che la politica latita. La modestia della cosiddetta “classe politica” - quella predominante e non certo a Mario Draghi che ha, se non altro, il merito di tenere alto il nome del Paese ridandogli credibilità internazionale come riconosce anche l’“Economist” - lo dimostra più di ogni altra considerazione storica, sociologica o politologica che sia.
Da tempo sosteniamo che dalla lunghissima crisi politica in cui siamo usciremo non con aggiustamenti, populismi, sovranismi o governismi, ma solo ripensando il nostro essere compiuto quale Stato moderno e con un’attenta rilettura della Costituzione che è, e rimane, la bussola della Repubblica e della democrazia repubblicana. Il Paese va ripensato nel suo insieme per conferire cifra rifondativa al sistema democratico, alla concretezza della libertà, a disegnare un profilo di civiltà adeguato ai tempi e, pure, a mettere le ali all’Europa il cui sistema comunitario così non va, impedendole di assolvere a quel compito che dovrebbe avere liberandosi di ogni retorica e dimostrando di essere, nel concreto, all’altezza degli ideali che hanno messo l’Europa in cantiere. Quanto ciò sia vero lo si vede sulla questione dei migranti. Possibile che non si capisca che quando i popoli si mettono in movimento non c’è niente che li possa fermare? Ma se il processo non viene governato, tanto per rimanere al presente che più brucia, ossia a quanto sta succedendo al confine tra la Bielorussia e la Polonia, viene come naturale segnando una vergogna –non certo la prima – che rimarrà impressa per sempre nella coscienza della “civile” Europa.
Abbiamo accennato a problemi che si tengono in una filiera piuttosto stretta e che dichiarazioni da cui siamo quotidianamente bombardati nemmeno sfiorano e niente creano se non annunci, ma la volontà vera di porsi le questioni vere non emerge da nessuna parte. Noi, in sincerità, non le vediamo.
giovedì 23 dicembre 2021
mercoledì 22 dicembre 2021
Roberto Biscardini: Dietro l'approvazione del nuovo stadio un nuovo imbroglio
COMUNICATO STAMPA:
BISCARDINI, DIETRO L’APPROVAZIONE DEL NUOVO STADIO UN NUOVO IMBROGLIO
“Se fosse vera la notizia che il progetto presentato ieri da Inter e Milan per il nuovo stadio prevede sulle aree di San Siro solo lo stadio e un parco da 50.000 mq., la delibera della Giunta di Milano del 6 novembre dovrebbe per decenza essere ritirata dal Sindaco prima ancora che venga bocciata dal Tar.
Perché non avrebbe alcun senso concedere, così come è stato concesso, il pubblico interesse all’iniziativa immobiliare e una volumetria pari allo 0,35 mq/mq a chi non ne ha bisogno. Tanto più che lo stadio e il verde non cubano alcuna volumetria.
Ma le cose non stanno così.
Dietro l’approvazione da parte dell’Inter e del Milan del nuovo stadio c’è ancora la ragione di fondo per cui stiamo discutendo da anni. E cioè usare lo stadio come un cavallo di Troia per una grande operazione immobiliare e usare l’operazione immobiliare per pagare i debiti delle società di calcio.
Una strategia perversa che carica sul bilancio comunale e sui cittadini il ripianamento dei debiti di società private.
Se non ci fosse stato di mezzo l’obiettivo della grande operazione immobiliare infatti, Milano non avrebbe mai discusso dell’esigenza di un nuovo stadio.
Ci terremmo San Siro, come noi del comitato SI Meazza proponiamo, da riqualificare per le nuove esigenze del calcio, dello spettacolo e dei cittadini milanesi.”
martedì 21 dicembre 2021
lunedì 20 dicembre 2021
Franco Astengo: Cile libero, Cile rosso
CILE LIBERO, CILE ROSSO di Franco Astengo
Dal martoriato Sud America arriva un messaggio importante a tutta la sinistra e alle forze progressiste.
Un messaggio che riguarda tutti coloro che pensano che la storia non sia finita e che ci sia ancora spazio per un cambiamento radicale ed efficace dello “stato di cose presenti”.
Il leader della sinistra Gabriel Boric ha vinto le elezioni presidenziali in Cile al ballottaggio contro il neo-pinochettista José Antonio Kast: il numero uno della coalizione Apruebo Dignidad diventa così a 36 anni il più giovane presidente della storia del paese andino, quello in cui si consumò la tragedia (indimenticabile) del golpe made in USA e dell'assassinio del presidente Allende.
Apruebo Dignidad (Approvo la Dignità) è la coalizione di sinistra formata dal Partito Comunista Cileno, da Convergencia Social (socialismo libertario) e da altri gruppi (Revolucion Democratica, Comunes, Federazion Rgionalista Verde Social, Fuerza Comun, Movimento Unir, Accion Humanista, Sinistra Cristiana del Chile, Izequerdia Libertaria).
Erede del Frente Amplio, Apruebo Dignidad ha ottenuto 1.070.361 voti alle elezioni per la Costituente nel 2021, pari 18,74% e 18 seggi, mentre al primo turno Boric aveva avuto 1.814.809 voti (25,83%) saliti a oltre 4 milioni nel turno di ballottaggio svoltosi ieri.
