lunedì 2 marzo 2015

Paolo Zinna: Lettera al compagno Vittorio

Lettera al compagno Vittorio Vittorio è un serio, anziano compagno. Viene da una lunga militanza nel PCI e nella CGIL, veterano di mille diffusioni militanti del giornale, di tante Feste dell’Unità, di infinite sere in sezione; si considera un uomo di sinistra, è sempre stato contro ogni posizione che inclinasse verso il centro. Berlinguer è sempre stato il suo idolo, non ne ha mai riesaminato la politica facendosi delle domande. Eppure, alle ultime primarie, ha votato Renzi. Perché, Vittorio? “Perché ci fa vincere”. Il Partito è sempre nel giusto, se una ricetta fa vincere il Partito, è una buona ricetta per definizione; non c’è più bisogno di chiedersi: ci fa vincere per fare che cosa? Vittorio ragionava così. Oggi è frastornato, ha perso il suo punto di riferimento. L’anno scorso ha aspettato a lungo e poi, alla fine, non ha rinnovato la tessera, come faceva da quarant’anni (anzi, era sempre uno dei primi). Mi dice: “Non ci capisco più niente. Il Pd che facilita i licenziamenti? Il PD che è sempre contro i sindacati e dalla parte dei padroni? Il PD che perdona il falso in bilancio, purché non sia enorme? Il PD che regala al capitale le banche popolari (e pensare che anni fa il partito mi aveva raccomandato di comprare qualche azione, per far pesare anche la voce dei lavoratori …)? Basta, non val più la pena di impegnarsi, ormai me ne starò a casa”. Magari Vittorio non avrà ragione in tutto, ma in molte cose purtroppo sì. Credo che abbiamo il dovere di dare una risposta ai tanti che la pensano come lui, rinnovando o no la tessera. Qualche giorno fa, un amico esprimeva un pensiero che ho condiviso per molto tempo: - un partito, per definizione, rappresenta una parte dei cittadini, quelli che condividono i suoi valori fondanti. Per noi democratici essi sono l’equità sociale, la tensione per “un’Italia libera, più giusta e più prospera” (Manifesto dei valori, 2008). Nessun partito può rappresentare la generalità dei cittadini, chi legittimamente non li condivide non può stare nel nostro partito (e neanche votare alle nostre Primarie) -. Beh, rendiamoci conto che non sarà (già non è) più così. Il 2014 è stato un anno di svolta, la Seconda repubblica è finita e, senza che me ne accorgessi, è cominciata la Terza, che somiglia alla Prima. La prima repubblica aveva una configurazione politica monocentrica: un grande partito centrale (la DC), entro il quale stava tutto e il contrario di tutto, sia dal punto di vista politico, da Scelba a Donat Cattin, sia dal punto di vista sociale, dai sindacalisti della CISL ai baroni dell’elettricità e ai latifondisti siciliani - intorno, una serie di partiti minori, solo in parte autonomi - a sinistra, un grande partito non coalizzabile (il PCI, che il fattore K teneva lontano dal governo, ma era ben capace di condizionarne le scelte attraverso un certo potere d’interdizione) - una sfarinatura di partiti di destra, monarchici e post fascisti, inutili per il governo ma utilissimi per questo o quel provvedimento da contrattare volta per volta. Questa configurazione ha permesso alla Democrazia Cristiana di governare per più di quarant’anni e, riconosciamolo, anche di rendere l’Italia un paese “più giusto, più libero e più prospero”. La vera battaglia politica, allora, si svolgeva entro la DC. Se il congresso DC veniva vinto da Fanfani o dai dorotei, dal preambolo o da De Mita, l’evento decideva la politica del paese per gli anni a venire. Poco importava quanti voti prendesse la DC nel complesso, o meglio importava sì, ma solo in quanto influiva sugli equilibri interni. La Seconda repubblica era diversissima: tendenzialmente bipolare, grazie a leggi elettorali costruite proprio per farla essere così. Perciò, ha visto alternarsi coalizioni di centro destra (1994, 2001 - 2006, 2008 - 2011) e di centro sinistra (1996 - 2001, 2006 - 2008). Coalizioni di destra e di centro sinistra, non politiche di destra e di sinistra; infatti la logica del sistema conduceva a contendersi la vittoria al centro, a privilegiare gli elettori moderati e le forze in grado di spostare voti di centro (la chiesa di Ruini, ad es.) e a trascurare le fasce di elettori più decise (tanto, non avrebbero mai votato per l’avversario). In questo sta una delle radici del forte aumento delle astensioni, perché “sono tutti uguali”, i programmi sono poco distinguibili, there is no alternative. La configurazione, tra l’altro, esaltava la rissosità e il disprezzo reciproco fra i due fronti (antiberlusconismo, “coglioni” che votano a sinistra). Oggi, invece, c’è un grande partito centrale (il PD), entro il quale sta tutto e il contrario di tutto, sia dal punto di vista politico, da Fassina a Ichino, sia dal punto di vista sociale, dai sindacalisti della CGIL a Davide Serra - intorno, una serie di partiti