domenica 15 luglio 2012

Peppe Giudice: Promemoria per gli stati generali

Promemoria per gli stati generali.


pubblicata da Giuseppe Giudice il giorno domenica 15 luglio 2012 alle ore 16.19 ·
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Promemoria per gli stati generali





I compagni della LDS Livorno hanno opportunamente promosso un incontro per definire un contributo organico dell’area dei socialisti per la sinistra agli Stati Generali del centro-sinistra.

Il mio scritto non vuole essere un documento, bensì un promemoria ed una traccia di ragionamento politico su cui invito i compagni (in particolar modo quelli iscritti a sel, ma ovviamente non solo ad essi) ad esprimersi senza riserve.





La II Repubblica non ha fatto altro che aggravare le anomalie del sistema politico italiano. Se prima esse risiedevano in un sistema bloccato che impediva le alternative (prodotto della divisione dell’Europa in blocchi contrapposti) ma che si fondava tuttavia su partiti aventi radici forti, successivamente la anomalia si è spostata sul trionfo dell’antipolitica che ha avuto due forme: quello della deriva tecnocratica e giustizialista; quello del populismo qualunquista e pecoreccio di Berlusconi. La prima deriva espressione dei poteri forti dell’economia e della finanza globalizzata, la seconda del capitalismo e dell’impresa ruspante domestica, allergica alle regole e foriera di un individualismo asociale ed aggressivo che sfocia nella xenofobia. Comunque entrambe le derive sono state espressione della egemonia liberista prodotta dalla dissoluzione della II Repubblica. La quale ha segnato di fatto la fine della sinistra storica. Il PSI storico si è dissolto certamente per le gravi degenerazioni che l’hanno colpito, ma non si può non fare riferimento alla campagna di sistematica demonizzazione del socialismo italiano (ben oltre Craxi) che ha impedito che si rifondasse una soggettività politica in grado di ereditare la sua migliore tradizione. Né il PDS ed i DS sono stati in grado di ereditarle. Anzi se ne sono ben guardate, ed hanno addirittura operato una cancellazione della memoria storica della sinistra, sia della tradizione migliore dell’autonomismo socialista (Lombardi, Giolitti, Santi, Brodolini) sia di quella che è la parte migliore del PCI- quella più in sintonia con il socialismo democratico (Di Vittorio, Lama, Trentin). Questa cancellazione non poteva che avere effetti nefasti su ciò che restava della sinistra. La quale da un lato si è identificata in pieno con le derive peggiori della destra socialdemocratica (Blair); dall’altro si è espressa in un massimalismo affabulatorio (Bertinotti) e nel messianesimo movimetista. Una sinistra inutile politicamente (magari utile per il ceto politico che viveva un certa rendita di posizione elettorale). In definitiva le due sinistre sono state delle “non sinistre; quanto meno non hanno avuto nessuna capacità di incidere seriamente, essendo entrambe il frutto di quel nuovismo postmoderno che è stata la tomba della sinistra italiana che oggi è la più debole d’Europa. Infatti dalle due sinistre si è da un lato prodotto il PD, partito artificiale e fuori dagli schemi politici europei che si è fondato sul rifiuto esplicito del socialismo e sulla sua subalternità al pensiero neoliberale; dall’altro l’esperimento effimero dell’Arcobaleno, speculare al PD anche esso frutto del nuovismo (ma su un versante movimentista). Insomma in Italia è venuto a mancare una forza organica culturalmente e politicamente a quella che è la spina dorsale della sinistra di governo in Europa: il socialismo democratico. Il quale certamente ha avuto le sue derive neoliberali da criticare (e dalle quali sta comunque uscendo fuori una parte consistente di esso), ma che resta, dopo l’89 l’unica sinistra attorno alla quale si può costruire un progetto costruttivi di trasformazione sociale. Infatti a sinistra del Pse vi sono forze eterogenee e minoritarie non in grado di esprimere una proposta organica. Ora alla crisi profonda della II Repubblica (determinata anche dall’assenza di una forza socialista) si è sovrapposta una grave crisi del capitalismo , così come si è strutturato negli ultimi venticinque anni. Una crisi che secondo molti osservatori è destinata ad aggravarsi nel prossimo anno. Il governo Monti non è certo il rimedio; è parte integrante della malattia. La sua logica è quella di muoversi in sintonia con i centri di potere finanziario internazionale e con le tecnocrazie che li supportano. E’ un governo che fa una politica sociale antipopolare e che deprime ulteriormente l’economia. Nel PD c’è chi si riconosce pienamente nel liberismo tecnocratico di Monti (Veltroni, Letta, D’Alema), c’è chi lo subisce in nome dell’emergenza ma non sa uscirne fuori. E’ la natura contraddittoria del PD che parte dalle fondamenta. Ci sono poi i furbastri come Di Pietro, che prima danno la fiducia a Monti (quando il gradimento dei sondaggi è alto) e poi fanno una opposizione puramente demagogica che punta a lucrare qualche consenso, ma senza nessun progetto politico. IN effetti la discontinuità con la politica antisociale e recessiva di questo governo è la cartina al tornasole che misura la serietà di un nuovo centrosinistra. Una discontinuità aliena da populismi e demagogie, ma basata su un serio progetto organico alternativo che sia in grado di dare speranze al paese e di ricostruire una democrazia profondamene malata. Un centrosinistra che faccia proprie le posizioni di Hollande. Ma Hollande esiste perché in Francia non si è distrutta la tradizione socialista, anzi essa è stata continuamente in grado di rinnovarsi anche autocriticamente. La ricostruzione della sinistra, in Italia, passa tramite la costruzione di una speranza socialista, di una sinistra non anonima ma con identità ed aggettivi. Una sinistra di trasformazione sociale in grado di superare con proposte costruttive le gravi contraddizioni del capitalismo attuale. Una sinistra socialista e democratica cioè. Che sappia aggregare un consenso maggioritario. Nulla a che fare con una sinistra anghilosata, che sia pura somma di frustrazioni ed incazzature sterili. E nulla a che fare con demagogie populiste intrise di qualunquismo e giustizialismo illiberale, cafonesco ed antidemocratico.

