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domenica 5 ottobre 2014
Gim Cassano: Il crollo degli iscritti al Pd
Il crollo degli iscritti al PD si spiega con la manifesta inutilità dell’esservi iscritto.
Il crollo degli iscritti al PD: 100.000 contro circa 500.000 un anno fa (anche se ora si dirà che il dato non tiene conto del fatto che la campagna di tesseramento non è ancora chiusa, e che sarà prolungata) è fenomeno che deve far riflettere anche chi, come il sottoscritto, non ha mai avuto alcuna intenzione di aderire a quel partito. Ed è un fenomeno la cui osservazione apre la strada a diverse considerazioni sullo stato della nostra democrazia.
Se un fatto del genere poteva essere prevedibile, c’è però poco di che esserne soddisfatti ed invece non poco di che esserne preoccupati, specie per chi, pur non avendo nulla a che fare con quel partito, è però convinto che la democrazia sia un meccanismo delicato, da preservare e sviluppare in tutti gli ambiti.
Il fatto che i cittadini-iscritti fuggano dal maggior partito italiano mi pare in ogni caso un indice del crollo dei meccanismi partecipativi e del ruolo di corpi intermedi che in una democrazia matura sono assegnati ai partiti politici, ed un ulteriore tassello che va ad aggiungersi ai già tanti che si stanno assemblando a comporre un mosaico complessivo che vede progressivamente inaridirsi l’esercizio della democrazia.
Il crollo degli iscritti al PD è indice, temo irreversibile, di una trasformazione del partito politico che fu espressa con chiarezza da Walter Veltroni nel suo discorso di candidatura-investitura alla guida del PD, nel giugno del 2008 al Lingotto, nel rivendicare il presunto carattere innovativo di una forma-partito fondata non più sugli iscritti, ma sugli elettori.
Un tale modello di funzionamento, in presenza del più “veltroniano” tra i segretari via via succedutisi alla guida del PD, e di una virata oligarchico-decisionista impressa da Renzi, trova ora piena espressione: in sostanza, in questa visione, la presenza degli iscritti ed il manifestarsi del dibattito interno che ne dovrebbe seguire è cosa inutile, al limite fastidiosa e paralizzante: quel che conta è il consenso in termini di plebisciti interni ed in termini di risultati elettorali.
La legittimazione del vertice non segue al confronto ed alle contrapposizioni interne ad un corpo partecipato, ma al plebiscito una-tantum da parte di un corpo fluttuante nei confronti di un leader, dal quale promanano le scelte politiche e le decisioni circa gli assetti, in un processo non bidirezionale, ma a senso unico, dall’alto verso il basso, con ridotte possibilità di confronto e discussione. E, nel caso attuale dell’assunzione della responsabilità di governo, queste scelte non hanno origine dal partito, ma dal governo o dagli accordi che ne hanno preceduto la formazione, anche in virtù della coincidenza nella stessa persona dei ruoli di Segretario e di Presidente del Consiglio. E, se in un organo-chiave quale la Direzione Nazionale, cui spetterebbe la discussione e la definizione della “linea”, questa viene presentata come un dato già acquisito, già comunicato all’esterno, e che addirittura è già stato oggetto di patti ed impegni definiti con altre forze politiche, la discussione diventa puro esercizio verbale, ed il tutto si riduce alla pura ratifica, o meno, di decisioni già assunte, o di impegni già presi con altri, e quindi presentati come immodificabili.
Non c’è quindi alcuna ragione per la quale un cittadino medio, mediamente informato da TV e stampa circa i fatti della vita politica, che scorre siti e blogs senza perdercisi dentro, ma che è interessato all’andamento della cosa pubblica, dovrebbe restare iscritto ad un partito nel quale non ha nessuna possibilità di discutere, di partecipare, di far sentire la sua, di organizzarsi con altri che abbiano le stesse vedute per affermarle.
Si obietterà che il PD è strutturato sui circoli, e che i circoli ne sono l’ambito di discussione e partecipazione. Ma, agli effetti della linea politica del partito sulle questioni determinanti (quali, recentemente, Patto del Nazzareno, legge elettorale, trasformazioni istituzionali, mercato del lavoro), è evidente che il ruolo dei Circoli, e quindi degli iscritti in quanto tali, è risultato meno che nullo.
E’ così venuto meno il ruolo del cittadino-iscritto, che non trova possibilità di partecipazione ed intervento nelle cose del Partito; possibilità che inizia a manifestarsi solo a partire da quadri locali che costituiscono il livello inferiore della piramide d’apparato, non ancora e del tutto divenuto ceto politico professionale, ma che aspira a farne pienamente parte, assumendone metodi e stili. Costoro hanno, non foss’altro che in virtù del loro ruolo di semiprofessionisti della politica, di persone di fiducia del boss locale, della presenza in organi amministrativi ed elettivi locali, qualche possibilità di interlocuzione coi vertici, locali e nazionale.
