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lunedì 6 aprile 2020
Franco Astengo: Alla fine sarà il lavoro
ALLA FINE SARA’ IL LAVORO di Franco Astengo
In questi giorni nei quali il morbo inafferrabile sembra voler fermare il mondo si sprecano analisi e riflessioni.
Riflessioni su ciò che sta accadendo , sulle sue ignote cause e sui rimedi possibili anch’essi sconosciuti ma già oggetto di feroci lotte tra lobbie del lucro ad ogni costo e non solo per il denaro.
Analisi sull’ipotetico “dopo”, domandoci affannosamente attorno a quale livello potrà avvenire il ritorno ad un tasso di “normalità” .
Normalità vista essenzialmente dal punto di vista della capacità d’acquisto da parte dei singoli dentro la massa.
Quei singoli isolati che in gregge si aggirano oggi spauriti nell’isolamento della privazione del proprio principale “oggetto dell’essere”: il consumo.
Tutti parlano del “nulla sarà come prima” ma intanto non sembrano intenzionati a cedere un niente di quanto conquistato sopraffacendo gli altri, allargando disuguaglianze, inasprimendo lo sfruttamento. Le cifre della contabilità sopraffanno quelle del tragico computo di chi è caduto, mentre si nascondono i morti soltanto perché anziani e già condannati in partenza.
Nulla avrebbe dovuto turbare il nostro immaginario di infallibilità: eppure è accaduto.
Toccherà al lavoro presentarsi come protagonista assoluto nella lunga coda che si presenterà sulla strada dell’uscita da questa drammatica vicenda
Il lavoro sarà quello di tutti, dai migranti che si spezzeranno la schiena sulla terra dove si trovano i raccolti i cui frutti riempiranno i nostri supermercati fino all’opera dei ricercatori più raffinati che cercheranno di venire a capo della matassa della malattia invisibile.
Una matassa intricata della cui esistenza ci si ricorda soltanto quando la tragedia incombe e a qualche impettito gallonato tocca andare in televisione a recitare incomprensibili giaculatorie composte di articoli di codice oppure da numeri gettati lì per disorientare e rendere impossibile la percezione della realtà.
Il lavoro non cambierà il suo registro interno : parleremo di nuovo e ancora di programmazione,di Stato, di Europa ma non si sposterà la funzione del lavoro come unica leva possibile del costruire/ricostruire.
La condizione di esistenza del lavoro sarà di nuovo quella di continuare a rappresentare il veicolo del grasso arricchimento per una ristretta cerchia composta dai grandi sacerdoti del profitto.
Quanto cambierà di quella statistica che ci dice come 26 persone al mondo posseggano tanto quanto altri 4 miliardi?
In Italia alla fine del primo semestre del 2018 la distribuzione della ricchezza nazionale netta (il cui ammontare complessivo si è attestato, in valori nominali, a 8.760 miliardi di euro, registrando un aumento di 521 miliardi in 12 mesi) vede il 20% più ricco degli italiani detenere il 72% della ricchezza nazionale, il successivo 20%controllare il 15,6% della ricchezza, lasciando al 60% più povero appena il 12,4% della ricchezza nazionale.
Si discetta molto di sanità pubblica e sanità privata, di prestiti garantiti e agevolati alle imprese, di eurobond, di prestiti a lungo termine, di redditi di cittadinanza, di emergenza, di bonus e di contributi.
Poche voci riflettono sulla necessità di programmare la produzione magari in senso sovranazionale e di un ritorno ad un welfare universalistico che comprenda anche la necessità di proporre il “senso del limite”.
Quasi nessuno ha fin qui posto la necessità di un radicale riequilibrio tra (vecchie parole) il profitto e il lavoro uscendo dalla spirale di un assistenzialismo più o meno mascherato e inteso anche come base storica di aggregazione in particolare nelle regioni più arretrate.
Quanto dell’ammassato nelle parti alte delle statistiche della ricchezza verrà usato per costruire le occasioni di ricostruzione e remunerare il lavoro non soltanto sotto l’aspetto monetario?
Come sarà elaborato domani il concetto di utilità pubblica? Domande dalla cui risposte potrà dipendere l’indirizzo della possibilità di fondare / rifondare e che vanno poste da subito con grande chiarezza.
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