Il Circolo Carlo Rosselli è una realtà associativa presente a Milano sin dal 1981. http://www.circolorossellimilano.org/
lunedì 30 novembre 2020
domenica 29 novembre 2020
sabato 28 novembre 2020
venerdì 27 novembre 2020
"L’EUROPA E LO STATO DI DIRITTO"
"L’EUROPA E LO STATO DI DIRITTO": Lunedì 16 novembre, nel corso della riunione dei rappresentanti permanenti degli Stati membri dell’UE (Coreper), è accaduto quel che da settimane si temeva: gli ambasciatori ungherese e polacco hanno posto il veto sul bilancio pluriennale dell’Unione 2021-2027 e, allo stesso tempo, hanno bloccato l’erogazione dei fondi del Recovery Fund – EU Next Generation.La ragione di questo comportamento da parte dei due paesi sta nella volontà dell’Unione europea di vincolare l’accesso ai fondi strutturali al rispetto nei paesi che ne sono destinatari dei principi dello Stato di diritto come la separazione dei poteri, la libertà d’azione della magistratura e la presenza di una stampa libera e indipendente.Da anni, infatti, si moltiplicano gli allarmi riguardo a un progressivo restringimento degli spazi di libertà in quei paesi. Già molto tempo fa, su queste stesse pagine, ci eravamo soffermati sulle conclusioni del rapporto redatto dall’eurodeputata olandese Judith Sargentini che elencava nel dettaglio le reiterate violazioni compiute dai governi di Viktor Orban a danno del sistema di garanzie costituzionali dell’Ungheria. Più o meno la stessa identica cosa è avvenuta in Polonia dove il govern
giovedì 26 novembre 2020
Roberto Biscardini: Liste socialiste per l'unità socialista
LISTE SOCIALISTE PER L’UNITÀ SOCIALISTA di Roberto Biscardini
Con un po’ di ritardo commento l’articolo che Pieraldo Ciucchi qualche settimana fa ha dedicato ai risultati conseguiti dal Psi alle elezioni regionali del 20 e 21 settembre scorso.
Articolo che condivido nell’analisi, nella generosità degli intenti e nella prospettiva politica delineata per l’immediato futuro.
Sintesi: il risultato elettorale del Psi è incoraggiante soprattutto là dove il Partito Socialista si è presentato con la propria lista o dentro una prospettiva politica più marcatamente autonoma: Campania, Puglia, non sottovalutando l’esperimento di Matera.
Parallelamente, la debolezza che l’attuale gruppo dirigente del Psi eredita dalla gestione precedente è contrassegnata dall’incapacità di presentare liste proprie in alcune regioni e persino dall’insuccesso delle liste nelle quali si è presentato in alleanza con altre formazioni politiche. E’ il caso emblematico della Toscana, ma anche deludente della Liguria, del Veneto e delle Marche.
A ciò si è aggiunta la difficoltà del Psi di presentare proprie liste a livello comunale, nei comuni al di sopra dei 15.000 abitanti.
Quindi, il partito non elegge pressoché nessuno pensando di continuare a sopravvivere presentando i propri candidati nelle liste altrui (là dove non ha la forza né di presentare proprie liste né di avere le preferenze necessarie per eleggere un proprio candidato).
Tenendo conto della difficoltà di presentare proprie liste nella maggioranza dei Comuni e delle Regioni d’Italia, può solo pensare di diventare lui per primo il promotore di processi unitari e di ricostruzione di comunità socialiste, con l’obiettivo preciso e prioritario di presentare liste espressione di un socialismo largo.
Liste capaci di interpretare un bisogno sociale diffuso, rapportandosi, pur nella situazione difficile, ai mondi vitali del lavoro, della scuola e della sicurezza sociale e a quanti sono socialisti, senza saperlo e senza ammetterlo.
Il Psi può recuperare una propria rilevanza politica diventando soggetto unificante, assumendo con grande generosità il ruolo di federatore e con grande umiltà lasciandosi federare da tutte quelle realtà di natura socialista che nel corso degli anni hanno retto fuori dall’organizzazione politica del partito.
E’ dentro questo doppio binario che il Psi può ricostruire una propria credibilità.
Può ritornare ad essere riconoscibile presso gli elettori e può ritornare ad essere “utile”, dimostrando così di esistere, riaffermando con orgoglio la propria identità e la propria storia.
In fondo, abbiamo un unico vero punto di vantaggio rispetto agli altri, perché nel bene o nel male i socialisti italiani a livello nazionale e locale, non possono essere ritenuti responsabili del disastro politico che si è consumato in questi ultimi venticinque anni.
Non hanno la responsabilità di aver governato come hanno fatto gli altri, senza identità e senza visione, lasciando invadere alla destra il campo della sinistra. Lasciando che ogni politica fosse subalterna ai poteri economici più forti, lasciando che le politiche sociali ed economiche producessero diseguaglianze ormai non più sopportabili.
La paura di ammalarsi (che non era degli italiani prima di questa fase) e la paura di impoverire fino ad arrivare ad un livello tale di indigenza. Senza mezzi di sostentamento e con lo spettro della miseria. Un grave danno dal punto di vista economico che incide sulla dignità delle persone e delle famiglie. Contemporaneamente il cittadino si sente abbandonato dallo Stato a fronte di una politica debole e incapace.
Il socialismo non può ammettere questo stato di cose.
Deve reagire e deve porsi come problema prioritario quello di ritornare nelle istituzioni, non con l’obiettivo di occupare qualche posto ma, come è sempre stato nelle migliori tradizioni del socialismo italiano ed europeo, per ricercare nelle istituzioni le modalità migliori per tradurre concretamente, nell’amministrazione delle città e nelle strutture dello Stato, quei contenuti ideali e quei valori per i quali ci siamo battuti noi e i nostri padri. Per realizzare quelle riforme e quei cambiamenti che abbiamo il dovere di perseguire per il fatto di essere socialisti, per non tradire il mandato e per non tradire ciò in cui crediamo.
Presentare liste socialiste nelle elezioni del 2021, in primo luogo a Milano, Torino, Roma e Napoli così come in molti altri Comuni, è l’unica prova significativa che possiamo tutti insieme mettere in campo oggi, senza il cui obiettivo molte parole pur giuste e appropriate rischiano di non avere più alcun senso.
Il Psi e tutti coloro già pronti generosamente a lavorare insieme, possono fare ciò che non si è fatto in venticinque anni.
Chiamare circoli, associazioni, testate di giornali grandi e piccoli, cittadini, personalità, giovani ed anziani a costruire questo nuovo progetto: ridare al paese una forza socialista partendo proprio dalla presentazione di liste socialiste unitarie.
Il processo inverso si è dimostrato impossibile.
mercoledì 25 novembre 2020
Caro Sindaco Sala, la sanità lombarda è tutta da rifare: ecco come - Diritti GlobaliDiritti Globali | il sito di SocietàINformazione Onlus e del Rapporto sui diritti globali
Paolo Borioni-Domenico Romano: Salari, classe media e sindacati: la sfida di Biden deve essere radicale - Strisciarossa
Salari, classe media e sindacati: la sfida di Biden deve essere radicale - Strisciarossa: Alle ultime elezioni Biden ha recuperato parte del voto delle classi medie bianche. Ma per spezzare il legame col trumpismo occorrono riforme radicali.
martedì 24 novembre 2020
Alessandro Pollio Salimbeni: Usa, Biden e tutti noi: adesso dobbiamo guardare alla agenda concreta. Dopo le follie di Trump ci sono novità per lo scenario globale? – ControPiede
lunedì 23 novembre 2020
domenica 22 novembre 2020
USA. Come sta la sinistra dopo le elezioni?
