Cari amici,
Dopo qualche giorno, desidero esprimere alcune considerazioni a seguito della bozza di appello di Massimo Teodori e Luigi Covatta, indirizzato ad “un’iniziativa di democrazia liberale e socialista”, che potete trovare su “Spazio Lib-Lab” (http://www.spazioliblab.it/?p=2702), e che, come già detto, mi vede consenziente.
Altre considerazioni (di Andrea Cabassi e Guido Bertrando) potete trovarle sul sito “spazio lib-lab”, alle pagine: (http://www.spazioliblab.it/?p=2708, e http://www.spazioliblab.it/?p=2716).
Cordialmente,
Gim Cassano (02-03-2011)
Tra liberalismo e socialismo.
Pur in attesa di una stesura definitiva, la bozza di appello “Per un’iniziativa di democrazia liberale e socialista” (http://www.spazioliblab.it/?p=2702), ha comunque un merito indubbio: quello di sostenere l’esigenza (aggiungo io, viste le premesse, necessariamente all’interno del campo della sinistra, e condividendo il necessariamente) di costruire un rapporto ed un terreno culturale e politico comune tra liberali e socialisti. Il che presuppone andare oltre quelle questioni e battaglie che storicamente hanno visto liberali e socialisti schierarsi dalla stessa parte.
A mio parere, questo ragionamento non può ridursi ad un’enunciazione o ad un’aspirazione e, oltre che svilupparsi nell’ approfondimento delle premesse culturali, deve anche essere strutturato in rapporto alle questioni poste dalla società postindustriale, che riguardano contemporaneamente le trasformazioni economiche, sociologiche, culturali, politiche, delle nostre società e la loro dimensione globale ed internazionale.
Riguardo a questi aspetti, non è possibile qui darne più che qualche cenno, ma mi sembra prioritario individuare alcuni spunti di riflessione (i più controversi, e quindi qualificanti) sui quali risulta con tutta evidenza necessario una rielaborazione. Ciò non significa che altri aspetti siano marginali (ad esempio, la laicità delle Istituzioni, le tematiche relative ai diritti individuali, la multiculturalità), ma significa solo che questi mi paiono sufficientemente consolidati nella tradizione e nella cultura di liberali e socialisti.
· La concezione conflittualistica della società.
Il progresso, la dinamica, l’articolazione di una società sono il risultato di conflitti di interessi, aspirazioni, bisogni, capacità, estremamente articolati e complessi, che non possono esser spiegati biunivocamente in termini di conflitto tra capitale e lavoro intesi come entità monolitiche ed omogenee. La dinamica della società postindustriale è caratterizzata da conflitti che traversano capitale e lavoro, manifestando articolazioni e conflittualità che non possono esser spiegate come puramente sovrastrutturali: produzione/finanza, giovani/anziani, consumatori/produttori, occupati/disoccupati/precari, lavoratori autonomi/lavoratori dipendenti, piccola impresa/grande impresa, capitale/lavoro/conoscenza. Su queste, ed in rapporto a queste, la politica è chiamata a misurarsi.
· Il concetto di modernità critica.
Liberalismo e socialismo sono stati gli interpreti di trasformazioni che, nonostante limiti ed ingiustizie, hanno portato a condizioni di benessere, democrazia, apertura, mai realizzate in precedenza nella storia dell’umanità; ed il concetto di modernità è loro connaturato, nel senso di capacità di riferirsi criticamente alla trasformazione: oggi, ragionamenti che si fondino su premesse liberali e socialiste non possono che svilupparsi in rapporto ad una società in profonda trasformazione culturale, tecnologica, economica, sociale. Non per subirla, ma per affermarvi le proprie istanze di libertà e di giustizia. Il che è strettamente connesso alla necessità di considerare l’ideologia come sistema di pensiero aperto, non deterministico, critico e soggetto alla verifica di un empirismo razionale, e quindi alla necessità di non considerarne gli sviluppi come l’esegesi di una teoria.
