domenica 16 marzo 2014

Renato Fioretti: Giù la maschera: aridatece i puzzoni

“Giù la maschera; aridatece i puzzoni” (di Renato Fioretti) Ci sono cose che vanno obbligatoriamente dette - senza alcun timore di contraccolpi e/o conseguenze - pena il concreto rischio di non essere (poi) in grado di spiegarne altre; apparentemente indecifrabili. In questo senso - quale premessa - a costo (anche) di produrre un eccesso di collera in qualche collega di vecchia data, se non - addirittura - generare qualche inimicizia, esporrò alcune considerazioni che esulano dal politically correct; praticamente: “fuori dai denti”! In oltre trent’anni di attività sindacale in Cgil, dal ‘76 al 2008, frequentando quotidianamente - e nelle più svariate occasioni - tanti “compagni” che si richiamavano alla componente “comunista”, avevo già avuto occasioni per verificare che, in effetti: “Non era tutto oro ciò che sembrava luccicare”! Intendo dire che, mentre alla stragrande maggioranza degli stessi risultava assolutamente naturale ricorrere a toni da perfetti e smaliziati “imbonitori”, nel rifarsi (fedelmente e acriticamente) al più recente articolo de “L’Unità” - se non all’ultima dichiarazione del “Segretario” di turno - per esprimere qualsiasi “posizione”, non sarebbe poi stato agevole dimostrare, nel corso degli anni, altrettanta coerenza ai principi e ai comportamenti dei quali pretendevano essere gli unici depositari. Quanti aspri confronti - tra le c.d. “componenti” - con i compagni comunisti che, in pratica, reclamavano (ed erano convinti) di essere gli unici legittimati a rappresentare (tutti) i lavoratori e gli iscritti al Sindacato. La Cgil - naturalmente - Cisl e Uil erano considerate poco più che “serve dei padroni”. Quante infuocate polemiche con soggetti che - semplicemente perché iscritti al Pci - ritenevano di essere depositari della verità. Quanti “sproloqui” sulla “lotta di classe” e quanta animosità nei confronti dei compagni socialisti; accusati di richiamare - addirittura - il “social fascismo”, solo perché sostenitori del “riformismo”! Quale peggiore e infamante accusa (dal loro punto di vista) da rivolgere a un iscritto al Pci - considerato fuori dalla “linea ufficiale” del Partito - se non quella di “socialdemocratico”. Attraverso quali e quante “Forche caudine” era costretto a passare (persino) un qualificato rappresentante della componente socialista - rispetto a un qualsiasi “peones” iscritto al Pci - prima di poter assumere qualsivoglia incarico di (pur) minima responsabilità e, soprattutto, “visibilità”. Quanti nomi potrei citare di dirigenti sindacali comunisti che accusavano noi socialisti di connivenze con i “padroni” quando condividevamo l’opportunità di perseguire i falsi “malati” e/o gli “assenteisti ingiustificati”, piuttosto che sostenere assurde pretese attraverso le quali, ad esempio, si esigeva - in ambito Enel - il riconoscimento “dell’indennità di guida” a tutti e 5/6 i componenti della stessa squadra! Qualcuno ne ha memoria? Personalmente, mi sono imposto di non dimenticarlo. Quante “balle” sul “Paradiso in terra” - rappresentato dal “Socialismo reale” - da contrapporre all’invisa “Socialdemocrazia” di stampo Nord/europeo. Quanto tempo (perso) a declamare le conquiste della “Rivoluzione d’ottobre”, mentre, in realtà - come tanti di noi già sapevano - dai Paesi del c.d. “Blocco orientale” si levavano, intense, grida di dolore! Quanti entusiastici “reportage di viaggi” - con l’immancabile presenza di una “guida di Stato” al seguito - per decantare le meraviglie del “sistema collettivistico” a economia pianificata e delle “performance” produttive industriali dei paesi dell’Est, da contrapporre ai resoconti imparziali di singoli viaggiatori (me compreso, in numerose occasioni) che tornavano in occidente sconvolti dalle esperienze vissute tra le interminabili “file del pane” e “del latte” a Bucarest e le invasive “attenzioni” delle polizie “politiche” a Praga o Budapest, piuttosto che a Varsavia! Naturalmente, è superfluo sottolineare