USA. Come sta la sinistra dopo le elezioni?: di Davide Lovisolo -- Negli Stati Uniti la salute della sinistra radicale dopo l’esito elettorale non è gran che buona. Le formazioni progressiste e socialiste, superata la delusione per la sconfitta di Sanders nelle primarie, si sono impegnate a sostegno di Biden. Ma oggi sono in difficoltà nell'organizzare mobilitazione sul territorio e un’efficace pressione dal basso sull'Amministrazione Biden.
Felice Besostri: Una risposta a Franco Lotito e Rino Formica
Una risposta a Franco Lotito e Rino Formica
I destini politici, come le strade son destinati ad incrociarsi, se, quale che sia il punto di partenza vi sia un punto d'arrivo in comune. Le vecchie strade dei pellegrini ne sono l'esempio. A partire da quella per Santiago de Compostela, dove sarebbe il corpo dell'apostolo Giacomo il Maggiore o per stare in italia la Francigena o la Romea. Ci sono anche esempi non religiosi come le vie delle transumanze, nazionali o transnazionali come quelle tracciate nei Balcani dagli Aromani, un popolo senza Stato, che non ha mai voluto, o quelli tracciati dai costruttori di orologi a cucù della Selva Nera, gli Uhrenträger, per vendere i loro prodotti in Europa. Tuttavia le analogie, che son spesso ingannevoli finiscono qua: un pellegrino sapeva dove arrivare, ma il suo era uno spostamento nello spazio, anche se poteva durare mesi, se non anni. Franco e Rno li ho conosciuti nel mio percorso da socialista, un tempi e modi diversi, anche in contesti politici diversi con lo scioglimento., quasi una liquefazione, del PSI. il viaggio verso la società socialista è un viaggio soprattutto nel tempo dove si incrociano passato, presente e futuro e il punto di arrivo non è un luogo, ma un'idea di società diversa, da quella di cui viviamo, più libera e più giusta. Alla fine del XIX° secolo si sapeva cosa fosse e in cosa consistesse, semmai ci si divideva su come arrivarci, con quale tipo di lotta politica. Paradossalmente il successo della conquista del potere politico con gli strumenti della democrazia o delle rivoluzioni, ha complicato e confuso le idee, perché le conquiste sociali per via parlamentare sono state rese possibili dallo sfruttamento imperialista e colonialista del resto del mondo e la conquista del potere politico con la rivoluzione hanno prodotto una nuova classe e una soppressione delle libertà. Insieme con le speranze sono venute meno le illusioni che fosse possibile un miglioramento progressivo e lineare, e che i sacrifici di oggi erano solo temporanei, contingenti, ma necessari. Non avrebbero impedito albe radiose, " les lendemains qui chantent" o il sorgere del tradizionale sole dell'avvenire. Infatti, persino nei paesi, culla della socialdemocrazia più avanzata c'è stata la strage dei giovani socialisti a Utøya e la conquista del potere della destra e dove c'era "il socialismo realmente esistente" la vittoria di un capitalismo selvaggio, e dei peggiori "ismi" (nazionalismi, clericalismi, autoritarismi: Polonia e Ungheria: bastano come esempio?). L'abolizione della proprietà privata non aveva comportato una maggiore preservazione dell'ambiente e delle risorse naturali e l'uguaglianza garantita in tutte le costituzioni democratiche, che crescessero le diseguaglianze economiche e sociali, aumentate con le crisi finanziarie e la pandemia. Si voleva estendere la democrazia, invece, siamo al punto che, già la sua pura e semplice salvaguardia è una necessità ,e il successo non è sicuro, forse nemmeno possibile, nel quadro nazionale e statuale, in cui la democrazia e le leggi sociali, si sono contestualmente estese e consolidate. Una volta i nemici erano forti e potenti, ma nazionali o stranieri, espressione delle potenze imperialiste e colonialiste, ci si poteva opporre, perché identificabili. Le multinazionali e i giganti del web, a mio avviso, non si identificano con lo straniero con le sue bandiere, inni nazionali e i suoi eserciti, anche se hanno il centro di comando in uno Stato. Nella loro azione per trarre, comunque, profitti, conquistare mercati e controllo dell'informazione non si distinguono se a capo c'è un cittadino statunitense, russo, saudita, brasiliano o cinese e se personalmente il capo persegua l'arricchimento personale o sia un benefattore compassionevole o un mecenate delle arti. Tutti non vogliono controlli in assoluto, men che meno da parte di autorità democraticamente legittimate, e last but not least non pagare tasse sui loro profitti, quindi far pagare i costi al popolo, cioè al resto dell'umanità o con la riduzione delle garanzie sociali o mantenendo elevata la pressione fiscale tradizionale sui beni visibili e i consumi. Si crea ricchezza finanziaria anche senza vendere prodotti, con bolle speculative, che periodicamente tosano i risparmi, spesso di una vita.
La denuncia delle condizioni di vita e dello sfruttamento o di fatti repressivi sono stato un fattore di motivazione forte per il socialismo, pensiamo su piani diversi a "La situazione della classe operaia in Inghilterra" di Federico Engels o a "Germinal" di Emile Zola. Ora non basta più, come i profughi morti affogati nel Mediterranei, anche se bambini di pochi mesi, o arenati su una spiaggia di un'isola greca, a influire sull'opinione pubblica e sui suoi comportamenti elettorali. Bisogna saper indicare una via d'uscita praticabile e le nostalgie non servono, nemmeno quelle di un futuro, che ci eravamo immaginati e che sembrava a portata di mano. i partiti, in cui ci siamo formati, pieni di difetti, ma comunque meglio di quelli esistenti, non ci sono più, ma soprattutto non possono tornare. Per questo concordo con Formica essere nella società e nelle lotte concrete, se non come protagonisti almeno come attenti ascoltatori, conoscere almeno cosa si sta muovendo in movimenti, come quelli ambientali e nel resto del mondo come negli Stati Uniti con un riferimento al socialismo assolutamente estraneo alle loro tradizioni politiche, con l'intelligenza dello studioso del proprio intorno e la determinazione dettata daI propri valori. E' un progetto che deve coinvolgere tutti, quale che sia la nostra origine e matrice culturale e politica, perché è più importante chiarire dove si voglia andare insieme, piuttosto che da dove si viene. Quando ho parlato, non da solo, di dialogo Gramsci Matteotti, non ignoravo la totale incomprensione tra di loro, ben rappresentata dalla sprezzante e ingiusta definizione di " Cavaliere del nulla":un giudizio non condiviso da un comunista come Terracini. Li ho presi a simbolo di una sinistra sconfitta dal fascismo, di cui sono state vittime, Matteotti assassinato a 39 anni e Gramsci lasciato morire 46. La sinistra storica, socialista e comunista, non sono un'alternativa credibile in Europa, il continente in cui sono nate. Come nel 1892 si tratta di fondarne una nuova, larga, plurale ed inclusiva e senza l'ascolto e la conoscenza della nostra società e l'opposizione intransigente alle sue ingiustizie non è possibile. Ognuno faccia la sua parte.
Felice Besostri
sabato 21 novembre 2020
venerdì 20 novembre 2020
Economics in a Post-Pandemic World by Paola Subacchi - Project Syndicate
Economics in a Post-Pandemic World by Paola Subacchi - Project Syndicate: As the policy failures of recent decades have shown, navigating the intersection of economic theory and practice is never easy, especially when powerful and wealthy interests are involved. The task for economists, then, is to debate not just economics but political economy, and their own place in it.
giovedì 19 novembre 2020
mercoledì 18 novembre 2020
Franco Astengo: Unione europea
UNIONE EUROPEA di Franco Astengo
In un articolo di Marco Bascetta, pubblicato dal Manifesto il 18 novembre, sotto il titolo “I Trattati dell’UE colpevolmente ostaggio dei sovranismi nazionali” colpiscono due passaggi, per altro evidenziati per estratto nell'impaginato del giornale.