minori molto poco autonomi - a destra, ci sarà un grande partito non coalizzabile (la Lega, guidata da Salvini con notevole chiarezza di idee strategiche), che vedo ben capace di condizionare le scelte del governo attraverso un certo potere d’interdizione - una sfarinatura di partiti di sinistra, movimentisti e post comunisti, inutili per il governo ma utilissimi per eleggere questo o quel presidente della repubblica, contrattando volta per volta. Certo, ci sono delle differenze: l’astensione altissima, il partito antisistema di Grillo (che è in fondo un'altra forma dell’astensione); ma le differenze sarebbero importanti solo se fossero reversibili, se, ad esempio, l’astensione potesse trasformarsi in voto attivo per una qualche Syriza italiana. Oppure, se potesse rinascere una qualche forma di “destra di governo”. E ciò, per ora, non mi pare probabile. Quali conseguenze? Il PD, innanzitutto, non può non vincere le prossime elezioni. Forse, se ci impegniamo, riusciremo a perdere in qualche regione (Campania, Veneto, domani Lombardia presentando il prossimo Ambrosetti: possibilissimo); ma non di più. Perciò Renzi ce lo terremo, per i prossimi dieci anni almeno: facciamocene una ragione. Credevo che Renzi, post-ideologico com’è, avrebbe alternato momenti di destra e di sinistra. Mi sbagliavo; è privo di ideologia, ma non di strategia, che anzi ha chiarissima e persegue con successo: collocare sé stesso e il suo partito nella posizione della DC del 1960. Per questo, era necessario spostare a destra il partito, sfasciare il centro, tagliar l’erba sotto i piedi a qualunque destra presentabile. E lui lo ha fatto. Salvini lo aiuta; non c’è bisogno di immaginare accordi sotterranei fra i due (che ne sarebbero capacissimi, peraltro) - già la forza delle cose li rende “alleati di fatto”. E no, il PD non è un partito, tantomeno il Partito descritto dal mio amico. Non è l’organizzazione di una parte dei cittadini che condividono alcuni valori, il partito di Renzi vuole essere il partito di tutti i cittadini (salvo pochi malintenzionati, gufi o populisti di destra): il partito della nazione intera. Questa è l’onesta risposta da dare a Vittorio e a noi stessi. Non mi piace, ma bisogna dirsi le cose come stanno. Restano da valutare le possibili scelte per chi si sente di sinistra. Se la lotta politica decisiva si volgerà entro il PD, entro il PD bisogna stare: nulla salus extra ecclesiam. Le riesumazioni di Altre Italia per Tsipras, SEL, improbabili Costituenti laico socialiste sono operazioni molto gratificanti per lo spirito di chi le fa, ma, in questo quadro, prive di qualunque senso politico. Sui civici, meglio stendere un velo d’oblio. Sì, ma come starci, entro il PD? Traendo impietosamente le conseguenze da questa fotografia: il PD non è la ditta, non c’è più nessuna ditta, dobbiamo rottamare l’idea stessa di ditta. La lotta politica la faremo per influire dentro lo “pseudopartito”, non verso l’esterno. Voglio scandalizzare Vittorio: per questo, in un certo momento può essere persino auspicabile e funzionale che lo “pseudopartito” perda voti. Se sarà così, non dovremo far nulla per impedirlo, non dovremo lasciarci condizionare dai nostri impulsi atavici. E non dovremo rattristarci, ogni volta che Renzi farà una mossa di destra: ne farà ancora, finché non sarà certo di aver soffocato ogni possibile destra esterna decente. Nel frattempo, è buona cosa che il PD diventi sempre più simile alla DC, nel suo funzionamento interno: cioè che sia balcanizzato in una confederazione di correnti. La nascita di “Spazio democratico” (cattorenziani?) è ottima cosa. Ottima cosa l’ingresso nel partito di personaggi “simpatici e qualificanti” come la Lanzillotta: magari faranno una opposizione interna di destra (anzi, peccato che non sia ancora tornata la Binetti). E quanto più il partito sarà balcanizzato, tanto più potremo far sentire la nostra voce. Non posso avere la certezza assoluta che la mia visione sia (o continui nel tempo ad essere) corretta. Vediamo alcune ipotesi che potrebbero rovesciare il quadro. 1 una crisi economica devastante: Grexit, contagio diffuso a tutto il sud Europa: poco probabile. 2 l’uscita di Bersani e D’Alema dal partito (Civati è irrilevante). Sarebbe un disastro per Renzi, lo ridurrebbe al ruolo di Ramsay Mc Donald. Peccato che non accadrà mai. 3 la rinascita di una destra seria, che richiede almeno la scomparsa di Berlusconi dalla scena e l’emergere di nuovi leader: è una prospettiva di lungo termine. In conclusione, sono evenienze non impossibili, ma a bassa probabilità. Meglio agire in base alle ipotesi più probabili. Aggiunta dell’ultimo istante: Roma auspica che alle Comunali di Milano ci si presenti alleati con l’NCD. Vi fa schifo? Anche a me; ma, se ci riflettiamo, è una mossa perfettamente coerente con la strategia che ho descritto.

