martedì 15 novembre 2011

Lanfranco Turci: Relazione al seminario di Passignano

PRIMA ASSEMBLEA NAZIONALE DEL NETWORK PER IL SOCIALISMO EUROPEO
PASSIGNANO 12/13 NOV. 2011
RELAZIONE DI LANFRANCO TURCI.
Premetto una breve presentazione su di noi per rendere più comprensibile il senso di questa nostra assemblea. Il Network è un insieme di persone e circoli accomunati dalla appartenenza ideale a un’area di sinistra socialista. Raccogliamo compagne e compagni provenienti dal Psi,dal PCI , da esperienze di sinistra radicale e da altre esperienze. Alcuni di noi sono anche impegnati all’interno dei partiti della sinistra,molti non sono iscritti ad alcun partito. Tutti però siamo convinti che quello che servirebbe oggi al nostro paese è un grande partito popolare,unitario,collocato a sinistra dell’attuale asse mediano del PD e collegato al socialismo europeo.
Care compagne e compagni,
se avessimo deciso di tenere la nostra assemblea in un momento politico cruciale,avremmo scelto.
questi giorni. Non li abbiamo scelti apposta, ma siamo giusto capitati nel mezzo di eventi convulsi che condizioneranno a lungo il nostro avvenire. Una disgrazia per me che ho scritto almeno dieci volte questa relazione che forse sarà già invecchiata al momento della lettura!
In un modo o nell’altro siamo alla fine della seconda repubblica,all’esaurimento della lunga stagione berlusconiana,nel cuore di una crisi economica e finanziaria di portata analoga a quella del ’29,con il nostro paese al centro della bufera e con un quadro delle forze di sinistra che , anche se valutate dai sondaggi più forti del centro destra in evidente sfaldamento,non paiono all’altezza della situazione,né attrezzate in termini culturali e politici per garantire le risposte di cui il paese avrebbe bisogno.

La crisi

Intanto la portata della crisi. Una crisi economica,non solo finanziaria Stiamo attenti a non cadere nella facile caricatura della finanza cattiva contro l’economia reale buona! Alla base c’è lo squilibrio accresciuto fra i redditi,con la continua perdita di reddito da parte del lavoro negli ultimi 30 anni in tutti i paesi capitalistici avanzati. Il tutto in un contesto di spostamento dell’asse dello sviluppo economico verso la Cina e i paesi dell’area BRIC. Cause e effetti di questi processi sono da ricercarsi nella globalizzazione liberista,nella totale libertà di movimento dei capitali,nel trasferimento di larghe quote di produzione mondiale in queste aree ,nell’accumulo di grandissimi deficit commerciali da parte degli Stati Uniti e di altri paesi sviluppati, nel degrado dei mercati del lavoro nei paesi forti a causa della concorrenza delle merci a basso costo provenienti dai paesi di nuovo sviluppo, della delocalizzazione delle imprese e della stessa immigrazione incontrollata. L’esplosione del peso della finanza va ricercata secondo molti economisti,oltre che nella deregulation degli anni ’90,nell’uso dei nuovi strumenti