Il primo passaggio recita: “E’ stata un’illusione pensare che le fallite democrazie popolari, dopo lo sgretolamento del campo sovietico, non potessero che seguire per filo e per segno il modello occidentale”.
Il secondo passaggio: “Finché l’approvazione del bilancio europeo o di misure eccezionali come il Recovery Fund richiederanno un voto unanime il problema resterà insolubile”.
Le due questioni evocate da Bascetta risultano strettamente connesse a partire dalla questione dei Trattati.
La costruzione europea (nata, è bene ricordarlo come propaggine della NATO) almeno da Maastricht all’adozione della moneta unica e via via a seguire (con il fallimento del trattato di Nizza), è risultata il frutto di una impostazione politica ben precisa,quella impressa dai politologi conservatori USA cui tutti più o meno si sono allineati.
L’impostazione era quella che la caduta del muro di Berlino rappresentasse la “fine della storia”, teoria elaborata da Francis Fukuyama allo scopo di rappresentare un presupposto filosofico al trionfo del liberismo della scuola di Chicago e all’allineamento alle teorie di Von Hajek.
Su queste basi è avvenuto l’allargamento a Est dell’Unione nella convinzione che:
1) Ormai gli USA funzionassero irreversibilmente da unica superpotenza e da “gendarme del mondo”;
2) l’Est post – sovietico rappresentasse una sorta di “prateria del mercato” nella quale scorrazzare importando individualismo competitivo, società impostata su abbandono del welfare e superflui consumi indotti, presunta democrazia di tipo “recitativo”, privatizzazione selvaggia di fonti energetiche e di strutture militari di fondamentale importanza.
Vado per le spicce: né la socialdemocrazia europea (già in piena crisi) né il comunismo italiano (pronto a confondersi con il “crollo” in nome dello sblocco del sistema politico e della vocazione governista) furono in grado di proporre un modello alternativo all’imperio liberista.
Il resto è storia che si sta riproducendo in una fase molto particolare nel corso della quale lo spostamento d’asse della globalizzazione verificatosi con la pandemia ha assunto le vesti di una complessità multipolare che non sarà certamente riequilibrato dalla vittoria democratica negli USA: riprendo Oliver Zajec da “Le monde diplomatique” “Gli equilibri strategici globali, tuttavia, non sono più determinati dall’identità dell’inquilino della Casa Bianca e dalle scelte diplomatiche statunitensi”.
Per dirla in soldoni: sarà difficile poter pensare di rimettere sui binari la complicata situazione europea con la semplice riapertura del “ciclo atlantico”, così come molti stanno credendo.
Non è sufficiente pensare a uno schema di nuovo bipolarismo: USA versus Cina/Russia dove il 5G costituirà l’oggetto del contendere e l’Europa compirà atto di schieramento come ai tempi di De Gasperi, Monnet e Adenauer.
Servirebbe, invece,fornire un’idea di modello economico – sociale alternativo.
Non basterà comunque sollevare la “questione ecologica” (pur fondamentale) e la democratizzazione dell’espansione digitale.
Il complesso di contraddizioni in atto deve essere affrontato per intero in una coraggiosa opera di aggiornamento e di rielaborazione.
Si sono perse le tracce di una “volontà alternativa” con la sparizione di soggetti politici “nazionali” (il processo di cessione di sovranità dello “Stato – Nazione” si è sicuramente rallentato) capaci di declinare una identità transnazionale in termini di moderna “internazionalità”.
L’UE del “deficit democratico” non è soltanto subalterna ai grandi equilibri globali ma anche percorsa da velleitari bonapartismi come quelli espressi dal presidente francese.
Stiamo attraversando il momento più drammatico dopo la fine della seconda guerra mondiale e scontiamo l’assenza di una sinistra europea capace di produrre una visione del futuro non riducendosi ad esaminare una frattura per volta.
Una sinistra europea capace anche di esprimersi nel solco delle grandi tradizioni passate, quella della socialdemocrazia e quella del comunisti italiani.
Grandi tradizioni cui è mancato, nel recente passato, non soltanto una possibilità di intreccio ma anche di costruzione di un progetto comune che non fosse quello dell’accettazione liberista di Clinton e Blair.
Sarebbe necessario uscire da quell’angolo oscuro.
martedì 17 novembre 2020
Alberto Benzoni: A proposito del Bene e del Male - Avanti
A proposito del Bene e del Male - Avanti: Penso che le elezioni americane siano state uno scontro tra Bene e Male; o, quindi, uno scontro di civiltà. IlRead More
lunedì 16 novembre 2020
venerdì 13 novembre 2020
Perché in Italia un bonus non si nega a nessuno - Linkiesta.it
Perché in Italia un bonus non si nega a nessuno - Linkiesta.it: Sono tanti, persistenti e inducono una certa pigrizia mentale nei cittadini i quali sviluppano una sindrome da «saldo permanente». Il problema è che, come spiega Ferruccio De Bortoli in “Le cose che non ci diciamo (fino in fondo)”, edito da Garzanti, distorcono la concorrenza oppure sono del tutto inutili
After Trump, before Biden: What’s next for the American left? | Renewal
After Trump, before Biden: What’s next for the American left? | Renewal: Joe Guinan talks to Florence Sutcliffe-Braithwaite about the outcome of the US election, the unfolding crises of Covid19, the openings for a transformative political economy and what the strategies for the left of the Democratic party should be now.
giovedì 12 novembre 2020
Franco Astengo: Pubblico/privato
PUBBLICO/ PRIVATO di Franco Astengo
La crisi verticale del sistema sanitario italiano ormai a rischio di crollo sotto i colpi della crescente emergenza e l'arresto dell'ex-amministratore delegato di Autostrade e di altri dirigenti dello stesso gruppo rappresentano fatti di stretta attualità, che richiamano necessariamente il discorso sul rapporto pubblico/privato così come questo è stato affrontato nel corso degli ultimi 30 anni.
Quando esplose “Tangentopoli” (in coincidenza con la caduta del muro di Berlino, il trattato di Maastricht, la fine della "Repubblica dei Partiti"), nell’incrocio tra politica e affari, l’Italia bruciò le tappe di una privatizzazione di gran parte del suo apparato pubblico produttivo, senza varare alcuna legge di liberalizzazione.
La stagione delle privatizzazioni si risolse, in quasi tutte le occasioni, in un passaggio dal monopolio dello Stato a oligopoli privati.
Furono liquidati grandi enti di Stato come Iri e Efim; venne ridimensionato il ruolo dello Stato nell’Eni, fondato da Enrico Mattei; passarono ai privati pezzi importanti di produzione e la gestione di grandi servizi. L’intero processo di privatizzazione non risolse però i problemi delle casse dello Stato.
Eravamo agli inizi degli anni Novanta: iniziò lo smantellamento dell'IRI di cui era Presidente Romano Prodi.
In quel momento l'IRI contava 500.000 dipendenti e gestiva Alitalia, Autostrade, Finmeccanica, Fincantieri e Aeroporti di Roma, i quali saranno poi immessi sul mercato ad uno ad uno. L’IRI, ormai svuotato di ogni suo ramo, fu messo in liquidazione il 28 giugno 2000.
Poi è stata la volta del Credit (Credito Italiano), che godeva di ottima salute, dell’IMI e della Banca Commerciale Italiana (Comit), tutto tra il 1993 e il 1994. Nel luglio 1996 iniziano le prime privatizzazione dei servizi pubblici locali grazie alla costituzione di società per azioni in cui i Comuni possono partecipare solo con quote minoritarie.
