Questo pensiero del compagno Mariotti mi lascia un po' stralunato ... meglio il potere dei mercati che quello del potere politico ? Certo il potere politico al governo può decidere la guerra cruenta ... il potere economico la cronica cancrena purulenta ... e questo sarebbe il nostro destino ? Magari ho capito male non mi sembra che in passato il compagno Mariotti fosse così dissonante dal mio pensiero sulla democrazia. Un fraterno dialogante saluto socialista di sinistra. Luigi Fasce
tento di spiegarmi, non so se ci riesco, anche perché ho molte contraddizioni e me ne rendo conto. Semplifico molto il ragionamento, usando categorie molto generali, per cui mi scuso se "banalizzo"...
Capisco che fra "compagni" (anche se sinceramente temo di essere di un "rosso un po' pallido"...) possa scandalizzare parlare di positività della "non superiorità" del politico sull'economico; però credo da un lato che dovremmo adattarci, perché questo di fatto, se guardiamo alle cose stesse, e non alle illusioni, è il paesaggio con il quale ci confrontiamo; dall'altro penso effettivamente che questo "limite" posto al "politico" possa essere positivo perché è appunto anche un limite alla distruttività che ogni potere porta con sé.
E il politico, soprattutto se si incarna nel momento statuale, porta con sé (almeno in potenza) la massima distruttività possibile, nella guerra all'esterno; e all'"interno" anche nella coercizione personale del potere di polizia, che grazie a Dio abbiamo imparato a limitare (spero...)
Per me il primato della politica, per riprendere anche il dialogo con Ferrari a proposito di un altro post che ho scritto e condiviso qui, non è rappresentato dallo stato sociale (che è un aspetto del "compromesso" con il mercato, da un certo punto di vista), ma è rappresentato dagli orrori del XX secolo del fascismo e del nazismo. E in modo diverso - molto diverso, non amo i facili parallelismi - del comunismo. "Volontarismi poltici" portati all'estremo, politica che voleva "rifare" la società, e finiva per voler "rifare" (e distruggere, quindi) gli uomini e le donne...
Certo, avete ragione da vendere, quando additate come conquiste bellissime le varie riforme che hanno segnato la crescita dello stato sociale. Ma queste sono conquiste segnate appunto da un "compromesso" fra il politico e l'economico che - ripeto cose già dette - sono state per lo meno facilitate - per quel che riguarda l'Europa - da due fattori strettamente congiunti:
1. la divisione del mondo in blocchi e la conseguente "concorrenza" del modello sovietico, che ha costretto i sistemi europei occidentali a sviluppare lo stato sociale anche come "antivirus contro il comunismo" 2. la delega agli Stati Uniti in campo militare, che ha relativizzato l'impegno bellico dell'Europa (eccezion fatta forse per Francia e Uk), anche in termini di investimenti fianziari e similari.
Queste caratteristiche vengono a mancare dopo il crollo del Muro, e si uniscono ad altre spinte che mettono in crisi la democrazia in Europa (si veda un articolo interessante - per quanto non certo riginalissimo - dell'Economist, raccontato anche da ilPost, riporto di seguito alcune citazioni).
Quella "Golden Age" che ha segnato il secondo dopoguerra in Europa io temo non si ripeterà più, soprattutto perché "sfugge" ineluttabilmente agli Stati il controllo delle ricchezze, il controllo pieno della fiscalità, e via così dicendo.
Dobbiamo trovare un nuovo punto di "compromesso" fra politica ed economia, e finanza. Difficile che possa trattarsi di un SuperStato che riesce a tassare gli scambi finanziari mondiali, tanto per intenderci... Al massimo una tobin tax qua e là, posto che serva...
Purtroppo (?) le pratiche politiche si dovranno modulare in modi diversi: nel micro, per fare un esempio, è velleitario pensare che le webtax nazionali possoano servire realmente a contrastare le elusioni (problema effettivamente presente) delle multinazionali.
Soluzioni complicate, non immediate; continui "taglia e cuci", prova- errore - riprova... Siamo lontani, temo, dalla sicurezza (sicumera?) con la quale un tempo la politica guardava al suo "paesaggio nazionale" illudendosi di poterlo controllare.
Come cittadino, in ogni caso, preferisco che Principe, Banchiere, e Industriale si sorveglino a vicenda, e si "ostacolino" a vicenda. In questo "conflitto" (che certo oggi vede troppo forti finanza ed economia) ci sono gli spazi per sopravvivere.
Perché le società armoniose generalmente soffocano le libertà...
Non so se mi sono capito, come diceva un amico :-)
Caro Francesco, > Finché sostieni che il primato della politica non deve > dare mai luogo ad un potere illimitato di natura > totalitaria con la pretesa (o il pretesto) di costruire > l'uomo nuovo e il paradiso in terra, ti seguo. > Invece, se neghi che la politica debba essere > sovraordinata rispetto all'economia, non ci sto proprio. > Senza primato della politica sull'economia non solo non è > possibile perseguire un qualunque programma di sinistra > (anche il più moderato), ma più in generale la democrazia > si trasforma in finzione, recita, mera forma. L'impotenza > della politica - e dunque della democrazia - a livello > dello stato nazionale è un dato oggettivo, ma questo non > può produrre rassegnazione visto che si tratterebbe di > rassegnarsi ad una condizione di assenza di libertà > democratica. L'alternativa e' quella di spostare il > livello dell'azione politica in una sfera sovranazionale. > Non è un obiettivo semplice, ma non è inattuabile con gli > strumenti dei quali le società moderne dispongono. > La dittatura della finanza internazionale non mi pare meno > detestabile delle altre che l'umanità ha conosciuto in > passato. > Ciao. > Luciano
Caro Francesco, mi sembra che questo scambio di opinioni, proceda lungo il solco di una certa confusione. Cercherò se possibile di chiarire. La Politica deriva dal “polis” che possiamo tradurre come l’arte di governare le società ed in primis l’arte di governare i rapporti economici delle società sia al loro interno che nei rapporti tra le diverse società. Non c’è dunque politica che non sia anche modalità di governare l’economia. Questo potere di governo (polis) può essere gestito privilegiando l’interesse ( economico) di pochi ( i più forti nell’epoca in cui contava la forza, i più furbi. i più ricchi) o l’interesse di tutti.
Chiamiamo destre, e liberismo il loro pensiero politico, coloro che pensano che per rendere prospera una società occorre lasciare il più liberi possibili di agire coloro che hanno spirito imprenditoriale e commerciale ( libero mercato) perchè è dalla capacita di questi di produrre ricchezza che a cascata deriverà poi il benessere per tutti. Chiamiamo sinistra, e socialismo il loro pensiero politico, coloro che pensano che se è pur vero che il mercato libero è uno strumento insostituibile per promuovere il benessere di una società, tuttavia senza uno Stato che intervenga nel sistema economico, ne detti le regole, e le faccia rispettare, i possessori di ricchezze sarebbero spinti ad arricchirsi sempre di più a discapito degli altri. Si creerebbe una società di sempre più diseguali con alla fine gravi turbolenze sociali. Una società dove prevale un pensiero politico di liberismo economico esasperato, se pure apparentemente apparirebbe come una società più libera, più dinamica, più “attraente e attrattiva” ( come ha scritto in modo mirabile Michel Albert, socialista e consulente economico di Mitterrand nel libro Capitalismo contro capitalismo) di fatto creerebbe continue tensioni sociali, tra pochi ricchi e masse di poveri, che renderebbero conflittuale quella società con il rischio di sconfinare in sistemi statali repressivi.
Tutto questo era stato ben descritto nel documento fondativo della socialdemocrazia tedesca nel congresso del 59 a Bad Godesber, che sotto trascrivo, e che fa apparire un po' ripetitivi tutti coloro che oggi denunciano come loro scoperta i rischi delle politiche liberiste , quando tutti questi rischi e i possibili rimedi erano già stati ampiamente analizzati con le relative proposte di soluzione. Sarebbe bastato che i partiti socialisti una volta arrivati al governo via avessero posto maggior attenzione ed entusiasmo nel realizzarle.
“ Un carattere essenziale dell’economia moderna è il processo di concentrazione che si va continuamente rafforzando. Non solo le grandi imprese determinano in modo decisivo l’evoluzione dell’economia e del livello di vita, ma esse modificano anche la struttura dell’economia e della società: Chi nelle grandi organizzazioni economiche ha potere di disporre di milioni di marchi e decine di migliaia di lavoratori, non si limita a fare dell’economia, ma esercita il potere sugli uomini, la dipendenza degli impiegati e degli operai va molto al di là della sfera economico-materiale. Laddove predomina la grande impresa non esiste libera concorrenza. Chi non dispone dello stesso potere, non ha le stesse possibilità di sviluppo, in un modo o nell’altro non è libero. La posizione più debole nell’economia è quella dell’uomo in quanto consumatore. Con il loro potere, ulteriormente rafforzato da cartelli e consorzi, gli uomini che dirigono la grande industria esercitano un influsso sullo Stato e sulla politica che non è conciliabile con i princìpi democratici. Essi usurpano il potere statale. Il potere economico si trasforma in potere politico.
Questo stato di cose è una provocazione per tutti coloro che nella libertà e dignità umana, nella giustizia e nella sicurezza sociale vedono le basi della società umana.
Il contenimento del potere della grande industria rappresenta dunque il compito centrale di una politica economica liberale.
Lo Stato e la società non devono diventare preda di potenti gruppi d’interesse. La proprietà privata dei mezzi di produzione ha diritto ad essere protetta e incentivata, fintanto che essa non ostacola la costruzione di un ordine sociale giusto.
Le piccole e medie imprese efficienti vanno rafforzate, affinché possano superare il confronto economico con le grandi imprese.
La concorrenza a mezzo delle imprese pubbliche è un mezzo decisivo per impedire il controllo privato del mercato. A queste imprese spetta il compito di far valere gli interessi della collettività. Esse diventano necessarie laddove, per motivi di ordine naturale o tecnico, alcune prestazioni irrinunciabili per la collettività possono essere ottenute in modo economicamente ragionevole soltanto escludendo la libera concorrenza.
La imprese della libera economia comunitaria che si orientano secondo il criterio della necessità e non della ricerca privata del profitto hanno un’azione regolatrice dei prezzi e giovano ai consumatori. Esse adempiono un’importante funzione nell’ambito della società democratica e hanno diritto ad essere aiutate.