finanziari per sostenere una domanda che era nel frattempo bloccata dalla inversione dei meccanismi di distribuzione dei redditi .Di qui la continua crescita e sgonfiamento di bolle finanziarie sempre più gravi,fino all’ultima dei mutui subprime. Di qui la crescita di una massa finanziaria internazionale che ha la sua spiegazione anche nei grandi squilibri delle bilance commerciali,con il paradosso che la Cina è diventata il primo finanziatore del debito americano per sostenere le sue importazioni verso quel paese. Le sfide che questa crisi ci propone sono davvero di portata storica,ci fanno capire che siamo a uno di quei tornanti della storia destinati a lasciare un segno profondo,nel bene o nel male. Insomma, se non fosse che l’aggettivo è stato impropriamente utilizzato a ogni piè sospinto,dovremmo dire che siamo dentro a una crisi epocale e che sarà impossibile uscirne come ci siamo entrati. Da quella del ’29 uscimmo (passando per la seconda guerra mondiale!)con il capitalismo keynesiano,quello che Schumpeter chiamò “il capitalismo laburista”.Seguirono quelli che con una certa retorica furono definiti i “trenta anni d’oro”del compromesso socialdemocratico. Gli anni su cui Tony Judt ha scritto una appassionata elegia nel suo ultimo libro:.Poi la grande svolta della rivoluzione conservatrice della Tatcher e Regan. Quel cambiamento di paradigma culturale che riassumiamo nella parola neoliberismo e quel cambiamento di politiche economiche che racchiudiamo nel termine“Washington consensus”.In quegli anni anche gran parte del pensiero socialista si adeguò a quella che pareva una marcia trionfante e senza limiti. Giuseppe Berta nel suo libro sulla eclisse della socialdemocrazia parla di una “socialdemocrazia capitalistica”.Sono cose di cui nel nostro Network abbiamo parlato tante volte, raggiungendo una piena sintonia di giudizio sulla deriva neoliberista di tanta parte del socialismo europeo e della sinistra italiana negli anni 90.C’è solo da aggiungere che il PD tarda anche più dei partiti socialisti europei a liberarsi di questo fardello ideologico,se è vero come è vero che i rottamatori di moda,come il Gianburrasca fiorentino,continuano a nutrirsi degli slogan di quella ideologia,senza neppure avere coscienza dello spessore delle questioni sottese.
Ma le questioni sottese sono appunto quelle che questa crisi evidenzia nel loro fallimento:il dogma dei mercati autoregolati,della razionalità dell’homo oeconomicus,dell’individualismo,della crescita senza limiti sociali e ecologici. Questa dunque è una crisi del capitalismo,o meglio, per la prudenza appresa dalle lezioni della storia, diciamo del capitalismo che abbiamo finora conosciuto. Su queste considerazioni si basa lo sforzo che stiamo facendo con le nostre piccole forze per liberare la sinistra dalle influenze moderate e neoliberiste degli ultimi anni ,per il rilancio in Italia e in Europa di un pensiero socialista autonomo e forte.

