Shayn McCallum
Il neo-liberismo e il “mea culpa” dei socialisti
La Convention del Partito del socialismo europeo, tradizionale appuntamento per attivisti e leaders del socialismo europeo, è finita. La sensazione è al tempo stesso di speranza e di preoccupazione di fronte all’enormità dei compiti che abbiamo di fronte. Le testimonianze di leaders nel frattempo caduti, come Georges Papandreu, sottolineano la disperazione dei tempi che stiamo vivendo e ci fanno capire come probabilmente ci troviamo all’ultimo stadio di una contro-rivoluzione avverso le conquiste della socialdemocrazia del secondo dopoguerra.
Tuttavia dobbiamo essere onesti con noi stessi e, prima di procedere oltre, recitare un “mea culpa”. La verità è che la socialdemocrazia non è oggi vittima di un golpe strisciante dei mercati contro una democrazia efficiente, perché noi siamo stati a suo tempo attivi collaboratori di questo processo di mercatizzazione.
Certo ci andrei cauto a lanciare accuse di tradimento o appiccicare etichette di “Quisling” sulla fronte dei passati leaders o anche auspicare un qualche atto catartico di ripudio; non è il caso. Ma dopo l’assalto conservatore (ma in verità libero-scambista radicale) degli anni ‘80 e dopo la confusione ideologica che ha investito la battaglia liberale sul socialismo a seguito del collasso di quella contraffazione che fu il socialismo “reale” nell’Est Europa e in URSS, credere, come è capitato a molti nostri compagni, che ogni speranza in una alternativa di società debba essere accantonata, è perfettamente comprensibile anche se tragicamente sbagliato.
Martin Schulz, nelle sue conclusioni alla Convention, ha ricordato a noi tutti con forza, in un modo che non ricordavamo da tempo, che noi siamo socialisti e che il socialismo rimane, nel suo nucleo teorico, l’opposto del capitalismo. Capitalismo significa dominio del capitale, socialismo significa subordinazione dell’economia alla società, attraverso meccanismi democratici. E stiamo vedendo sempre più chiaramente quanto questi due diversi approcci, capitalista e socialista, siano opposti in modo inconciliabile.
Questo certo non significa che ci sia un modello astratto di socialismo che noi si voglia imporre in alternativa al dominio del capitale, piuttosto significa che dobbiamo lavorare a creare nuovi, flessibili, tendenzialmente aperti sistemi di potere attraverso i quali il popolo possa riprendere il controllo della propria vita collettiva e individuale.
Alcuni compagni socialdemocratici preferiscono parlare di “decent capitalism”. I rimedi che loro propongono rispetto allo stato di cose esistente sono al tempo stesso ragionevoli e senz’altro sostenibili come punto di partenza per una trasformazione delle nostre società. Personalmente non ho nulla di sostanziale contro le loro proposte, ma qualcosa ho da ridire sull’etichetta. Usando il termine “capitalismo”, sia pure “capitalismo decente”, diamo anche simbolicamente l’impressione di limitarci ad un terreno sul quale evidentemente i nostri nemici esercitano piena sovranità. Hanno i loro Hayek da scagliarci contro. “Decent capitalism” appare una dicitura debole e senza ambizione. Anzi peggio, a che cosa mira? Sembra il tentativo di ricondurre a ragione le forze che meno sono interessate alla decenza. La logica di un mercato scatenato è intrinsecamente indecente.
Anche a voler rassicurare i settori più timorosi dell’opinione pubblica, insistendo sul nostro senso di responsabilità, sul nostro voler salvaguardare quanto di buono si è costruito nel corso della storia, ecc., non possiamo comunque restare invischiati in un sistema economico ripugnante che ha sempre operato contro di noi e la nostra impresa migliore, la democrazia. Dobbiamo rendere evidente a tutti che noi vogliamo una economia sociale e democratica. Ora questa economia, mentre è contro il dominio del capitale, non è intrinsecamente contraria al mondo degli affari e contro mercati ben regolati; del resto niente è peggio per molti imprenditori di un capitalismo scatenato che porta allo sfacelo soprattutto le piccole e medie imprese (e non necessariamente secondo la regola schumpeteriana della “distruzione creativa”). Dobbiamo essere coraggiosi abbastanza, in quanto socialdemocratici, da rendere chiaro a tutti che siamo per il potere del popolo (i.e. della democrazia) e ci opponiamo al potere del capitale (i.e. capitalismo). L’argomento che ci sarebbe un “buon capitalismo” e un “cattivo capitalismo” appare piuttosto naif, lasciamolo ai nostri nemici.
La Convention del PES ha invece dimostrato che la socialdemocrazia del XXI secolo è ben viva e che è ben capace di produrre idee e leaders. Ma ora è giunto il momento di essere coraggiosi e chiari. Timide mezze-misure o un socialismo che quasi si vergogna, non solo fallisce nel convincere gli elettori, ma permette ai nostri nemici di avere la meglio. Dobbiamo mostrarci non disponibili a compromessi e coraggiosamente difendere la sovranità popolare di contro all’arroganza del capitale. Ma dobbiamo essere chiari anche nell’etichettare i nostri nemici: non sono conservatori, sono dei rivoluzionari neo-liberali che vogliono il prepotere dei pochi sui molti; per questo dovere di socialisti e socialdemocratici è fare ciò che è necessario per riaffermare il diritto della maggioranza contro l’arroganza delle élites.
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