Un’ampia pubblicità deve fornire al pubblico la possibilità di guardare dentro le strutture del potere economico e di verificare il comportamento economico delle imprese, in modo da permettere una mobilitazione dell’opinione pubblica contro ogni abuso di potere. Un efficace controllo pubblico deve impedire ogni abuso di potere dell’economia.
I suoi strumenti più importanti saranno il controllo degli investimenti e il controllo delle forze che dominano il mercato.
La proprietà collettiva è una forma legittima di controllo pubblico, cui nessuno Stato moderno può rinunciare. Essa serve al mantenimento della libertà di fronte allo strapotere dei grandi gruppi economici. Nella grande industria il potere decisionale è caduto per lo più in mano a manager, che lo esercitano al servizio di potenze anonime. In questo modo la proprietà privata dei mezzi di produzione ha perduto in gran parte il suo potere decisionale.
Il problema centrale di oggi è questo: il potere economico. Laddove non è possibile con altri mezzi garantire un ordine sano dei rapporti economici di potere, la proprietà collettiva diventa utile e necessaria. “
Non si tratta quindi, a mio parere, di trovare un nuovo punto di "compromesso" fra politica ed economia , ma di tornare a considerare che l‘economia non è come pretendono i neoliberisti una scienza perfetta, una verità in se “ perchè il mercato ha le sue regole”, ma che vi sono diverse scuole economiche che trovano le loro differenze proprio nelle diverse visioni politiche della società. Se mai ciò che appare oggi paradossale ai più è che il neoliberismo proprio nel momento del suo massimo fallimento ( ha dimostrato di non saper distribuire ricchezza e di render tutti più ricchi) continua a rimanere il pensiero economico politico dominante con tanti estimatori anche a sinistra.
non avrei problemi a sottoscrivere quanto dite. In particolare a Luciano. Certo, si tratta di "guadagnare" un livello politico che giochi la partita internazionale; epperò continuo a percepire con sospetto l'idea che la politica possa dominare il momento economico.
Forse sono troppo pessimista, o troppo timoroso della politica, che facilmente straripa dai limiti (basta pensare alle cose approssimative che ogni tanto alcuni politici dicono in materia fiscale... o al desiderio -sospetto, soprattutto in Italia- di "riprendere" in mano alcune leve, in nome del "ritorno della politica"). Forse sono troppo prevenuto, dunque, ma pensare che la politica possa guidare lo sviluppo economico mi lascia dubbioso.
Poi, dobbiamo intenderci: ci sono livelli e problemi in cui l'azione politica è indispensabile, per esempio nella "guerra non guerreggiata" sulle materie prime, e sulla "competizione" fra sistemi di intelligence in ambito militare, strategico, industriale.
Ci sono ambiti in cui l'azione politica non è strettamente necessaria, ma di fatto "quasi" insostituibile. Forse il welfare rientra fra questi. Perché non è "indispensabile" che sia la mano pubblica a erogare alcuni servizi, anche se di fatto la necessità di piena copertura della cittadinanza rende imprescindibile un ruolo pubblico.
Però di fronte alla crisi che stiamo attraversando, che è -tra le altre cose- crisi fiscale e crisi del debito, per le quali non è così semplice mantenere intatti tassazione e debito pubblico, purtroppo un ripensamento appare necessario.
Io non credo -per dire -che guadagnare un livello europeo di politica possa servire a riproporre le stesse soluzioni che si avevano a livello nazionale. Per dirla in una battuta: anche laddove ci fossero gli eurobond - che non sarebbero affatto risolutivi, anche se necessari - dovremmo poi convincere il mondo ad acquistarli. Europa non può diventare "parola magica" per riprendere a spendere facilmente.
La politica sullo scenario mondiale gioca di rimessa, inevitabilmente. Potrà tentare di riprendere a fare controllo dei capitali, ridurre la libera circolazione; ma sarà sempre "indietro" rispetto a un globo che gioca una partita maledettamente più veloce.
Non ho ricette da proporre, caro Alberto, e potrei dirti che condivido quanto scrivi (cose che per la verità sapevo, ma fa sempre bene riprenderle). Però mi sembra che ripetere quelle formule - giuste - non aiuti a capire il "salto" che ci troviamo a dover fare nell'applicarle.
In breve, il mondo sarà sempre più veloce della politica. A meno che non ci "aiuti" una crisi ucraina a riprendere in mano missili e bombe per rimettere le briglia ad animali fuggiti dai recinti (che so, chiudere le borse per un po', controllare appunto i flussi di capitale per motivi di sicurezza, etc). Scelte legittime, sotto il profilo della politica, ma che dubito classificheremmo come positive. Dobbiamo trovare altri modi per "costringere" (ma possiamo sempre meno "costringere",dovremo forse "persuadere"?) l'economia a fare un compromesso con la politica.
Uno degli elementi è sicuramente quello che ricordava Alberto: se la diseguaglianza supera certi livelli, è tutto il legame sociale che viene a essere messo in crisi, con grave danno per tutti.
Probabilmente le ragioni del socialismo torneranno ancora a farsi valere, già tornano in parte; ma le applicazioni del socialismo ho l'impressione che debbano essere ancora riviste, per evitare che siano armi spuntate quelle con cui ci troveremo a combattere una pur bella battaglia.
Concordo con Luciano ed aggiungo che, a mio parere, parlare di ruolo del mercato,o addirittura dei mercati, come sede di regolazione dei processi economici al giorno d'oggi mi sembra ridicolo e puerile. Con simili eufemismi si indica, maliziosamente ed ipocritamente, il potere dominante delle grandi istituzioni finanziarie internazionali, che fissano arbitrariamente orientamenti, cadenze e valori dei processi con il fine predominante di trasferire progressivamente la ricchezza dai produttori agli speculatori finanziari, o , se si vuol parlare un diverso linguaggio ma con gli stessi contenuti, da chi impiega il proprio lavoro intellettuale e materiale, senza molte differenze fra lavoratori dipendenti, precari, lavoratori autonomi, professionisti ed imprenditori e chi vive a vario titolo di posizioni di rendita. Che il capitale finanziario internazionalizzato, alias "i mercati", non sia in grado di autoregolarsi è ormai clamorosamente dimostrato dal fatto che il processo di depauperamento viene spinto sino a limiti tali da incidere pesantemente sulla capacità produttiva di beni e di servizi, sorgente delle stesse fonti di ricchezza oggetto di rapina del capitale finanziario, determinando le crisi ricorrenti del sistema che ben conosciamo. Il solo strumento di regolazione delle attività economiche risiede nelle istituzioni e, quindi, nella politica. Peccato che in Europa la politica si sia arresa prima ancora sul piano culturale che su quello pratico alle pretese del capitale finanziario, che presidia ormai tutti i centri di controllo e regolazione dell'economia. Solo un'inversione di tendenza degli equilibri politici potrà modificare la situazione in essere. Sembra che la candidatura di Schultz alla presidenza della Commissione Europea sia un timido tentativo di invertire la tendenza. Ma anche su questo non si può avere grande fiducia, visto che dopo la vittoria congressuale della sinistra con la nomina della Aubry il PSF ha presentato alle elezioni i destri Strauss Kahn e quindi Hollande ed in Germania, dopo la vittoria della sinistra e la nomina di Sigmar Gabriel, la SPD ha presentato per contrastare la Merkel quel personaggio moderato e patetico di Steinbruck. Sinchè la socialdemocrazia europea non troverà il coraggio di presentarsi all'elettorato con un orgoglioso programma alternativo e con esponenti realmente progressisti, non vi sarà alcuna speranza di contrastare e limitare il prevalere della finanza internazionale sulle vicende economiche del continente. Cari saluti. Giovanni Baccalini
Caro Ferrari, il documento di Bad Godesberg, del quale non sottovaluto l’importanza nel momento in cui è stato prodotto, ha avuto il limite di fotografare una situazione in allora esistente e di non saper prevedere il futuro. A mio parere ha rappresentato in realtà un arretramento rispetto ad analisi più lungimiranti, nel tentativo di raggiungere efficacemente un rapporto con l’opinione pubblica tedesca, già alquanto condizionata dal pensiero neo capitalista. Infatti già nel volume “Il capitale finanziario internazionale” di Rudolf Hilferding, Direttore della Scuola di economia della SPD, uscito i n Germania nel 1908, vi erano dei passi assai più preveggenti della supremazia che avrebbe avuto il capitale finanziario sulle stesse grandi concentrazioni industriali e meglio descrittivi della stessa realtà presente. Talvolta la distinzione non è agevole, perché le grandi compagnie multinazionali svolgono sia attività produttive e distributive, sia speculazioni finanziarie e ciò può indurre in confusione, ma se si considera l’influenza dei grandi fondi, delle banche, delle istituzioni finanziarie internazionali, si può concludere che le previsioni di Hilferding hanno interpretato gli eventi della società post industriale con maggiore efficacia nel tempo. Molti altri studiosi hanno poi attualizzato ed approfondito le elaborazioni di Hilferding, ma quel che mi preme di sostenere è che non al documento di Bad Godesberg dobbiamo far riferimento per interpretare la realtà presente. Cari saluti. Giovanni Baccalini
Caro Giovanni, credo che Rudolf Hilferding non vinse nessuna battaglia elettorale. Anzi dopo di allora la Germania attraversò periodi cupi e che furono poi tragici per tutta l'Europa. Il documento di Bad Godesberg fu invece, come documento politico della SPD, (ossia un partito e non un singolo pensatore) una base fondamentale per il rinnovarsi della socialdemocrazia europea. Rinnovamento che , dieci anni dopo, le consentì, per la prima volta nella storia tedesca di portare un socialdemocratico, Brandt, al cancellierato . Da lì poi si definì e rafforzò in tutti i paesi centro-nord europei, quel modello europeo di stato sociale che ancora riesce a resistere agli attacchi del peggiore neoliberismo di matrice americana e anglosassone ( Thatcher e Reagan, per intenderci). Confondere una piattaforma politica che non solo ha dato grandi risultati al punto da essere ancora di riferimento per tutta l’Europa ( la candidatura di Schulz è li a confermarlo) con un pensatore non ci aiuta molto nel dibattito politico, specie tra persone che si pensano e si credono ancora di sinistra riformista.