Il 16 aprile 1997 viene privatizzato l’Istituto San Paolo di Torino.
Nel gennaio 1998 il Parlamento liberalizzò il commercio abolendo licenze e regole sugli orari. Poi fu la volta della liberalizzazione della telefonia fissa (febbraio 1998) e dell’energia elettrica, fino alla privatizzazione dell’ ENEL 1999).
A maggio del 2000 si provvide a liberalizzare il commercio del gas.
In questo campo si aprì la strada a una mezzadria tra "mercato libero" e mercato tutelato allo scopo di garantire determinate concentrazioni di potere: mercato tutelato che dovrebbe proseguire fino al 2022.
Nel 1998 le Ferrovie dello Stato furono smembrate per poi costituire RFI (Rete ferroviaria italiana, pubblica) e Trenitalia (privata). Stessa sorte per le Poste, che diventeranno SpA. Lo Stato incassò circa 200mila miliardi di lire, pagando alle banche d’affari anglosassoni, che curarono il complicato passaggio dal pubblico al privato, una commissione che si valuta tra l’1% e l’1,7% dell’intero incasso.
Se l’operazione di privatizzazione, senza alcuna liberalizzazione, fosse stata presa per abbassare in modo consistente il debito pubblico, il risultato non fu affatto centrato, perché il debito si ridusse solo dell’8%.
Esaminando dopo anni quella discutibile operazione vale la pena di riportare il giudizio della Corte dei Conti: «Si evidenzia una serie di importanti criticità, che vanno dall’elevato livello dei costi sostenuti e dal loro incerto monitoraggio, alla scarsa trasparenza connaturata ad alcune delle procedure utilizzate in una serie di operazioni, dalla scarsa chiarezza del quadro della ripartizione delle responsabilità fra amministrazione, contractor e organismi di consulenza al non sempre immediato impegno dei proventi nella riduzione del debito».
Negli anni Novanta, la magistratura voleva rovesciare l'Italia per liberarla dalla corruzione, i “tecnici” dell’epoca (Ciampi, Amato) e i nuovi politici volevano più mercato e un’Italia più moderna. Partì la magistratura, naturalmente in perfetta buona fede e ossequiosa nei confronti della legge, e seguirono i politici della cosiddetta “seconda Repubblica”.
La crisi economica scoppiata nel biennio 2006-2008 ha successivamente messo in luce le debolezze del Sistema-Italia ormai privo di una struttura industriale adeguata nei settori strategici e l'incapacità delle istituzioni di far fronte all’indebolimento economico della classe media, ormai pressoché scomparsa. Infine, proprio in questi tempi di grande emergenza sanitaria è il caso di rivolgere uno sguardo al processo di inserimento dei privati nella sanità.
Il primo passo in questo senso è stato attuato attraverso la cosiddetta "regionalizzazione" della Sanità.
I dati possono essere una guida per capire come sia cambiato il SSN nel corso di questa evoluzione. Dal Rapporto Sanità 2018, 40 anni del Servizio Sanitario Nazionale pubblicato da Nebo Ricerche PA emerge che, delle originarie 695 USL del 1983 si sia passati alle 101 di oggi (e 102 Aziende Ospedaliere censite nel 2016). I posti letto sono scesi da 500mila a 215mila con un crollo ancora più pronunciato se rapportati alla popolazione: 35 per 10mila abitanti raffrontati ai 93 del 1981. Due sole le voci di crescita: il settore privato, che nel frattempo è passato dal 15 al 20 per cento dei posti letto totali; e le aree della terapia intensiva, riabilitazione e lungodegenza, seppur rappresentate in maniera disomogenea sul territorio nazionale. Alle differenze tra le varie parti d’Italia si è collegata, almeno in tempi "normali" ,anche la crescita del 40 per cento dei ricoveri fuori Regione: ovvero gli spostamenti dei pazienti dal territorio di residenza a quello scelto per curarsi. Quest’ultimo dato vede la Calabria raddoppiare l’indice di spostamento dei pazienti rispetto al 1986; la Lombardia, nello stesso periodo, ha visto raddoppiare l’indice di attrazione mantenendo invariato quello di spostamento.
Le tappe legislative fondamentali che, con le successive riforme, seguirono questo percorso sono state quattro. La prima è la legge 833, con l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale e la creazione delle Unità Sanitarie Locali. Il secondo è il D.Lgs. n. 502/1992 che aveva avviato la regionalizzazione della Sanità istituendo le Aziende Sanitarie Locali e Ospedaliere e, per rispondere alla crescente pressione finanziaria, introdusse «una concezione di assistenza pubblica in cui la spesa sociale e sanitaria deve essere proporzionata alla effettiva realizzazione delle entrate e non può più rapportarsi unicamente alla entità dei bisogni» . Il terzo passaggio è stato il Decreto Legislativo n. 229/1999 (anche noto come riforma Ter) che confermava e rafforzava l’evoluzione in senso aziendale e regionalizzato e istituendo i fondi integrativi sanitari per le prestazioni che superano i livelli di assistenza garantiti dal SSN. Infine, con la riforma del Titolo V, Legge Costituzionale n. 3/2001, la tutela della salute divenne materia di legislazione concorrente Stato-Regioni: lo Stato determina i Livelli essenziali di assistenza (LEA); Le Regioni hanno competenza esclusiva nella regolamentazione e organizzazione dei servizi sanitari nel finanziamento delle Aziende Sanitarie.
In questo ambito il successivo succedersi di interventi di finanza pubblica hanno posto in evidenza il dato che la larghissima parte dei bilanci delle Regioni è finito con l'essere destinato a finanziare la crescente aspettativa di prestazioni da parte dei cittadini attraverso i singoli servizi sanitari approntati appunto proprio dalle Regioni. La prima riflessione da compiere, in questo senso, riguarda quindi il quadro generale dei rapporti tra lo Stato e le regioni nel settore del governo della sanità: rapporto in perenne fibrillazione, ben in precedenza alla situazione di questi mesi, soprattutto allo scopo di mettere sotto controllo la spesa pubblica.
Così si è sviluppato il modello di ingresso del privato in Sanità rappresentato dal cosiddetto "modello lombardo" poi imitato da altre regioni.
Nel 1997 la Lombardia ha dato una sterzata decisa verso un modello pensato per facilitare il più possibile l’entrata dei privati nel Servizio Sanitario Regionale (Ssr), prendendo a misura la riforma sanitaria britannica dei primi anni ’90. Il primo effetto di questa riforma è stato la creazione del “quasi-mercato” della sanità, dove la Regione presidia e regola il Ssr affidando l’erogazione dei servizi ad aziende pubbliche e private, poste in concorrenza tra loro.
Il ruolo della Regione si è quindi trasformato in quello del “committente, che compra servizi dai soggetti erogatori pubblici e privati, considerati in teoria su un piano di parità”. Così, le strutture pubbliche del sistema sanitario “diventano nella pratica delle ‘aziende’, gestite via via in modo sempre più manageriale”, mentre “i soggetti privati entrano nel quasi-mercato della sanità con orientamenti profit”.
L’ingresso del privato nel ‘quasi-mercato’ della sanità ha ridisegnato radicalmente il modello di erogazione dei servizi. I gruppi privati, infatti, sono costituiti prevalentemente da ospedali e così “l’ospedale diventa il fulcro intorno al quale si immagina di costruire il nuovo sistema. In questo modo si è perso il bilanciamento tra ospedale e territorio presente nel modello precedente. Una svolta che ha rappresentato “una scelta obbligata, data la strategia di privatizzazione del sistema”.
Il nuovo modello “ospedalo-centrico” ha comportato anche un radicale cambiamento del sistema delle Asl che “non erogano più direttamente servizi ai cittadini e ridimensionano le attività di prevenzione".