Questa coalizione di sinistra definisce così il proprio perimetro ideale e progettuale: socialismo democratico, giustizia sociale, femminismo, ecologismo, antineoliberismo e il Partito Comunista del Cile non ha ammainato la propria bandiera.
venerdì 17 dicembre 2021
giovedì 16 dicembre 2021
Franco Astengo: Il significato politico dello sciopero
Il senso dell’iniziativa di CGIL e UIL rivolta al merito della manovra economica che sta preparando il governo Draghi non può essere definito diversamente.
Il punto della vicenda in corso non risiede, infatti, semplicemente nella necessità di riaprire un confronto nei termini materiali, pur decisivi dei numeri delle poste di bilancio e delle percentuali delle aliquote fiscali.
Per giudicare l’esito della giornata non ci si dovrà però appendere ai “numeri” raggiunti dalla mobilitazione e dalla presenze nelle piazze. e i risultati che si avranno rispetto alla mediazione possibile sicuramente non saranno all'altezza delle aspettative che dovrebbero risultare insite in un così grande sforzo di massa.
Intendiamoci: erano scioperi “politici” anche quello del 1984 per la difesa della scala mobile e quello del 2002 sull’articolo 18 (difatti in entrambe le occasioni si verificò uno sbocco referendario, quanto di più “politico” si potesse immaginare).
Quello di oggi assume però un significato diverso anche rispetto a quegli episodi del passato.
Sarebbe imperdonabilmente ingenuo affidare a questa giornata una missione quasi "salvifica" dopo anni di arretramento "storico" sul piano delle condizioni materiali di vita e dell'esercizio dei diritti: arretramento "storico" dovuto anche ad analisi sbagliate sullo sviluppo, di compromissioni su temi decisivi, su deficit evidenti sul piano dei rapporti sociali e delle espressioni culturali accumulati dal Sindacato e dalla sinistra ormai da molto tempo.
Una Sinistra quasi afona e pressoché priva di rappresentanza istituzionale: un nodo quest'ultimo che dovrebbe essere affrontato con realismo e concretezza perché dal suo scioglimento positivo dipenderà buona parte della possibilità di contrasto verso lo scivolamento definitivo verso forme di governo e di presenza politica pericolosamente diverse da quelle della democrazia repubblicana.
Torniamo però all'oggi.
E’ stato detto: si presenta l’occasione di dar voce a chi soffre e non è ascoltato.
Ma c’è di più: oggi CGIL e UIL “coprono” oggettivamente quel vuoto di soggettività di cui si discute da molto, troppo tempo, senza che si sia riusciti ad assumere una iniziativa conseguente sul piano di avviare un discorso a sinistra di progettualità e di visione unitaria.
In una situazione nella quale è incombente il rischio di regalare il disagio sociale alla destra o a un confuso movimentismo ( movimentismo che sui temi sollevati dall’emergenza sanitaria assume paradossalmente caratteristiche ideologiche addirittura sul terreno delle valutazioni scientifiche) gli esiti di questa giornata dovranno senz'altro essere prima di tutto giudicati in termini di utilità sul piano sindacale.
Servirà però anche muoversi oltre nell’analisi e nella proposta: la mobilitazione del mondo del lavoro può e deve rappresentare l'occasione per spingere la riflessione e l'iniziativa sul “vuoto” politico nel quale siamo (anche colpevolmente) capitati.
Felice Besostri: Legge elettorale fondamentale, ma dimenticata
La legge elettorale
Fondamentale
ma dimenticata
Istituzioni. La battaglia per una nuova legge elettorale è quindi prioritaria, ma questa elementare verità non viene percepita. Senza mobilitazione politica e delle coscienze democratiche i migliori ricorsi non scuoteranno i giudici e la loro sensibilità costituzionale.
di Felice Besostri
Votare nel 2022 o nel 2023 fa differenza, ma la differenza più importante la fa la legge elettorale con la quale si vota. Eppure le forze politiche rappresentate in questo parlamento fanno finta di non saperlo. E quale che sia la loro preferenza, proporzionale, maggioritario o misto, sembrano interessate soprattutto ad escludere gli elettori da un voto libero e personale, come richiedono l’articolo 48 della Costituzione e i principi affermati con la “storica” sentenza della Corte costituzionale numero 1 del 2014 (incostituzionalità del Porcellum).
I candidati delle liste bloccate non possono essere liberamente scelti, e nemmeno quelli dei collegi uninominali che devono a pena di nullità essere quelli proposti dalle coalizioni. Coalizioni peraltro che non hanno un capo politico unico (questo è un bene per salvaguardare le prerogative del presidente della Repubblica) e neppure un programma di governo comune. Così ha voluto il Rosatellum, e non si capisce perché le coalizioni debbano essere favorite rispetto alle liste non coalizzate, che per essere contate devono avere almeno il 3% nazionale (anche al senato, malgrado la Costituzione preveda la base regionale della sua elezione).