La rivincita del socialismo?

Potremmo anche sostenere che questa crisi drammatica è l’ occasione di rivincita del socialismo. Ma su questo occorrerà attendere la verifica di alcuni importanti appuntamenti elettorali in diversi paesi europei. Inoltre,al di là dei possibili risultati elettorali positivi in Francia e in Germania,che non potranno comunque nascondere i disastri attesi in Spagna e Grecia, non possiamo non vedere come ancora stenta a prendere corpo una risposta socialista alla crisi su scala europea. L’inizio della revisione politica e culturale c’è,ma segue percorsi incerti e fatica a tradursi in un’altra idea di sviluppo alternativa al dogmi ancora vincenti dell’austerity,del darwinismo sociale,delle politiche basate sulla disuguaglianza e sulla compressione del lavoro e dello stato sociale. Noi poi in Italia siamo costretti anche a batterci per una questione preliminare ,per portare il Pd e Sel in quel PSE da cui il primo si è ritirato e la seconda ancora non si decide a entrare. Lo facciamo non perché crediamo al valore taumaturgico delle sigle,ma perché pensiamo che solo ricollocandosi nel grande alveo del socialismo europeo la sinistra italiana potrà meglio affrontare il suo rinnovamento e la sua riorganizzazione. Abbiamo scritto un anno fa nel nostro documento costitutivo:” La crisi economica impone un complessivo ripensamento anche sul fronte della teoria e della politica economica, come propone “La lettera dei 100 economisti” italiani del giugno scorso. La ripresa di un intervento pubblico nella sfera economica e la riconquista di un efficace peso politico e sociale del mondo del lavoro nelle sue nuove e varie articolazioni non possono oggi che passare attraverso una dimensione sovranazionale”. I socialisti in Europa condividono una abbondante declinazione valoriale della parola socialismo. Ma sul piano dei contenuti politici sia a breve che a lungo periodo c’è ancora una debolezza di elaborazione molto evidente. Tanto più evidente in quella che dovrebbe essere la dimensione unitaria europea,dove fra l’altro pesano fortemente le ottiche nazionali dei singoli partiti. Il Psoe e il Pasok affrontano in splendida solitudine la crisi e le ricette di austerità imposte dalla Bce e dal Fmi. Il fatto è che il fallimento del comunismo,anche dal punto di vista della efficienza economica,ha lasciato un campo pieno di macerie e di sfiducia sulla possibilità di cambiare davvero il capitalismo,mentre i risultati storici della socialdemocrazia europea non hanno creato fondamenta abbastanza solide da reggere sia sul piano culturale che su quello pratico alla offensiva liberista . Bisogna tornare a ragionare sul significato della politica socialista. Considero un ottimo contributo in proposito il recente articolo di Peppe Giudice ”Crisi del capitalismo e socialismo democratico”, perché ricostruisce alcuni dei pilastri portanti del pensiero socialista prima e dopo la seconda guerra mondiale ,dimostrando come esso andasse ben oltre il welfare e la redistribuzione. Ma è proprio su questo “oltre “che le esperienze sono state limitate e poi abbandonate come ferri vecchi ingombranti. Bisogna invece continuare a lavorarci sopra.

