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martedì 22 novembre 2016
Paolo Bagnoli: La sconfitta dell'Occidente
la sconfitta dell’occidente
paolo bagnoli
Da Critica liberale
L’era Trump è iniziata e il mondo sembra essere afflitto dallo sgomento poiché la
vittoria della Clinton era stata data praticamente per scontata. Nessuno, però, dell’esito
della sfida come avviene in tutte le elezioni. Quello che, tuttavia, ha colpito di più, sia nelle
dichiarazioni prima che in quelle dopo le urne e di questi giorni nei quali Trump sta
formando il proprio governo, è il fatto che non si riscontra la percezione nemmeno minima
di una verità che dovrebbe essere oramai assodata: vale a dire, che la “mentalità”
americana è veramente altro rispetto a quella europea. Non si tratta di una faccenda dei
tempi moderni; essa è connaturata agli Stati Uniti fin dalla loro nascita, dalla loro volontà
di essere un “nuovo mondo” rispetto a quello preesistente la nascita della federazione. Per
sapere di cosa si tratta basterebbe ricordarsi delle pagine che Tocqueville ha dedicato alla
democrazia americana; vecchie di quasi due secoli, ma attuali come lo sono tutte le verità
della storia.
Al pari di ogni evento della politica saranno i fatti a dirci cosa farà Trump. La
medesima cosa sarebbe stato se avesse vinto la Clinton cui certo non ha giovato essere la
moglie di un già presidente. Sicuramente Trump interpreta una destra populista così come
la Clinton un centrismo compassionevole. Si può dire: meglio quest’ultimo che il
muscolarismo istintuale del primo, ma se Trump ha prevalso vuol dire che il suo messaggio
ha parlato ai popoli americani più convincentemente di quello della Clinton; tanto
convincentemente che, nonostante corresse praticamente contro il partito che
rappresentava e avesse schierati versus i principali organi di informazione statunitensi,
egli è riuscito ad aggregare su una ripresa forte di stampo nazionalistico basato sulla
supremazia bianca un blocco sociale che spera in un’America più forte e più isolazionista
per risolvere i problemi che la affliggono. In altri termini, per quanto possa apparire
paradossale, Trump ha venduto un sogno confuso e volgare che ha fatto presa a fronte
della debolezza della presidenza Obama e del fatto che la sua avversaria non ha saputo
interpretare che il canone dell’America politica e dei tradizionali motivi di interesse che la
caratterizzano. Ma anche dietro Trump, prende corpo il riferimento di un universo
bancario e finanziario ben agguerrito e talora squalificato.
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Colpisce inoltre il fatto che, da più parti, in America e fuori d’America, si affermi che
se invece della Clinton il candidato democratico fosse stato Sanders questi ce l’avrebbe
potuta fare. Se davvero fosse stato così l’evento sarebbe stato più dirompente della vittoria
di Obama di otto anni orsono quando, con lui, entrò alla Casa Bianca la comunità nera
segnando un dato storico di grandissimo significato. Non fosse altro che per questo,
Obama ha cambiato la storia del proprio Paese. Figuriamoci cosa avrebbe significato la
vittoria di un candidato che si definisce “socialista” – e certo l’America in questo momento
ne avrebbe particolarmente bisogno – ma dubitiamo che Sanders ce l’avrebbe potuta fare
considerato che l’idea di socialismo è fuori dai canoni storici degli Stati Uniti d’America. In
essi vi sono dei socialisti e pure attivi nelle istituzioni, ma non crediamo che il Paese abbia
superato l’ostacolo concettuale per cui si possano attuare politiche che si definiscono
“socialiste”. Comunque, a Sanders va riconosciuto il merito di una battaglia coraggiosa che
è riuscita a far penetrare il “verbo” socialista in larghi strati della popolazione americana.
In fondo le opinioni di Sanders sono di buon senso con il pregio della verità. Ci auguriamo
che il partito democratico ci rifletta. Messa sotto accusa è la leadership del partito; una
vecchia guardia di professionisti della politica, assai autoreferenziale e dedita quasi
esclusivamente a ricercare finanziamenti per il partito invece che a cercar di capire il Paese
e interpretarlo; dare senso politico ai movimenti che vi si agitano e al disagio dei lavoratori.
Insomma, a cercare di promuovere una politica che nasca dal basso. Il j’accuse del senatore
del Vermont è preciso: ”Non si può dire a chi lavora o a chi il lavoro lo ha perso, noi siamo
dalla vostra parte, mentre si cercano finanziamenti a Wall Street e fra i miliardari.
Dobbiamo andare più nei quartieri operai e meno ai cocktail party (…) c’è un partito a cui
chiedere, venti o trenta dollari, a milioni di persone che sono pronte a contribuire.”
Vediamo ora se questi germi di sinistra attecchiranno in una società che, inevitabilmente,
subirà una svolta dal sapore fortemente conservatore anche se Trump non ha lanciato
nemmeno uno straccio di programma per cui è difficile capire cosa potrebbe succedere.
Certo la presenza nel governo di notori “falchi”, per lo più anche razzisti, è più di un
segnale. In un contesto civile così connotato a destra, la strada dei diritti sociali diventerà
assai ardua; al limite dell’impraticabile.
Quello che ci pare assodato è il ritorno dell’isolazionismo anche se un ripristino in
senso classico nemmeno gli USA se lo possono permettere. L’avversità di Trump verso gli
accordi Nafta con Messico e Canada e Tpp in Asia è notoria e per quanto concerne l’Europa
il rapporto sarà principalmente con il Regno Unito. L’Europa, come al solito, tace assorbita
com’è dalla questione dei deficit di bilancio! La Russia di Putin ha già cominciato a battere
le mani fragorosamente; Trump, infatti, non sembra volerle remare contro sul piano
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internazionale e, soprattutto, sembra volersi tenere lontano dalla Cina, intessendo una
stretta relazione tra Taiwan, Giappone e la Corea del Sud..
Ci sembra però di scorgere in Trump qualcosa di più profondo e preoccupante; vale
a dire, l’affermarsi dello sgretolamento del senso stesso dell’Occidente, ossia del valore
storico-politico che unisce l’America e l’Europa. Nella sua visione delle questioni
americane e di quelle transatlantiche non sembra albergare l’idea di comunità che è il
focus dell’idea stessa di democrazia. In politica interna contano solo i singoli. Il suo
populismo altro non è che la somma degli addendi formati da tanti, milioni di singoli cui
ha promesso di occuparsi personalmente. Il neo-presidente non seguirà l’idea della
democrazia come forma politica di una comunità pluralistica di interessi generali, bensì di
un insieme atomizzato senza un valore comune di convivenza condiviso. Populismo, di
sicuro, ma ben diverso da quello dei Farage, Le Pen, Salvini e compagnia cantando che oggi
si spellano le mani nell’applauso servile al vincitore. È in questa radice che cambia anche la
mai sopita tendenza all’isolazionismo degli Stati Uniti di cui la freddezza verso l’Europa è
una significante testimonianza. Ecco come si origina la faglia del concetto geo-politico di
Occidente.
A fronte di tante incognite, una certezza c’è: il mondo ha svoltato e non nella
direzione giusta. Il futuro, poi, è in grembo di Giove.
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