Da sinistra: Felice Besostri gli avvocati anti-Italicum Giuseppe Bozzi, Aldo Bozzi e Claudio Tani
Le liste coalizzate, invece, basta che raggiungano l’1%: il voto non è più uguale in entrata e men che meno in uscita. Pensate ai risultati 2018 a confronto di LeU (voti 991.159, 3,28%) e Südtiroler Volkspartei (voti 128.282, 0,42%): al senato LeU conquista 4 seggi, invece di 10, mentre la SVP ne elegge 3, invece di 1. Questo malgrado l’articolo 3 primo comma della Costituzione per il quale «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Le minoranze politiche dovrebbero avere lo stesso trattamento delle minoranze linguistiche. Conclusione: il voto non è neppure uguale.
Per due volte il premio di maggioranza è stato annullato dalla Corte costituzionale, la prima volta perché non c’era una soglia minima in voti o seggi, la seconda perché il ballottaggio tra le prime due liste era una distorsione non giustificata. Ebbene, apparentemente nel Rosatellum non c’è premio di maggioranza, ma grazie al voto congiunto obbligatorio a pena di nullità tra seggi uninominali maggioritari e liste proporzionali a una coalizione non serve nemmeno raggiungere il 40% dei voti validi per avere il 55% dei seggi, ma con il 30-35% omogeneamente distribuito si può conquistare la maggioranza assoluta del parlamento in seduta comune, l’organo che con 58 delegati regionali aggiuntivi elegge il presidente della Repubblica e lo può mettere in stato d’accusa.
Tra il 22 gennaio 2022 e il 21 dicembre 2024 scadono otto giudici costituzionali, la maggioranza assoluta del collegio di 15 giudici. Degli 8 giudici, Giancarlo Coraggio, Giuliano Amato, Silvana Sciarra, Daria de Pretis, Nicolò Zanon, Franco Modugno, Augusto Antonio Barbera e Giulio Prosperetti, uno solo è di nomina della magistratura: tre sono di nomina del prossimo presidente della Repubblica e quattro del parlamento in seduta comune, sia che sia eletto per il quinquennio 2022-’27 o 2023-’28. Se il presidente della Repubblica e la futura maggioranza parlamentare fossero politicamente omogenei, non ci sarebbero più organi di garanzia indipendenti.
La battaglia per una nuova legge elettorale è quindi prioritaria, ma questa elementare verità non viene percepita. Senza mobilitazione politica e delle coscienze democratiche i migliori ricorsi non scuoteranno i giudici e la loro sensibilità costituzionale.
Il governo Draghi non è responsabile della legge elettorali, quindi dovrebbe decidere di orientare l’avvocatura dello Stato con indicazioni diverse dall’opposizione ad oltranza al rinvio in Corte costituzionale che diedero i governi Renzi, Gentiloni e Conte.
C’è un’esigenza di trasparenza nei confronti dei cittadini, cioè del popolo sovrano.
mercoledì 15 dicembre 2021
martedì 14 dicembre 2021
Franco Astengo: No al presidenzialismo
NO AL PRESIDENZIALISMO : PROGETTUALITA' CONTRO RAPPRESENTAZIONE di Franco Astengo
Proprio alla vigilia dell’elezione parlamentare del Presidente della Repubblica è improvvisamente decollata nel dibattito pubblico la discussione sulla forma di governo.
Il partito neo-fascista (auto dichiaratosi “conservatore”) ha lanciato senza mezzi termini l’idea dell’elezione del Capo dello Stato da parte del corpo elettorale con lo scopo dichiarato di abbandonare quella che è stata definita la “palude parlamentare”.
“Repubblica” ha immediatamente corrisposto all’input ricevuto pubblicando l’esito di un sondaggio che assegna il 74% ai favorevoli dell’ipotesi presidenzialista.
Prima di tutto , per inciso,va fatto notare che la percentuale dei contrari (all’incirca il 22%, mentre il 4% non si è pronunciato) più o meno corrisponde alla percentuale che nel 1993 si oppose ,nel referendum del 18 aprile, alla proposta del maggioritario e, ancora, nel 2020 rifiutò l’ipotesi di riduzione del numero dei parlamentari: si può quindi affermare che, nella sostanza, la forma parlamentare disegnata dalla Costituzione sia stata difesa (in passato) e sia difesa (al presente) da una minoranza che non sarebbe sbagliato definire comunque come “consapevole”.
Tornando al filo principale di questo discorso è necessario cercare di approfondire un tema molto delicato cercando di entrare nel merito delle trasformazioni avvenute nel corso degli anni nel sistema politico e nella percezione da parte dell’opinione pubblica delle diverse dinamiche via via intervenute.
Da diverso tempo si notano chiari segnali di mutamento nei rapporti che legano la Comunità all’Autorità Politica.
Questi cambiamenti non sono stati però diretti nel segno atteso e da molti auspicato di una partecipazione politica più informata, più consapevole e meno vincolata a logiche di clientela.
Al contrario, un tasso significativo di apatia nel confronti della politica è rimasto un carattere costante, anche quando sono stati proclamati intenti di grande trasformazione.
Nel frattempo è costantemente diminuita la partecipazione al voto, ben oltre la dinamica dell'allineamento al trend delle cosiddette "democrazie mature".
Nei decenni trascorsi si sono registrati fenomeni di coinvolgimento innovativi, dai referendum (2006, 2016) a quelle manifestazioni di varia natura che hanno dato origine all’esperimento tentato dal M5S, giornalisticamente definito come “antipolitica”, che dopo aver raccolto una grande messe di consensi è miseramente naufragato nell’allineamento alla conservazione dello “status” raggiunto dai singoli e nell’ulteriore incremento della disaffezione fornendo una ben misera prova di sostanziale “gattopardismo”.