Mentre il territorio restava sguarnito, la sanità privata cresceva e i risultati in questi giorni drammatici sono sotto gli occhi di tutti.
E’ ovvio che, con le privatizzazioni e rinunciando ad erogare servizi, lo Stato italiano ha smantellato lo Stato Sociale.
Nel quadro dell'aumento complessivo della povertà la risposta dello Stato,tolto di mezzo appunto lo stato sociale, è stata quella dell'assistenzialismo.
La quasi totalità delle risposte di tutti i governi sono state finora esclusivamente monetarie attraverso i cosiddetti "bonus" o basate su una riduzione del carico fiscale. Soluzioni standardizzate per tutti, al posto di interventi di sostegno mirati in termini di servizi, educazione o prevenzione. Un esempio su tutti il reddito di cittadinanza, ovvero un aiuto economico che tampona il problema, ma non lo estirpa alla radice; vista la distribuzione territoriale della povertà e considerato che i livelli economici per essere considerati poveri sono differenti a seconda che si viva al Nord, Centro e Sud e che si abiti in città o in campagna, prevedere l’erogazione di somme standard sull’intero territorio nazionale non risolve il problema a chi vive in una città del Nord, mentre chi vive in un paesino del Sud, otterrebbe un valore maggiore del livello oltre il quale si è poveri.
Dare soldi e non servizi e “presa in carico” dei soggetti deboli, non aiuta a uscire dalla povertà: la alimenta.
Così il costo dell’assistenza è passato dai 73 miliardi di euro del 2008 ai circa 116 miliardi del 2018, con un aumento strutturale del deficit pubblico finanziato dalla fiscalità generale (il che significa non copertura da contributi) e al netto delle imposte (essendo tutte prestazioni esentasse).
Dal 2008 al 2018 l’incremento della spesa assistenziale è costato ben 232 miliardi alle finanze pubbliche, per gran parte fatti in deficit.
Senza affrontare, in questa sede, il nodo totalmente irrisolto della fuoriuscita dalla condizione di assistenza alla povertà attraverso il raccordo con il mondo del lavoro.
Naturalmente l’inasprirsi della crisi economica dovuto alle vicende dell’epidemia ha portato una intensificazione del fenomeno di tipo assistenziale che al tirar dello somme si rivelerà sicuramente disastroso sia sul piano del deficit sia di quello della struttura produttiva del Paese, già estremamente fragile e priva di forza nei settori strategici.
L’esito del processo di privatizzazione e di chiusura dello Stato Sociale non avrebbe potuto essere più negativo.
Alessandro Pollio Salimbeni: USA, un nuovo Presidente, auguri e auspici di collaborazione da tutto il mondo. Anche dai partiti italiani: ma come e con quali obiettivi? – ControPiede
mercoledì 11 novembre 2020
Il capitale monopolistico di Baran e Sweezy e la teoria marxiana del valore – Associazione Paolo Sylos Labini
Il capitale monopolistico di Baran e Sweezy e la teoria marxiana del valore – Associazione Paolo Sylos Labini: Caro Francesco, mi sembra una ottima idea quella di festeggiare il centenario della nascita di Paolo Sylos Labini. Ho pubblicato su Moneta e Credito e su PSL Quarterly Review due contributi a cui t…
martedì 10 novembre 2020
lunedì 9 novembre 2020
Obiettivo per l’Europa: rilanciare un’operazione di unificazione politica per avere un governo che è espressione dei cittadini europei e non dei rispettivi Capi di Stato e di Governo « gianfrancopasquino
Alexandria Ocasio-Cortez on Biden’s Win, House Losses, and What’s Next for the Left - Sbilanciamoci - L’economia com’è e come può essere. Per un’Italia capace di futuro
Roberto Biscardini: Risposta a Paolo Zinna
Risposta di Roberto Biscardini alla lettera aperta di Paolo Zinna
Caro Paolo,
è con piacere che rispondo alla tua lettera che mi consente di chiarire alcune questioni di fondo che si trascinano da tempo indipendentemente dall’attualità della pandemia da Covid.
Per prima la questione “priorità” che, dalla mia esperienza politica e amministrativa, al di là del progetto di riapertura dei Navigli, ho visto spesso mal posta.
Perché viceversa, nella migliore tradizione amministrativa, la politica degli interventi è l’insieme delle opere realizzabili sia nel breve periodo (per rispondere a bisogni urgenti, ancor più se pregressi), sia di quelle strategiche finalizzate a realizzare cambiamenti strutturali. Anche se i loro effetti saranno misurabili in un lontano futuro.
Come tu sai, un buon amministratore deve ogni giorno intervenire per realizzare opere a breve, ma anche con uguale passione e concretezza deve ogni giorno intervenire perché si possano realizzare opere ed interventi a più lungo termine.
Nell’azione amministrativa non c’è un prima e un poi, c’è il “fare” ciò che è necessario “fare”.
Per questo, come già ha spiegato Giorgio Goggi attraverso il tuo Blog, nei bilanci comunali devono (e così avviene normalmente) essere previsti fondi sia per risolvere i bisogni pregressi, sia per intervenire su trasformazioni significative per far crescere la città. Se non si investe su entrambi, si risolvono alcuni bisogni arretrati ma la città non evolve e alla lunga si perdono opportunità e occasioni di sviluppo economico e di reddito con un impoverimento progressivo dei cittadini più deboli.
Sono quindi assolutamente d’accordo con te che Milano ha bisogno di investimenti nel settore della casa e nel settore dei trasporti, peccato che, nonostante le mie personali sollecitazioni, è da anni che si maturano ritardi, e che le ultime giunte, sia di centrodestra sia di centrosinistra, poco hanno fatto in questa direzione e ciò indipendentemente dal progetto Navigli per il quale non hanno ancora speso alcun euro.
Dobbiamo purtroppo prendere atto amaramente che molte risorse avrebbero potuto, anno dopo anno, essere destinate al settore casa, ma sono andate in mille altre direzioni (altre priorità). E non perché mancassero i fondi, ma perché persino una certa sinistra di governo ha sostenuto (e forse sostiene ancora) che sia meglio delegare la realizzazione di edilizia popolare o convenzionata agli interventi dell’immobiliarismo privato anziché all’azione pubblica dell’amministrazione comunale.
Sui trasporti peggio ancora. Perché Moratti e Pisapia hanno cancellato la realizzazione del Secondo Passante ferroviario quando le risorse erano assolutamente disponibili?
Perché abbiamo dovuto lottare anche contro il volere prevalente alla giunta Pisapia affinché iniziassero i lavori della M4 già decisi dalla giunta Albertini?
Perché la Moratti ha cancellato la sperimentazione dell’idrogeno per autotrazione, che vedeva Milano seconda in Europa dopo Amburgo?
Ed oggi, in epoca di Covid, perché il Comune non ha pensato fin dal marzo scorso di incrementare il servizio di trasporto pubblico per immettere sulla rete più mezzi, anche recuperabili da aziende private, come quelle turistiche, che hanno i propri autobus fermi nei loro depositi?
Non per carenza di risorse, non per colpa dei Navigli, ma per incapacità di lungimiranza politica, per cattiva volontà e per non andare in conflitto con il modello monopolistico, oltre che costoso, di ATM.
Questo per dire che le tue osservazioni sull’emergenza Covid poco c’entrano con il progetto della riapertura dei Navigli, che ad oggi, come ho detto, non ha inciso sul bilancio pubblico dell’amministrazione comunale, nonostante non si siano realizzate né case popolari, né si sia incrementato il sistema di trasporto pubblico.
Questo mi permette di aggiungere peraltro, molto brevemente, che nella nostra ipotesi, il progetto Navigli potrebbe essere finanziato anche con la partecipazione di risorse private. Ciò ridurrebbe moltissimo, se non totalmente, il carico sulla finanza pubblica comunale, regionale, statale o europea.