Giovanni Baccalini sconsiglia di far riferimento al programma di Bad Godesberg (1959) nella preparazione -oggi- del programma di riforme che i (buoni) socialisti dei giorni nostri vogliono -se non ho male inteso- predisporre e proporre per mettere con i piedi per terra la battaglia politica contro la destra (vera o sedicente) o, meglio, contro i signori del capitalismo globalizzato. In proposito, però, mi pare troppo severo il rilievo di Giovanni sul peccato commesso dalla SPD per aver sottovalutato i germi di perversione finanziaria già presenti (ma forse ancora contrastabili) nel sistema capitalistico, germi invero percepiti da pochi e, a quel tempo, non facilmente percepibili anche per il caos creato dalla presenza, almeno invadente, del comunismo reale. Nel 1959 era davvero difficile, sempreché fosse possibile, prefigurare la distanza che si sarebbe venuta a creare (e che oggi non possiamo che constatare) tra la capacità di azione e di condizionamento del capitalismo globale (globalizzato e globalizzante), da un lato, e, dall’altro, la capacità di controllo e di reazione (non dico di iniziativa) della politica tuttora periferica. Ancor oggi, la politica -della cui potenziale e necessaria supremazia non discuto- non ha ancora nemmeno configurato la sola piattaforma dimensionale (ed istituzionale) per organizzare un’adeguata reazione (e, per certi versi, un’efficace sanzione) oltreché il controllo dell’azione del capitalismo globale. Gli attrezzi per conoscere la situazione e per escogitare i rimedi non possono che essere del tutto nuovi rispetto a quelli usati, nel 1959, dalla SPD per definire la sua piattaforma democratico-riformista. Un discorso a parte potremmo poi fare a riguardo degli attrezzi usati dai socialisti italiani all’inizio e nel corso degli anni 60; e nei decenni successivi, se vogliamo. Mario Viviani
Care compagne e cari compagni, mi colpisce sempre l'esterofilia che ci caratterizza, come italiani ma anche tra di noi compagne e compagni (rifiuto di mettere l'* per annullare la differenza preziosa di genere e dunque con un po' di pazienza rispettosamente distinguo). Se dobbiamo scegliere un manifesto per il partito della sinistra siocialista che verrà, manifesto per manifesto preferisco quello liberalsocialista di Guido Calogero-Aldo Capitini ... italiani grandi pensatori ... forse le compagne e i compagni della SPD lo hanno anche copiato. Però, la Costituzione Italiana, è il Manifesto giuridicamente cogente, posto che si tolga dal freezer, che fa al caso della sinistra, tutta, diversamente declinata ... lo afferma anche Salvatore Settis (Azione Popolare - cap.V Un manifesto: la Costituzione - Einaudi 2012). Questo il Manifesto che in Italia può riunire una volta indetti gli stati generali della sinistra dopo le elezioni europee con la Lista Tsipras con percentuale a due cifre. Un fraterno dialogante saluto socialista di sinistra. Luigi Fasce www.circolocalogerocapitini.it PS Approfitto di avere apprezzato grandemente la lettera di Bagnoli che nonostante tutto lucidamente ragiona in positivo e ancora per unire.
Caro Luigi credo che un conto siano i grandi pensatori di cui abbonda l'Italia, anche se poi sono mancati i risultati, ed un conto un manifesto politico che delinea i valori e le azioni che si intendono fare ( i fondamentali) per ottenere il consenso elettorale necessario a governare un paese. Altra ancora è la costituzione che è il testo fondamentale di un paese, ma difficilmente può essere ricondotto al "manifesto di un partito". Per quanto riguarda il voto alle europee io mi auguro che Tsipras prenda tanti voti e mandi tante persone al parlamento europeo, ma io personalmente sono propenso a votare per Schulz perchè ritengo che la grave deriva europea , da venti anni governata da partiti e uomini di centro destra, necessita di avere finalmente un maggioranza di area socialista e uno come Schulz alla guida. Ma perchè ciò avvenga è necessario che Schulz raccolga più voti del candidato del centrodestra. Fraterni saluti
Nella stesura del Manifesto fondativo della Rete Socialista abbiamo omesso, dopo attenta riflessione, ogni riferimento a fatti storici del socialismo, che hanno un significato solo nel nostro piccolo mondo di socialisti. Bad Godesberg e Epinay che pure sono avvenimenti della seconda metà del XX° secolo non dicono nulla tranne a specialisti. Immaginarsi se parlassimo del Programma di Gotha del 1875 o del Congresso di Tours del 1920 eppure hanno avuto un peso nella storia del socialismo più della Bolognina e delle ultime primarie del PD con l'elezione di Renzi
Caro Alberto, non ho messo in discussione l’importanza del documento di Bad Godesberg per la SPD dell’epoca, ma la sua utilità nel tempo presente. Ora si è compiuta la metamorfosi del capitalismo classico in capitalismo finanziario internazionale e le premesse del documento di Bad Godesberg non sussistono più. Hilferding ha avuto il merito di prevedere quanto à effettivamente accaduto quasi un secolo dopo la pubblicazione della sua opera principale. D’altra parte la vicenda dell’SPD è stata specifica della Germania: il welfare state era nato nell’immediato dopo guerra in Gran Bretagna, teorizzato dal liberale Lord Beveridge nel 1942 e realizzato in quel paese ed in Scandinavia, soprattutto per merito di Clement Attlee ed Aneurin Bevin e di Tage Erlander, premier svedese dal 1945. Sono bei ricordi di un tempo che non è destinato a tornare: oggi occorre riflettere sui suggerimenti di Stiglitz e Krugman. Spunti interessanti si trovano nel ciclo di lezioni di economia tenute alla Casa della Cultura di Milano nel 2011, recentemente pubblicate. Cari saluti. Giovanni Baccalini
Spero caro compagno, che saprai che così voti il PD di Renzi e il suo governo neoliberista. Altro discorso se il PSI avesse deciso di contribuire a una lista indipendente dal pd per Schulz. Ciononostante senza un forte contrappeso a sinistra Schulz sarà inevitabilmente attiranto nel gorgo di Cariddi delle grandi intese. Aggiungo che il PSE è pienamente responsabile della deriva neoliberista e non si è ancora ravveduto. Quando il PSE rientrerà nell'alveo socialdemocratico degli anni 60-70 bene allora viva il socialismo europeo ... per intanto meglio posizionarsi con i compagni della sinistra comunque declinata perchè siano in fase CNL contro il neoliberismo totalitario. Infine, Costituzione testo fondamentale di un Paese ?, ma non è più in vigore la Costituzione Italiana, anche quando la corte costituzionale ci mette una pezza sulla legge elettorale (ma sulla sostituzione del modello di economia mista a finalità sociale non può fare granchè), gli oligarchi italiani neolibersti ne approntano subito una nuova legge ancora pià antidemocratica della precedente ...dici che è difficile per un partito adottare come manifesto la Costituzione italiana ... mi spiace proprio che tu pensi ciò (Settis è come me di diverso avviso), al momento nessun partito ex PCI, ex DC, PSI, dunque sostanzialmente il PD vi si riconosce, anzi l'ha sfregiata, demolita, mentre a sinistra compreso per mia fortuna SEL in cui milito si, non capisco perchè non si possa considerare il nostro Manifesto. Ma ti sei reso conto che attualmente il PD, Napolitano compreso è un feroce avversario della Costituzione ? Bene noi socialisti di sinistra con tutto il resto della sinistra diversamente declinata in attesa di ripristinarla, la adottiamo come Manifesto per portare avanti la nostra lotta antiliberista. Per intanto in coerenza con la Costituzione (in particolare titolo terzo Rapporti economici) votiamo la lista Tsipras ... Schulz all'esito delle elezioni ... ci ringrazierà. Un fraterno franco dialogante saluto socialista di sinistra. Luigi Fasce PS raccomando sempre per prendere coscienza del lungo e complesso percorso per uscire dalla morsa neoliberista il seguente documento http://www.circolocalogerocapitini.it/eventi_det.asp?ID=381
Buongiorno a tutti voi concordo in toto con Luigi Fasce io scrivo molto poco su questa lista scrivo per dire una sola cosa detta da Luigi e vale a dire che il PSE che qua sembra essere la panacea di tutti i mali del mondo ha avallato tutte e dico tutte le politiche liberiste, di socialista ha solo il nome non solo Shultz ma tutto il PSE. Cordialmente Piero Ferrari
Siamo proprio tra Scilla (PD) e Cariddi( Lista Tsipras) né ad un mostro, né all'altro piacciono i socialisti italiani di sinistra (uso questa specificazione con difficoltà) perché un socialista è e sta a sinistra senza specificazioni. Come anche in un recente documento con molti passaggi positivi ( autori Ruffolo e Stefano Sylos Labini) del tutto inspiegabilmente il socialismo viene identificato nel solo socialismo liberale e quindi ridotto ad una parte del più ampio e plurale socialismo, che deve ritrovarsi.. Caro Fasce dare al PSE la responsabilità dei neo liberismo è come imputare alla GUE I GULAG STALINIANI. Ci porta indietro la polemica tra i sostenitori di Tripras per cui Schulz e Cameron . sino la stessa cosa ovvero che neo liberismo e socialdemocrazia son 2 facce della stessa medaglia. Non è un caso che sotto attacco ci sono le conquiste socialdemocratiche e non quelle della Rivoluzione d'Ottobre quelle sì cancellate dai comunisti ex-post comunisti che hanno preso il potere nell'ex Campo Socialista. Una cosa sopravvive la politica di potenza imperiale della Russia-URSS- Federazione Russa, come si vede in Ukraina
Caro compagno Besostri, è diventato necessario specificare socialista di sinistra da quando mi ritrovo qui con tanti che si dicono socialisti ma parlano da neoliberisti. Poi mentre io ti leggo sempre con scrupolo, mi pare che le ultime due mie non le ha lette con la dovuta attenzione ... ho detto che il socialismo europeo (PSI compreso) fino agli anni 80 ... il periodo d'oro socialdemocratico, è sostanzialmente da sottoscrivere ... tu parli di questo ... però glissi e trovo strano che dagli anni 90 in poi i governi socialisti in ben 13 + 1 Ulivo in Italia hanno proceduto come carri armati nella scia neoliberista che si è oramai consolidata nell'Ue. Non vedo l'ora di uscirne ... penso come te. Il problema è come uscirne, aspettando di vedere ravvedere spontaneamente il PSE assemblaggio di partiti nazionali (in Italia, udite udite ci sono il PSI e il PD) se si vota per Schulz Cariddi (con annunciato gorgo PPE teocon-neolib) e in Italia rafforzamento governo Renzi (Cariddi sicuro scoglio massacratore teocon-neoliberista). Un fraterno saluto liberalsocialista del 1941. Luigi Fasce
caro Luigi, per presentare una lista alle europee occorrono più firme autenticate e corredate del certificato elettorale del comune di residenza di quanti siano i prevedibili voti del PSI. Solo per la circoscrizione nord ovest ce ne vogliono 30.000 entro il 6 aprile: non è detto che ce la facciano neanche i troppi generali senza esercito di Tsipras....
per Ruffolo il termine socialismo liberale indica quello di Rosselli. Però sarebbe stato meglio parlare di socialismo democratico. Poi mettere sullo stesso piano il PSE (che pure ha bisogno di rigenerarsi) e la destra è una grossissima sciocchezza
Caro Peppe, come ben sai, siamo prima di tutto settari, per cui il primo nemico da combattere è chi ci sta vicino. Siamo andati avanti per anni a dire che ci rivolgevamo ai socialisti ovunque essi siano, purchè si riconscessero nel PSE. Adesso che ci è entrato il PD, non ci basta più, solo questo sappiamo, che non sappiamo cosa vogliamo, ma ma dobbiamo distinguerci....
