sabato 21 febbraio 2015

Niccolò Davini: Resoconto conferenza Male nostrum

17 febbraio 2015. Quattro anni dalla rivoluzione che sembrava aver cambiato per sempre il volto della Libia, garantendole democrazia e autodeterminazione, ma che invece ha finito per acuirne criticità e debolezze. “Male Nostrum – A chi conviene l’esportazione della democrazia in Libia?” era nato, nelle intenzioni del club PortoFranco, come un evento di memoria e approfondimento. Ma i fatti hanno voluto regalargli una valenza ancora più forte: quella di analisi a caldo di una guerra civile che ha improvvisamente invaso la sfera degli interessi italiani ed europei, uscendo dall’ombra della storia e travolgendo l’attualità. Una storia, quella della Libia, che è stata ben riassunta da Ilaria Tremolada, Ricercatrice dell’Università degli studi di Milano esperta di Italia del Dopoguerra. Il rapporto fra Italia e Libia ha radici lontane, che affondano nel colonialismo e nella dissoluzione dell’Impero Ottomano a cui l’Italia del XX secolo ha partecipato attivamente. Una delle grandi colpe che il fondamentalismo islamico, quello che chiamiamo semplicemente Isis ma che ha molte più sfaccettature, rimprovera a un Occidente vissuto come nemico da annichilire. In questo contesto, continua la dottoressa Tremolada, non vanno dimenticati, né sottovalutati, gli interessi economici tra Occidente, Italia e Libia, relativi al petrolio. Non è privo di conseguenze il grande interesse di ENI nell’area, né il sostegno di Total ai ribelli che ha contribuito alla creazione della situazione che viviamo ora . Certamente l’interesse italiano in Libia è ancora oggi prevalente, ma occorre agire con oculatezza e attenzione. Lia Quartapelle, deputata PD e membro della Commissione Esteri della Camera, ha cercato di sintetizzare la posizione del governo italiano, che sembra oggi vacillare fra l’interventismo di Gentiloni, le sicurezze di Pinotti e la prudenza di Renzi, sottolineando anche la necessità impellente di stanziare a bilancio delle risorse economiche per gli Esteri, conditio sine qua non per una politica estera di rilevanza. Anche nella scelta dell’intervento italiano in Libia, ha aggiunto la deputata, è importante non arrivare impreparati: è necessario imparare dagli errori del passato (pensiamo all’aver chiamato operazioni militari con l’appellativo di “missioni di pace”) e chiedere la cooperazione dell’Unione Europea e dell’ONU, evitando l’appoggio di altri paesi, come l’Egitto che avrebbe interesse in una possibile spaccatura della Libia in Tripolitania e Cirenaica. ​ ​ ​Da sinistra: Danilo Aprigliano,Lia Quartapelle,Bobo Craxi,Michele Achilli e Ilaria Tremolada.​ L’occidente, e questo emerge con evidenza, paga errori strategici e politici che rischiano di essere ripetuti anche oggi. Da queste considerazioni parte la riflessione di Michele Achilli, Presidente Commissione Esteri Senato 1987-1992, che ha problematizzato la valenza dell’impostazione dell’“esportazione della democrazia” post 11 settembre. L’esperto senatore ha parlato di strategie scellerate, maldestre e inefficaci, ponendo la platea davanti al dilemma: varrebbe forse la pena di lasciar mano libera a regimi che dall’osservatorio occidentale appaiono dittatoriali, al fine di garantire la stabilità regionale dell’area pan-araba? La risposta potrebbe essere negli errori palesi fatti durante il crollo di Mubarak e Gheddafi, sintetizzati nella timidezza occidentale nella questione siriana, con il presidente Assad ancora alla guida del governo di Damasco. Achilli ha inoltre posto l’accento su come siano interlacciate fra loro le diverse crisi che oggi viviamo: quella del mondo arabo in particolare con quella sul fronte ucraino, con una Russia che smaltito il crollo sovietico torna a porsi come attore sul piano internazionale, talvolta anche in contrapposizione con l’occidente. Pragmatico e disilluso anche Bobo Craxi, sottosegretario agli Esteri sotto il governo Prodi II. Partendo dall’analisi storica dei rapporti politici tra Libia, Europa e Italia fatta da Ilaria Tremolada, ha posto dubbi sulla realizzabilità di quanto auspicato da Quartapelle. La storia ci mostra infatti come gli interessi italiani e quelli del resto dell’occidente sulla Libia siano andati in direzioni diametralmente opposte: mentre noi consideravamo Gheddafi come un interlocutore, gli americani non hanno mai nascosto la loro diffidenza, non mancando di definirlo pazzo e imprevedibile. Sarebbe, dunque, piuttosto naïve, prosegue Craxi, definire quella libica come una rivoluzione di popolo, quando invece la sua matrice andrebbe ricercata nella volontà del governo degli Stati Uniti di non mancare l’occasione per rovesciare il debole regime gheddafiano. Secondo l’esponente socialista il governo italiano dovrebbe innanzitutto sostenere le forze libiche che si oppongono all’Isis, per poi valutare un eventuale intervento che si inserirebbe comunque in uno scenario allo stesso tempo complesso e vicino: non è bene rischiare un’escalation politica, militare e sociale su quella che è, di fatto, la nostra quarta sponda. Una sponda fatta di interessi politici e che ha i due punti di massima attenzione nell’emergenza immigrazione e nella dipendenza europea dal petrolio, che l’Italia importa in larga misura proprio dalla Libia. Il dibattito ha i visto i protagonisti giocare su un terreno di sostanziale accordo, ma non ha mancato di sottolineare le differenze tra la posizione chiaramente governativa di Lia Quartapelle che, anche nell’aperta ammissione degli errori del passato, non nasconde l’adesione ad un approccio più “tradizionale” alla questione, e quella pragmatica, forse meno politicamente corretta, di Craxi e Achilli. PortoFranco ha insomma saputo intercettare un’esigenza emergente e mettere in luce l’elemento più drammatico del nostro fronte interno: per quanto concorde su temi di principio e unito da una cultura comune, è invece frastagliato e disomogeneo sulla risposta da dare a quelle che sono minacce sempre più attuali e imminenti. Niccolò Davini

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