a)In primo luogo bisogna lavorare sulla analisi sociale ,recuperando e riunificando in termini politici la dimensione ampia e frastagliata del mondo del lavoro di oggi,senza lasciar spazio alle suggestioni fallaci della fine del lavoro,della società senza classi,della società liquida dei consumatori. Non ci deve portare fuori strada neppure il peso crescente delle questioni etiche legate alla rivoluzione biotecnologica,né i conflitti legati ai nuovi stili di vita. Quelli che vengono chiamati conflitti postmateriali sono per noi importantissimi. Siamo in prima fila nella battaglia per i diritti civili contro le pretese autoritarie e clericali. Ma non crediamo che esista una continuità necessaria fra battaglie libertarie e posizioni liberiste. Così non cadiamo nella trappola del presunto conflitto intergenerazionale,o in quello altrettanto presunto fra insider e outsider. Tutti argomentl che sentiamo risuonare sulla bocca di una intellighenzia che vorrebbe a sua disposizione una sinistra moderata e perbene, da portare a pascolare nei tranquilli pascoli del centro. La scelta del mondo del lavoro nella sua accezione più ampia,compreso quello in espansione delle partite IVA, deve restare ancora la base materiale e ideale di ogni concezione del socialismo. La riduzione del lavoro operaio classico nei paesi come il nostro,mentre nel contempo è aumentato di molte centinaia di milioni su scala globale,non può dunque lasciar posto alla vulgata della insussistenza delle basi sociali per il socialismo del XXI° secolo.

b)In secondo luogo accorre una profonda revisione dei nostri concetti di politica economica. Bisogna rileggere Marx,Keynes,Sraffa. Anzi suggerirei di ricominciare dal bel libro di Alessandro Roncaglia sulla storia del pensiero economico. C’è a sinistra una ignoranza diffusa e una sudditanza inconsapevole e impressionante ai breviari del pensiero unico. Ne abbiamo parlato ampiamente nella seduta di ieri. Bisogna reinterpretare il significato di parole correnti come debito pubblico,produttività,competitività,politica monetaria,bilancia commerciale,politica della domanda e dell’offerta. Ma ci rendiamo conto del capovolgimento di significato subito dalla parola riforme?Nella storia socialista e comunista le riforme,anche quando evocate contro la rivoluzione,erano intese come politiche tese a ridurre il potere del capitale,a migliorare le condizioni di vita e di libertà dei lavoratori e dei ceti popolari. Ora per riforme nel linguaggio corrente,ma anche in quello istituzionale europeo ,si intendono quelle della politica dell’offerta,quelle tese a liberare il mercato,a garantire più flessibilità del lavoro e a ridurre lo spazio del pubblico. Basta pensare alla proposta di modifica dell’art.41 della Costituzione! Ecco perché vediamo tanti “riformisti” nel centro destra e nell’area moderata del PD. Ecco perché la parola riformista è diventata a sinistra quasi impronunciabile. Nella cassetta degli attrezzi della sinistra italiana ci sono molti attrezzi presi di peso dalle cassette liberiste. Noi parliamo normalmente delle recenti derive neoliberiste della terza via blairiana. Ma c’è un “riformismo liberista”di più antica data nelle vene della sinistra italiana,soprattutto di quella di provenienza comunista. Si tratta di ascendenze nobili che risalgono a Einaudi e Salvemini nella concezione delle compatibilità economiche,così come a Pareto si possono far risalire le suggestioni antipartitocratiche e antipolitiche che arrivano fino al Berlinguer della “diversità comunista”. Cose lontane? Forse ,ma non troppo. Come non vedere nella disponibilità attuale di buona parte del PD alla politica dei sacrifici,o nel suo approccio moralistico e disarmato ai problemi del debito pubblico, la eco della stagione della solidarietà nazionale?Una stagione non certo fortunata per la sinistra ,ma che pare destinata a riproporsi negli attuali drammatici momenti.