Nel frattempo le forme di mobilitazione successive a quelle degli anni della guerra fredda, e quindi non direttamente riconducibili allo scontro tra quelli che furono i partiti tradizionali ( compresi nell’arco costituzionale ma divisi dalla “conventio ad excludendum”) hanno avuto un impatto comparativamente assai inferiore rispetto alle precedenti, pur diventando rilevanti nell’orientare politicamente alcune significative minoranze di italiani (come nel caso della “prima” Lega Nord).
Inoltre l’associazione tra appartenenza sociale e occupazionale e comportamento politico oggi è meno rilevante soprattutto dalla parte dei settori più deboli della società di cui fanno parte, dentro ad emergenti fenomeni di precarizzazione e di impoverimento generale, gli immigrati.
Intanto l’impatto dell’innovazione tecnologica sul mutamento delle forme di lavoro e la crescita esponenziale della precarietà nelle sua diverse articolazioni hanno reso più difficile e complessa l’individuazione delle “fratture” derivanti dalle diverse forme di sfruttamento che si presentano nella “modernità” e che agiscono direttamente nel determinare una sorta di “sfibramento sociale”.
Si tratta di fenomenologie che ampliano lo spettro delle distinzioni di classe e si trovano raccolte all’interno di elementi di assoluta prevalenza da parte dei mezzi di comunicazione di massa e dei social media nella formazione dell’opinione pubblica,
Una egemonia del virtuale ormai arrivata al punto tale da rendere quasi trascurabile l’appartenenza di tipo ideologico a favore di un’opinione fuggevole e mutante sottoposta fortemente alla pressione dell’immediatezza dello “scambio politico”.
In questo quadro la “capacità di custodia delle porte del sistema politico” (il gate-keeping nella terminologia politologica) dei partiti e delle élite politiche appare strutturalmente indebolita.
Si sono così fatti strada fenomeni di verticalizzazione delle istituzioni di governo e di maggiore visibilità degli attori – chiave dei processi decisionali.
E’ emerso il “fattore leaderizzazione”, ovvero la tesi che lega la stabilità politica di un sistema alla capacità di comunicazione mediatica e al gradimento di un leader costantemente alle prese con le valutazioni del pubblico in quella che molti studiosi hanno identificato come “campagna elettorale permanente”.
Tale fenomeno viene anche definito come “presidenzializzazione della democrazia” quando l’oggetto di questa particolare attenzione del pubblico si restringe ai capi degli esecutivi nazionali.
Se allora vogliamo limitare l’analisi al tipo di proposta di elezione diretta del Presidente della Repubblica così come questa è stata avanzata nel quadro specifico del sistema politico italiano si tratta, prima di tutto, di valutare quanto l’enfasi sulla figura e sul valore aggiunto garantito da un dato leader debba necessariamente rappresentare una componente decisiva del rapporto tra pubblico e politica anche oltre il momento elettorale.
Deve essere chiaro che per superare questo elemento della “campagna elettorale permanente” l’idea presidenzialista contempla oggettivamente proprio l’idea di abbandonare la “palude parlamentare” con un conseguente stravolgimento dell’impianto costituzionale e uno spostamento secco del ruolo delle istituzioni verso forme dirette (appunto non parlamentari) di “decisionalità” (bonapartismo, cesarismo, passaggio definitivo dalla "politica del pubblico" alla spettacolarizzazione della "democrazia recitativa" ?).
Dalla fine della guerra fredda in avanti abbiamo registrato il tramonto dell’ipotesi bipolare e, successivamente, anche quella di un ritorno alla “teoria dei due forni” rielaborata attraverso la formazione di due governi avvenuta nel corso della XVIII legislatura avendo assunto il M5S , in maniera del tutto inadeguata, il ruolo di “partito pivotale”: il risultato è stato quello di un’assunzione di “primato esecutivo” della tecnica con la conseguente emersione di una larga sfiducia verso la delega partitica.
Gli elettori “telespettatori” guardano alle persone piuttosto che ai partiti come organizzazioni e hanno imparato ad utilizzare gli strumenti di comunicazione politica, trasformando le modalità di partecipazione ed esponendosi nella campagna elettorale permanente con fette dell’opinione pubblica che subisce influssi emotivi post-razionali come si è dimostrato nel corso dell’emergenza sanitaria.
Si tratta di elementi di allineamento con i trend conosciuti su scala globale: ma non si debbono dimenticare le caratteristiche originarie del sistema italiano e la complessità dell’attuale competizione politica.
Il sistema politico italiano presenta, infatti, una propria specifica articolazione che ha comunque pesato anche nella fase di trasformazione della “democrazia del pubblico”.
Le difficoltà che si incontrano nella messa a punto anche degli strumenti più semplici di regolazione dei rapporti tra economia, media e politica ben rappresentano l’evidenza più nitida della specificità del “caso italiano”.
L’opposizione al progetto di istituzionalizzare il fenomeno della leaderizzazione attraverso l’avvento della formula di elezione diretta del Presidente della Repubblica deve allora tener conto di questi elementi di complessità.