Occorre riappropriarsi di un termine, quello di “modernità”, che è stato invece lasciato in mano alle concezioni tecnocratiche, organicistiche e, sostanzialmente conservatrici.
· Il capitalismo globalizzato.
L’economia di mercato, ed i fenomeni culturali ad essa connessi, sono stati i motori dello sviluppo industriale ed economico degli ultimi tre secoli; ma i conflitti e gli squilibri che vi si determinano richiedono che la politica sappia determinare le regole e le condizioni positive per le quali questa non conduca al privilegio, al monopolio, alla trasformazione delle élites in caste, all’autoritarismo tecnocratico. Ed occorre tener conto che il concetti di libertà e di eguaglianza sono interdipendenti, non solo nei diritti, ma anche nelle chances e nelle garanzie sociali. Non ha senso la discussione messianica sull’anticapitalismo; mentre ne ha molto quella sulla trasformazione di “questo” capitalismo.
Oggi, le dimensioni nazionali non sono più adeguate alla comprensione dei fenomeni. La globalizzazione tende a portare su scala planetaria diseguaglianze ed ingiustizie tipiche dei primi tempi della fase industriale; a sottrarre al controllo dei cittadini, e comunque alle politiche nazionali scelte riguardanti centinaia di milioni di individui ed il futuro dell’umanità; a perpetuare il colonialismo nella mediazione locale con regimi corrotti od autoritari; a sovraordinare la finanza rispetto alla produzione ed al lavoro; a trasferire in altre aree del pianeta conflitti sociali e contraddizioni ambientali. Alla fiducia nella possibilità di uno sviluppo quantitativamente indefinito, fondato sulla standardizzazione dei consumi e sull’impiego crescente e più che proporzionale di risorse limitate, deve sostituirsi la consapevolezza della necessità di uno sviluppo basato su presupposti qualitativi.
· Stato e libertà.
Ogni azione sociale tende a confliggere con la libertà individuale. Ma l’estensione dei diritti dalla sfera individuale a quella sociale, ed il rendere praticabili e praticati i concetti di libertà e di giustizia non può avvenire attraverso l’autoregolazione del mercato e della società. Quindi, se da un lato lo Stato non può essere l’unico o il predominante attore economico e sociale, ed il gigantismo burocratismo non può esserne l’espressione, dall’altro lato lo Stato non può ridursi al concetto di “Stato minimo” tendenzialmente limitato al monopolio dell’uso della forza e del diritto, tipico del radicalismo liberista.
Lo Stato va inteso come mezzo e non come fine, ed il suo intervento deve allora estendersi sino a, e non oltre, un livello adeguato ad assicurare con criteri di efficienza e trasparenza e sotto il controllo di una democrazia partecipata e diffusa, anche quelle azioni non solo normative che sono richieste per fornire regole, controlli, indirizzi, interventi, necessari al mantenimento ed alla generalizzazione, anche nella sfera economica e sociale, dei criteri di libertà e di giustizia, dei diritti individuali, civili, sociali. Ed a assicurare l’utilizzo dei beni pubblici, il governo dell’ambiente, l’uso del territorio, gli indirizzi economici generali, l’equità nel prelievo e nella redistribuzione di risorse e servizi, la coesione sociale.
· Evoluzione e riformismo.
Anche il termine “riformismo”, come quello di modernità, troppo spesso diventa sinonimo di acquiescenza all’esistente e di rinunzia alla volontà o alla capacità di trasformazione della realtà. Ovviamente, ciò è vero per coloro che vedono le riforme al più come la razionalizzazione dell’esistente; in un Paese come il nostro che spicca rispetto agli altri Paesi Industriali per le estese e radicate aree di corporativismo e privilegio, per la scarsa mobilità sociale, per i livelli di ineguaglianza nella distribuzione della ricchezza, per le carenze della Pubblica Amministrazione, una politica di riforme strutturali è necessaria.
· Destra e Sinistra.
