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martedì 17 aprile 2018
Paolo Bagnoli: Ma quando mail il Pd è stato "la sinistra"?
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nonmollare quindicinale post azionista | 018 | 16 aprile 2018
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la biscondola
ma quando mai il pd
è stato “la sinistra”?
paolo bagnoli
Nell’ormai inflazionata pubblicistica sulle sorti
del Pd dopo la gelata elettorale ricevuta si
intrecciano, peraltro senza rilevanti livelli di
maturità riflessiva, sostanzialmente due temi: le
ragioni della crisi della sinistra e, molto più
tiepidamente, l’assenza di un partito socialista
proprio nel momento in cui ce ne sarebbe più
bisogno. Per quanto sia “la Repubblica” che
“L’Espresso” abbiamo avuto il merito di lanciare
la tematica, ci sembra, tuttavia che, fino a oggi, gli
interventi scaldino uno stanco brodo incapace di
produrre alcun sapore visto che è un errore
culturale, talora sfidante l’onestà intellettuale,
definire la crisi del Pd come la crisi della sinistra
per il semplice motivo che il Pd non è mai stato di
sinistra. Esso, anzi, è nato con volontà ultronica:
ossia andare oltre la sinistra oramai data per morta,
al pari del socialismo, in tutta l’Europa. Si tratta di
un elemento non piccolo fuorviante la discussione
che si vuole avviare. Il paniere delle delusioni
raccolte non sintetizza una critica politica degna di
questo nome; sono delusioni vere, ma ciò non è
sufficiente per quel salto qualitativo che sarebbe
necessario, ma che non vi può essere poiché il Pd
è, ed è sempre stato, altro rispetto a ciò che
storicamente si intende per sinistra. Quando, poi,
si cerca di intrecciarlo con l’altro problema, il tutto
diviene ancor più confuso essendo lapalissiano che
non si può parlare della necessità – che c’è ed è
bruciante – di un partito socialista se non si parla
di socialismo e del suo portato storico, culturale e
politico. Potremmo aggiungere che per creare un
luogo socialista occorrono in primo luogo i
socialisti e nessuno degli interpellati, sempre a ora,
si dichiara tale: infatti, non lo è. Non solo, ma
rilanciare l’ipotesi di costituzione di un soggetto
socialista non può essere solo il richiamo
nostalgico a esperienze passate; non significa, in
altre parole, cercare di far rinascere il Psi, ma certo
non si può prescindere da una riflessione seria su
cosa ha rappresentato il Psi nella storia d’Italia
evitando di soffermarsi più di quanto è dovuto
sulla stagione craxiana e sulla sua amara fine. Con
il Psi, infatti, se ne è andato quello che, al netto di
tutte le esperienze vissute, è stato il vero e proprio
partito della democrazia italiana. Il fatto,
comunque, che da qualche parte – se pur
timidamente – il problema venga posto è già
significativo; è un segnale che, però, va colto nella
sua specificità e non come succedaneo alla crisi del
Pd che è questione di altra e diversa specificità.
La storia della nostra lunga transizione ci
dimostra che non c’è stata, né tantomeno c’è
adesso, una forza capace di contrastare non solo le
tendenze barbariche del capitalismo globalizzato,
ma nemmeno la decadenza della democrazia
politica democratica, altrimenti non ci troveremmo
di fronte allo spettacolo odierno; uno spettacolo
inquietante considerato che la scena è
padroneggiata da una doppia trazione populisticodemagogica.
Ossia, di un tarlo che sfarina dal di
dentro lo Stato e la società, l’ordine politico e la
coesione sociale in una complessiva decoazione del
sistema repubblicano. Il rischio – visti anche i
tentativi maldestri di cambiare la Costituzione – è
di marciare anche noi verso quella che l’ideologo di
Viktor Orban, Zoltàn Kovacs ha teorizzato come
“democrazia illiberale”; per Kovacs, infatti, “la
democrazia non è per forza liberale”. E’ un
qualcosa su cui riflettere seriamente: se la
democrazia non è la forma politica della libertà e
delle libertà, cos’è? Cosa può essere? Un qualcosa
che si chiama sempre democrazia di cui si nega,
però, ogni nozione sociale e, quindi della società
quale campo autonomo delle libertà e soggetto
proprio della sovranità popolare; si spaccia, cioè,
per democrazia in sistema affidatario confliggente
con la concezione dello stato di diritto cui è
strettamente connessa. L’Ungheria, a veder bene,
non è poi tanto lontana poiché in Italia i
5Stelle,sostenendo che la democrazia
rappresentativa è superata, si affidano addirittura
ad una “piattaforma online” e il loro uomo di
punta, invece di chiamarlo leader, preferiscono
appellarlo “capo”, vale a dire comandante
supremo cui, tramite la piattaforma, viene chiesto
di affidarsi sulle ceneri, appunto, della democrazia
rappresentativa.