Non è sufficiente agire all’insegna dello slogan “Difendere la Costituzione”, che pure deve essere mantenuto con chiarezza.
Occorre tenere salda un’idea di sistema politico che affermi l’istituto parlamentare come centrale degli equilibri decisionali ( voto di fiducia all’esecutivo, elezione parlamentare del Presidente della Repubblica, limitazione dell’intervento legislativo su iniziativa del Governo, statuti dell’opposizione, sistema elettorale proporzionale).
Per muoversi nella direzione di un efficace contrasto verso l'ipotesi presidenzialista sarà però necessario rilanciare e ridefinire il ruolo dei partiti, che rimangono il soggetto decisivo per mantenere la centralità del Parlamento.
E’ ormai superata la fase che aveva mostrato partiti impegnati per lo più nella difesa statica della propria identità ideologica, ma non necessariamente decisivi nello svolgimento delle politiche pubbliche.
Veri e propri “sconvolgimenti di sistema” (cessione di sovranità dello “Stato – Nazione”, mutamenti profondi nell’identità sociale, utilizzo delle nuove tecnologie) hanno causato una caduta di riconoscibilità con una conseguente perdita di capacità di rappresentanza.
Oggi per contrastare ed evitare una torsione autoritaria serve far ritornare il soggetto collettivo organizzato ad una funzione di dinamico innovatore di policy.
Occorre che i partiti sappiano ritrovare la capacità di un “esercizio della critica” e di una "progettualità sistemica" rispetto alle difficoltà delle nuove tematiche tecnologiche, ai temi eticamente sensibili, , all’impatto dell’interdipendenza economica.
Le organizzazioni politiche debbono tornare a fornire di nuovo le “armi della critica” e della "progettualità di sistema" rispetto all’attenzione crescente verso i media e nei confronti dell’attuazione e della valutazione dei processi decisionali.
Il punto di riaffermazione del sistema parlamentare passa attraverso una sconfitta dell’idea presidenzialista di cui va posta in discussione una visione "semplificatoria" dell’azione politica da esercitarsi attraverso forme non collaudate di interazione sociale.
I partiti debbono saper intendersi quali espressioni di nuova capacità di funzionare come soggetti di integrazione di massa , di pedagogia politica, di visione e di progetto ricostruendo così senso di appartenenza e identità.
domenica 12 dicembre 2021
sabato 11 dicembre 2021
venerdì 10 dicembre 2021
L’Irpef 2022 e l’ira dei sindacati – Lavoce.info
L’Irpef 2022 e l’ira dei sindacati – Lavoce.info: La manovra di bilancio per il 2022 conterrà novità di rilievo per quanto riguarda la struttura dell’Irpef.C’è ancora incertezza sulla struttura definitiva che verrà presentata in Parlamento, ma i tratti salienti della proposta, che ha suscitato la reazione dei sindacati e contribuito alla decisione di CGIL e UIL di annunciare uno sciopero generale, sembrano ormai chiari.
Paolo Bagnoli: Sulla sinistra italiana
Sulla sinistra italiana
Una riflessione
critico-politica
Ragionando su PSI e PCI. Riportiamo qui di seguito ampi stralci dell’articolo del prof. Bagnoli “Sulla sinistra italiana: una riflessione critico-politica. Ragionando su PSI e PCI”, apparso sull’ultimo numero della rivista Infiniti Mondi, alla cui lettura qui rinviamo.
di Paolo Bagnoli
A oltre sei lustri dalla scomparsa dei partiti storici e della sinistra dalla scena politica italiana, nonostante la non poca letteratura prodotta sulla materia, occorre osservare come la questione della sinistra vada reimpostata. Non si tratta di un’esigenza esclusivamente storica, ma precipuamente politica se si ritiene, come noi riteniamo, che la storia della sinistra italiana non appartenga al passato, ma alla politica nel senso che la sua vicenda costituisce, o dovrebbe costituire, l’elemento di avvio di una riflessione propedeutica al reinsediamento della medesima nell’Italia del presente; in qualche modo ripartendo da zero rispetto ai travagli del passato i quali, tuttavia, non possono essere messi da parte se l’intenzione dell’operazione ha un segno positivo considerato che la storia ha emesso il proprio giudizio e dove sono gli errori, le occasioni mancate, le cose giuste è risaputo. Tutto ciò, evidentemente, non può essere dimenticato e non si può far finta che non ci sia, ma se oggi l’Italia è l’unico Paese europeo in cui non vi è traccia di una sinistra degna di questo nome, una ragione ci sarà. Se si ritiene il fatto non solo un’anomalia temporanea per quanto lungo il periodo possa essere, ma un qualcosa che oramai, non da oggi, rasenta il rischio della rimozione concettuale e storica, allora il taglio delle riflessioni deve cambiare poiché, se la politica politicata può scontare senza scandalo alcuni equivoci e pure contraddizioni, non può essere così per la cultura politica e la dimensione storico-ideologica cui essa si lega. È questo il nodo che va prima riproposto e poi sciolto. Non si tratta di una questione semplice in quanto il suo scioglimento non può puntare a riproporre la situazione di un tempo. Essa, al totale della storia, si è dimostrata fallimentare poiché oggi la sinistra in Italia non c’è – va osservato, peraltro, che anche nel resto d’Europa la crisi della sinistra è assai forte scontando la subordinazione alle politiche liberiste che, basandosi sul “singolo” e sul “mercato”, si collocano contro natura rispetto al socialismo – al di là dei meriti dei suoi protagonisti e delle sue lotte, che pure ci sono nonostante i macroscopici errori che sappiamo, anche perché reimpostare la sinistra nella fattualità del Paese significa concepirla in maniera unitaria che è poi, quando rinascerà, l’unico modo per cui possa essere. Qui si pone la prima questione.