Se le categorie politiche di “destra” e “sinistra” sono necessariamente schematiche, mantengono tuttora due significati chiari, che in tutto il mondo e nelle scienze sociali rappresentano per la prima, la tendenza al mantenimento o, nella visione più innovatrice, alla razionalizzazione dei rapporti sociali e di potere costituiti, e per la seconda, il tendere a modificare tali rapporti per l’allargamento e la generalizzazione degli spazi di libertà e di autonomia, per la democrazia e la partecipazione, per la tutela delle parti più deboli o svantaggiate, per l’eliminazione di dogmatismo, autoritarismo, violenza, sfruttamento.
E, se il termine di “sinistra” è stato anch’esso oggetto di espropriazione, questa volta da parte di concezioni dogmatiche e di sistemi di pensiero chiusi e riconducibili all’idea hegeliana di incarnare la storia, occorre riaprirne il significato. Vista così, non è immaginabile che liberalismo e socialismo possano costruire un terreno di incontro al di fuori della categoria politica di “sinistra”. Sostenere o praticare il contrario, o essere agnostici al riguardo, significa semplicemente dare dell’esser liberali o socialisti interpretazioni parziali o limitate ad alcuni aspetti e condizionate dalle contingenze ed opportunità economiche, sociali, politiche.
A maggior ragione, in Italia, quali che possano essere i limiti e le sclerosi della sinistra italiana, il terreno di coltura di un rapporto tra liberalismo e socialismo si colloca nel suo campo, al quale anzi devono fornire il loro apporto di idee e metodi critici.
Noi abbiamo la destra più impresentabile tra i grandi paesi europei, la cui indecenza non si limita al berlusconismo di oggi, e che storicamente affonda le sue radici nel clericalismo, nell’opportunismo, nel trasformismo. Di questa, il fascismo è stato espressione coerente in una fase storica, così come lo è oggi il berlusconismo, collegati idealmente dall’avversione alla democrazia ed allo Stato di Diritto, dal provincialismo, dall’accondiscendenza alle tendenze corporative, dal populismo, dal considerare la cosa pubblica come dispensatrice di favori. Sostenere che, se oggi occorre sconfiggere il berlusconismo, domani, ove si ripristinassero condizioni di normale vita democratica, sia possibile praticare una via terza o tale da porre sullo stesso piano destra e sinistra, significherebbe contraddire le premesse sulle quali si sarebbe lavorato per ripristinare le condizioni di funzionamento della democrazia.
Ovviamente, vi sono infinite altre questioni da prendere in considerazione. Qui mi premeva considerare alcuni presupposti sui quali ritengo vi sia maggior bisogno di approfondimento.
Mi rendo conto che questa impostazione non incontrerà il favore di due scuole di pensiero:
Quella di chi, non ritenendo che liberalismo e socialismo possano trovare un terreno di fondo comune, vede al massimo il rapporto tra liberali e socialisti come l’incontro tattico tra un liberalismo ed un socialismo reciprocamente rinunciatari ed anacquati, e ne vede in sostanza la possibile costruzione comune come l’impianto di un welfare su una visione sostanzialmente liberista.
E quella di chi vede questo rapporto come l’ammettere la presenza di istanze liberali (purchè limitate alla concezione dell’individuo ed ai relativi diritti, che vengono accettate), all’interno di un filone di pensiero che resta ancora quello tradizionale della sinistra italiana.
L’una e l’altra scuola di pensiero non ritengono, in sostanza, da destra e da sinistra, possibile la nascita e la sopravvivenza degli ircocervi. Ritengo invece che quanto forse fu reso impossibile dalle condizioni di altri tempi, sia oggi, oltre che possibile, necessario.
Mi sembra quindi che Alleanza Lib-Lab abbia un senso solo ove sappia dare risposte coerenti e complessive in questa direzione, compatibili con il concetto che diritti individuali, civili, sociali, rappresentano le progressive estensioni, storicamente determinatesi, di uno stesso criterio; che libertà ed equità siano inscindibili; che compito della politica e dello Stato sia quello di promuovere e realizzare l’effettività e la generalità dei diritti, dalla sfera individuale a quella sociale.
Gim Cassano, 03-03-2011
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