9 commenti:

claudio ha detto...

l’analisi di Zinna è molto lucida e condivisibile. Aggiungo che Renzi, nel parallelo con la prima repubblica, mi sembra un personaggio assimilabile a Fanfani, e non perchè è toscano e talvolta indisponente (Fanfani lo era di più) . Ma perchè ha voglia di “fare” e qualche cosa ha già avviato in soli 12 mesi, superando con fretta e brutalità molte obiezioni, che poi sono quelle che hanno sempre bloccato qualunque riforma incisiva. Aggiungo che l’opposizione della CGIL, che ha dimostrato di non conoscere un dato di fondo, come sono divisi i lavoratori del settore privato tra sopra e sotto i 15 dipendenti, e tra precari e a tempo indeterminato, mi sembra veramente trascurabile. E’ sempre la Cgil che non ha tratto alcuna conseguenza dal referendum sulla scala mobile, ed è passata una generazione: forse avrebbero bisogno di un fanfanino anche loro... Infine, almeno per ora, è un personaggio che ha dato delle speranze: sarà un modo di porsi, ma rispetto ai politici di destra di centro e di Monti & Letta, c’è un abisso...

luciano ha detto...

Per me invece, come ho già avuto modo di osservare alcuni mesi fa, il paragone con la DC della prima repubblica è errato sotto ogni profilo: democrazia interna, radicamento sociale e locale, rapporto con i corpi intermedi, qualità del personale politico, cultura, ecc. ecc.

Nel ragionamento di Paolo Zinna, pur realistico ai limiti del cinismo, si manifesta una patente contraddizione.

Se il PD è quel partito-non-partito da lui descritto, se non c’è più nessuna ditta ma un partito di tutti (il cerchio quadrato) e della nazione intera, se c’è solo un leader legibus solutus che a suo piacimento può fare qualunque scelta, ma soprattutto scelte di destra, e che durerà 10 anni (secondo me almeno 20, che è il ciclo italiano tipico), se tutto questo è vero, ed è vero, allora è lampante che la frase chiave dello scritto di Paolo - “Se la lotta politica decisiva si volgerà entro il PD, entro il PD bisogna stare: nulla salus extra ecclesiam” - costituisce un ossimoro. Quale lotta politica è mai possibile in un partito che partito non è e nel quale il ruolo degli “interni” è, a tutto concedere, quello dell’intendenza di Napoleone ?

Nella Ecclesia, infatti, non si sta per fare lotta politica, a meno che non si sia almeno cardinali; la salus è solo quella delle anime dei credenti, che stando dentro l’Ecclesia si salvano dall’apostasia e dall’eresia, accettando l’obbedienza.

In ogni tempo i partiti di regime si sono riempiti di persone che (prima o poi) hanno detto che ci stavano non condividendo nulla, ma perché solo lì si poteva influire e magari fare la fronda. In parte erano solo opportunisti complici dei regimi, in parte erano illusi.

Sono assolutamente certo, conoscendolo, che Paolo non appartiene alla prima categoria.

