Nichi il comunista e i socialisti
Sono innamorato della mia storia di comunista ma m’innamoro delle storie altrui, ha detto Vendola all’assemblea di SEL e delle formazioni che vi si riconoscono: compresi i molti socialisti presenti dei quali, si legge nelle cronache, egli non manca di tessere elogi per la cultura di cui sono portatori, avvertendo tuttavia di evitare di restare prigionieri delle biografie, ma unirsi a tutte le forze che rivendicano cambiamento, moderati compresi; e ammonendo che il riformismo dev’essere la bussola del centro sinistra e non l’alleanza per vincere le elezioni.
Affermazioni importanti, anche se non nuove per chi ricorda il suo primo contatto con i socialisti nel gennaio 2005 di cui si racconta in “Socialisti e identità nella puglia degli anni 2000” (Progedit, 2007), ripetute nel maggio successivo all’inaugurazione della Mostra “Di Vagno e Matteotti fra storia e memoria”, e ancora al Convegno del gennaio 2010 per il decennale della morte di Bettino Craxi.
Vendola è intellettualmente onesto, e quando fa queste affermazioni c’è da credergli, sapendo che le fa non per captatio benevoltiae verso i socialisti, per quanto in sovrannumero come annota Lorena Saracino, che già sono con lui, e che ci resteranno.
Egli da pugliese sa che i socialisti nostrani non si esauriscono con quelli presenti “in sovrannumero”, ma ve ne sono tanti che restano tali per convinzione profonda a prescindere, qualche volta nonostante, le formazioni che continuano ad organizzarli o per irrinunciabile speranza, forse per nostalgia, finanche per un po’ d’opportunismo; e che tutti condividono con lui che solo il riformismo debba essere la bussola per il Governo a tutti i livelli, sapendo che riformismo non è moderatismo, secondo una non dimenticata, felice sintesi di Beppe Vacca.
Val la pena di ricordare il caleidoscopio dei socialisti di Puglia, singolarmente poco rilevanti, ma nell’insieme una forza: socialisti con la tessera nel PSI, o del nuovo PSI, quelli che si ritrovano in SEL, altri che non resistettero alla suggestione del PD, altri che hanno preferito l’autonomia; ci sono socialisti che nel passato, in buona fede o per rabbiosa reazione suggestionati da Berlusconi il vindice, s’illusero che anche da quelle parti avesse potuto praticarsi il riformismo.
Tutti con il comune auspicio che più che un partito socialista, piccolo o grande, debba sopravvivere il Socialismo, perché il problema che sta corrodendo dall'interno la coesione sociale in tutto il mondo capitalistico è l'abnorme aumento della disuguaglianza prodotto dalla politica economica degli ultimi trent'anni, e che il suo abbattimento, il socialismo appunto, deve occupare il primo posto di qualsiasi agenda politica che voglia affrontare seriamente la crisi.
Se le cose stanno così la domanda è: cosa impedisce a Vendola, non di inaugurare una stagione di improbabili riunificazioni o di inverosimili conversioni, ma aprire con quel vasto mondo socialista cui egli stesso riconosce cultura di governo, perché allevato alla scuola dei Bobbio, dei Cafagna, dei Cohen, dei Federico Mancini e di tanti altri, un dialogo franco, non sul passato con le sue rivendicazioni, ma sulle suggestioni di un futuro capace di disegnare, con il coraggio che manca al PD, la prospettiva socialista, come accade in Europa?
Anche se qualche socialista, proprio per quella cultura, potrebbe far notare che qualche volta l’ideologia, che Vendola giustamente rifiuta, è stata all’origine dell’insuccesso di alcune iniziative del laboratorio di governo, del caso di scuola pugliese che difende con orgoglio.
Lo apra lui quel cantiere, appunto non per la costruzione di un partito, ma per la ripresa di un processo culturale interrotto: molti come lui, “interessati non al partito ma alla partita”, si faranno avanti.
Gianvito Mastroleo
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