giovedì 5 febbraio 2015

Emanuele Macaluso: L'arbitro e quello del "carpe diem"

Dall'Avvenire dei lavoratori Il nuovo Capo dello Stato Riceviamo e volentieri pubblichiamo L’ARBITRO E QUELLO DEL “CARPE DIEM” di Emanuele Macaluso Non voglio commentare, per filo e per segno, il discorso del presidente Mattarella. Ma sono rimasto estasiato da tutti i commenti degli addetti ai lavori e di tanti esponenti di primo, secondo, terzo e anche quarto piano i quali tutti, all’unisono, si attribuiscono i meriti della scelta e che adesso sotto tutti “mattarelliani”. E tutti accolgono con ovazione l’annuncio che il presidente sarà un arbitro imparziale. E cosa s’aspettavano che dicesse: “sarò di parte”? Uno spettacolo, quello dei commentatori, non proprio di grande levatura. Il discorso di giuramento del presidente della Repubblica, pregno di riferimenti alla Carta costituzionale, quasi una lectio costituzionale, viene da una profonda cultura politica del cattolicesimo democratico. Dove si trovano il tema dei diritti, del sociale, della politica internazionale e dei sentimenti popolari. Insomma, un discorso che contiene una visione della società, della politica e del ruolo istituzionale del Quirinale. Anche il presidente del Consiglio, Renzi, si è profuso in sperticati giudizi. Ma io, detto con tutto il rispetto, non gli ho mai sentito pronunciare, anche in occasioni di una certa importanza, un discorso di forte spessore e che contenesse una visione strategica. Anche Renzi viene dal filone cristiano democratico. Ma tutti noi sappiamo che la storia dei cattolici impegnati in politica è fatta di esponenti di destra, di centro e di sinistra. A me Mattarella, persino nella figura fisica, ricorda Aldo Moro. Quello stile. Renzi è ancora fermo al “carpe diem”.

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