Non ho alternative da offrirgli, purtroppo, ma questo non rende meno illusoria, improduttiva e contraddittoria la sua scelta “entrista”. E proprio per le ragioni di tecnica politica, oggettive, che lui stesso ha brillantemente sviscerato.

Il buon compagno Vittorio, che anch’io ho incontrato e ammirato nella mia traversata con i DS (non quel Vittorio lì, ma tantissimi come lui), con la sua generosa ma ottusa dedizione, ci ha rovinati tutti. Almeno il Vittorio della lettera se ne è accorto, anche se troppo tardi.

Luciano Belli Paci

lanfranco ha detto...

Caro Paolo questa tua analisi impietosa del Pd ha solo un difetto. Di tipo soggettivo.
Non saprei se sia più segnata dal fatalismo o dal ( scusa il termine) tafazzismo. La DC reggeva il ruolo perchè c'era la conventio ad excludendum. Chi impedisce oggi di lavorare per una alternativa di sinistra?
In fin dei conti mi pare più razionale l' atteggiamento del compagno Vittorio che intanto ha smaltito gli effetti della anestesia praticata su tanti ex-comunisti. Ma tu, che quell'anestesia non l'hai subita. che ci stai a fare? Per di più dal momento che teorizzi che questo Pd è immodificabile?
Un abbraccio per consolarti Lanfranco

maurizio ha detto...

Nemmeno io condivido l'analisi di Paolo Zinna, per molti e svariati motivi. Sintetizzando al massimo: perché la DC era un partito vero al vertice di un sistema politico costituito da partiti altrettanto veri, grandi o piccoli che fossero e comunque schierati.
La DC non ebbe mai un capo carismatico e tanto meno un leader padrone. Non lo fu nemmeno De Gasperi, che dovette scontrarsi con gli integralisti dei Comitati Civici a destra e con i cosiddetti "professorini" (Dossetti, Fanfani, La Pira) a sinistra. Fu invece un partito conteso da leader di grande spessore e da correnti ben organizzate, che si combattevano aspramente. Inoltre la DC rifiutò sempre l'abbinamento Segreteria del partito-Presidenza del Consiglio. Se ricordo bene ci provò solo Fanfani nel '54, tutti gli altri si coalizzarono e lo fecero subito fuori. Poi naturalmente riemerse (il "rieccolo" di Montanelli), ma senza più quella velleità. Inoltre alle spalle dei leader democristiani c'erano culture politiche storiche, da quella cattolico-liberale a quella cattolico-sociale così come c'erano i liberisti e i keynesiani. Naturalmente c'erano anche tante altre cose negative, ma non credo che sia il caso di elencarle fra di noi.
Mi sembra inoltre che Paolo Zinna sottovaluti eccessivamente gli altri partiti dell'epoca. Il PCI non poteva andare al governo, ma era un grande partito e il suo peso si sentiva, eccome. Erano forse ininfluenti il piccolo ma importante PRI di Ugo La Malfa, il PSDI di Saragat e infine il PSI, che comunque fu protagonista dell'unica vera stagione riformatrice dell'Italia repubblicana? Che cosa c'è oggi di solo lontanamente paragonabile a tutto ciò?
L'informazione era all'epoca omologata come oggi? E non c'era forse un altissimo tasso di politicizzazione che coinvolgeva tutte le generazioni?
Infine. Possiamo anche convenire che i giochi siano fatti e ogni battaglia di sinistra perduta. Ma allora diciamolo chiaramente e lasciamo perdere ogni inutile speranza di influire dall'interno.
Piuttosto - e qui introduco un elemento soggettivo - se nonostante tutto si è ancora animati dal desiderio di agire politicamente, perché tanta rassegnazione? Personalmente credo di essere realista, non rassegnato. E visto che all'interno del PD non conterei nulla, preferisco non contare nulla al di fuori, dove almeno posso dire e in parte fare quello che piace a me.
Maurizio Giancola

luigi ha detto...