Ne risulta un meccanismo che esclude il cittadino-iscritto in quanto tale, e nel quale la partecipazione è riservata a chi faccia stabilmente parte dell’apparato, o almeno aspiri ad entrarvi accettandone regole del gioco e metodi, non sempre encomiabili.
Le primarie per la scelta dei vertici, aperte ad elettori e simpatizzanti, non arrivano a correggere tale realtà, nonostante la trita retorica che si ascolta ad ogni loro celebrazione circa la “grande prova di democrazia” che esse fornirebbero, e nonostante si sia detto, confrontando le centinaia di migliaia di iscritti con i milioni di votanti alle primarie interne, che l’aver sostituito ad un partito di iscritti un partito di elettori sia un passo avanti sulla strada dell’apertura e della partecipazione.
Esse, nonostante il numero dei partecipanti, non sono infatti strumento di partecipazione e confronto, ma di acclamazione e plebiscito; ed il massimo che si possa dire al riguardo è che esprimano una sorta di sondaggio d’opinione.
Non possono sostituire il concetto di un partito quale “libera associazione di cittadini”, quale corpo intermedio, quale strumento di lotta democratica, che presupporrebbe la pratica della democrazia interna. Ma la pratica della democrazia interna ne richiede gli attori permanenti, cioè gli iscritti. Se questi vengono meno per manifesta inutilità, non resta altro che una struttura leaderistica a base plebiscitaria, la cui base è costituita, in forma piramidale, da un apparato sostanzialmente professionale.
E’, a ben vedere, una forma-partito funzionale ai progetti di involuzione della nostra democrazia che sono in corso; anzi, li precorre, nel limitare di fatto le possibilità di partecipazione del cittadino in quanto tale, per sostituirvi l’acclamazione, e nel porre di fatto il governo di un partito politico nelle mani di un ceto semiprofessionale alla base, e pienamente professionale ai vertici. Non c’è poi da stupirsi se vien meno il radicamento nelle realtà sociali e territoriali, che si fonda sull’attività diffusa di iscritti ed attivisti la cui presenza e numero è funzione delle possibilità di effettiva partecipazione e d influenza.
Questa è la ragione per la quale il calo degli iscritti al PD, oltre che un problema per il PD (cosa che non è certo in cima ai miei pensieri), è un ulteriore indice di una democrazia malata, fatto al quale invece dovremmo tutti essere interessati.
Gim Cassano, 04-10-2014
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1 commento:
Non c'è da meravigliarsi se nel sud il fenomeno dell'allontanamento dalla "politica partitica" risulta molto più accentuato.
Se guardiamo i comportamenti dei partiti (dx e sin. non fa differenza) nella gestione della cosa pubblica, risalta evidente la logica dell'arricchimento individuale, di parentopoli, del clientelismo, della corruzione diffusa, .......A tanto si aggiungono le decine di scioglimenti delle amministrazioni, il saccheggio delle risorse, le condanne penali di diversi amministratori.
Potrebbe anche non essere infondata la "diceria" della concussione sessuale? Quindi della depravazione e della moralità ai più bassi livelli? Quanto ai finanziamenti sottobanco, sarebbero da escludere? Spesso si è verificato che la "sin.tra" ha sistemato i padri, e, una volta subentrata la dx in nome della "discontinuità", ha sistemati i figli. Per eventuali nuovi posti di lavoro nelle pubbliche amministrazioni, sono già pronti i figli dei figli, cioè i nipoti. Perchè le migliaia di giovani senza "padrini" e che continuano a rinmanere "al palo" dovrebbero autocastrarsi avallando con la partecipazione e il voto questo tipo di gestione?
Altro aspetto rilevante è rappresentato dal fatto che alcuni con le ragnatele clientelari pluridecennali hanno trasferito il loro domicilio sugli scranni delle amministrazioni pubbliche e da decenni fanno, come si suol dire, " il bello (poco) e il cattivo tempo (molto). La preferenza al singolo candidato nelle regionali, ha fatto il resto :devianze, zone grigie, connivenze con ambienti malavitosi( pur di "vincere" nessun voto olet ). Un rimedio potrebbe essere rappresentato dall'introduzione di un parziale sorteggio nell'assegnazione dei seggi, dopo aver rigorosamente individuato i requisiti necessari per l'esercizio dell'elettorato passivo.
Purtroppo chi si è assicuratà stabilità clientelare, si oppone ad ogni cambiamento e si arrocca alla difesa ad oltranza del "proprio orticello". Se qualcuno si ricorda dei "forconi" non è una sorpresa. Un saluto, Roel
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