Detto questo ti invito infine a concentrare l’attenzione sul valore complessivo che il progetto di riapertura dei Navigli avrebbe alla scala, sia urbana che regionale, come grande progetto ecologico, produttore (come abbiamo già più volte dimostrato) di nuovi cespiti per l’amministrazione comunale e di ricchezza diffusa per tutta la collettività. Una nuova opportunità di impresa, una nuova grande opportunità di lavoro.
Così come stanno facendo molte città europee e molte città italiane, orientate alla riqualificazione delle città per una nuova qualità ambientale e della vita di tutti i cittadini.
Il progetto Navigli implica infatti la riappropriazione di spazi da destinare ad uso pubblico e collettivo, sottraendoli all’uso privatistico attuale (traffico compreso).
O si è dentro a questa logica e si capisce che il futuro (Covid o non Covid) non potrà essere uguale al passato o si continueranno da un lato ad invocare le cosiddette “priorità”, ma lasciando dall’altro, contemporaneamente, decidere agli interessi più forti, e immobiliari di carattere speculativo, la forma e il destino della nostra città.
Abbiamo sempre considerato il progetto Navigli come un grande progetto per la costruzione di una “città giusta”, non per pochi ma per tutti, in linea con le istanze economiche, ambientali e di giustizia sociale della stragrande maggioranza della popolazione che vuole capire quale sarà la Milano degli anni 2030.
Tutto questo per ribadire che la questione delle priorità è il più delle volte mal posta.
Infatti, nulla togliendo alla necessità di soddisfare bisogni pregressi, nasconde l’assenza di visione complessiva e orientata al futuro, perché, di priorità in priorità, si rischia di abbassare complessivamente la qualità della risposta pubblica.
Prima ci sono le case, poi ci sono le piazze, poi le fontane, poi ci sono le panchine, poi i cestini, poi i marciapiedi, e sempre più in basso si arriva ad invocare opere pressoché inutili con ricadute economiche pari a zero.
Con tutto il rispetto quindi di chi, con serietà, si pone il problema della compatibilità tra interventi tra loro molto diversi (a questo punto non dimentichiamoci dell’urgenza di intervenire nel sociale), da socialista (visto che hai voluto interrogarmi anche da questo punto di vista) mi sento di dire che la storia migliore del socialismo italiano ed europeo è sempre stata caratterizzata dalla capacità di coniugare insieme i bisogni del presente con i grandi processi di trasformazione e di modernizzazione per il futuro.
Ce lo hanno insegnato in molti. In proposito ricordiamo il sindaco Emilio Caldara che negli anni della Prima guerra mondiale, alle prese con mille questioni di carattere economico e sociale drammatiche, non rinunciava a progettare le prime metropolitane che si sarebbero realizzate cinquant’anni dopo o addirittura a progettare canali navigabili incompiuti ancora oggi.
Poi il sindaco Greppi che ottenne il consenso popolare della città, nell’immediato dopoguerra, quando riuscì contemporaneamente a porre sullo stesso piano il bisogno di ricostruire la città, sommersa dalle macerie dei bombardamenti, con la ricostruzione della Scala, che fu interpretato da tutti i milanesi come uno degli atti più “democratici” di quegli anni. La Scala era di tutti e così la percepivano tutti i cittadini.
Successivamente, puoi immaginare cosa sarebbe successo se i socialisti, negli anni ’60, avessero rinunciato a realizzare la rete delle nostre metropolitane urbane dando retta a coloro che, anche a sinistra, consideravano come “prioritaria” l’estensione della rete tramviaria? Per molti, i tram erano di sinistra e le metropolitane di destra.
Storicizzando, potrei dire oggi che “i Navigli torneranno”, così come allora ritornò la Scala, ed essi rappresenteranno il manifesto simbolico e concreto del ritorno alla Milano città d’acqua, il ritorno alla propria identità, nella convinzione che, prima o poi, le idee giuste vincono sempre.
domenica 8 novembre 2020
Elezioni Usa 2020, l'economia ha pesato più del Covid. Trump non è crollato perché fino alla pandemia disoccupazione e povertà calavano - Il Fatto Quotidiano
sabato 7 novembre 2020
venerdì 6 novembre 2020
Franco Astengo: Il voto americano
IL VOTO AMERICANO di Franco Astengo
Pur non essendo ancora stato proclamato l’esito finale il voto americano del 3 novembre 2020 merita già un momento di meditazione su andamento ed esito.
A questo punto risaltano ,infatti elementi di forte difficoltà da parte del sistema di mostrarsi ancora capace di una sufficiente produzione politica, sia sul piano del fornire espressioni istituzionali ai diversi livelli di aggregazione del consenso sia rispetto alla capacità di fornire una chiara indicazione di governo: con buona pace di chi, da Veltroni a Renzi da tempo insiste sulla necessità di poter disporre di un sistema elettorale in modo che “alla sera del voto si sappia chi ha vinto”.
Al punto in cui si sta scrivendo non solo l’esito elettorale potrebbe finire ancora”sub judice” ma anche la prospettiva stessa di governo risulterà comunque fortemente condizionata dall’esito del voto per le due Camere: il Senato dovrebbe, infatti, avere una strettissima maggioranza repubblicana (si è già scritto di “anatra zoppa”) e la Camera dei rappresentanti una limitata maggioranza democratica.
Eppure mai come in questo caso la partecipazione popolare è stata così alta: nel 2016, dalla parte democratica, Hillary Clinton si era fermata nel voto popolare a 59.798.978 voti cedendo 6.883.110 voti rispetto all’Obama 2012. Adesso (a scrutinio da completare) il Washington Post ci dice che il voto popolare per Biden tocca i 73.738.210 voti. Trump nel 2016 toccò i 59.594.262 voti popolari oggi saliti a 69.655.617 suffragi. Si ricorda anche la candidata ultraliberista di Jo Jorgensen che ha avuto 1.684.757 voti, il verde Hawkins 337.646 e ci sono 368.697 voti sparsi per altre candidature. Sul terreno del voto popolare quindi i democratici hanno ben più che recuperato l’astensione che aveva condannato Hillary Clinton quattro anni fa e Trump ha dimostrato di essere comunque capace di attirare un fortissimo consenso.
Nella sostanza si è toccata la punta del 67% nella partecipazione degli iscritti nelle liste elettorali (iscrizione che, si ricorda, non è d’ufficio ma sulla base di un atto di volontà espresso da elettrici ed elettori).
Una partecipazione molto elevata ma appannata dall’esito di difficoltà nel produrre l’indicazione di governo.
Conosciamo la natura dello stato federale negli USA e la storia di quel paese ,segnata anche da una durissima e non completamente dimenticata guerra civile, il cui oggetto del contendere è ancora vivo come fattore di profonda divisione nella cultura e nell’identità .
Siamo consapevoli di quanto tutto questo abbia pesato e pesi nelle scelte istituzionali, elettorali, politiche sul piano del sistema.