che tanti di quei miei interlocutori non facevano altro che esprimere concetti e posizioni perfettamente (e idealmente) sovrapponibili a quelli espressi - da altri iscritti allo stesso partito - negli anni precedenti e in quelli successivi. Penso, ad esempio, ai decenni che sono stati necessari affinché questi soggetti - a partire da quello che oggi è il nostro capo dello Stato - riconoscessero che ciò che si verificò nell’agosto del ’56 non fosse derubricabile a general/generici “Fatti d’Ungheria”, quanto, piuttosto, al tentativo di un intero popolo di sottrarsi alla tirannide dell’URSS! Quanti, a questo proposito, ricordano che, dopo quei tragici giorni, mentre L’Unità (organo ufficiale del Pci) continuava a definire “teppisti” gli operai e gli studenti insorti, Giorgio Napolitano - nel polemizzare con Antonio Giolitti che, per protesta, aveva lasciato il partito - scriveva: ” L’intervento sovietico, oltre che impedire che l’Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione, ha contribuito in misura decisiva, non già a difendere solo gli interessi militari e strategici dell’Urss ma a salvare la pace nel mondo”? Come dimenticare che nel corso della mia lunga militanza sindacale ho condiviso tante esperienze e interessi - ma, contemporaneamente, spesso aspramente polemizzato - con quei compagni comunisti, della mia stessa generazione, ai quali mi (già) ero fortemente contrapposto quando, nel dicembre 1968, manifestavo contro l’invasione della Cecoslovacchia? Si tratta, evidentemente, di cose che non andrebbero mai dimenticate e/o sottotaciute. Soprattutto quando, come verificatosi negli ultimi anni nel nostro Paese, ci si trova nella condizione - che (personalmente) non so se considerare esilarante, piuttosto che tragica - di registrare che tutti, o quasi tutti, si definiscono “Riformisti”. Certamente sono in tantissimi a farlo - e li ricordo bene - tra coloro che in un passato neanche troppo lontano, ritenevano che definirsi tali corrispondesse a un “mea culpa”, con conseguente, automatica, auto collocazione “fuori dalla sinistra”! Probabilmente, passa il tempo, gli interessi - del partito e, spesso, personali - cambiano e si assiste a una sorta di lenta e inesorabile “mutazione genetica” di quegli stessi soggetti che, ancora negli anni ottanta, invocavano la nazionalizzazione delle banche e tuonavano contro i famigerati “Poteri forti”. Però, a mio parere, si tratta (in sostanza) di un’evoluzione darwiniana “al contrario”! Infatti, se pur tra gli eccessi di alcuni dogmi del comunismo realizzato nei Paesi del “Patto di Varsavia” - assolutamente “indigeribili” e, comunque, sostanzialmente sconfessati dal riconoscimento del “Superamento della spinta propulsiva” della rivoluzione d’ottobre - i principi ispiratori che sostenevano l’affermazione e la realizzazione del “socialismo” rappresentavano - e continuano a rappresentare, per quanto mi riguarda - un’ipotesi di consorzio umano ideale, rispetto al quale confrontarsi e misurare la propria idea di giustizia ed eguaglianza sociale. Purtroppo, invece, la storia del nostro Paese - insieme alle vicende personali e politiche di tanti di quei compagni (all’epoca) appartenenti “all’altra componente” - ha dimostrato la vacuità di tante loro “supponenti” prerogative e peculiarità; per cui, in definitiva, è come se avessero “buttato anche il bambino, oltre che l’acqua sporca”! In questo senso - e non ho né timore di esagerare né di essere smentito - non avrei alcuna difficoltà a indicare decine e decine di compagni ex comunisti (tra ex colleghi dirigenti sindacali, ex interlocutori “istituzionali”, semplici conoscenti e tantissimi amici) che hanno, costantemente e ripetutamente dimostrato, nel corso degli anni, una straordinaria propensione al “Realismo politico”. Un’evidente (ottimale) condizione di spirito e predisposizione al “nuovo”, in virtù della quale coloro i quali si vantavano di essere “duri e puri”, allergici ai compromessi, rivoluzionari “per principio” e, soprattutto, con le “mani pulite”, hanno