Un nuovo modello di sviluppo

c)In terzo luogo la lezione inconfutabile da trarre da questa crisi è che bisogna riprendere in mano il discorso del governo dello sviluppo. Non possiamo farci paralizzare dall’accusa di voler rispolverare lo statalismo. Sarebbe quanto meno una sacrosanta reazione a quanti ci hanno decantato per decenni le sorti progressive del libero mercato e del laissez faire. Guardiamo questa nostra Europa costruita fondamentalmente sulla apertura dei mercati,sulla libertà di movimento delle merci e dei capitali,su politiche pro mercato come quelle del trattato di Lisbona, o su parametri di debito e deficit del tutto cervellotici come quelli di Maastricht. Costruita su una moneta affidata a un’autorità tecnocratica vincolata a una filosofia deflazionistica,impedita per statuto a occuparsi dei problemi dello sviluppo,dell’occupazione e della garanzia del debito degli stati membri .Un’Europa senza un governo comune delle politiche economiche e fiscali,senza una leva di finanza pubblica è il risultato coerente di una impostazione liberistica lontana anni luce dal sogno europeista di Spinelli. Ma è su questa base che sono arretrati i diritti sociali ,che il welfare,orgoglio dell’Europa socialdemocratica, ha subito drammatici ridimensionamenti, che gli squilibri fra i paesi membri si sono aggravati in termini di competitività,di bilance commerciali e di costo del debito pubblico fino alla crisi attuale. Una crisi che partita dagli Stati Uniti si è poi innestata su queste contraddizioni facendole esplodere. I deficit commerciali della Grecia,o della Spagna o dell’Italia sono l’altra faccia dei surplus della Germania e dei paesi centrali. E non è per caso che le banche tedesche o francesi siano piene dei titoli del debito pubblico e privato del paesi deboli. Solo il risultato della differenza fra paesi virtuosi e paesi indisciplinati? O non anche e soprattutto il risultato di un meccanismo di mercato lasciato a se stesso,senza obiettivi e vincoli decisi dalla programmazione di istanze pubbliche e democratiche in un’ottica europea? Giudice ricorda nel suo articolo che è proprio del patrimonio socialista “la idea di una economia pluralista e mista, con una forte presenza pubblica nei settori strategici, una area privata sottoposta a democrazia economica e controllo dei lavoratori, lo sviluppo del settore mutualistico e cooperativo dell’economia: tutti coordinati dalla programmazione democratica”.Bene ora si tratta di riscoprire e aggiornare quel patrimonio che era già stato abbandonato dagli stessi partiti socialisti,prima ancora del patto di Maastricht e della costruzione della moneta unica. E aggiornarlo in un’ottica che non può più essere quella tradizionale dei confini nazionali,ma almeno di quelli europei. A meno che la deriva dell’attuale crisi europea,tutt’altro che arginata dai vari vertici di questi mesi,non sfoci in una disastrosa deflagrazione dell’Euro e della stessa Unione. Cosa che al momento non si può affatto escludere. Lascio sullo sfondo poi l’esigenza anche più drammatica di una governance mondiale che ,come fu fatto a Bretton Woods dopo la seconda guerra mondiale,definisca le regole dentro cui possano svilupparsi le nuove dinamiche mondiali. Purtroppo su questo fronte non c’è nulla di nuovo,come si è visto anche a Cannes la settimana scorsa. Si lascia così spazio al rischio di crisi sempre più devastanti e di nuove guerre. Ecco perché un rinnovato socialismo dovrebbe riprendere il tema delle politiche industriali,dell’uso della politica fiscale e delle leve del credito ricondotto al suo ruolo di sostegno dell’economia reale,dell’uso della presenza pubblica nell’industria,nella finanza e nella ricerca. Altro che liberalizzazioni e privatizzazioni. Qui c’è bisogno di beni comuni,di controllo del movimento dei capitali,di difesa e qualificazione del welfare,di cambiamento dei rapporti di forza fra capitale e lavoro. Il problema non è quello che ci viene riproposto ogni giorno di nuovi rapporti fra insider e outsider,o fra padri e figli,ma fra lavoro e capitale,fra democrazia e mercato,fra società e economia,fra economia e ambiente,in un quadro che offra anche all’impresa privata un terreno più solido,perché basato su nuove regole nazionali e internazionali e su una programmazione nazionale e europea. A questa programmazione è affidato il compito di delineare quel nuovo modello di sviluppo la cui necessità è stata tante volte invocata e ora viene riportata in primo piano dalla crisi. La parola d’ordine di un nuovo modello di sviluppo si viene riempiendo di significati e aspettative sempre più esigenti,tali da spiazzare le leadership di tutti i paesi. Di fronte alla loro impotenza giganteggia col suo forte significato simbolico il piccolo accampamento a piazza Zuccotti dei militanti di Occupy Wall Street.Ritornano le domande tipiche dei momenti di grande tensione politica e ideale,le domande impossibili o proibite perché utopistiche,perché cose da sognatori o da rivoluzionari. Il famoso “cosa e come produrre”. Ci si obietta che non vale la pena di porsi tali domande perché a rispondere ci pensa il mercato con la sua distruzione creatrice. Ma i socialisti,il movimento operaio hanno sempre obiettato che questa distruzione è anche distruzione di umanità e ora anche di ecosistema.

