sabato 27 luglio 2013

Franco Astengo: Tra stabilità e governabilità

TRA STABILITA’ E GOVERNABILITA’: UN TEMA DI FILOSOFIA POLITICA dal blog: http://sinistrainparlamento.blogspot.it Il tema della governabilità ha attraversato il dibattito politico, in particolare in Italia, per quasi trent’anni partendo dall’invocazione al “decisionismo” e l’avanzarsi, all’epoca, di una proposta di “Grande Riforma” incentrata, sul piano istituzionale, sulla preminenza della figura del Presidente del Consiglio (si è parlato a lungo di “cancellierato”). Un dibattito scivolato poi, pericolosamente, considerato il peso assunto dal fenomeno della personalizzazione della politica, nel filone del presidenzialismo che appare essere, definitivamente, la frontiera sulla quale stanno assestandosi i tanti “governativisti” (presidenzialismo o semi, del resto già previsto nel testo, poi fallito, della Commissione bicamerale presieduta da D’Alema nel 1997). Andando per ordine è il caso, però, di ritornare al dibattito sulla governabilità che probabilmente è stato chiuso qualche giorno fa (esattamente Mercoledì 24 Luglio) sulle colonne di “Repubblica” da un impegnato articolo firmato da Barbara Spinelli dal titolo “Se la stabilità si trasforma in idolatria”. L’illustre editorialista, in verità molto allarmata, coglie nel segno ed è un segno importante: la governabilità si è trasformata in stabilità. Una sorta di “evoluzione della specie” che ci indica come la via del governo debba essere riservata a chi s’impegna appunto nella “stabilità” del primato del potere; una sorta di tecnica quella del potere la cui padronanza è riservata a pochi, illuminati e “ottimati”, detentori delle caratteristiche adatte. Gli altri fuori, al massimo ad assistere facendo rumore in Parlamento per quei fortunati che riusciranno a passare soglie sempre più ardue e comunque con la strada sbarrata da regolamenti, usi e costumi tali da impedire un’effettiva dialettica: posti addirittura nell’impossibilità di pronunciare, nella stessa Aula che dovrebbe essere il luogo “principe” dell’esercizio della democrazia, il nome del Gran Khan che presiede il circolo dei nuovi mandarini. In realtà sarebbe necessario tornare davvero al tema del governo per scavare a fondo il significato vero del termine, chiamando in causa i “fondamentali” della filosofia politica. Con l’avvento della concezione della divisione dei poteri per culminare, nell’età classica della dottrina, nella pratica dello Stato di diritto, il “governo” è stato progressivamente ricondotto al profilo del semplice potere esecutivo, quale esecutore della volontà popolare sovrana rappresentata dal potere legislativo. Nasce qui la distinzione tra legge e decreto (come fa notare Kant, nella “Metafisica dei Costumi”), tra norma generale e norma particolare, e sarà su questo punto che partirà un processo di delimitazione e ridefinizione dell’ambito dell’attività di governo rispetto alla funzione legislativa che, nella nostra Costituzione, assume la denominazione (non effimera) di “Repubblica Parlamentare” e si stabilisce la “Centralità del Parlamento” (Il “Parlamento come specchio del Paese” nella visione togliattiana). In quale punto si è innestato il meccanismo di una vera e propria “inversione di tendenza”? Attorno agli anni’70-’80 del secolo scorso era partito il dibattito sul cosiddetto “eccesso di domanda”: dalla società saliva ormai verso la politica la richiesta di un consolidamento e di un allargamento dei meccanismi universalistici del welfare e salivano di tono le rivendicazioni operaie in tema di salario e garanzie del lavoro; richieste ormai non più riservate a determinate e precise aree dell’Occidente capitalistico. La risposta è stata duplice: da un lato la spinta a recuperare il ruolo prioritario degli “spiriti animali” del capitalismo attraverso il lancio di una forte controffensiva portata avanti su entrambe le rive dell’Atlantico attraverso le opzioni di un “liberismo selvaggio”; dall’altro lato la spinta a ridurre il rapporto tra politica e società attraverso il taglio del cosiddetto “eccesso di domanda”. Nasce da questo punto il dibattito sulla “governabilità” e la ricerca di nuove forme – autoritative – di governo e sorge anche una distinzione tra “governance”, espressione di un potere articolato sul territorio per rispondere, spezzettando le diverse problematiche, in maniera sostanzialmente neo-corporativa ai bisogni espressi dai ceti sociali più forti e “governament” utilizzato per normalizzare le dinamiche sociali più fortemente conflittuali, attraverso l’espressione di un potere centrale fortemente concentrato e posto, attraverso opportuni tecnicismi che dovrebbero includere anche la legge elettorale, al riparo da dibattiti giudicati inopportuni. Nessuna risposta, insomma, in termini di allargamento democratico, di ruolo delle istituzioni rappresentative, di presenza dei soggetti intermedi (partiti, sindacati), la cui funzione nel frattempo è stata ridotta al solo rango di selezionatori del personale di governo, provvisti di denaro ed elargitori di “incentivi selettivi” e non certo di soggetti propositori della rappresentanza politica e sociale. Si sono così smarrite le coordinate di fondo dell’appartenenza sociale e del legame diretto tra questa e l’appartenenza politica, si è perso il ruolo di sede di confronto dialettico da parte del Parlamento e l’idea di “governo” come esecutivo è via, via evaporata fino a ricomparire il fantasma della stabilità: una sorta di “Pax romana” della politica. Stanno trasformando l’arena in un deserto e la chiameranno appunto “stabilità”. Franco Astengo