Caro compagno Giancola, quadro preciso preciso per me condivisibile.
Una aggiunta ... la Costituzione italiana e il modello di economia
mista e con finalità sociali con potere pubblico che la coordina e
governa al tempo della DC di cui qui si discetta era viva e aveva
effetti reali nel tessuto sociale ed economico, poco male se i DC
erano bacia pile ... anche La Pira il santo lo era ... ma su
politiche economiche e stato sociale il trend era dentro questi
bibnari posti dalla Costituzione. Anche l'autoritario Fanfani negli
anno 50 poteva vantarsi del Piano INA Casa.
Dal crollo del muro e poi con i Blair e Schroeder e Craxi i binari
costituzionale sono saltati e si è messo il trena sul binario morto
del neoliberismo impersonificato dal PD renziano posto a presidio del
potere politico come lo sono stati prima Prodi, Berlusconi, Monti,
Letta.
Che siamo in una fase di dittatura neoliberista è un fatto ... che si
debba prima resistere e fare la nostra battaglia per ripristinare il
modello economico secondo costituzione è imperativo categorico.
Il problema che avendo perso totalmente di significato la parola
socialismo in europa e per molti qui della lista l'etichetta è
sostanza ... non ci si vuole mescolare con la sinistra non
socialista. Io mi mescolo con tutti quanti sono a sinistra del PD
senza se e senza ma. CLN della sinistra si impone.
Mentre invece ci sono i contorcimenti di frange e pagliuzze
socialiste che pensano di essere l'ombelico del mondo.
Io sono e resto socialista di sinistra diventato necessario
precisarlo anche se è pleonastico. In realtà liberalsocialista - ora
anche ecologista - ma questo basta e avanza per essere partigiano
della Costituzione.
Un dialogante socialista di sinistra saluto.
Luigi Fasce

paolo ha detto...

Ringrazio tutti voi, che avete discusso a fondo le mie riflessioni, con quel livello di acutezza che possiamo aspettarci dal Rosselli.

Non risponderò qui alle osservazioni, in larga parte giustificate, che avete fatto a questo o quell’aspetto della “fotografia”. Per quanto importanti, non mi pare però che cancellino la conclusione principale che ne traevo: per i prossimi anni, la vita politica italiana sarà imperniata su uno “pseudo partito” non ideologico, che continuerà ad avere come dominus Renzi.

Rispondo invece brevemente a Maurizio Giancola che dice: “se nonostante tutto si è ancora animati dal desiderio di agire politicamente” …. “visto che all'interno del PD non conterei nulla, preferisco non contare nulla al di fuori, dove almeno posso dire e in parte fare quello che piace a me”. Attraverso Maurizio, cerco di spiegarmi anche verso molti altri di voi che, con forme diverse, mi dite in fondo la stessa cosa. Qui entrano in campo le inclinazioni personali: voi vedete la distanza che ci separa da questo governo, la sostanziale impossibilità di influire in misura importante, e mettete al primo posto l’esigenza di marcare le differenze ideali, a costo di svolgere più un ruolo di stimolo intellettuale che di proposta politica. Io invece sento il desiderio di fare qualcosa, per quanto poco, che influisca su ciò che accade, magari per poco, magari anche solo in sede locale.

Vedi Maurizio, quanto al dire, non farti problemi: entro il PD si può dire qualunque cosa, si può persino far circolare la “Lettera a Vittorio” senza che nessuno dica niente, o pensi di tirarmi le orecchie, scommettiamo? Quanto al fare, Felice Besostri conclude il suo scritto con fosche e giustificate previsioni “se chi si oppone a livello nazionale non sarà capace di presentarsi in maniera coordinata per un progetto alternativo”. Ecco, io prevedo che non sarà mai capace.
E allora? Un compagno simpatico mi dice: “si può influire sul PD in tanti modi – fargli dire una cosa da Marchionne, comprare quote del gruppo Espresso-Repubblica, affiliarsi alla massoneria fiorentina … - meno che iscrivendosi al PD”. Io, non essendo in grado di fare nessuna delle cose più utili, resto iscritto al PD … J

Facciamoci reciprocamente l’augurio che la strada scelta da ciascuno si riveli meno velleitaria di quanto l’altro prevede.



Paolo Zinna

martelloni ha detto...

