lunedì 4 dicembre 2017

Luciano Belli Paci: La bufala del jobs act

Come ho già avuto occasione di dire altre volte, Pietro Ichino è persona di grande valore. È un sostenitore serio, coerente e preparatissimo di tutte le posizioni liberiste e blairiane che io personalmente avverso. Ma la cosa straordinaria, che lo distingue dai campioni del renzismo, dagli intellettuali cortigiani e dall’informazione di regime, è che porta avanti le sue idee dicendo la verità. Lo ha fatto ancora una volta intervenendo all’Assemblea nazionale di LibertàEguale, tenutasi a Orvieto il 2 e 3 dicembre 2017. Nella sua relazione su “Le ragioni forti del Jobs Act e l’uso corretto delle statistiche” (cfr. www.pietroichino.it/?p=47551 ) ha detto tra l’altro: “ … noi che due anni fa abbiamo progettato, approvato e sostenuto con la maggiore convinzione la riforma del lavoro dobbiamo resistere alla tentazione di usare i dati forniti dall’Istat sull’aumento dell’occupazione registratosi da allora, pur molto rilevante, come dimostrazione della bontà di quella legge. Può servire per uscire bene da un talk show, ma è un argomento privo di consistenza: nessuno può dire seriamente se e quale aumento dell’occupazione si sarebbe verificato in Italia, come effetto della incipiente crescita economica, se la riforma non fosse stata fatta. Viceversa, sul fronte delle politiche attive del lavoro – quelle che dovrebbero sostenere sul piano economico e dell’assistenza il passaggio dal vecchio lavoro al nuovo, la riqualificazione professionale mirata agli sbocchi occupazionali concretamente possibili – dobbiamo riconoscere onestamente che il livello dell’implementazione della riforma è ancora molto modesto, per un difetto di riorganizzazione effettiva dell’apparato ministeriale”. Insomma, anche Ichino riconosce lealmente che nessuno può dire sul serio che il Jobs Act abbia prodotto anche un solo posto di lavoro in più. Mi pare peraltro ovvio: gli imprenditori assumono se hanno bisogno di nuovi dipendenti, non perché si cambia a loro favore la regolamentazione del rapporto di lavoro. Orbene, poiché basta accendere la televisione per constatare che a reti unificate vengono messe a tacere tutte le critiche alla bontà delle “riforme” di Renzi perché “insomma, abbiamo prodotto un milione di posti di lavoro”, sarebbe ora di dirlo che questa è al momento la più diffusa tra le fake news. Sarebbe ora di seppellirli sotto le risate, perché sostenere che i posti di lavoro li produce il Jobs Act è esattamente come sostenere che i bambini li porta la cicogna.

1 commento:

antonio ha detto...

Caro Luciano,
Ichino é una persona onestissima; il problema é: la sua affermazione era prevedibile?
Una vecchia canzone di Jannacci zufolava: "quelli che fanno un lavoro d'equipe credendo di essere stati assunti da un'altra ditta".

La decontribuzione alle imprese che assumevano a tempo indeterminato, pare sia costata in tre anni non meno di 16 miliardi di euro (e sottolineo non meno).
Anche ammettendo che i posti di lavoro dovuti al provvedimento fossero i seicentomila di cui si parla, una semplice divisione ci direbbe che ogni posto di lavoro
a tempo indeterminato é costato allo stato circa 27000 euro.
Tenendo presente che un'inchiesta del ministero competente, (ministro Passera, governo Monti), aveva appurato che almeno i due terzi delle aziende italiane
erano a medio-bassa tecnologia e quindi "fuori mercato", questo provvedimento "a pioggia" virtualmente genererà nel medio periodo, in buona misura, dei disoccupati.
Infatti, con il Jobact, le aziende fuori mercato potranno licenziare alle prime difficoltà e senza rendere conto.
In altri termini: si é trattato di un regalo controproducente alle imprese e in particolare alle aziende decotte per scelta dei management proprietari che scientemente
si sono intascati, sotto forma di profitti, il denaro destinato all'investimento in innovazione e sviluppo.
Io non credo che questo provvedimento sia stato incidentale, credo al contrario che sia stato un atto deliberato, l'effetto dei quale fosse ampiamente previsto; l'onesto Ichino ha
semplicemente cominciato a rendersene conto e a mangiare la foglia.
Probabilmente anche Ichino si sarà chiesto se, con 27000 euro in tre anni a cranio, non sarebbe stato meglio forzare la formazione tecnica delle persone di cui
l'industria italiana, quella vera che esporta e sta sul mercato, ha un disperato e inesaudito bisogno, (50000 esperti di microprogrammazione e supporto, necessari da subito ma introvabili).

E adesso Calenda ci rifà: 140% di defiscalizzazione alle aziende per rinnovo degli impianti e innovazione; cosicché i management industriali che hanno fatto crescere di dieci anni
la vetustà degli impianti saranno premiati e quelli che hanno investito nelle loro aziende saranno gabbati.
Quando le lobbies si sostituiscono alla politica, gli effetti non possono essere che deleteri per tutti.

Antonio Autuori