8 commenti:

claudio ha detto...

un commento aritmetico alle considerazioni di Astengo:
ho fatto i conti sui dati del ministero dell’interno. Le coalizioni che sostengono il governo Letta han preso il voto del 50,1% dei votanti al Senato e del 50,01% alla Camera. Quindi sono moralmente legittimate a governare e fare delle leggi. Ma non a cambiare la costituzione senza referendum

franco ha detto...

Dei votanti.. quindi assolutamente minoritari sull'intero corpo elettorale, ed ormai nessuno, nella situazione italiana, applica agli astenuti il criterio anni'50 della politologia anglosassone secondo la quale i non votanti erano cittadini acquiiscenti allo "status quo". Anzi...Franco Astengo

claudio ha detto...

ho sbagliato i termini, le % vanno riferite agli aventi diritto al voto in Italia (gli esteri sono incalcolabili)

felice ha detto...

Non facciamo confusione. Legittima è ogni legge che sia stata approvata secondo le procedure






Felice Besostri

felice ha detto...

DIFENDERE LA COSTITUZIONE DIFENDERE LA DEMOCRAZIA.Legittima è ogni legge che sia stata approvata secondo le procedure regolamentari parlamentari. Per es. se non si chiede la verifica della presenza(numero legale) è TRANQUILLAMENTE PROCLAMATA COME ADOTTATA UNA LEGGE PUR IN PRESENZA DELLA MINORANZA DEI PARLAMENTARI. Per la legittimità è indifferente la percentuale dei votanti, tranne in quei pochi ordinamenti che revedono un quorumdi partecipazione per la validità delle elezioni(storicamente erano regimi non democratici che prevedevano tali quorum, le cosiddette " percentuali bulgare", perché avevano altri strumenti per assicurare la partecipazione alle elezioni: politici, ma anche la possibilità di trovare generi alientari o altri beni di consumo, in banchi allestiti presso le sezioni elettorali, altrimenti introvabili: come osservatore internazionale di elezioni in paesi ex sovietici, avrei gustosi aneddoti da raccontare).

felice ha detto...

E' un fatto che dopole elezioni del 1992, nessun governo ha avuto il conforto della maggioranza dei votanti. Nel caso del governo Lettà di larghe intese, che nella Prima Repubblica avrebbe significato una maggioranza non inferiore al 80% dei votanti e con partecipazione elettorale superiore al 80% degli aventi dirito, cioè la magioranza degli elettori iscritti alle liste elettorali, raggiunge a stento la maggioranza dei votanti,e precisamente 50,1% dei votanti al Senato e del 50,01% alla Camera, quindi non l maggioranza degli aventi diritto alvoto, anche non calcolando il voto estero.

felice ha detto...