Caro Peppe Caro Claudio, sono d'accordo con voi. A sinistra siamo ammalati di individualismo su base narcisistica. Vorremmo un partito socialista definito su misura per ciascuno di noi. Per aver visto come un grande risultato il fatto che finalmente gli elettori, i simpatizzanti i militanti del PD si sentissero ora tutti parte di una unica famiglia europea socialista, quella del Pes, e non più sospesi da anni nel limbo a causa di loro dirigenti inetti ed impavidi, mi sono visto attaccato da tutte le parti come bieco filo piddino. Capisco tutti i rischi di un Pes così composito, ma non condividerò mai la logica di chi per "essere puro" preferisce "essere solo".
> >Infatti il governo neoliberista (a usare formulesempliciste e ripetitive si >rischia il fallo) di Renzi ha appena varato sgravi fiscali eccetera... non >sempre non è oro quel che luccica, ma quel che non luccica a volte può >essere oro... inoltre le riforme istituzionali di Renzi, accusate di >uccidere la democrazia, sono quelle che nel Regno Unito, dove l'hanno >inventata, la democrazia, assicurano la governabilità. Cari saluti >socialisti. Lorenzo Borla
> >Caro Borla, >nel Regno Unito, come è noto, c'è un sistema elettorale maggioritario a >turno unico basato su collegi uninominali. >Un sistema che, quando l'assetto politico, da bipartitico, è diventato >(almeno) tripolare ha costretto a fare una grande coalizione tra >conservatori e liberaldemocratici. >E la sera delle elezioni non si sapeva chi avrebbe governato, essendo >possibili soluzioni diverse. >Ma proprio perché quella è la culla della democrazia a nessuno è venuto in >mente di riformare la legge elettorale per mettere la cintura di castità >agli scostumati elettori. >Nell'Italicum di Renzi-Berlusconi non vi è proprio nulla che assomigli anche >vagamente al sistema inglese. >Premio di maggioranza con soglia, ballottaggio, circoscrizioni plurinominali >con recupero nazionale, liste bloccate, soglie di sbarramento differenziate >... >Sono tutte cose per le quali in inglese si farebbe fatica perfino a trovare >la traduzione. Ma anche in altre lingue, visto che non hanno uguali al >mondo. >Parafrasando Adlai Stevenson, ti propongo un patto: sono disposto a smettere >di dire la verità su Renzi, se tu eviti di dire spropositi sul sistema >elettorale (ironia: Montanelli raccomandava di scriverlo sempre !). > >Luciano Belli Paci > >
Nei sistemi proporzionali, più o meno corretti, contano i voti e le percentuali, mentre nel maggioritario contano i seggi: vince chi conquista la maggioranza assoluta dei seggi. Non è infrequente che non vinca chi ha preso più voti. Quindi quando si dice per giustificare l'ITALICUM che i socialisti in Francia governano con la maggioranza assoluta dei seggi con meno del 30% al primo turno, quindi con meno del 37% e anche dell'iniziale 35%. Non ho mai capito se questo argomento sia frutto di ignoranza o malafede. Per ragioni misteriose ai dibattiti e talk show sulla riforma della legge elettorale venivano invitati parlamentari ed esperti, che danno l'impressione di non aver letto la sentenza della Consulta o, in subordine, di non averla capita. E' un caso che non siano mai stati invitati i giudici della Cassazione o della Consulta o uno degli avvocati protagonisti della vicenda. Prima falsità: dopo la sentenza non abbiamo una legge elettorale applicabile. Seconda falsità: la legge residua, il porcellum depurato dalle parti dichiarate incostituzionali) è una legge totalmente proporzionale(AINIS, Corriere della Sera del 12 marzo 2014). La sentenza della Consulta lascia una legge elettorale immediatamente applicabile altrimenti non avrebbe potuto accogliere il ricorso(giurisprudenza costante), quindi non c'era alcuna necessità di adottare in fretta e furia una nuova legge elettorale. La legge residua non è totalmente proporzionale perché ci sono soglie di accesso, che al Senato per le coalizioni sono più elevate 20% di quelle dell'Italicum (12%) e quelle per le liste singole uguali, 8%. Se si dicono cose palesemente false è perché non si vuol informare la popolazione. Altra obiezione con il proporzionale i partiti sono liberi di allearsi con chi vogliono avendo le mani libere. Ebbene nella legge elettorale vigente sono rimaste le coalizioni preventive con un programma comune e un capo politico indicato dalle liste coalizzate. Dunque abbiano la coscienza di fare un bel programma, che conquisti la maggioranza degli elettori.
Non mi ci provo neanche a entrare nelle technicalities dei sistemi elettorali: però siamo d'accordo che in Inghilterra c'è un sistema maggioritario basato su collegi uninominali, dove vince chi prende più voti anche se non arriva al al 50%. E succede, naturalmente, che il partito che prende più voti, prenda meno seggi e quindi vada all'opposizione. Te la immagini qui una cosa del genere? Quanti Belli Paci ne farebbero un romanzo di lacrime e sangue? Nessuno, in Inghilterra, grida alla democrazia coartata, mutilata, conculcata, dimezzata, e chi più ne ha... A nessuno in Inghilterra viene in mente di cambiare il sistema perché è lo stesso da almeno duecento annni... e funziona. Accetto il patto: tu continui a dire la verità su Renzi e io continuerò a dire spropositi a vario titolo. Altrimenti smettiamo di divertirci. Cari saluti. Lorenzo Borla
Ma non è vero. Qui una cosa del genere c'era già, fino al 2005: era il Mattarellum, che nella quota maggioritaria (75 %) funzionava esattamente come in Inghilterra. E non facemmo nessun romanzo di lacrime e sangue. Non già perché c'era la quota proporzionale (25 %), nella quale i partitini peraltro non passavano essendoci uno sbarramento unico al 4 %, ma perché il sistema aveva una sua logica. A me personalmente non piaceva perché preferisco il tedesco o in subordine il francese, ma rispetto al Porcellum ed al Ri-Porcellum detto Italicum era una meraviglia. Così come era una meraviglia la vituperata "legge truffa" del '53 che dava un premio solo a chi avesse raggiunto il 50 % + 1. Se non hai voglia di entrare nelle technicalities fidati di Sartori, di Ainis, di Onida, di Azzariti (oltre che di Civati, Bindi, Bersani, ecc.) ... che hanno spiegato la follia e l'incostituzionalità dell'Italicum. Faccio un esempio realistico, così ci capiamo. Con FI 25,3 %, NCD 4,2 %, UDC 3,5 %, FDI 2,8 %, MPA 1,7 % = Totale CD 37,5 % ... avremmo un solo partito con il 25,3 % dei voti che, senza ballottaggio, prende il 53 % dei seggi alla Camera e governa da solo per 5 anni ! Scegli tu l'aggettivo adatto. Mi chiedo francamente perché mai, pur essendo divisi su Renzi e sul PD, non si possa essere uniti tra noi almeno su questa vitale posizione di difesa della democrazia. Capisco (ma non giustifico) i parlamentari del PD che si autocensurano perché sperano nella rielezione, ma la base del PD, la gente per bene come te che non ha nulla da perdere salvo le catene, perché non si ribella neanche di fronte ad una cosa così enorme ? Cari saluti.
Caro Borla, c'è una bella differenza tra il poter ottenere la maggioranza assoluta in Parlamento avendo una striminzita maggioranza relativa (vedi l'esempio contenuto nell'ultima mail di Luciano Belli Paci) o neppure quella e dover vincere nella maggioranza dei collegi, come succede in Gran Bretagna, per dar luogo ad un monocolore. Accade, come si è verificato alle ultime elezioni, che nessun partito vinca nella maggior parte dei collegi ed allora è d'obbligo la coalizione fra due dei tre partiti principali. Si verifica sovente che i conservatori abbiano più seggi dei laburisti pur ottenendo meno voti. Un tempo vi era un maggiore equilibrio tra voti e seggi, ma l'addensarsi di grandi masse di elettori nelle periferie urbane, dove in genere sono favoriti i laburisti, abbia alterato nel tempo tale equilibrio a favore dei conservatori. In buona sostanza mediamente i collegi dove vincono i laburisti sono più numerosi di quelli in cui vincono i conservatori o i liberali. Ma si tratta pur sempre di scarti di qualche punto percentuale, mentre con la legge elettorale in discussione in Parlamento può vincere chi ottiene anche dieci punti percentuali meno del partito più votato per il gioco perverso del voto alla coalizione e delle soglie di sbarramento. Cari saluti. Giovanni Baccalini
36 commenti:
Questo pensiero del compagno Mariotti mi lascia un po' stralunato ...
meglio il potere dei mercati che quello del potere politico ? Certo
il potere politico al governo può decidere la guerra cruenta ... il
potere economico la cronica cancrena purulenta ... e questo sarebbe
il nostro destino ?
Magari ho capito male non mi sembra che in passato il compagno
Mariotti fosse così dissonante dal mio pensiero sulla democrazia.
Un fraterno dialogante saluto socialista di sinistra.
