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lunedì 27 aprile 2020
Franco Astengo: Digital divide, istruzione, cultura
DIGITAL DIVIDE, ISTRUZIONE, CULTURA di Franco Astengo
Il tema dell’istruzione e dell’accesso alla cultura merita un posto prioritario nell’analisi dell’inedita situazione in atto e al riguardo delle prospettive che è necessario mantenere aperte all’interno di un progetto di società capace di misurarsi con una idea di alternativa al “tutto ritorni come prima”.
Abbiamo davanti a noi una questione di enorme portata per il futuro.
L’interrogativo riguarda quanto la gestione nell’emergenza dell’istruzione e dell’accesso alla cultura si rivelerà penalizzante per le giovani generazioni di oggi quando queste arriveranno alla soglia dell’età adulta.
In queste settimane di necessario cambiamento nella gestione della scuola e dell’accesso alla sedi culturali abbiamo toccato con mano il ritardo accumulato sulla possibilità di fruizione e utilizzo della tecnologia digitale.
Molti hanno capito che proprio rispetto all’accesso scolastico e alla fruizione culturale Il digital divide rappresenta la frontiera della nuova discriminazione sociale e culturale.
Il termine “digital divide” evoca in primo luogo l’immensa sproporzione tra Nord e Sud del mondo, tra aree in cui internet è realtà quotidiana ed aree in cui anche il telefono e l’energia elettrica sono commodities sconosciute. Di fronte a questo squilibrio che di fatto cancella la grande maggioranza degli uomini e delle donne dalla faccia digitale della Terra, sembra poca cosa anche la distanza che separa – all’interno del mondo sviluppato – paesi come gli Stati Uniti o la Finlandia dall’Italia o dal Portogallo. Concentrare l’attenzione sul divario digitale all’interno di un solo paese può sembrare – a questo punto – un esercizio pressoché sterile, un guardare al mondo con una lente d’ingrandimento tanto forte da far perdere il senso delle proporzioni. Eppure in Italia vi sono ben evidenti i segnali di una divaricazione tra aree del Paese e fasce della popolazione che stanno entrando a pieno titolo nell’era digitale ed altre che invece o vi si avvicinano troppo lentamente o addirittura si avviano ad una esclusione che potrebbe rivelarsi presto irrimediabile.
In Europa il digital divide di primo livello, secondo la Commissione europea, è la mancata copertura di banda larga fissa ad almeno 2 Megabit (Adsl, cavo coassiale – che in Italia manca – o fixed wireless). In Italia questo dato di digital divide riguarda una popolazione di pochi punti percentuali. Meno dell’1 per cento secondo quanto riportano gli operatori (dati Desi 2018), ma ultime rilevazioni Agcom (più dettagliate, basate su 360mila sezioni censuarie) tendono a rivedere al rialzo questo dato: è il 5,6 per cento della popolazione circa a non avere copertura Adsl (dato che potrebbe dimezzarsi se includiamo la copertura fixed wireless access, di cui però non ci sono mappe ufficiali).
Più interessante il digital divide di secondo livello, ossia la mancata copertura banda ultralarga, sempre più necessaria per una connessione “adeguata” ai servizi internet.
Anche qui i dati di copertura oscillano, per il 2018: quelli senza banda ultra larga sono tra il 20 e il 40 per cento della popolazione (dati degli operatori/EY, Mise e Agcom, che ha di nuovo le stime peggiori); perché cambia il sistema di calcolo e l’elaborazione delle mappe. In futuro si parlerà anche di digital divide di terzo livello, mancata copertura con fibra ottica nelle case, che in Italia riguarda meno del 20 per cento della popolazione (anche qui, le stime oscillano).
Quanto alla scelta di non avere una connessione internet, si vedano i dati Desi 2018 della Commissione. Secondo il Desi 2018, gli utenti di Internet sono il 69 per cento della popolazione (più 2 per cento rispetto all’anno prima), rispetto all’attuale media europea del 81% (in Danimarca si raggiunge il 95%). Sono stati registrati lievi aumenti nello shopping online (dal 41% degli utilizzatori di internet al 44%, contro una media europea del 68%), nell’utilizzo di eBanking (dal 42% al 43%, contro una media europea del 61%). Queste due applicazioni (ecommerce ed ebanking) sono prese dalla Commissione come cartina tornasole di un uso “evoluto” di internet, che pure in Italia è carente.
Scendendo a un livello più concreto, possiamo dividere tra due casi:
italiani non coperti da una connessione internet adeguata (anche “digital divide infrastrutturale”)
italiani che scelgono di non avere un abbonamento a internet (anche “digital divide culturale”)
Nonostante le apparenti differenze – la prima è una situazione fortuita, la scelta una scelta – sono due facce di una stessa situazione di svantaggio.
Ma la situazione che è definita di non scelta è spesso frutto diretta da insostenibili livelli di disuguaglianza culturale che risultano frutto naturale del peso della diseguaglianza economica.
Sarà interessante esaminare questi dati nel dopo – isolamento pandemico, per verificare se si è verificato un incremento nell’utilizzo del digitale e come questo incremento si è verificato nel concreto.
Naturalmente non tutto può essere delegato alla possibilità di utilizzo della tecnologia: servirà l’elaborazione di contenuti adeguati, il livello di preparazione dei docenti e i meccanismi della loro selezione, una nuova funzione e ruolo di Università e ricerca e tante altre cose nell’insostituibilità del contatto diretto tra docenti e allievi , tra docenti e docenti, tra allievi e allievi in un’idea insopprimibile di socialità diffusa.
Il tema dell’accesso al digitale rimane però quasi come pre - condizione per una svolta necessaria.
Pensare di mantenere un modello che accresca enormemente le diversità sociali nell’accesso all’istruzione e alla cultura è l’errore più consapevole e più preoccupante che si possa compiere in questo momento di grande difficoltà.
Siamo di fronte a una delle frontiere decisive per comprendere quale qualità dello sviluppo sarà possibile promuovere in una società che necessariamente dovrà risultare molto diversa da quella che abbiamo conosciuto fino al momento in cui ci siamo infilati nel tunnel dell’ignoto.
Abbiamo scoperto debolezze strutturali fin qui sottovalutate per via della superficialità di un sistema fondata sull’individualismo competitivo e sull’agire politico fondato sul personalismo dell’apparire.
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