In ogni caso debbono però essere sviluppate alcune indicazioni sulla base delle quali avviare una riflessione sui diversi modelli della democrazia occidentale e sui diversi aspetti di una crisi che li riguarda complessivamente:
1) Le elezioni americane hanno inaugurato una massiccia presenza di un voto a distanza (per posta) e di prolungamento nell’anticipazione temporale del voto. Si tratta di due elementi di novità ben differenti dal voto elettronico da remoto e che debbono essere ben valutati, se non non altro per il massiccio utilizzo di queste possibilità da parte del corpo elettorale.;
2) E’ emersa, ancora un volta, la possibilità di una non corrispondenza tra l’esito del voto popolare e quello dell’esito conclusivo delle elezioni con la nomina di un Presidente i cui dati elettorali potrebbero non collimare con l’espressione di consenso complessivo. Come già si è fatto notare, tra l’altro, il distacco tra Biden e Trump risulta molto più netto di quello determinatosi quattro anni fa tra Hillary Clinton e lo stesso Trump . Anche in uno stato federale l’esigenza di un pieno rispetto del voto popolare complessivo probabilmente si sta ponendo con maggior forza rispetto al tempo passato;
3) Appare tramontata l’era del “bipolarismo temperato”. La non appartenenza di Trump ad una identità di partito ha portato, in questi quattro anni e nella conseguente campagna elettorale, ad una esasperazione dei tratti sovranisti – populisti. E’ vero, come scrive Veltroni, che le distanze politiche all’interno dei due schieramenti sono molto grandi e che comunque questo tipo di sistema riesce a comprenderle all’interno proprio di uno schema bipolare. C’è da chiedersi però se non sarebbe più conveniente per la qualità del sistema provvedere a una sua strutturazione in grado di consentire ad elettrici ed elettori possibilità più articolate nell’espressione di consenso.
E il tema dell’autonomia di soggettività almeno per le principali istanze e sensibilità politiche presenti nel paese che mi pare di poter così riassumere: populisti – sovranisti (con legami razzisti, suprematisti, integralisti religiosi) legati a Trump, moderati conservatori legati alla tradizione del GOP: questo da una parte; dall’altra sembra che le diverse sensibilità tra liberal, radical e socialisti si siano abbastanza accentuate rispetto al passato).
E’ evidente che in caso di accentuazione nelle espressioni di autonomie delle soggettività emergerebbero riflessi sia sul tipo di presidenzialismo, sia sulle diverse forme in uso di “balance of power”
Si pongono questioni di riflessione sul piano sistemico che andrebbero sviluppate anche in relazione alla diverse forme di Stato, di governo, di sistema elettorale presenti in Europa, laddove nei paesi a democrazia più matura i meccanismi politico – istituzionali tradizionali sembrano in difficoltà così come nei paesi più “immaturi” da questo punto di vista (come l’Italia).
In Italia, paese di grandi disuguaglianze anche sul piano territoriale, dove il sistema dei partiti è stato distrutto e i diversi livelli di disintermediazione sociale ridimensionati, il tentativo di compressione nelle scelte politiche portato avanti nel primo decennio del secolo (maggioritario, elezione diretta a livello locale, forzatura sul bipartitismo,ecc) ha fornito l’esito del sorgere di rilevanti punte di contraddizione nel sistema con il presentarsi di fenomeni di antipolitica, neo-populismo, personalizzazione di mediocre profilo soprattutto nel sistema delle autonomie ( sistema delle autonomie che un tempo garantiva una buona parte della solidità del sistema), esasperata volatilità elettorale, ulteriore contrazione nella presenza al voto, con una complessiva fragilità della quale oggi, in tempi di emergenza straordinaria, stiamo pagando un prezzo molto salato.
Per il reddito di cittadinanza è tempo di bilanci | M. Baldini e G. Gallo
Per il reddito di cittadinanza è tempo di bilanci | M. Baldini e G. Gallo: I dati sul reddito di cittadinanza contenuti nel Rapporto Inps indicano la necessità di alcune correzioni. Ma la misura rimane uno strumento essenziale per garantire dignità e sicurezza economica alle famiglie in difficoltà, specie in tempi di Covid-19.
giovedì 5 novembre 2020
Franco Astengo: Il nodo delle Regioni
IL NODO DELLE REGIONI di Franco Astengo
Sotto il titolo “Uno spettacolo indecoroso” Stefano Cappellini ha affrontato oggi, 5 novembre, dalle colonne di Repubblica oggi il nodo del disastro politico, istituzionale, morale realizzato in queste ultime convulse settimane dai Presidenti di Regione.
Lasciando da parte il dato di un ceto politico complessivamente inadeguato tra centro e periferia Cappellini ha sviluppato un’analisi giustamente impietosa concludendo “Quando la situazione lo permetterà, bisognerà riflettere a fondo sui danni di una riforma, quella del titolo V della Costituzione, varata in fretta e furia dal governo Amato all’inizio del secolo (2001, n.d.r) per inseguire l’allora Lega di Umberto Bossi, che si è rivelata un pasticcio in tempi felici e una vera disgrazia nei tempi difficili che ci troviamo a vivere”.
Questa riflessione però non va rinviata a causa dell’emergenza interessando prima di tutti quanti si muovono nell’ambito della difesa costituzionale e del tipo di democrazia repubblicana così come era stata disegnata da quella nostra Carta Fondamentale troppo spesso messa in discussione.
All’interno di un quadro di grandissima difficoltà che attraversa l'intero sistema politico italiano si distingue un vero e proprio “buco nero” rappresentato dal fallimento dell’ipotesi di decentramento dello Stato imperniato sull’Ente Regione .
Un fallimento che nei mesi scorsi, quando si parlava di autonomia differenziata, si stava affrontando attraverso un approccio posto esattamente alla rovescia rispetto a ciò che dovrebbe servire proprio alle Regioni economicamente e socialmente più forti. E’ già stato ricordato come la nascita delle Regioni, prevista nella Costituzione e poi fortemente richiesta dalle sinistre, in particolare nella fase del primo centrosinistra negli anni’60, fu fortemente ritardata dalla DC per timore che il Partito Comunista dimostrasse, in quel modo, la propria capacità di governo.
Gli elementi portanti della crisi che adesso si pone in grande evidenza sono sorti, principalmente, nel corso della legislatura 1996-2001 con il centrosinistra al governo del Paese, attraverso l’adozione di due provvedimenti rivelatisi del tutto esiziali:
a) l’elezione diretta del Presidente (da allora denominato da una stampa di basso profilo come Governatore)
b) la modifica del titolo V della Costituzione
La forte spinta che la Lega Nord aveva portato fin dalla fine degli anni’80 prima sul terreno della “secessione” e dell’indipendenza e poi della “devolution” aveva portato la sinistra, in particolare quella ex-PCI, a tradire la propria solida tradizione autonomistica che pure, negli anni’70 del XX secolo, alla guida delle più grandi città oltre che di Regioni collocate al di fuori dalla tradizionale "zona rossa" aveva dato prova di “buon governo".
L’elezione diretta del Presidente della Regione e la modifica del titolo V della Costituzione hanno rappresentato gli elementi portanti di un fenomeno di tipo degenerativo che oggi si presenta in tutta la sua gravità: quello della trasformazione dell’Ente Regione dalla funzione legislativa e di coordinamento amministrativo a soggetto esclusivamente adibito a compiti di nomina e di spesa. L’elezione diretta del Presidente di Regione ha finalizzato per intero l’attività dell’Ente alla costruzione di macchine per il consenso politico personale favorendo l’elargizione a pioggia delle risorse, distribuendo le nomine per vie neppure partitiche ma di corrente o di “cerchio magico”, esaltando la logica di scambio all’interno stesso dell’Ente. Hanno poi fatto registrare un fallimento clamoroso quei comparti affidati per intero alla gestione regionale: in particolare la sanità dove si sono aperte le porte all'egemonia della privatizzazione speculativa e i trasporti . Si è elevato alla massima potenza il deficit, i servizi sono paurosamente calati di qualità, il clientelismo è stato elevato vieppiù a sistema. Fattori non esclusivamente legati alla conduzione delle Regioni hanno inoltre determinato un ulteriore allargamento delle disuguaglianze sociali in diverse parti del Paese (ed è questo un punto d’intervento politico completamente trascurato). Il tema delle disuguaglianze e dell’impoverimento complessivo è stato poi affrontato dal rampantismo di retroguardia del M5S con il rilancio in grande stile dell’assistenzialismo e dalla destra con l'esplosione del nazionalismo populistico.