Luigi Fasce
Caro Luigi,
tento di spiegarmi, non so se ci riesco, anche perché ho molte contraddizioni e me ne rendo conto. Semplifico molto il ragionamento, usando categorie molto generali, per cui mi scuso se "banalizzo"...
Capisco che fra "compagni" (anche se sinceramente temo di essere di un "rosso un po' pallido"...) possa scandalizzare parlare di positività della "non superiorità" del politico sull'economico; però credo da un lato che dovremmo adattarci, perché questo di fatto, se guardiamo alle cose stesse, e non alle illusioni, è il paesaggio con il quale ci confrontiamo; dall'altro penso effettivamente che questo "limite" posto al "politico" possa essere positivo perché è appunto anche un limite alla distruttività che ogni potere porta con sé.
E il politico, soprattutto se si incarna nel momento statuale, porta con sé (almeno in potenza) la massima distruttività possibile, nella guerra all'esterno; e all'"interno" anche nella coercizione personale del potere di polizia, che grazie a Dio abbiamo imparato a limitare (spero...)
Per me il primato della politica, per riprendere anche il dialogo con Ferrari a proposito di un altro post che ho scritto e condiviso qui, non è rappresentato dallo stato sociale (che è un aspetto del "compromesso" con il mercato, da un certo punto di vista), ma è rappresentato dagli orrori del XX secolo del fascismo e del nazismo. E in modo diverso - molto diverso, non amo i facili parallelismi - del comunismo. "Volontarismi poltici" portati all'estremo, politica che voleva "rifare" la società, e finiva per voler "rifare" (e distruggere, quindi) gli uomini e le donne...
Certo, avete ragione da vendere, quando additate come conquiste bellissime le varie riforme che hanno segnato la crescita dello stato sociale.
Ma queste sono conquiste segnate appunto da un "compromesso" fra il politico e l'economico che - ripeto cose già dette - sono state per lo meno facilitate - per quel che riguarda l'Europa - da due fattori strettamente congiunti:
1. la divisione del mondo in blocchi e la conseguente "concorrenza" del modello sovietico, che ha costretto i sistemi europei occidentali a sviluppare lo stato sociale anche come "antivirus contro il comunismo"
2. la delega agli Stati Uniti in campo militare, che ha relativizzato l'impegno bellico dell'Europa (eccezion fatta forse per Francia e Uk), anche in termini di investimenti fianziari e similari.
Queste caratteristiche vengono a mancare dopo il crollo del Muro, e si uniscono ad altre spinte che mettono in crisi la democrazia in Europa (si veda un articolo interessante - per quanto non certo riginalissimo - dell'Economist, raccontato anche da ilPost, riporto di seguito alcune citazioni).
Quella "Golden Age" che ha segnato il secondo dopoguerra in Europa io temo non si ripeterà più, soprattutto perché "sfugge" ineluttabilmente agli Stati il controllo delle ricchezze, il controllo pieno della fiscalità, e via così dicendo.
Dobbiamo trovare un nuovo punto di "compromesso" fra politica ed economia, e finanza. Difficile che possa trattarsi di un SuperStato che riesce a tassare gli scambi finanziari mondiali, tanto per intenderci... Al massimo una tobin tax qua e là, posto che serva...
Purtroppo (?) le pratiche politiche si dovranno modulare in modi diversi: nel micro, per fare un esempio, è velleitario pensare che le webtax nazionali possoano servire realmente a contrastare le elusioni (problema effettivamente presente) delle multinazionali.
Soluzioni complicate, non immediate; continui "taglia e cuci", prova- errore - riprova...
Siamo lontani, temo, dalla sicurezza (sicumera?) con la quale un tempo la politica guardava al suo "paesaggio nazionale" illudendosi di poterlo controllare.
Come cittadino, in ogni caso, preferisco che Principe, Banchiere, e Industriale si sorveglino a vicenda, e si "ostacolino" a vicenda. In questo "conflitto" (che certo oggi vede troppo forti finanza ed economia) ci sono gli spazi per sopravvivere.
Perché le società armoniose generalmente soffocano le libertà...
Non so se mi sono capito, come diceva un amico :-)
Un abbraccio
Francesco Maria
Caro Francesco,
> Finché sostieni che il primato della politica non deve
> dare mai luogo ad un potere illimitato di natura
> totalitaria con la pretesa (o il pretesto) di costruire
> l'uomo nuovo e il paradiso in terra, ti seguo.
> Invece, se neghi che la politica debba essere
> sovraordinata rispetto all'economia, non ci sto proprio.
> Senza primato della politica sull'economia non solo non è
> possibile perseguire un qualunque programma di sinistra
> (anche il più moderato), ma più in generale la democrazia
> si trasforma in finzione, recita, mera forma. L'impotenza
> della politica - e dunque della democrazia - a livello
> dello stato nazionale è un dato oggettivo, ma questo non
> può produrre rassegnazione visto che si tratterebbe di
> rassegnarsi ad una condizione di assenza di libertà
> democratica. L'alternativa e' quella di spostare il
> livello dell'azione politica in una sfera sovranazionale.
> Non è un obiettivo semplice, ma non è inattuabile con gli
> strumenti dei quali le società moderne dispongono.
> La dittatura della finanza internazionale non mi pare meno
> detestabile delle altre che l'umanità ha conosciuto in
> passato.
> Ciao.
> Luciano
Caro Francesco, mi sembra che questo scambio di opinioni, proceda lungo il solco di una certa confusione. Cercherò se possibile di chiarire.
La Politica deriva dal “polis” che possiamo tradurre come l’arte di governare le società ed in primis l’arte di governare i rapporti economici delle società sia al loro interno che nei rapporti tra le diverse società. Non c’è dunque politica che non sia anche modalità di governare l’economia. Questo potere di governo (polis) può essere gestito privilegiando l’interesse ( economico) di pochi ( i più forti nell’epoca in cui contava la forza, i più furbi. i più ricchi) o l’interesse di tutti.
Chiamiamo destre, e liberismo il loro pensiero politico, coloro che pensano che per rendere prospera una società occorre lasciare il più liberi possibili di agire coloro che hanno spirito imprenditoriale e commerciale ( libero mercato) perchè è dalla capacita di questi di produrre ricchezza che a cascata deriverà poi il benessere per tutti. Chiamiamo sinistra, e socialismo il loro pensiero politico, coloro che pensano che se è pur vero che il mercato libero è uno strumento insostituibile per promuovere il benessere di una società, tuttavia senza uno Stato che intervenga nel sistema economico, ne detti le regole, e le faccia rispettare, i possessori di ricchezze sarebbero spinti ad arricchirsi sempre di più a discapito degli altri. Si creerebbe una società di sempre più diseguali con alla fine gravi turbolenze sociali. Una società dove prevale un pensiero politico di liberismo economico esasperato, se pure apparentemente apparirebbe come una società più libera, più dinamica, più “attraente e attrattiva” ( come ha scritto in modo mirabile Michel Albert, socialista e consulente economico di Mitterrand nel libro Capitalismo contro capitalismo) di fatto creerebbe continue tensioni sociali, tra pochi ricchi e masse di poveri, che renderebbero conflittuale quella società con il rischio di sconfinare in sistemi statali repressivi.
Tutto questo era stato ben descritto nel documento fondativo della socialdemocrazia tedesca nel congresso del 59 a Bad Godesber, che sotto trascrivo, e che fa apparire un po' ripetitivi tutti coloro che oggi denunciano come loro scoperta i rischi delle politiche liberiste , quando tutti questi rischi e i possibili rimedi erano già stati ampiamente analizzati con le relative proposte di soluzione. Sarebbe bastato che i partiti socialisti una volta arrivati al governo via avessero posto maggior attenzione ed entusiasmo nel realizzarle.
“ Un carattere essenziale dell’economia moderna è il processo di concentrazione che si va continuamente rafforzando. Non solo le grandi imprese determinano in modo decisivo l’evoluzione dell’economia e del livello di vita, ma esse modificano anche la struttura dell’economia e della società: Chi nelle grandi organizzazioni economiche ha potere di disporre di milioni di marchi e decine di migliaia di lavoratori, non si limita a fare dell’economia, ma esercita il potere sugli uomini, la dipendenza degli impiegati e degli operai va molto al di là della sfera economico-materiale. Laddove predomina la grande impresa non esiste libera concorrenza. Chi non dispone dello stesso potere, non ha le stesse possibilità di sviluppo, in un modo o nell’altro non è libero. La posizione più debole nell’economia è quella dell’uomo in quanto consumatore. Con il loro potere, ulteriormente rafforzato da cartelli e consorzi, gli uomini che dirigono la grande industria esercitano un influsso sullo Stato e sulla politica che non è conciliabile con i princìpi democratici. Essi usurpano il potere statale. Il potere economico si trasforma in potere politico.
Questo stato di cose è una provocazione per tutti coloro che nella libertà e dignità umana, nella giustizia e nella sicurezza sociale vedono le basi della società umana.
Il contenimento del potere della grande industria rappresenta dunque il compito centrale di una politica economica liberale.
Lo Stato e la società non devono diventare preda di potenti gruppi d’interesse. La proprietà privata dei mezzi di produzione ha diritto ad essere protetta e incentivata, fintanto che essa non ostacola la costruzione di un ordine sociale giusto.
Le piccole e medie imprese efficienti vanno rafforzate, affinché possano superare il confronto economico con le grandi imprese.
La concorrenza a mezzo delle imprese pubbliche è un mezzo decisivo per impedire il controllo privato del mercato. A queste imprese spetta il compito di far valere gli interessi della collettività. Esse diventano necessarie laddove, per motivi di ordine naturale o tecnico, alcune prestazioni irrinunciabili per la collettività possono essere ottenute in modo economicamente ragionevole soltanto escludendo la libera concorrenza.
La imprese della libera economia comunitaria che si orientano secondo il criterio della necessità e non della ricerca privata del profitto hanno un’azione regolatrice dei prezzi e giovano ai consumatori. Esse adempiono un’importante funzione nell’ambito della società democratica e hanno diritto ad essere aiutate.
Un’ampia pubblicità deve fornire al pubblico la possibilità di guardare dentro le strutture del potere economico e di verificare il comportamento economico delle imprese, in modo da permettere una mobilitazione dell’opinione pubblica contro ogni abuso di potere. Un efficace controllo pubblico deve impedire ogni abuso di potere dell’economia.