Ecco perché penso che Di Pietro e l’IDV nulla abbiano a che vedere con il nostro progetto. Come estrema ratio si può anche concepire una alleanza elettorale tattica e tecnica. Ma non certo un percorso comune. IL PD le sue contraddizioni se le porterà fino a che vivrà (spero il meno possibile): la stessa sinistra PD , pur esprimendo spesso posizioni interessanti, alla fine è incapace di fare una vera e forte battaglia nel partito. Eco perché serve uno stimolo forte dall’esterno affinchè le forze critiche nel PD si diano una mossa. Ma questo stimolo difficilmente potrà esserci se chi vuol fare una sinistra di governo di ispirazione socialista si infetterà con il populismo.

I giochi non sono tutti fatti. IL PD vivrà una fase di forte sbandamento. Se vi sarà una proposta seria alla sua sinistra le sue contraddizioni potranno esplodere- se si fa un mezzo arcobaleno con infezione dipietrista non andremo da nessuna parte. Quindi si facciano gli stati generali per una sinistra di governo nel socialismo europeo….



PEPPE GIUDICE

1 commento:

Anonimo ha detto...

concordo con l'istanza storico-teorico-politica di fondo (che richiama, in qualche modo – mutatis mutandis – il tentativo di Marabini e Graziadei di evitare la scissione del '21 ritenedo non allora attuale una rivoluzione comunista in Italia) per l'unificazione di una forza politica seriamente socialista, democratica e popolare. Mi pare assolutanmente sbagliata l'analisi e la proposta rispetto all'IDV che ha svolto un ruolo politico e sociale di oggettiva e soggettiva supplenza politica, in parlamento e nel paese, rispetto alla mancanza (in parlamento e nel paese) di forze propriamente di sinistra. Sul terreno della legalità costituzionale l'IDV è stata un baluardo – piacia o non piaccia Di Pietro (nei confronti del quale, purtroppo, scatta ancora in tanti anche nobili socialisti, ilò riflesso condizionato "craxiano" pelosamente pseudo-garantista). Quanto ai voti della "pagella Giudici"dati alla dirigenza storica del PCI – e non a caso vengono citati solo sindacalisti e pur tanto diversi - è meglio lasciar perdere, altrimenti ci dividiamo subito, ancor prima di cominciare. E invece si tratta proprio di ricominciare (ma non in stile rifondarolo-1991), e men che mai "sellino". Ovviamente ricominciare da tre: Costituzione italiana, Socialismo democratico, libertà.