La legittimità è pero cosa diversa dalla legittimazione politica, questa manca, perché, proprio a causa del meccanismo elettorale maggioritario, che a differenza del coraggio del Manzoni, darebbe la maggioranza anche a chi non ce l'ha, si è votato per coaliuzioni alternative, ciasdcuna con un proprio capo politico implicito futuro capo del governo: nessuno dei tre candidati maggiori, ce l'ha fatta!

felice ha detto...

Seconda delegittimazione politica, al momento soltanto potenziale, è il rinvio della legge elettorale vigente alla Corte Costituzionale, che deciderà il 3 dicembre p.v., per due motivi. Il primo riguarda il premio di maggioranza, cioè solo una parte, circa un quinto dei parlamentari, ma il secondo, le liste bloccate, tutto il parlamento senza eccezioni. La scelta di ettere mano profondamente alla costituzione è sbagliata politicamente, se riescono a modificarla con la maggioranza dei 2/3 NON SI SARà NEPPURE UN REFERENDUM EVENTUALE: un bis in idem vistoe le modifiche agli art. 81, 97, 117 e 119 Cost. pasate senza una rivolta delle piazze, ma neppure dei movimenti: non ci fossero stati dei superstiti keynesiani non se ne sarebbe a corto nessuno, tuttavia l'opposizione al solo pareggio di bialncio ha messo in ombra le altre modfiche più pericolose perché hanno cancellato di fatto l'art. 5 della Costituzione, la Repubblica delle autonomie, definita dalla dottrina come una forma di Stato intermedia tra lo stato unitario centralizzato e una vera e propria Federazione, verso la quale spingevano le riforme costituzionali del 2001. Su questo è stato stupefacente il silenzio dell'ANCI, associazione dei Comuni e dei Sindaci Arancioni Pisapia, Doria e De Magistris, nonché di quello di Firenze, Renzi, il quale pensava già a fare il Presidente del Consiglio. Il vero pericolo non è nella base parlamentare, ma, in una democrazia rappresentativa, come ci insegna l'Urbinati, nell'assenza di un dibattito pubblico che preceda le deliberazioni. I costituzionalisti sono stati in parte comprati mettendoli tra saggi e gli esperti, compresi quelli sostenitori dei premi di maggioranza senza soglia, ed altri non sono più credibili perché assenti dalla battagia per l'incostituzionalità del porcellum o perché sostenitori di referendum truffa per ristabilire il Mattarellum o che si distinguono ora per dire che il porcellum è incostituzionale, ma che l'ordinanza della cassazine è inammisibile. Gli appelli contro le modifiche cotituzionali hanno un ounto di forza in Libertàie,anche e tra i protagonisti c'era n suo scrittostizia, che però non si è mai spesa per denunciare il porcellum e sostenere le battaglie giudiz arie, anche s tra i protagonisti c'era un suo iscritto, ma soprattutto perché i suoi esponeni non sono estranei all'intossicazione mediatica della governabilità e della stabilità come valori supremi rispetto ai quali i valori del pluralismo politico, della rappresentanza più ampia possibile e della stessa libertà e uguaglianza del voto dovessero cedere.

Effetivamente l'ingovernabilità non è un bene, pensiamo all'Egitto, ma porvi rimedio con un colpo di stato militare o in altri casi istaurando una dittatura non è la risposta giusta. La stabilità poi è un concetto ambiguo, Non si capisce perché un governo debba essere stabile se pratica politiche sbagliate, pericolose o addirittura dannose: prima se ne va meglio è per tutti. Tuttavia non sono d'accordo contro chi criminalizza le forme di governo presidenziali o semipresidenziali in sè e per esempio sono stati zitti contro quelle sciagurate riforme dell'elezione diretta de sindaci e dei presidenti di regione, che costituiscono il peggiore insulto al presidenzialismo, perché negano la divisione dei poteri e subordinano all'esecutivo le assemblee elettive. Il M5S ha spacciato come un succeso il suo "Co-ostruzionismo"( il neologismo però mi piace), il rinvio a settembre evita l'approvazione in Agosto, ma non riedia all'assenza di un dibattito pubblico, cui questa mailing list e i ragionamenti di Astengo non possono ovviare, perché, testimonianza, allo stesso modo di questo io intrervento, di un pensiero minoritario all'interno della stessa sinistra, socialdemocratica o comunista che sia.





Felice Besostri