I suoi strumenti più importanti saranno il controllo degli investimenti e il controllo delle forze che dominano il mercato.
La proprietà collettiva è una forma legittima di controllo pubblico, cui nessuno Stato moderno può rinunciare. Essa serve al mantenimento della libertà di fronte allo strapotere dei grandi gruppi economici. Nella grande industria il potere decisionale è caduto per lo più in mano a manager, che lo esercitano al servizio di potenze anonime. In questo modo la proprietà privata dei mezzi di produzione ha perduto in gran parte il suo potere decisionale.
Il problema centrale di oggi è questo: il potere economico. Laddove non è possibile con altri mezzi garantire un ordine sano dei rapporti economici di potere, la proprietà collettiva diventa utile e necessaria. “
Non si tratta quindi, a mio parere, di trovare un nuovo punto di "compromesso" fra politica ed economia , ma di tornare a considerare che l‘economia non è come pretendono i neoliberisti una scienza perfetta, una verità in se “ perchè il mercato ha le sue regole”, ma che vi sono diverse scuole economiche che trovano le loro differenze proprio nelle diverse visioni politiche della società. Se mai ciò che appare oggi paradossale ai più è che il neoliberismo proprio nel momento del suo massimo fallimento ( ha dimostrato di non saper distribuire ricchezza e di render tutti più ricchi) continua a rimanere il pensiero economico politico dominante con tanti estimatori anche a sinistra.
Caro Alberto, caro Luciano,
non avrei problemi a sottoscrivere quanto dite. In particolare a Luciano. Certo, si tratta di "guadagnare" un livello politico che giochi la partita internazionale; epperò continuo a percepire con sospetto l'idea che la politica possa dominare il momento economico.
Forse sono troppo pessimista, o troppo timoroso della politica, che facilmente straripa dai limiti (basta pensare alle cose approssimative che ogni tanto alcuni politici dicono in materia fiscale... o al desiderio -sospetto, soprattutto in Italia- di "riprendere" in mano alcune leve, in nome del "ritorno della politica"). Forse sono troppo prevenuto, dunque, ma pensare che la politica possa guidare lo sviluppo economico mi lascia dubbioso.
Poi, dobbiamo intenderci: ci sono livelli e problemi in cui l'azione politica è indispensabile, per esempio nella "guerra non guerreggiata" sulle materie prime, e sulla "competizione" fra sistemi di intelligence in ambito militare, strategico, industriale.
Ci sono ambiti in cui l'azione politica non è strettamente necessaria, ma di fatto "quasi" insostituibile. Forse il welfare rientra fra questi. Perché non è "indispensabile" che sia la mano pubblica a erogare alcuni servizi, anche se di fatto la necessità di piena copertura della cittadinanza rende imprescindibile un ruolo pubblico.
Però di fronte alla crisi che stiamo attraversando, che è -tra le altre cose- crisi fiscale e crisi del debito, per le quali non è così semplice mantenere intatti tassazione e debito pubblico, purtroppo un ripensamento appare necessario.
Io non credo -per dire -che guadagnare un livello europeo di politica possa servire a riproporre le stesse soluzioni che si avevano a livello nazionale. Per dirla in una battuta: anche laddove ci fossero gli eurobond - che non sarebbero affatto risolutivi, anche se necessari - dovremmo poi convincere il mondo ad acquistarli. Europa non può diventare "parola magica" per riprendere a spendere facilmente.
La politica sullo scenario mondiale gioca di rimessa, inevitabilmente. Potrà tentare di riprendere a fare controllo dei capitali, ridurre la libera circolazione; ma sarà sempre "indietro" rispetto a un globo che gioca una partita maledettamente più veloce.
Non ho ricette da proporre, caro Alberto, e potrei dirti che condivido quanto scrivi (cose che per la verità sapevo, ma fa sempre bene riprenderle). Però mi sembra che ripetere quelle formule - giuste - non aiuti a capire il "salto" che ci troviamo a dover fare nell'applicarle.
In breve, il mondo sarà sempre più veloce della politica. A meno che non ci "aiuti" una crisi ucraina a riprendere in mano missili e bombe per rimettere le briglia ad animali fuggiti dai recinti (che so, chiudere le borse per un po', controllare appunto i flussi di capitale per motivi di sicurezza, etc). Scelte legittime, sotto il profilo della politica, ma che dubito classificheremmo come positive.
Dobbiamo trovare altri modi per "costringere" (ma possiamo sempre meno "costringere",dovremo forse "persuadere"?) l'economia a fare un compromesso con la politica.
Uno degli elementi è sicuramente quello che ricordava Alberto: se la diseguaglianza supera certi livelli, è tutto il legame sociale che viene a essere messo in crisi, con grave danno per tutti.
Probabilmente le ragioni del socialismo torneranno ancora a farsi valere, già tornano in parte; ma le applicazioni del socialismo ho l'impressione che debbano essere ancora riviste, per evitare che siano armi spuntate quelle con cui ci troveremo a combattere una pur bella battaglia.
Concordo con Luciano ed aggiungo che, a mio parere, parlare di ruolo del
mercato,o addirittura dei mercati, come sede di regolazione dei processi
economici al giorno d'oggi mi sembra ridicolo e puerile. Con simili
eufemismi si indica, maliziosamente ed ipocritamente, il potere dominante
delle grandi istituzioni finanziarie internazionali, che fissano
arbitrariamente orientamenti, cadenze e valori dei processi con il fine
predominante di trasferire progressivamente la ricchezza dai produttori agli
speculatori finanziari, o , se si vuol parlare un diverso linguaggio ma con
gli stessi contenuti, da chi impiega il proprio lavoro intellettuale e
materiale, senza molte differenze fra lavoratori dipendenti, precari,
lavoratori autonomi, professionisti ed imprenditori e chi vive a vario
titolo di posizioni di rendita. Che il capitale finanziario
internazionalizzato, alias "i mercati", non sia in grado di autoregolarsi è
ormai clamorosamente dimostrato dal fatto che il processo di depauperamento
viene spinto sino a limiti tali da incidere pesantemente sulla capacità
produttiva di beni e di servizi, sorgente delle stesse fonti di ricchezza
oggetto di rapina del capitale finanziario, determinando le crisi ricorrenti
del sistema che ben conosciamo. Il solo strumento di regolazione delle
attività economiche risiede nelle istituzioni e, quindi, nella politica.
Peccato che in Europa la politica si sia arresa prima ancora sul piano
culturale che su quello pratico alle pretese del capitale finanziario, che
presidia ormai tutti i centri di controllo e regolazione dell'economia. Solo
un'inversione di tendenza degli equilibri politici potrà modificare la
situazione in essere. Sembra che la candidatura di Schultz alla presidenza
della Commissione Europea sia un timido tentativo di invertire la tendenza.
Ma anche su questo non si può avere grande fiducia, visto che dopo la
vittoria congressuale della sinistra con la nomina della Aubry il PSF ha
presentato alle elezioni i destri Strauss Kahn e quindi Hollande ed in
Germania, dopo la vittoria della sinistra e la nomina di Sigmar Gabriel, la
SPD ha presentato per contrastare la Merkel quel personaggio moderato e
patetico di Steinbruck. Sinchè la socialdemocrazia europea non troverà il
coraggio di presentarsi all'elettorato con un orgoglioso programma
alternativo e con esponenti realmente progressisti, non vi sarà alcuna
speranza di contrastare e limitare il prevalere della finanza internazionale
sulle vicende economiche del continente. Cari saluti. Giovanni Baccalini
Caro Ferrari, il documento di Bad Godesberg, del quale non sottovaluto l’importanza nel momento in cui è stato prodotto, ha avuto il limite di fotografare una situazione in allora esistente e di non saper prevedere il futuro. A mio parere ha rappresentato in realtà un arretramento rispetto ad analisi più lungimiranti, nel tentativo di raggiungere efficacemente un rapporto con l’opinione pubblica tedesca, già alquanto condizionata dal pensiero neo capitalista. Infatti già nel volume “Il capitale finanziario internazionale” di Rudolf Hilferding, Direttore della Scuola di economia della SPD, uscito i n Germania nel 1908, vi erano dei passi assai più preveggenti della supremazia che avrebbe avuto il capitale finanziario sulle stesse grandi concentrazioni industriali e meglio descrittivi della stessa realtà presente. Talvolta la distinzione non è agevole, perché le grandi compagnie multinazionali svolgono sia attività produttive e distributive, sia speculazioni finanziarie e ciò può indurre in confusione, ma se si considera l’influenza dei grandi fondi, delle banche, delle istituzioni finanziarie internazionali, si può concludere che le previsioni di Hilferding hanno interpretato gli eventi della società post industriale con maggiore efficacia nel tempo. Molti altri studiosi hanno poi attualizzato ed approfondito le elaborazioni di Hilferding, ma quel che mi preme di sostenere è che non al documento di Bad Godesberg dobbiamo far riferimento per interpretare la realtà presente. Cari saluti. Giovanni Baccalini
Caro Giovanni, credo che Rudolf Hilferding non vinse nessuna battaglia elettorale. Anzi dopo di allora la Germania attraversò periodi cupi e che furono poi tragici per tutta l'Europa. Il documento di Bad Godesberg fu invece, come documento politico della SPD, (ossia un partito e non un singolo pensatore) una base fondamentale per il rinnovarsi della socialdemocrazia europea. Rinnovamento che , dieci anni dopo, le consentì, per la prima volta nella storia tedesca di portare un socialdemocratico, Brandt, al cancellierato . Da lì poi si definì e rafforzò in tutti i paesi centro-nord europei, quel modello europeo di stato sociale che ancora riesce a resistere agli attacchi del peggiore neoliberismo di matrice americana e anglosassone ( Thatcher e Reagan, per intenderci).
Confondere una piattaforma politica che non solo ha dato grandi risultati al punto da essere ancora di riferimento per tutta l’Europa ( la candidatura di Schulz è li a confermarlo) con un pensatore non ci aiuta molto nel dibattito politico, specie tra persone che si pensano e si credono ancora di sinistra riformista.