dimostrato di poter tranquillamente “assorbire” “digerire” e, soprattutto, giustificare “oscenità politiche” inimmaginabili! A questo riguardo, l’elenco sarebbe troppo lungo da stilare; ritengo sufficiente riportare (solo) alcuni significativi esempi di particolare interesse. Il primo, relativo a un tema che - una volta - sembrava essere molto caro a chi pretendeva di avere “l’esclusiva” in tema di lotta di classe; il lavoro. Qualcuno ricorda, per esempio, che la primogenitura sulla proposta di una congrua “moratoria” sull’applicazione dell’art. 18 dello Statuto non appartiene ad alcun “reazionario” di estrema destra, ma a D’Alema (in veste di Presidente del Consiglio)? E’ ancora presente il ricordo dello scellerato invito al c.d. “voto utile” che Veltroni - sì, proprio Walter, quello che si sarebbe dovuto ritirare in Africa - rivolgeva agli elettori affinché, alle politiche del 2008, si votassero i vari Fioroni, Lanzillotta, Franceschini, Letta e similari, piuttosto che i partiti “a sinistra” del Pd? Quanti ricordano che il “tabù” dei finanziamenti alle scuole private - a quelle cattoliche, per intenderci - non è stato (sostanzialmente) abbattuto grazie alle ruvide spallate assestate all’Istituzione pubblica da un qualsiasi barbaro “padano”, quanto, piuttosto, dall’intraprendente iniziativa di un ministro - Luigi Berlinguer, classe 1932 - perfetto esempio di “pseudo tecnico” formatosi alla scuola della vecchia “nomenclatura” Pci? Perché meravigliarsi, quindi, del sostegno degli ex Pci - ex Pds, ex Ds, oggi Pd - l’altro ieri al governo Monti e appena ieri alle “larghe intese” con l’indomito “Caimano”? Perché perdere tempo a interrogarsi sulle cose che dovrebbero oggi dividere l’attuale Segretario del Pd e Presidente del Consiglio dei ministri, dagli Alfano, Monti, Formigoni e - in sostanziale “appoggio esterno” al governo - l’indiscusso capo della pseudo opposizione? E così difficile prendere atto che, nel corso degli ultimi anni, come già anticipavo, si è realizzata una sorta di “involuzione darwiniana” degli ex Pci? Una serie di fasi “in progress” - corrispondenti, a mio parere, ad altrettanti “arretramenti” politici - dal Pci, al Pds, ai Ds (senza più neanche l’ingombrante onere di definirsi “partito”), al Pd del 2007 e fino alla degenerazione dell’avvento di Renzi! Personalmente - anche a rischio di compromettere il già difficile rapporto con l’ultimo degli amici (ex Pci) eventualmente rimastomi - ritengo che, una volta realizzata l’impossibilità di una “terza via” al socialismo nel nostro Paese, i compagni dell’ex Pci avessero deciso di intraprendere - strumentalmente - l’unica strada di accesso al governo del Paese: la conquista politica del “centro”! Che questo avrebbe significato sacrificare, sull’altare dello “opportunismo politico”, decenni di storia “antagonista” - o, almeno in apparenza, tale - rappresentava, evidentemente, un “prezzo” equo. La cosa strabiliante - che si spiega, a mio parere, solo si prende atto dell’assenza di uno strutturale convincimento “di fondo” circa la bontà e l’efficacia dell’affermazione della propria idealità politica, unita a straordinarie doti di “trasformismo” - è la sostanziale (indiscussa) facilità con la quale gli ex dirigenti Pci sono riusciti a far “assorbire”, nel corso degli anni, a tante parte dei loro attivisti, sindacali e politici - ma non ad altrettanti elettori degli “anni d’oro” - “cambi di marcia” così sfacciatamente “revisionisti”! Revisionismo che, grazie alla costante opera di tanti epigoni della famigerata “doppiezza togliattiana” è stato, di volta in volta, contrabbandato per “senso di responsabilità”, “opportunità politica”, “esigenze nazionali”, “emergenza sociale” e - balla tra tutte le balle - “governabilità”! In definitiva - agli occhi attenti di un osservatore “disincantato” - migliaia di “quadri” ex Pci - sindacali e politici - hanno alla fine dimostrato, attraverso il susseguirsi delle diverse tappe, di saper essere ben “più realisti del Re”. In ultima istanza - perché