La sinistra tra protesta sociale e governo. Una risposta moderata alla crisi?

Se nei momenti in cui la nave va possiamo anche accontentarci di quello che passa il convento,quando la nave si incaglia e rischia di affondare bisogna avere il coraggio di tornare alla fonte delle nostre ragioni e ai “pensieri lunghi” su cui orientare la rotta. Purtroppo ciò che si discute nella sinistra italiana è molto al di sotto di queste esigenze. E non solo perché ci si deve occupare delle incombenze della crisi di governo,ma perché da tempo la sinistra italiana vive soprattutto nell’effimero mondo dei media e si nutre quasi soltanto di antiberlusconismo. Già ero molto scettico prima dell’ultima evoluzione della situazione finanziaria e dell’apertura della crisi di governo. Ma ora,con lo spread attorno ai 500 punti,con tutte le campane che suonano a martello,con l’incarico in arrivo al prof. Monti, mi domando se si possa davvero evitare che prevalga una impronta moderata e conservatrice sulla terapia per la crisi. Se Berlusconi,che è dominato da due problemi vitali come quello di salvare le aziende e salvare se stesso dai processi,manterrà la parola data,non andremo a elezioni anticipate. Ma non ci andremo non perché sia inevitabile rispondere con un governo tecnico alla speculazione e al panico dei mercati finanziari. Non ci andremo perché una parte del PD è davvero convinta che l’unica risposta alla crisi è la ricetta Bce e per questo ritiene giustamente che Monti ne possa essere il migliore esecutore. D’altronde se si interpreta la crisi come una sorta di catastrofe naturale,o come la espiazione del nostri peccati collettivi di debitori storici si riesce a capire perché anche nel centro sinistra molti pensino che il problema vero consista nel dimostrarsi più seri e credibili di Berlusconi nel dare attuazione alle direttive della Bce e della Unione europea. L’altra parte del Pd,insieme a Sel e a Di Pietro, sente la sua impreparazione ad affrontare come si dovrebbe ,da un punto di vista di sinistra,la crisi stessa. Vedo dunque una disponibilità del PD al governo di emergenza che mi preoccupa tanto più perché finora non è stata avanzata con chiarezza nessuna condizione programmatica. Gli autorevoli richiami del Presidente Napolitano alla coesione nazionale di fronte ai rischi drammatici cui è esposto il nostro paese, i richiami al dovere di assumerci le nostre responsabilità per riguadagnarci la fiducia dei mercati e dei nostri partner europei, sembrano spingere verso un governo Monti in sintonia con le politiche di austerity sostenute dalle istituzioni europee e dalla Germania. Di qui il rischio dell’impronta moderata e conservatrice alle politiche economiche e sociali. Capisco che dopo aver subito per tanti anni l’umiliazione del regime berlusconiano, molti a sinistra possano rispondere che ogni soluzione che vi mette fine è comunque un passo avanti. Anche noi abbiamo brindato ieri sera alla notizia delle dimissioni di Berlusconi e saremmo fuori dalla realtà se non condividessimo il sentimento di sollievo del grande popolo della sinistra per esserci liberati (speriamo definitivamente!) di Berlusconi. Aggiungo anche che non mi sfugge che nel programma del governo Monti e nell’agenda del paese non ci può essere solo l’economia. Il ventennio della seconda repubblica ci lascia una situazione delle istituzioni democratiche fortemente compromessa. Provo a elencare:a)un parlamento delegittimato dalla legge elettorale e dall’uso che Berlusconi ha fatto della sua maggioranza,b)un potere partitocratico senza partiti veri,partiti costruiti ad personam e basati su un somme di lobby,c)una macchina giudiziaria inceppata,d)una corruzione diffusa e una presenza sempre più penetrante e condizionante della criminalità organizzata nella vita economica e nelle istituzioni,e)infine il distacco e il disprezzo di un numero impressionante di cittadini verso la politica. Tutti questi sono segni di una malattia della democrazia italiana che richiede un cambiamento profondo di stile e di comportamenti. Occorrono riforme costituzionali e una nuova legge elettorale.