Giovanni Baccalini sconsiglia di far riferimento al programma di Bad Godesberg (1959) nella preparazione -oggi- del programma di riforme che i (buoni) socialisti dei giorni nostri vogliono -se non ho male inteso- predisporre e proporre per mettere con i piedi per terra la battaglia politica contro la destra (vera o sedicente) o, meglio, contro i signori del capitalismo globalizzato. In proposito, però, mi pare troppo severo il rilievo di Giovanni sul peccato commesso dalla SPD per aver sottovalutato i germi di perversione finanziaria già presenti (ma forse ancora contrastabili) nel sistema capitalistico, germi invero percepiti da pochi e, a quel tempo, non facilmente percepibili anche per il caos creato dalla presenza, almeno invadente, del comunismo reale. Nel 1959 era davvero difficile, sempreché fosse possibile, prefigurare la distanza che si sarebbe venuta a creare (e che oggi non possiamo che constatare) tra la capacità di azione e di condizionamento del capitalismo globale (globalizzato e globalizzante), da un lato, e, dall’altro, la capacità di controllo e di reazione (non dico di iniziativa) della politica tuttora periferica. Ancor oggi, la politica -della cui potenziale e necessaria supremazia non discuto- non ha ancora nemmeno configurato la sola piattaforma dimensionale (ed istituzionale) per organizzare un’adeguata reazione (e, per certi versi, un’efficace sanzione) oltreché il controllo dell’azione del capitalismo globale.
Gli attrezzi per conoscere la situazione e per escogitare i rimedi non possono che essere del tutto nuovi rispetto a quelli usati, nel 1959, dalla SPD per definire la sua piattaforma democratico-riformista.
Un discorso a parte potremmo poi fare a riguardo degli attrezzi usati dai socialisti italiani all’inizio e nel corso degli anni 60; e nei decenni successivi, se vogliamo.
Mario Viviani
Care compagne e cari compagni,
mi colpisce sempre l'esterofilia che ci caratterizza, come italiani
ma anche tra di noi compagne e compagni (rifiuto di mettere l'* per
annullare la differenza preziosa di genere e dunque con un po' di
pazienza rispettosamente distinguo).
Se dobbiamo scegliere un manifesto per il partito della sinistra
siocialista che verrà, manifesto per manifesto preferisco quello
liberalsocialista di Guido Calogero-Aldo Capitini ... italiani grandi
pensatori ... forse le compagne e i compagni della SPD lo hanno anche
copiato. Però, la Costituzione Italiana, è il Manifesto
giuridicamente cogente, posto che si tolga dal freezer, che fa al
caso della sinistra, tutta, diversamente declinata ... lo afferma
anche Salvatore Settis (Azione Popolare - cap.V Un manifesto: la
Costituzione - Einaudi 2012).
Questo il Manifesto che in Italia può riunire una volta indetti gli
stati generali della sinistra dopo le elezioni europee con la Lista
Tsipras con percentuale a due cifre.
Un fraterno dialogante saluto socialista di sinistra.
Luigi Fasce
www.circolocalogerocapitini.it
PS
Approfitto di avere apprezzato grandemente la lettera di Bagnoli che
nonostante tutto lucidamente ragiona in positivo e ancora per unire.
Caro Luigi credo che un conto siano i grandi pensatori di cui abbonda
l'Italia, anche se poi sono mancati i risultati, ed un conto un manifesto
politico che delinea i valori e le azioni che si intendono fare ( i
fondamentali) per ottenere il consenso elettorale necessario a governare un
paese. Altra ancora è la costituzione che è il testo fondamentale di un
paese, ma difficilmente può essere ricondotto al "manifesto di un partito".
Per quanto riguarda il voto alle europee io mi auguro che Tsipras prenda
tanti voti e mandi tante persone al parlamento europeo, ma io personalmente
sono propenso a votare per Schulz perchè ritengo che la grave deriva europea
, da venti anni governata da partiti e uomini di centro destra, necessita di
avere finalmente un maggioranza di area socialista e uno come Schulz alla
guida. Ma perchè ciò avvenga è necessario che Schulz raccolga più voti del
candidato del centrodestra.
Fraterni saluti
Nella stesura del Manifesto fondativo della Rete Socialista abbiamo omesso, dopo attenta riflessione, ogni riferimento a fatti storici del socialismo, che hanno un significato solo nel nostro piccolo mondo di socialisti. Bad Godesberg e Epinay che pure sono avvenimenti della seconda metà del XX° secolo non dicono nulla tranne a specialisti. Immaginarsi se parlassimo del Programma di Gotha del 1875 o del Congresso di Tours del 1920 eppure hanno avuto un peso nella storia del socialismo più della Bolognina e delle ultime primarie del PD con l'elezione di Renzi
Felice C. Besostri
Caro Alberto, non ho messo in discussione l’importanza del documento di Bad Godesberg per la SPD dell’epoca, ma la sua utilità nel tempo presente. Ora si è compiuta la metamorfosi del capitalismo classico in capitalismo finanziario internazionale e le premesse del documento di Bad Godesberg non sussistono più. Hilferding ha avuto il merito di prevedere quanto à effettivamente accaduto quasi un secolo dopo la pubblicazione della sua opera principale. D’altra parte la vicenda dell’SPD è stata specifica della Germania: il welfare state era nato nell’immediato dopo guerra in Gran Bretagna, teorizzato dal liberale Lord Beveridge nel 1942 e realizzato in quel paese ed in Scandinavia, soprattutto per merito di Clement Attlee ed Aneurin Bevin e di Tage Erlander, premier svedese dal 1945. Sono bei ricordi di un tempo che non è destinato a tornare: oggi occorre riflettere sui suggerimenti di Stiglitz e Krugman. Spunti interessanti si trovano nel ciclo di lezioni di economia tenute alla Casa della Cultura di Milano nel 2011, recentemente pubblicate. Cari saluti. Giovanni Baccalini
Spero caro compagno, che saprai che così voti il PD di Renzi e il suo
governo neoliberista.
Altro discorso se il PSI avesse deciso di contribuire a una lista
indipendente dal pd per Schulz. Ciononostante senza un forte
contrappeso a sinistra Schulz sarà inevitabilmente attiranto nel
gorgo di Cariddi delle grandi intese. Aggiungo che il PSE è
pienamente responsabile della deriva neoliberista e non si è ancora
ravveduto.
Quando il PSE rientrerà nell'alveo socialdemocratico degli anni 60-70
bene allora viva il socialismo europeo ... per intanto meglio
posizionarsi con i compagni della sinistra comunque declinata perchè
siano in fase CNL contro il neoliberismo totalitario.
Infine, Costituzione testo fondamentale di un Paese ?, ma non è più
in vigore la Costituzione Italiana, anche quando la corte
costituzionale ci mette una pezza sulla legge elettorale (ma sulla
sostituzione del modello di economia mista a finalità sociale non può
fare granchè), gli oligarchi italiani neolibersti ne approntano
subito una nuova legge ancora pià antidemocratica della precedente
...dici che è difficile per un partito adottare come manifesto la
Costituzione italiana ... mi spiace proprio che tu pensi ciò (Settis
è come me di diverso avviso), al momento nessun partito ex PCI, ex
DC, PSI, dunque sostanzialmente il PD vi si riconosce, anzi l'ha
sfregiata, demolita, mentre a sinistra compreso per mia fortuna SEL
in cui milito si, non capisco perchè non si possa considerare il
nostro Manifesto. Ma ti sei reso conto che attualmente il PD,
Napolitano compreso è un feroce avversario della Costituzione ? Bene
noi socialisti di sinistra con tutto il resto della sinistra
diversamente declinata in attesa di ripristinarla, la adottiamo come
Manifesto per portare avanti la nostra lotta antiliberista.
Per intanto in coerenza con la Costituzione (in particolare titolo
terzo Rapporti economici) votiamo la lista Tsipras ... Schulz
all'esito delle elezioni ... ci ringrazierà.
Un fraterno franco dialogante saluto socialista di sinistra.
Luigi Fasce
PS raccomando sempre per prendere coscienza del lungo e complesso
percorso per uscire dalla morsa neoliberista il seguente documento
http://www.circolocalogerocapitini.it/eventi_det.asp?ID=381
Buongiorno a tutti voi concordo in toto con Luigi Fasce io scrivo molto poco
su questa lista scrivo per dire una sola cosa detta da Luigi e vale a dire
che il PSE che qua sembra essere la panacea di tutti i mali del mondo ha
avallato tutte e dico tutte le politiche liberiste, di socialista ha solo il
nome non solo Shultz ma tutto il PSE. Cordialmente Piero Ferrari
Siamo proprio tra Scilla (PD) e Cariddi( Lista Tsipras) né ad un mostro, né
all'altro piacciono i socialisti italiani di sinistra (uso questa
specificazione con difficoltà) perché un socialista è e sta a sinistra senza
specificazioni. Come anche in un recente documento con molti passaggi positivi
( autori Ruffolo e Stefano Sylos Labini) del tutto inspiegabilmente il
socialismo viene identificato nel solo socialismo liberale e quindi ridotto ad
una parte del più ampio e plurale socialismo, che deve ritrovarsi.. Caro Fasce
dare al PSE la responsabilità dei neo liberismo è come imputare alla GUE I
GULAG STALINIANI. Ci porta indietro la polemica tra i sostenitori di Tripras
per cui Schulz e Cameron . sino la stessa cosa ovvero che neo liberismo e
socialdemocrazia son 2 facce della stessa medaglia. Non è un caso che sotto
attacco ci sono le conquiste socialdemocratiche e non quelle della Rivoluzione
d'Ottobre quelle sì cancellate dai comunisti ex-post comunisti che hanno preso
il potere nell'ex Campo Socialista. Una cosa sopravvive la politica di potenza
imperiale della Russia-URSS- Federazione Russa, come si vede in Ukraina
Caro compagno Besostri,
è diventato necessario specificare socialista di sinistra da quando
mi ritrovo qui con tanti che si dicono socialisti ma parlano da
neoliberisti.
Poi mentre io ti leggo sempre con scrupolo, mi pare che le ultime due
mie non le ha lette con la dovuta attenzione ... ho detto che il
socialismo europeo (PSI compreso) fino agli anni 80 ... il periodo
d'oro socialdemocratico, è sostanzialmente da sottoscrivere ... tu
parli di questo ... però glissi e trovo strano che dagli anni 90 in
poi i governi socialisti in ben 13 + 1 Ulivo in Italia hanno
proceduto come carri armati nella scia neoliberista che si è oramai
consolidata nell'Ue.
Non vedo l'ora di uscirne ... penso come te.