Il PD renziano, oggi, è certamente uno dei partiti più ideologici della storia politica italiana del secondo dopoguerra. Questo PD, infatti, va progressivamente superando il partito-guazzabuglio (la «ditta» bersaniana e, prima ancora, veltroniana) a molteplice e contraddittoria composizione politico-culturale, per configurarsi sempre più organicamente come il tentativo di costruire un partito di massa della borghesia, più o meno commerciale e professionale, italiana – ma senza escludere settori più schiettamente popolari e giovanili – e dunque, nella sostanza, come espressione politica della Confindustria e delle sue istanze economiche e ideologiche. Il tratto dominante che lo caratterizza, infatti, è l'avversione pseudo-culturale, politica e soprattutto economica al mondo del lavoro organizzato e sindacalizzato in forme non immediatamente subalterne al capitale ed al governo. Ma questo capitale italiano non solo, e con determinazione, vuole battere il lavoro e le sue espressioni sindacali e politiche presenti e potenziali. Questo capitale del XXI secolo vuole tutto! Vuole lo Stato. Da qui le reazionarie (e renzionarie) controriforme costituzionali, istituzionali, elettorali (su cui Besostri ed altri gettano luce). Pertanto, se questa "fotografia" mette almeno un po' a fuoco l'oggetto (e il progetto) renziano significa che: « il PD si abbatte (politicamente) e non si cambia». E tra l'altro solo così la "sinistra" del PD potrà avere un ruolo effettivamente progressivo e non di testimonianza (più o meno opportunistica).

martelloni ha detto...

Il PD renziano, oggi, è certamente uno dei partiti più ideologici della storia politica italiana del secondo dopoguerra. Questo PD, infatti, va progressivamente superando il partito-guazzabuglio (la «ditta» bersaniana e, prima ancora, veltroniana) a molteplice e contraddittoria composizione politico-culturale, per configurarsi sempre più organicamente come il tentativo di costruire un partito di massa della borghesia, più o meno commerciale e professionale, italiana – ma senza escludere settori più schiettamente popolari e giovanili – e dunque, nella sostanza, come espressione politica della Confindustria e delle sue istanze economiche e ideologiche. Il tratto dominante che lo caratterizza, infatti, è l'avversione pseudo-culturale, politica e soprattutto economica al mondo del lavoro organizzato e sindacalizzato in forme non immediatamente subalterne al capitale ed al governo. Ma questo capitale italiano non solo, e con determinazione, vuole battere il lavoro e le sue espressioni sindacali e politiche presenti e potenziali. Questo capitale del XXI secolo vuole tutto! Vuole lo Stato. Da qui le reazionarie (e renzionarie) controriforme costituzionali, istituzionali, elettorali (su cui Besostri ed altri gettano luce). Pertanto, se questa "fotografia" mette almeno un po' a fuoco l'oggetto (e il progetto) renziano significa che: « il PD si abbatte (politicamente) e non si cambia». E tra l'altro solo così la "sinistra" del PD potrà avere un ruolo effettivamente progressivo e non di testimonianza (più o meno opportunistica).

felice ha detto...

Non da solo, ho potuto fare sfide al sistema politico impugnando leggi elettorali incostituzionali. Con la fissazione della pubblica udienza del Lombardellum il trittico nazionale (3/12/2013), europeo(14/4/2015) e regionale (7/7/2015) è stato completato. Fossi stato un iscritto al PD non avrei potuto farlo: chiedere l'annullamento delle elezione di Fassino a Torino e del consiglieri metropolitani PD, MMC, SEL e Rifondazione Comunista nella Città Metropolitana di Milano non è cosa che si possa fare senza conseguenze. Sarà un caso che nelle 12 impugnazioni sparse per l'Italia mai trovato un avvocato PD? Il resto della sinistra è rappresentato, anzi in Toscana il ricorso è stato uno dei punti di coagulo di una lista unitaria a sinistra in alternativa al PD. Dal punto di vista strutturale il PD è come il Partito Comunista, anche se non sempre il nome figurasse: SED, POUP, POSU, nelle democrazie popolari est-europee-. Partito egemone circondato da piccoli partirti uniti nel Fronte POPOLARE O PROGRESSISTA. I piccoli partiti devono esistere, ma non essere determinanti, questa la vera ragione di premi di maggioranza ben superiori al 50+1% dei seggi ma veleggianti tra il 55% e il 65% nuovo record Umbria di una legge votata il 17 febbraio e le soglie differenziate ben più basse per chi si coalizza. Questa è una forma di corruzione elettorale grave quanto il voto di scambio. Non si comprano voti ma addirittura l'anima degli alleati. Ognuno stia dove vuole, ma una discriminante sono le battaglie da rifare anche a costo di stare in minoranza e di non essere eletto da nessuna parte. Nessuna indulgenza quando sono in gioco i diritti fondamentali tra i quali il voto libero, uguale e personale non c'è disciplina di partito che tenga