Basterebbe solo questo motivo per dare ragione
del perché occorra un partito della democrazia
fondato sui principi della giustizia sociale e delle
libertà politiche e civili, cioè un partito socialista.
Ma se ciò ha una validità su un piano generale lo
ha, forse di più, su quello del “sociale” nel
momento in cui le diseguaglianze aumentano e la
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nonmollare quindicinale post azionista | 018 | 16 aprile 2018
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povertà si incrementa in un processo di
disgregante atomizzazione sociale che lacera l’idea
stessa di solidarietà – un’idea che non ha niente a
che vedere con le pur non irrilevanti forme di
carità in essere – poiché essa implica porre al
centro della condizione collettiva l’uomo e non
stancarsi nel tirare avanti quelli che nascono
indietro. E lo ha, ancora, per rilanciare il valore
della lotta e della mobilitazione sociale per non
rimanere schiacciati dalla potenza dell’economia
che privatisticamente insegue la propria ricchezza
ricattando chi non può opporre niente e talora,
prima del vivere, ha il problema del sopravvivere.,
Ecco perché servirebbe una forza socialista capace
di compattare un blocco sociale e culturale ampio,
quale centro promotore di un campo largo di una
sinistra non solo socialista, poiché la lotta per la
libertà e la giustizia è una battaglia di civiltà. Ed è
di civiltà che il mondo di oggi ha principalmente
bisogno.
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4 commenti:
Le riflessioni di Paolo Bagnoli manchino dell’esplicita presa d’atto che il 4 marzo, non si è verificata l’ennesima crisi della sinistra, ma c’è stata una disfatta epocale, come se sulla politica del Paese si fosse abbattuta una meteorite, della forza di quella che estinse i dinosauri, e può anche essere l’effetto si possa riproporre in quanto i dinosauri politici non mancano.
Bagnoli esula dal contesto privilegiando focalizzare le conseguenze del risultato, per la riproposizione periodica della ricostruzione della sinistra, escludendo la ritrita unità, omettendo però di approfondire, quale può essere la sinistra nel terzo millennio, e soprattutto evitando di porsi il quesito del perché sia pressoché sparita da tutte le istituzioni.
Se il PD non è sinistra, occorre esplicitare quale è o chi sono le sinistre in Italia; quelle che più intensamente si rifanno a Marx, condannado tutte le esperienze fatte in suo nome, sono i simpatici giovani di Lotta Comunista, gli altri non pervenuti, regolarmente sconfitti ma pervicaci nell’autoreferenziale ricerca più di sé stessi che non della salvaguardia dell’idea.
Concordo con Bagnoli, che se nel terzo millennio in Italia si ha da ‘rieditare’ una sinistra, e non si vuole cadere nel provincialismo in salsa autarchica, questa non può che chiamarsi socialista.
Pur con tutti i vincoli e le contraddizioni del ‘dovere’ essere forza di governo, essa ha interpretato con coerenza le funzioni di garante delle libertà e del pluralismo, in assoluta lealtà con gli impegni e i vincoli transnazionali assunti con i Paesi amici, come ogni sinistra riformista di governo ha fatto in tutti i Paesi.
Un realismo che è per lungo tempo è venuto meno nella sinistra, che si attardava a guardare il mondo dal passato, riconducendo ogni mutamento innovativo alle perfide insidie di un capitalismo e alla sua matrice ideologica, il liberalismo, senza mai sforzarsi di entrare nel merito, semmai conformarsi se necessario.
Una ‘sinistra’ il cui limite ‘culturale’ le ha impedito di comprendere ed acquisire dimestichezza con i sensori che hanno permesso la rivoluzione che ha provocato il più grande impatto che si ricordi sull’umanità, ne hanno colto gli effetti solo ex post, riconducendoli poi, in modo semplificato, alle indistinte classificazioni, della lunga stagione fordista e pregiudizialmente da contrastare, perché originate dal capitalismo, intrise di riferimenti alla produttività, figlie della nefanda globalizzazione, motore di disuguaglianza.
Una sinistra, indebolita per capacità di contrasto, costretta a inseguire illusioni minori o tentare di intestarsi successi non accreditabili, come ad esempio quello del referendum costituzionale, cui le elezioni del 4 marzo hanno fatto chiarezza, una sinistra privata dello scudo ideologico, che si abbarbica alla Costituzione, che non regge, e faticherà sempre più a reggere dopo il 4 marzo, perché le architetture istituzionali sono percepite come un ostacolo alla qualità della vita dei cittadini, che si presentano come assisi perennemente logorate da una sistematicità di contrapposizioni che nascono e muoiono ogni giorno in defatigante rincorrersi mentre nulla cambia.