Il problema è come uscirne, aspettando di vedere ravvedere
spontaneamente il PSE assemblaggio di partiti nazionali (in Italia,
udite udite ci sono il PSI e il PD) se si vota per Schulz Cariddi
(con annunciato gorgo PPE teocon-neolib) e in Italia rafforzamento
governo Renzi (Cariddi sicuro scoglio massacratore
teocon-neoliberista).
Un fraterno saluto liberalsocialista del 1941.
Luigi Fasce
caro Luigi, per presentare una lista alle europee occorrono più firme
autenticate e corredate del certificato elettorale del comune di residenza
di quanti siano i prevedibili voti del PSI. Solo per la circoscrizione nord
ovest ce ne vogliono 30.000 entro il 6 aprile: non è detto che ce la
facciano neanche i troppi generali senza esercito di Tsipras....
per Ruffolo il termine socialismo liberale indica quello di Rosselli. Però
sarebbe stato meglio parlare di socialismo democratico. Poi
mettere sullo stesso piano il PSE (che pure ha bisogno di rigenerarsi) e la
destra è una grossissima sciocchezza
Caro Peppe, come ben sai, siamo prima di tutto settari, per cui il primo
nemico da combattere è chi ci sta vicino. Siamo andati avanti per anni a
dire che ci rivolgevamo ai socialisti ovunque essi siano, purchè si
riconscessero nel PSE. Adesso che ci è entrato il PD, non ci basta più, solo
questo sappiamo, che non sappiamo cosa vogliamo, ma ma dobbiamo
distinguerci....
Caro Peppe Caro Claudio, sono d'accordo con voi. A sinistra siamo ammalati
di individualismo su base narcisistica. Vorremmo un partito socialista
definito su misura per ciascuno di noi. Per aver visto come un grande
risultato il fatto che finalmente gli elettori, i simpatizzanti i militanti
del PD si sentissero ora tutti parte di una unica famiglia europea
socialista, quella del Pes, e non più sospesi da anni nel limbo a causa di
loro dirigenti inetti ed impavidi, mi sono visto attaccato da tutte le parti
come bieco filo piddino. Capisco tutti i rischi di un Pes così composito, ma
non condividerò mai la logica di chi per "essere puro" preferisce "essere
solo".
>
>Infatti il governo neoliberista (a usare formulesempliciste e ripetitive si
>rischia il fallo) di Renzi ha appena varato sgravi fiscali eccetera... non
>sempre non è oro quel che luccica, ma quel che non luccica a volte può
>essere oro... inoltre le riforme istituzionali di Renzi, accusate di
>uccidere la democrazia, sono quelle che nel Regno Unito, dove l'hanno
>inventata, la democrazia, assicurano la governabilità. Cari saluti
>socialisti. Lorenzo Borla
>
>Caro Borla,
>nel Regno Unito, come è noto, c'è un sistema elettorale maggioritario a
>turno unico basato su collegi uninominali.
>Un sistema che, quando l'assetto politico, da bipartitico, è diventato
>(almeno) tripolare ha costretto a fare una grande coalizione tra
>conservatori e liberaldemocratici.
>E la sera delle elezioni non si sapeva chi avrebbe governato, essendo
>possibili soluzioni diverse.
>Ma proprio perché quella è la culla della democrazia a nessuno è venuto in
>mente di riformare la legge elettorale per mettere la cintura di castità
>agli scostumati elettori.
>Nell'Italicum di Renzi-Berlusconi non vi è proprio nulla che assomigli anche
>vagamente al sistema inglese.
>Premio di maggioranza con soglia, ballottaggio, circoscrizioni plurinominali
>con recupero nazionale, liste bloccate, soglie di sbarramento differenziate
>...
>Sono tutte cose per le quali in inglese si farebbe fatica perfino a trovare
>la traduzione. Ma anche in altre lingue, visto che non hanno uguali al
>mondo.
>Parafrasando Adlai Stevenson, ti propongo un patto: sono disposto a smettere
>di dire la verità su Renzi, se tu eviti di dire spropositi sul sistema
>elettorale (ironia: Montanelli raccomandava di scriverlo sempre !).
>
>Luciano Belli Paci
>
>
Nei sistemi proporzionali, più o meno corretti, contano i voti e le
percentuali, mentre nel maggioritario contano i seggi: vince chi conquista la
maggioranza assoluta dei seggi. Non è infrequente che non vinca chi ha preso
più voti. Quindi quando si dice per giustificare l'ITALICUM che i socialisti in
Francia governano con la maggioranza assoluta dei seggi con meno del 30% al
primo turno, quindi con meno del 37% e anche dell'iniziale 35%. Non ho mai
capito se questo argomento sia frutto di ignoranza o malafede. Per ragioni
misteriose ai dibattiti e talk show sulla riforma della legge elettorale
venivano invitati parlamentari ed esperti, che danno l'impressione di non aver
letto la sentenza della Consulta o, in subordine, di non averla capita. E' un
caso che non siano mai stati invitati i giudici della Cassazione o della
Consulta o uno degli avvocati protagonisti della vicenda. Prima falsità: dopo
la sentenza non abbiamo una legge elettorale applicabile. Seconda falsità: la
legge residua, il porcellum depurato dalle parti dichiarate incostituzionali) è
una legge totalmente proporzionale(AINIS, Corriere della Sera del 12 marzo
2014). La sentenza della Consulta lascia una legge elettorale immediatamente
applicabile altrimenti non avrebbe potuto accogliere il ricorso(giurisprudenza
costante), quindi non c'era alcuna necessità di adottare in fretta e furia una
nuova legge elettorale. La legge residua non è totalmente proporzionale perché
ci sono soglie di accesso, che al Senato per le coalizioni sono più elevate 20%
di quelle dell'Italicum (12%) e quelle per le liste singole uguali, 8%. Se si
dicono cose palesemente false è perché non si vuol informare la popolazione.
Altra obiezione con il proporzionale i partiti sono liberi di allearsi con chi
vogliono avendo le mani libere. Ebbene nella legge elettorale vigente sono
rimaste le coalizioni preventive con un programma comune e un capo politico
indicato dalle liste coalizzate. Dunque abbiano la coscienza di fare un bel
programma, che conquisti la maggioranza degli elettori.
Felice C. Besostri
Non mi ci provo neanche a entrare nelle technicalities dei sistemi
elettorali: però siamo d'accordo che in Inghilterra c'è un sistema
maggioritario basato su collegi uninominali, dove vince chi prende più voti
anche se non arriva al al 50%. E succede, naturalmente, che il partito che
prende più voti, prenda meno seggi e quindi vada all'opposizione. Te la
immagini qui una cosa del genere? Quanti Belli Paci ne farebbero un romanzo
di lacrime e sangue? Nessuno, in Inghilterra, grida alla democrazia
coartata, mutilata, conculcata, dimezzata, e chi più ne ha... A nessuno in
Inghilterra viene in mente di cambiare il sistema perché è lo stesso da
almeno duecento annni... e funziona. Accetto il patto: tu continui a dire la
verità su Renzi e io continuerò a dire spropositi a vario titolo. Altrimenti
smettiamo di divertirci.
Cari saluti. Lorenzo Borla
Ma non è vero. Qui una cosa del genere c'era già, fino al 2005: era il
Mattarellum, che nella quota maggioritaria (75 %) funzionava esattamente
come in Inghilterra.
E non facemmo nessun romanzo di lacrime e sangue. Non già perché c'era la
quota proporzionale (25 %), nella quale i partitini peraltro non passavano
essendoci uno sbarramento unico al 4 %, ma perché il sistema aveva una sua
logica.
A me personalmente non piaceva perché preferisco il tedesco o in subordine
il francese, ma rispetto al Porcellum ed al Ri-Porcellum detto Italicum era
una meraviglia.
Così come era una meraviglia la vituperata "legge truffa" del '53 che dava
un premio solo a chi avesse raggiunto il 50 % + 1.
Se non hai voglia di entrare nelle technicalities fidati di Sartori, di
Ainis, di Onida, di Azzariti (oltre che di Civati, Bindi, Bersani, ecc.)
... che hanno spiegato la follia e l'incostituzionalità dell'Italicum.
Faccio un esempio realistico, così ci capiamo.
Con FI 25,3 %, NCD 4,2 %, UDC 3,5 %, FDI 2,8 %, MPA 1,7 % = Totale CD 37,5 %
... avremmo un solo partito con il 25,3 % dei voti che, senza ballottaggio,
prende il 53 % dei seggi alla Camera e governa da solo per 5 anni !
Scegli tu l'aggettivo adatto.
Mi chiedo francamente perché mai, pur essendo divisi su Renzi e sul PD, non
si possa essere uniti tra noi almeno su questa vitale posizione di difesa
della democrazia.
Capisco (ma non giustifico) i parlamentari del PD che si autocensurano
perché sperano nella rielezione, ma la base del PD, la gente per bene come
te che non ha nulla da perdere salvo le catene, perché non si ribella
neanche di fronte ad una cosa così enorme ?
Cari saluti.
Luciano Belli Paci
Caro Borla, c'è una bella differenza tra il poter ottenere la maggioranza
assoluta in Parlamento avendo una striminzita maggioranza relativa (vedi
l'esempio contenuto nell'ultima mail di Luciano Belli Paci) o neppure quella
e dover vincere nella maggioranza dei collegi, come succede in Gran
Bretagna, per dar luogo ad un monocolore. Accade, come si è verificato alle
ultime elezioni, che nessun partito vinca nella maggior parte dei collegi ed
allora è d'obbligo la coalizione fra due dei tre partiti principali. Si
verifica sovente che i conservatori abbiano più seggi dei laburisti pur
ottenendo meno voti. Un tempo vi era un maggiore equilibrio tra voti e
seggi, ma l'addensarsi di grandi masse di elettori nelle periferie urbane,
dove in genere sono favoriti i laburisti, abbia alterato nel tempo tale
equilibrio a favore dei conservatori. In buona sostanza mediamente i
collegi dove vincono i laburisti sono più numerosi di quelli in cui vincono
i conservatori o i liberali. Ma si tratta pur sempre di scarti di qualche
punto percentuale, mentre con la legge elettorale in discussione in
Parlamento può vincere chi ottiene anche dieci punti percentuali meno del
partito più votato per il gioco perverso del voto alla coalizione e delle
soglie di sbarramento. Cari saluti. Giovanni Baccalini
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