credo e mi auguro di poterla considerare tale - per giustificare (perfino) il ricorso al giovane ex Dc “in carriera nel Pd”, ci si è addirittura aggrappati semplicemente al bisogno di “novità”. Quasi che fosse difficile stimare, a priori, quanto possano concretamente - poco - concorrere le “chiacchiere” e le “smorfie” di Renzi alla soluzione della drammatica crisi, sociale prima che politica, che attanaglia il nostro Paese. Forse, è il caso di far rilevare, a questi miei vecchi compagni “di lotta (?) ”, che il primo atto - in materia di lavoro - del giovane capo dell’Esecutivo, ha rappresentato la completa “liberalizzazione” dei contratti di lavoro a termine e l’ulteriore “deregolamentazione” dell’apprendistato. Naturalmente, Paoletti - il neo Ministro del Lavoro - per non essere da meno, svolge opera di “contrabbando lessicale” e, rispetto alle (suddette) misure, inserite in un primo decreto legge, parla di: ”Segnali di semplificazione”! Che cosa ha in comune la (pur) apprezzabile opera di “semplificazione” delle norme di legge - di tutte le leggi - con un provvedimento che, di fatto, consente a un datore di lavoro di reiterare, nell’arco di trentasei mesi, un rapporto di lavoro (falsamente) a termine - di durata, teoricamente, anche quotidiana, ma, comunque (è facile immaginare) di breve o brevissima durata - per prestazioni che, invece, prevedrebbero, a priori, una durata indeterminata della prestazione lavorativa? Come può - quello stesso mio vecchio compagno, congiuntamente a tanti altri ex - non fremere di sdegno, insieme a me, piuttosto che “autoassolversi” in nome della “governabilità”, insieme a Renzi, rispetto a una disposizione che, nell’abolire l’obbligo della forma scritta del piano formativo per un giovane apprendista, calpesta un’elementare forma di civiltà giuridica del nostro Paese? Come restare indifferenti, nel Paese europeo che, nel detenere il vergognoso primato dell’evasione previdenziale e contributiva (a danno del lavoratori) - oltre che fiscale, naturalmente - sperpera milioni di € in incentivi “a pioggia” alle imprese (e alle banche) e, contemporaneamente - sempre in nome della semplificazione - consente, in maniera che non esito a definire truffaldina e di natura criminale, di abolire la norma secondo la quale le aziende, prima di procedere all’assunzione di altri apprendisti, avrebbero dovuto trasformare in rapporti di lavoro a tempo indeterminato almeno il 30 per cento dei precedenti contratti di apprendistato? Va da sé che non mi meravigliano le incondizionate lodi che l’ex Ministro del lavoro Sacconi rivolge a Renzi e Paoletti. Ricordo ancora bene che, nel 2008, il primo atto ufficiale del Ministro Sacconi - in nome di un’altra (fantomatica e fraudolenta) “sburocratizzazione” dei rapporti di lavoro - fu quello di abrogare la legge 188/2007, del precedente governo Prodi, che aveva cercato di porre un freno alla vergognosa pratica delle c.d. “dimissioni in bianco”, da parte, in particolare, delle donne; future lavoratrici madri! In definitiva, risulta, ai tanti ex “duri e puri” - prodi alfieri della “lotta di classe” a favore dei lavoratori - che le “mosse” di Renzi saranno prossimamente rivolte: a) all’istituzione del c. d. “salario minimo legale”, che comporterà - contrariamente a quanto si sforzeranno di farci credere - un adeguamento “al ribasso” degli attuali “minimi di categoria”; senza minimamente concorrere all’emersione del “nero”? b) al sostanziale ripristino delle famigerate “gabbie salariali”, con salari differenziati per aree geografiche? Se ci siete, per favore, battete un colpo!

1 commento:

felice ha detto...

Che dire incontrovertibile, ma che dire anche dei Sacconi e di quelli che hanno reso debole il PSI prestandosi a gioco dela corruzione. Nè mi si dica anche perchè è vero che lo facevano tutti. Fossimo stati diversi ora avremo avuto la forza elettorale e politica di rivendicare la guida di una sinistra italiana, che non ha i numeri per governare se non truccando le elezioni.






Felice C. Besostri