.pubblicata da Giuseppe Giudice il giorno giovedì 3 marzo 2011 alle ore 15.33.SeL e Vendola, dopo il 27 Febbraio
Né io, né i compagni che sono andati domenica (per ragioni familiari sono rimasto a Potenza) ad ascoltare Vendola, abbiamo notato significativi cambi di linea e posizione politica del leader di SeL.
Non è stato affatto accantonato il progetto di ricostruzione della sinistra tramite il “big bang” immaginato da Bertinotti, e l’idea di costruire una sinistra larga e popolare che trova la sua naturale collocazione nel PSE.
Fa testo a questo proposito la positiva accoglienza del discorso di Vendola da parte dei compagni ed amici della sinistra PD come Vita.
Riassumendo, dall’intervento di Vendola mi pare che emergano i seguenti punti:
1) l’esigenza di costruire una sinistra larga e popolare in un centro-sinistra rinnovato che non può essere la riproduzione dell’Ulivo degli anni 90. Dove la sinistra si affidava al centro ed ai poteri forti per la sua legittimazione a governare. Nello schema di Vendola la sinistra non ha bisogno di legittimazioni esterne
2) SeL in tale prospettiva non può essere il risultato finale. Essa resta un punto di partenza non un approdo definitivo. Del resto se si vuole costruire una sinistra antiliberista (e perciò socialista) che pesi politicamente e programmaticamente nella coalizione, occorre necessariamente andare oltre il 7-8% di cui viene accreditata SeL (che comunque è un ottimo punto di partenza) e provocare uno smottamento sulla sinistra del PD. Del resto oggi è la CGIL che ha bisogno di un referente politico che sia a sinistra del PD attuale, ma che rimanga sinistra di governo.
3) Vendola non può accettare di svolgere un ruolo marginale e residuale nel centrosinistra. Sarebbe la esplicita sconfessione di tutto quello che lui (e Bertinotti) sostengono da tempo. Del resto Vendola nel suo intervento a Roma ha ancora di più marcato la irriducibile distanza che separa il progetto SeL da quello maldestramente frontista e neo-comunista di Ferrero. Se fa questo è per rimarcare il carattere di sinistra di governo non subalterna del suo progetto. Insomma il suo è un progetto per creare in Italia qualcosa di simile al PSF ed alla SPD che ad un Arcobaleno allargato o ad una Linke (che resta un partito regionale e non estrapolabile dalla realtà teutonica)
Aggiungo altre considerazioni. Tutti noi che abbiamo a cuore la ricostruzione in Italia di una sinistra di governo, socialista e popolare dovemmo augurarci che non fallisca l’idea di Bertinotti-Vendola del “big bang”. In caso contrario ci troveremmo con una sinistra residuale, minoritaria e chiusa negli identitarismi di recinto da mercato delle vacche. Ciò potrà fare piacere a quel ceto politico marginale ed accattone molto ben interpretato dal post-togliattismo di Diliberto e dal post-craxismo da III polo di Nencini. Ma non a chi ha a cuore una evoluzione positiva del quadro politico a sinistra.
Il problema di SeL è che ha un leader che è certo più avanzato di una parte del suo partito. E lo sarà ancora per un certo periodo. Il leaderismo si spiega così.
Qualcuno strumentalmente (e credo con un ruolo magari involontariamente caudatario rispetto a Nencini) richiama il mancato cenno al PSE nel discorso di Domenica. Il PSE è un punto di arrivo non tanto di SeL quanto del nuovo soggetto da costruire. Lo abbiamo detto tante volte: il PSE non è un approdo burocratico, ma un processo politico in evoluzione a cui dobbiamo dare il nostro contributo nel senso di definire un progetto di socialismo del XXI secolo.
Noi come “area socialista per la sinistra” (Network, associazioni varie) stiamo avendo degli importanti riconoscimenti per il lavoro paziente di ricostruzione di una cultura socialista e di sinistra che stiamo portando avanti. Certo dovremo consolidare ed allargare il nostro impegno ma i primi risultati sono positivi, in quanto siamo un punto di riferimento per quelli che in SeL vedono nel PSE lo sbocco, per quelli che nel Psi si oppongono coerentemente al terzopolismo di Nencini e per chi nel PD vuole il superamento a sinistra e nel PSE delle sue ambiguità. L’assenza (almeno per ora) di elezioni ci mette in condizioni di continuare su questa strada.
PEPPE GIUDICE
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