Andando al punto: le Regioni sono assolutamente da ripensare. Un ripensamento che non può certo verificarsi sul piano semplicisticamente propagandistico della cosiddetta “autonomia differenziata”.
Deve essere anche ricordato che è rimasto in piedi il valore costituzionale delle Province, valore costituzionale confermato da un largo voto popolare che ne ha bocciata la riforma nell’ambito del (fallito) progetto di revisione costituzionale del PD (R).
La vicenda dell’emergenza sanitaria di questi mesi ha funzionato da vera e propria cartina di tornasole per mettere ancor meglio a fuoco questo disastro, al punto in cui la Conferenza dei Presidenti di Regione (eletti direttamente e attenti soltanto alla propria immagine e al proprio personale tornaconto politico) si è trasformata in una sorta di Consiglio dei Ministri parallelo, causando fenomeni di vera e propria confusione, tanto per definire la vicenda attraverso eufemismi.
Una confusione tanto più deleteria per la credibilità delle istituzioni considerata la debolezza del Governo, la precarietà dell’attuale maggioranza,l’aggressività perniciosa della destra (del resto ben rappresentata a livello di vertici regionali).
Metalmeccanici in sciopero per rinnovo del contratto, Re David: "Ritenuti essenziali ma poi gli si dice che non è il momento dei diritti" - Il Fatto Quotidiano
Dopo Parigi e Vienna. Il vero capo del radicalismo islamico è Ergogan - Diritti GlobaliDiritti Globali | il sito di SocietàINformazione Onlus e del Rapporto sui diritti globali
mercoledì 4 novembre 2020
martedì 3 novembre 2020
Partiti, movimenti, riforme istituzionali. Diagnosi, in prospettiva comparata, sullo stato di salute della democrazia italiana, delle sue istituzioni e delle forze che ne costituiscono l’ossatura imprescindibile #intervista @Policlic_it « gianfrancopasquino
lunedì 2 novembre 2020
Franco Astengo: La questione del partito
SINISTRA : LA QUESTIONE DEL PARTITO di Franco Astengo
In una fase nella quale molti argomenti meriterebbero una sede di adeguato approfondimento sia sul piano politico sia su quello istituzionale/costituzionale Massimo D’Alema ha provato a mettere i piedi nel piatto di una questione che a sinistra, pur da qualche parte evocata, non si è avuto il coraggio di affrontare ormai da diverso tempo: la questione del partito.
D’Alema lo ha fatto, in un’intervista rilasciata a Umberto De Giovannangeli e apparsa sabato 31 ottobre sul “Riformista”.
Titolo, sotto titolo e catenaccio rendono bene la sintesi del suo pensiero: “Il PD è nato male, la sinistra senza ideologia non ha futuro. Serve una nuova forza con una visione del mondo. L’idea di un partito post-ideologico, programmatico, era sbagliata: non è adeguata allo spessore della crisi che viviamo. L’americanizzazione della politica non funziona. Il partito delle primarie rinuncia a formare la propria classe dirigente e i risultati sono sotto gli occhi di tutti”.
Nel resto dell’intervista troviamo molti punti opinabili e scarsi accenni all’autocritica (che non è mai stata l’aspetto più forte di D’Alema): in particolare appare discutibile l’idea di restringere l’ipotesi di costruire una sinistra democratica fondata su welfare e stato sociale nella quale si mantengono vive la tradizione socialista e quella cattolica.
Sotto questo aspetto, anche nelle considerazioni di D’Alema, pare mantenersi il ritardo fin qui accumulato a sinistra nella ricerca di un nuovo intreccio tra le contraddizioni “storiche” e quelle emergenti nel post- materialismo e nel dopo – modernità sul terreno tecnologico, ambientale, della differenza di genere da indicare come nodi irrisolti nella nostra capacità d’elaborazione.
Nell’occasione però è necessario andare al punto centrale della questione che, a mio giudizio, risiede in un altro aspetto toccato dall’intervista : “..oggi se ne possono fare 100mila, 150mila (iscritti n.d.r) ? Benissimo è un punto da cui partire, a patto che siano veri però. Bisogna costruire un partito iniziando una discussione sull’identità di una sinistra democratica oggi..”.
La questione diventa allora oggi come porre all’ordine del giorno la questione partito senza che questa rimanga relegata in un’intervista.
Siamo dentro all’incognita dell’emergenza sanitaria e non è possibile avanzare proposte in questo senso.
Mi limito allora a ricordare i punti iniziali della proposta redatta con Felice Besostri lanciando l’idea del “Dialogo Gramsci – Matteotti” augurando che ci sia chi raccolga l’invito e contribuisca ad aprire un dibattito orientato sul tema:
Alcuni punti fermi sono ben individuabili e costituiscono i presupposti fondamentali di questo discorso:
L’inutilità del mero assemblaggio delle residue forze esistenti e della stanca riproposizione di liste elettorali sempre diverse, ma immancabilmente votate al fallimento;
la necessità di richiamarsi ad un patrimonio storico e culturale valido sia sul piano della teoria, sia su quello della dinamica politica, superando in avanti antiche divisioni. Di qui l’impegno ad evitare d’ora in avanti ogni ridicola diatriba sul “aveva ragione questo” o “aveva torto quello”, come ogni pretestuosa richiesta di scuse davanti alla storia (anzi alla Storia) ecc., ecc.;
è ora di riavviare, senza anacronistici riferimenti a modelli passati (Bad Godesberg, Epinay, Primavera di Praga: tra l’altro tra loro del tutto diversi) l’elaborazione di un progetto originale che riparta delle contraddizioni e “fratture” fondamentali, incrociandole però con le nuove contraddizioni imposte dal presente. Se da una parte infatti non basta più da sola l’antica “contraddizione principale” fra capitale e lavoro, certo non si può neanche sbilanciare il discorso dall’altra parte, lasciando campo solo a temi pure urgenti come la questione ambientale, peraltro strettamente legata al modo di produzione, o una strategia dei diritti riorganizzata esclusivamente attorno alle questioni di genere. Occorre invece tornare a pensare insieme i due piani: materiale e immateriale, struttura e sovrastruttura, economia e diritto. Le faglie oggi definite “post- materialiste” devono stare dentro una strategia complessiva di trasformazione dell’esistente. Per dirla con Carlo Marx: “Non basta interpretare il mondo, occorre cambiarlo”. Muoverci in questa direzione appare tanto più urgente in quanto ci ritroviamo nel pieno di un oggettivo processo di "rivoluzione passiva".
Strettamente connesso a quanto appena detto sui mutati rapporti tra economia e politica, finanza e modello sociale, tecnica e vita civile, è anche lo sfrangiarsi individualistico della società, ma soprattutto la crisi evidente della democrazia, palesatasi dopo il 1989. Allora la fine della Guerra Fredda lungi dall’aprire ad un’epoca di “noia democratica”, ad un mondo pacificato all’insegna del liberalismo/liberismo, aprì piuttosto all’epoca della “guerra infinita” ovvero a modelli equivoci detti di “democrazia del pubblico” o “democrazia recitativa”. Si aprì insomma un’epoca di tensioni planetarie potenzialmente antidemocratiche, fondate sulla scissione tra procedimento elettorale e partecipazione dei cittadini, con l’esercizio del potere popolare messo pericolosamente in discussione. Per questo la costruzione di una nuova sinistra è oggi più che mai una priorità se intendiamo ancora essere all’altezza delle sfide del tempo nuovo.
Biden and the American Left | Insight
Biden and the American Left | Insight: Free thinking for global social progress
domenica 1 novembre 2020
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