Da tempo si spaccia per sinistra ciò che sinistra non è in virtù di una dinamica elementare per cui chi si contrappone alla destra non può che essere sinistra; ma così non è. Inoltre, come se ciò non bastasse si omologa sinistra e centrosinistra, che sono due concetti diversi; il primo storico-ideologico, il secondo squisitamente politico, ossia una formula, ma la confusione e la pertinacia nel continuare nell’equivoco è talmente forte che chi non può dirsi di sinistra – e non c’è niente di male – ma si colloca nel centrosinistra diviene, per una proprietà transitiva astrusa, ipso facto di sinistra. La conseguenza, paradossale, è che allora in Italia una sinistra c’è e, se c’è, non c’è bisogno di porsi la questione, ma di sostenere quanto esiste. Insomma, una confusione che, impossessandoci a uso strumentale di una definizione di Antonio Labriola, richiede una “delucidazione preliminare”. Cosa si deve intendere, infatti, per sinistra? Dal momento che di esse, quali tendenze all’interno delle più varie formazioni politiche, ne esistono molte, qualcuno potrebbe dire che ne abbiamo talmente tante che bastano e avanzano. La sinistra, quella vera, quale categoria politico-culturale-sociale della storia del mondo è quella che connota la storia del movimento operaio e delle forze che l’hanno organizzato e rappresentato; del mondo di valori cui hanno improntato le loro lotte per l’emancipazione sociale, la giustizia, il riscatto dell’uomo alla propria dignità e a una vita che meriti di essere vissuta. E se la classe operaia non è più la classe generale non con questo sono venuti meno il lavoro subordinato, i salariati, lo sfruttamento, l’esigenza di una società più giusta nella quale non siano negati i diritti fondamentali al lavoro, alla salute, all’istruzione, a una società non fatta solo per le categorie più forti; insomma, la sinistra è rappresentata e simbolizzata da quelle forze che non hanno abbandonato la lotta di classe per una società più umana e più equa. Ancora oggi e lo sarà sempre, la sinistra è quanto eredita, rappresenta e continua la cultura del movimento operaio; una cultura categoriale considerati i cambiamenti avvenuti e il continuo mutare del mondo del lavoro che, se non governato, crea sostanziali arretramenti civili, ampliando i solchi sociali della moderna società con la conseguenza che i ricchi saranno sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri; i primi sempre meno e controllanti ingenti ricchezze e i secondi sempre di più con sempre meno diritti e opportunità. Il mondo del lavoro non è scomparso, esiste e chiede di essere organizzato e indirizzato. Ciò non può farlo che un grande soggetto “socialista” se non vogliamo che la Lega prenda i voti degli operai e il sottoproletariato voti a destra e magari, chi si qualifica di sinistra, riceva quelli dei benestanti. Ci rendiamo conto che può apparire un discorso del tempo andato, sorpassato; ma così non è. Ciò per mettere a fuoco cosa si debba intendere per sinistra; nella storia italiana la sinistra era articolata in due forze: il PSI e il PCI. Le loro storie sono ben note e, quest’anno, ricorrendo il centenario del congresso di Livorno che vede la scissione da cui nasce quello che sarà il PCI essa è stata ricordata, ricostruita e commentata in lungo e largo. Livorno segna la fine del PSI come la forza rappresentante il movimento operaio italiano; l’unico soggetto socialista e le ragioni della rottura nel corso di tutti gli anni che seguiranno, anche in quelli che, sia durante la lotta antifascista che dopo la nascita della Repubblica, vedranno i due partiti attestati su un fronte unitario, nonostante tutti i cambiamenti intervenuti sia nel troncone comunista che in quello socialista, verranno mai risolte e la sinistra cristallizzata in socialisti e comunisti non riuscirà mai ad avere una intenzione di unità politica che, pur ferme la diversità culturale e la motivazione storica, li vedano promotori di un ‘iniziativa unitaria per il governo del Paese. Non solo, ma se le questioni politiche risultano irrisolvibili quando esse divengono questioni culturali anche quando queste ultime, pur con forzature oggi incomprensibili se si pensa alla natura del PSI, non avevano un peso rilevante e il Partito socialista è nettamente quanto poco comprensibilmente allineato alla politica sovietica, sul piano più squisitamente politico un’univoca strategia politica unitaria non ci sembra riscontrabile se si eccettua il Fronte Democratico Popolare del 1948 che, più dei comunisti, Pietro Nenni volle portando il Partito a pagare un prezzo dal quale, a ben vedere, non si è più ripreso. Con ciò le forze di classe continuarono in un rapporto unitario nella CGIL, nella Lega delle Cooperative, nel movimento di massa che animava le Case del Popolo nonché in numerose amministrazioni locali, ma ciò non aveva il carattere di un insieme che costruisse un ‘alternativa al potere moderato e alle sue espressioni. Era un dato di fatto, sicuramente significativo, ma non per questo sufficiente a rappresentare un’aspirazione più ampia. Potremmo dire che era una testimonianza più che il pezzo di un più ampio mosaico politico. Ora, le ragioni del perché è così, hanno radici profonde e motivate. La scissione di Livorno aveva provocato un qualcosa di più di una differenziazione organizzativa; aveva calibrato la qualità e la funzione della sinistra sul parametro della rivoluzione d’ottobre; rivoluzione che poi d’ottobre non era poiché il regime autocratico zarista era caduto nel febbraio 1917, con il governo Kerenskij, mentre nell’ottobre c’era stato il colpo di stato che aveva insediato Lenin e i bolscevichi al potere. Un grande evento– non è qui ora il caso di ricostruire seppur brevemente un dibattito e quanto caratterizzò il PSI guidato dalla corrente dei “comunisti unitari” il cui leader era Giacinto Menotti Serrati; due anni dopo confluiranno tutti nel Pcd’I e la differente posizione dei “concentrazionisti unitari” guidati da Filippo Turati che nel 1922, su diktat di Lenin saranno espulsi dando vita al PSU con segretario Giacomo Matteotti – il quale, al di là ed oltre le diverse e spesso contraddittorie posizioni politiche assunte dai comunisti fin dal periodo della lotta al fascismo, nel variare delle posizioni via via assunte, faceva sì che il comunismo italiano, come anche per gli altri partiti comunisti, non solo non poteva concepirsi non legato a Mosca ma quanto, benché la politica sovietica variasse secondo le decisioni di Stalin – compreso il patto Molotov-Von Ribentropp – il fine del comunismo italiano rimanesse il fare come in Russia; che la rivoluzione, se così si può chiamare un colpo di stato che generò lo stalinismo, era e rimaneva lo scopo che motivava l’azione dei vari partiti comunisti. Il non aver mai sciolto tale nodo in maniera chiara, al di là dei passi in avanti e delle progressive prese di posizione condite in salsa occidentale, prese via via dal PCI, ha costituito uno dei motivi che ha reso difficile l’unità politica che sarebbe stata necessaria… [vai al sommario del numero 19/2021 di Infiniti Mondi alla cui lettura qui rinviamo]
giovedì 9 dicembre 2021
mercoledì 8 dicembre 2021
Città metropolitane, la Consulta: "Legge Delrio illegittima. Dopo il fallimento del referendum costituzionale serve un riassetto normativo" - Il Fatto Quotidiano
Franco Astengo: Ragioni e prospettive dello sciopero
RAGIONI E PROSPETTIVA DELLO SCIOPERO di Franco Astengo
Firmando un ottimo articolo, di vera analisi politica, Norma Rangeri (”Il Manifesto” 8 dicembre) realizza una duplice operazione:
1) con grande chiarezza fornisce le motivazioni di fondo della proclamazione dello sciopero generale previsto per il prossimo 16 dicembre. Ragioni che indicano come esista in questo Paese un livello di disagio sociale tale da essere misurato ben oltre un semplice tavolo di trattativa sindacale;
2) altrettanto limpidamente nel testo dell'articolo si indica come, a questo punto, il ruolo del sindacato (segnatamente la CGIL) risulti sostitutivo di “una sinistra capace di rappresentare il suo popolo e di tradurre in progetto di governo le istanze di chi vive solo del proprio lavoro”.
La conclusione dell’articolo poi richiama “al senso di responsabilità di una forza politica, di una forza sociale, di un mezzo di informazione”.
“Il Manifesto” cerca così di riprendersi un’idea di sinistra d’alternativa proponendosi necessariamente come riferimento di una ipotesi di aggregazione utile perché la CGIL non rimanga isolata in questo momento di scontro e nello stesso tempo si realizzi una concreta possibilità di nuova soggettività capace di recuperare il quadro di divisioni e di incertezze che, nel corso degli anni, ci hanno condotto nella marginalità più assoluta.
Potrà apparire banale ma è necessario uscire dal bozzolo politicista e considerare prioritario il recupero di una soggettività.
L’opposizione a questo governo, la riuscita dello sciopero, l’avvio di una forma di riaggregazione socialmente e politicamente unitaria rappresentano i tre tasselli indispensabili per aprire la prospettiva di costruzione di un’alternativa che manca da troppo tempo nel panorama del sistema politico italiano.
martedì 7 dicembre 2021
The Left Should Defend Classical Education
The Left Should Defend Classical Education: The great books aren’t just a collection of “dead white males,” and teaching or reading them isn’t elitist or Eurocentric. On the contrary, they are a treasure that should be made available and accessible to working-class people everywhere.
lunedì 6 dicembre 2021
Franco Astengo: Ricostruire la coscienza di classe
RICOSTRUIRE LA COSCIENZA DI CLASSE di Franco Astengo
Dopodomani, 8 dicembre, la Commissione Europea riconoscerà i rider e i lavoratori delle piattaforme digitali come subordinati.