(Si vedano le comunicazioni di Falcone,Besostri e Vander) Non so se il governo Monti potrà affrontare questa serie di problemi. Bisogna richiederlo,ma non credo che entreranno in un programma di emergenza . Saranno i temi economico-sociali comunque a dare il LA al governo di emergenza o,in caso Monti non ce la facesse, alla nuova legislatura. Non posso riprendere qui la discussione fatta nella seduta di ieri sulla relazione del prof.Cesaratto. Noto solo che nell’ambito della impostazione indicata dalla lettera della Bce non potremmo neanche ripetere i modesti risultati di abbassamento del rapporto debito/Pil rivendicati ancora nei giorni scorsi da D’Alema fra i meriti dei precedenti governi di centro sinistra. A meno che non fossimo disposti a ripetute manovre restrittive e a lunghi anni di recessione e di disoccupazione. Sarebbe come volersi tirar fuori dalle sabbie mobili seguendo le istruzioni del barone di Munchhausen. Lascia perciò sgomenti il provincialismo miope di ricette che ignorano i meccanismi reali che condizionano il costo del nostro debito. Meccanismi che solo una diversa politica dell’Europa e della Bce possono correggere. La sopravvivenza dell’euro non può essere solo affare nostro,né caricata solo sulle nostre spalle. Se il duo Merkozy si è spaventato per l’annuncio del referendum in Grecia,provate a pensare se lo minacciasse l’Italia! La ricetta della Bce lascia inoltre scoperta e allarga l’area della sofferenza sociale,già fortemente colpita dalle manovre Berlusconi-Tremonti. Così si seminerebbe rassegnazione e disperazione fra quanti la crisi la soffrono davvero. Prenderebbe più spazio l’estremismo,o peggio una tendenza antipolitica sempre più pericolosa e piena di umori antidemocratici . Se ne fanno paladini i vari Della Valle con i loro ultimatum sui giornali. O i vari Travaglio le cui campagne ,anche quando denunciano comportamenti e gestioni vergognose degli uomini delle istituzioni,sono sempre comunque mirate a nutrire jacquerie contro i palazzi, oscurando la rivolta sociale a favore di una generica e pericolosa rivolta antipolitica. La sinistra dovrebbe avvertire la gravità di questa minaccia che ancora una volta intaccherebbe la sua base sociale,come è già avvenuto negli anni scorsi con il diffondersi del leghismo. La sinistra, o nell’eventuale governo Monti o nel suo programma elettorale ,deve mettere in primo piano quell’europeismo “combattente” di cui parlava Paolo Leon qualche giorno fa su l’Unità,cioè la richiesta di una svolta nella impotente e suicida politica europea. E in Italia deve accompagnarla con forti misure di riequilibrio sociale per sostenere redditi e occupazione, con una credibile proposta di riduzione dei costi della politica e con una rigorosa lotta agli sprechi. Questa è la strada per tenere insieme risanamento e sviluppo. Noi guardiamo con interesse a quanti nel PD si muovono su questa linea (vedi la comunicazione di Borioni). Non possiamo rassegnarci a una definitiva mutazione centrista di quel partito. Dobbiamo ottenere un confronto serio sulle opzioni programmatiche,in particolare sulla politica europea e sul programma per uscire dalla crisi. Una particolare responsabilità grava in questa situazione su Sel ,come potenziale fattore di cambiamento della sinistra. Nel documento di intenti del settembre dello scorso anno abbiamo scritto che auspicavamo che la candidatura di Vendola alle primarie di coalizione potesse divenire l’occasione per avviare un processo di rimescolamento complessivo,di scomposizione e ricomposizione, all’interno della sinistra che coinvolgesse il PD,il Psi e la stessa Federazione. Sentiremo in proposito la comunicazione Giudice. Devo dire però che forse quella nostra valutazione era troppo ottimistica. Più passa il tempo,più si vedono i limiti della scelta di Sel di giocare tutte le sue carte sulle primarie per sfruttare la popolarità di Vendola. Intanto questa scelta ha comportato la decisione di schierarsi con il referendum pro-mattarellum. E dunque per il mantenimento di un bipolarismo coatto che,se per un verso incentiva l’ alleanza del PD con Sel,comporta anche l’obbligo opposto,con la conseguenza di frenare il cammino di Sel verso una compiuta identità politico culturale e di vincolare la sua stessa sopravvivenza in Parlamento alla buona volontà del PD. Questa scelta poteva dimostrarsi valida di fronte alla ipotesi di un rapido collasso dell’< amalgama mal riuscito>del PD,e a una convergenza fra Sel e la gran parte del Pd tuttora ancorato alle sua matrici popolari e di sinistra. Ma non credo che a breve il nuovo quadro del governo di emergenza renda probabile quel chiarimento di fondo,anche se è possibile che si accentuino le tensioni interne. Ecco perché Sel dovrebbe giocare un ruolo più autonomo nella nuova situazione. Non è più il momento delle narrazioni,bensì di dire come e che cosa fare. Noi comunque continueremo a sostenere Sel,non solo con l’impegno dei compagni che militano al suo interno, ma anche perché pensiamo sia comunque necessario spostare a sinistra gli attuali equilibri politici. Continuiamo anche a pensare che sia un grave errore da parte di quel partito non imboccare esplicitamente la via del socialismo europeo. Una via che sbloccherebbe l’adesione di tanti compagni e compagne che non si riconoscono negli attuali assetti della sinistra italiana e che vedrebbero in una scelta del genere la caduta di antichi pregiudizi e la possibilità di un più diretto confronto con quanto di nuovo si muove nella sinistra europea.