Veltri, afono nei confronti del cambiamento, butta la palla in tribuna e rilancia i dogmi della ‘sharia’ del post 92: moralità, integrità, diversità per l’autenticità, di cui sulla base dei riscontri richiamati da Elio, il Paese sembra non averne tratto beneficio, forse gli unici a trarlo furono lui e l’allora sodale Di Pietro. Per il resto si è assistito e si assiste alla desertificazione dell’etica della responsabilità, che giustamente sottolinea Franco D’Alfonso, riguarda le istituzioni : Parlamento, Magistratura e persino Corte Costituzionale, la Costituzione è un ‘talmud’ incompleto se non scaduto che liberalizza di tutto e di più , e immoralità, devianza, incompetenza e improvvisazione godono un credito che tutto legittima.
Dire che parlare di sinistra significa parlare dei socialisti, è per me lapalissiano, ma se lo si declina con una visione autarchica, non lo è perché ha emergere è la pochezza di una sinistra che si manifesta per la disunità congenita. Caro Bagnoli, nella sinistra socialista Craxi ci sta a pieno titolo e non lo si affronta a volo di uccello, ci sta anche con le sue contraddizioni ed a maggior ragione di quel vasto numero di scissionisti ‘ in purezza’ che solo la benevolenza degli storici, oggi può riabilitare.
Un esempio per loro e seguaci del nuovo millennio, il Labour Party, che pur in un’alternanza di visioni, spesso profondamente diverse e contrastanti, ha conservato la responsabilità dell’unità, sicuramente, in questa, favorito da un sistema Costituzionale ed elettorale che non lascia adito al velleitarismo ed ai personalismi.
Da noi la scenografia dello spettacolo della politica prevede una platea ignorante, e questo purtroppo sfugge alle analisi, ed è proprio la diffusa ignoranza che la rende facilmente permeabile alle suggestioni, ed è per questo, che né per la destra né per la sinistra la democrazia dell’inclusione non l’approcciano.
Queste considerazioni non sono sensazioni epidermiche, bensì dalla lettura dei ‘data’ che riconducono anche a dati interpretativi del funzionamento delle democrazie rappresentative e della corrispondenza del potere al popolo. Nei Paesi europei si registra un’ampia forchetta, tra le promesse elettorali fatte e quelle realizzate, in nessun Paese, la promessa si riconfigura come potere del popolo al 100 %, i più virtuosi arrivano al massimo all’ottanta/novanta, ma negli ultimi posti, sotto il 50%, c’è stabilmente l’Italia. Così come lo ‘Index of Ignorance’, la classifica che ogni anno redige Ipsos Mori, pone il cittadino italiano al primo posto per quanto ignora, con il particolare tutt’altro che banale, di essere assolutamente disinformato su dati e impatti reali dell’immigrazione. Non ci si rende conto che nella vita sociale e quotidiana vi sono realtà troppo esposte al pregiudizio della narrazione faziosa, e che questa è una ruota che gira, ma quando completa il giro, diventa assai difficile immaginare gli effetti che si possono produrre. Il risultato del 4 marzo, in larga parte, nasce da questo contesto, e presupporre illuministicamente che il compito della sinistra si quello di riuscire a cambiare l’uomo con la forza della propria ideologia, è un’utopia abusata e inconcludente.
Il tempo del sol dell’avvenire è scaduto, c’è un futuro che richiede letture interpretative differenti, se vi sarà crescita si dovrà presupporre i lavori condivisibili nelle forme e nei tempi, senza crescita vi sarà la decrescita che ridurrà il lavoro, aumenterà il disagio tra chi è dentro e chi è fuori.
Lo scenario autarchico e ‘nazionista’, quello della stagione novecentesca del fordismo sembra essere irrevocabilmente presidiato dal Movimento Pentastellato e dalla Lega, già da tempo titolari della dubbiosità o del contrasto ai principi di sovranità, e le diffidenza nei confronti degli organismi transnazionali sono endemiche in ambo le parti.
‘La’ sinistra che vuole rinascere non può che darsi nuovi paradigmi, metabolzzare che la globalizzazione delle idee, delle conoscenze, delle esperienze è duty free per una larga parte del globo, e che tornare indietro è assai difficile, e che le diversità antropologiche o avranno il coraggio di stimolare percorsi di emancipazione e di profondo cambiamento, o sarà inevitabile prendere atto, che saranno le città con i territori densamente popolati, animati e più dinamici, che porranno inevitabilmente in discussione ogni dirigismo che ne vincoli la dinamica propulsiva della diversità.
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