Quindi dovranno essere assunti all’interno dei confini del lavoro dipendente.
La direttiva, contenuta nel pacchetto lavoro, una volta approvata dal Parlamento e dal Consiglio, diventerà una vera e propria legge alla quale gli Stati Membri dovranno uniformarsi.
Si tratta di una svolta per persone spesso considerate dai giganti dell’economia digitale lavoratori autonomi, retribuiti con paghe minime e senza alcuna tutela.
Si tratta di lavoratori che hanno come “Capo l’algoritmo” (dal libro di De Stefano e Aloisi): l’algoritmo che gestisce il lavoro e punisce quando il rating degli utenti è negativo, oppure ci si rifiuta di lavorare in una certa fascia oraria e, ancora, giudica la velocità del tuo lavoro: a quel punto ti cancella dall’app, ti espelle e non ti fa più lavorare.
Questa non è autonomia.
Anche perché il lavoratore non decide quanto farsi pagare e come lavorare.
Un discorso che non riguarda soltanto la consegna del cibo a domicilio (in grande crescita dopo il lockdown e l’obbligo del green-pass per sedere al ristorante) ma anche il lavoro domestico e quello online come il crowdworking: una vasta platea di lavoratrici e lavoratori se si pensa che, soltanto in Italia, i rider privi di tutele assommano a 1.500.000 persone.
La direttiva della Commissione Europea rappresenta soltanto il primo momento di una lotta politica che dovrebbe essere condotta a livello sovranazionale avendo chiaro la necessità prima di tutto di ricostruire una coscienza di classe.
Lo smarrimento individuale della consapevolezza della propria condizione sociale ha rappresentato il dato saliente nel corso del processo di frantumazione del mondo del lavoro imposto come caratteristica fondativa dell’evoluzione capitalistica verificatasi dall’inizio del XXI secolo poi esplosa con l’evoluzione digitale e la modifica della rete di scambio a livello globale.
Rispetto ai canoni di riferimento dettati dalla storia del movimento operaio occorre essere coscienti delle condizione di arretratezza nella quale si trova buona parte delle forza – lavoro anche qui nell’Occidente “capitalisticamente maturo”.
Un’arretratezza che sta anche alla base della modifica dei rapporti di forza sul piano politico.
Nel corso dei “Trenta gloriosi” (Hobsbawan – Rossanda ) nel momento dell’avvento e dello sviluppo del ciclo taylorista – fordista , della ristrutturazione dell’industria bellica , del ciclo “nazionale” del consumismo di massa si verificò, all’interno dei soggetti rappresentativi della classe, una rielaborazione teorica attraverso la quale fu possibile riconoscere i punti d’attacco sui quale basare una diversa stagione di avanzamento di diritti e di capacità d’iniziativa politica.
Ciò avvenne sia su impulso della socialdemocrazia del Nord Europa sia nei settori sindacali e della sinistra “critica” in Italia, fino a sfociare nel lungo ‘68 italiano (come modello europeo) con l’identificazione delle leve di sviluppo del capitalismo e l’individuazione dell’operaio – massa come soggetto della trasformazione sociale con la conseguente la ripresa della tematica consiliare riconoscendo così l’autonomia politica del lavoro di fabbrica.
Tutto questo si verificò in conclusione di un lungo ciclo di guerra di posizione e di rivoluzione passiva che aveva caratterizzato l’immediato dopoguerra in un quadro (riferito all’Italia) di repressione poliziesca sulle lotte e di vero e proprio “pagamento dell’intero prezzo” da parte della classe operaia dei costi della fase di trasformazione del ciclo produttivo in previsione del “miracolo economico”.
Oggi è necessario comprendere, prima di tutto, la reale condizione che si è verificata di arretramento sul piano dei rapporti di forza e della strategia dei diritti; in secondo luogo debbono essere considerate le difficoltà del sindacato nel riuscire ad esprimere una strategia di lungo periodo con il rischio di corporativizzazione della confederalità; in terzo luogo è emersa da tempo la totale assenza di una soggettività in grado di offrire un quadro complessivo di organizzazione utile al riconoscimento della “classe” con lo sviluppo di una funzione concreta di pedagogia politica.
La prospettiva della ricostruzione della coscienza di classe, attraverso una vera e propria rielaborazione teorica sulla base della quale offrire una adeguata piattaforma di iniziativa di lotta e di rappresentanza appare come la sola frontiera possibile per proporre l'esercizio di un efficace contrasto all’egemonia del potere capitalistico sul lavoro esercitato attraverso imperscrutabili algoritmi (e più avanti con la necessità di recuperare coscienza di ciò che ci riuscirà a imporre l’utilizzo dell’intelligenza artificiale nella sostituzione delle forme tradizionalmente considerate di “lavoro vivo”).
Il capitalismo sta evolvendosi nell’utilizzo delle piattaforme digitale in funzione del perpetuare l’esercizio del proprio dominio: dobbiamo cercare di far capire che dietro di esse ci sono persone in carne e ossa, uomini e donne che hanno diritto alla loro vita.
domenica 5 dicembre 2021
sabato 4 dicembre 2021
venerdì 3 dicembre 2021
giovedì 2 dicembre 2021
mercoledì 1 dicembre 2021
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