E noi?


Mi sto avviando alla conclusione. Mi rendo conto di aver delineato un quadro in cui prevalgono i toni della preoccupazione e del pessimismo. Vorrei riequilibrarlo buttando lo sguardo fuori dallo stretto mondo politico della sinistra. E’ vero che le grandi crisi del capitalismo non hanno mai determinato automaticamente spostamenti a sinistra dei ceti popolari o l’avanzata delle forze socialiste. Anzi hanno spesso determinato spinte conservatrici e reazionarie. Eppure avvertiamo tutti che il sentimento politico in Italia sta cambiando ,sta cambiando il vento. Le lotte sindacali contro i piani di Marchionne,gli scioperi della CGIL,le manifestazioni delle donne,i movimenti degli studenti e dei precari,la giornata del 15 ottobre in concomitanza con le proteste degli indignati in tutto il mondo. E poi ancora le vittorie elettorali di Milano,di Napoli e di Cagliari ,e quelle referendarie sul nucleare,sull’acqua bene comune e contro le leggi ad personam. Tutto il movimento del mesi scorsi è una linfa vitale da cui il grosso del PD non può estraniarsi,pena il suicidio. La scomposizione e ricomposizione avverrebbe allora in modo traumatico. Non solo il PD,ma tutta la sinistra dovrebbe provare a mettersi a confronto con ciò che si muove nel profondo della crisi per trovare le vie del rinnovamento e della riorganizzazione unitaria. Tanto più considerando che in un modo o nell’altro l’assetto dei partiti della seconda repubblica è destinato a cambiare profondamente. Naturalmente noi sappiamo come Network di non poter influire più di tanto sulla dinamica di questi processi,anche se quanto hanno saputo fare intelligentemente i nostri compagni di Milano nella vicenda Pisapia dimostra che la capacità di intervenire nella concretezza delle situazioni locali non ci è affatto preclusa. In questo primo anno abbiamo lavorato soprattutto sulle idee,sulla affermazione di una cultura politica socialista e di sinistra. Questo è quello che abbiamo cercato di fare con i dibattiti in rete ,con le lezioni sulla crisi, con il lavoro con gli economisti,con l’attività dei nostri circoli. Soprattutto col sito Melograno rosso che si è già conquistato una sua visibilità e un suo spazio significativo. Cosa possiamo fare di più? Siamo venuti a Passignano con questo interrogativo. Io penso che la prima cosa da fare è intensificare i contatti con la variegata rete di circoli e piccoli gruppi che si muovono sulla nostra stessa lunghezza d’onda . Abbiamo registrato qui fra ieri e oggi la presenza di nuove realtà associative e di nuove compagne e compagni con cui avevamo avuto finora solo scarsi contatti via internet. Le idee e le aspirazioni che noi rappresentiamo sono molto più diffuse di quanto a volte noi stessi non pensiamo. Ci si è interrogati in questi mesi se non varrebbe la pena di concentrare con una scelta nazionale gli sforzi su Sel,ma non sembra ci sia per ora l’agibilità per costruire una chiara area di sinistra socialista in quel partito. Una scelta di segno opposto verso il PD per rafforzarne le componenti di sinistra pare sconsigliata dallo stato confusionale di quel partito e dalla scarsa agibilità democratica dei suoi meccanismi di potere. Non discuto neppure una possibile scelta entrista nel Psi,sia per la sua collocazione politica da ,come dice Besostri, fra Pd e Udc,sia per la sua gestione da cooperativa chiusa. Abbiamo tuttavia presente che proprio all’interno del Psi c’è una minoranza organizzata dalla Lega dei socialisti con cui condividiamo parecchie analisi e valutazioni politiche. Senza decidere per ora scelte univoche e di tipo nazionale,è del tutto possibile e anche opportuno che i singoli compagni o anche singoli circoli militino direttamente in uno dei partiti della sinistra. E’ anche opportuno che in loco ci si faccia parte o promotori,come a Milano, di iniziative elettorali che abbiano il segno del rinnovamento o che comunque rafforzino l’area della sinistra. Dal recente convegno del Gruppo di Volpedo è venuto un appello per una più stretta collaborazione fra le varie aggregazioni di cultura socialista e di sinistra:noi,il Gruppo di Volpedo,la Lega dei socialisti,i circoli Rosselli .Io aggiungerei anche altre realtà associative uscite dalla diaspora della sinistra comunista impegnate nella ricerca di una alternativa non meramente movimentista alla crisi del neoliberismo. Dobbiamo inoltre rintracciare i fili organizzativi su cui sono cresciuti gli ultimi movimenti della protesta sociale che ancora ,dopo il 15 ottobre,sono presenti in tante piazze italiane. E dobbiamo costruire rapporti e iniziative comuni con i sindacati,in primis con la Cgil. Questa mi pare la strada da seguire nell’immediato. Senza tentazioni,che apparirebbero ridicole,di costruire l’ennesimo partitino,ma per tentare di dare vita a un movimento di sinistra socialista che si muova a tutto campo dentro la sinistra italiana, con una maggiore visibilità. Pronti a investire unitariamente sul piano nazionale le nostre forze nella prima occasione che prometta davvero di aprire la strada a un grande partito di sinistra legato al socialismo europeo. Non dimenticando infine il possibile appuntamento delle primarie per la leadership del centro sinistra qualora, quando prima o poi si andrà alle elezioni,ci fosse una legge elettorale che ancora giustificasse il ricorso alle primarie.


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