Una Guerra Senza Orizzonte
post pubblicato in Focus Mediterraneo - Afriche, il 18 marzo 2011
Spero di sbagliarmi, e spero ancora di più che queste righe diventino prestissimo vecchie, considerate le notizie degli ultimi minuti che dicono di un "cessate il fuoco" ordinato da Gheddafi.
Personalmente provo una grande angoscia; ho moltissimi dubbi nei confronti di una guerra che sembra iniziare senza capire per chi stiamo combattendo e per quale scopo. (Uso il noi perché, al di là dell'iniziativa anglo-francese, gli italiani potrebbero dare basi di appoggio e perché si stanno valutando le implicazioni anche in ambito NATO)
Come già scritto in precedenza, non si può rispondere a questi interrogativi semplicemente dicendo che interveniamo "per proteggere i civili", perché stiamo entrando in una guerra già in atto e questo significa inevitabilmente parteggiare per una fazione, non solo difendere astrattamente i deboli.
Inoltre appare ancora forte nelle ipotesi che si stanno facendo l'illusione di risolvere "dall'alto", con la sola azione aerea, una battaglia che non può che essere decisa sul terreno.
Fare la guerra senza voler fare la guerra: il modo peggiore di combattere, perché tutte le scelte appariranno costrette e "di reazione", non rispondenti a un nostro disegno.
Fare la guerra senza un orizzonte politico: il modo peggiore di combattere, perché, quale che sia il risultato finale (che prezzo siamo disposti a pagare per vincere contro Gheddafi? attaccheremo veramente solo le infrastrutture militari?) il destino finale della Libia non è stato discusso, e non è chiaro a chi daremo in mano la Libia, se e quando Gheddafi verrà sconfitto.
L'Italia forse può agire, ma deve farlo subito, per una mediazione che dia un orizzonte a questo dramma: salvacondotto ai Gheddafi, transizione con un governo che realizzi il compromesso fra le fazioni, nascondendo dietro qualche prestanome la famiglia del rais, affinché il clan accetti di andare via pur mantenendo qualche interesse intatto.
Sarà poco morale, e forse è già troppo tardi, ma è molto peggio combattere nel vuoto e senza le idee chiare.
Spero grandemente di sbagliarmi.
Francesco Maria Mariotti
(nota chiusa alle 15:30 di venerdì 18 marzo 2011)
"Nessun soldato tedesco combatterà in Libia" (laStampa)
(...)Ministro, come si comporterà la Germania?
«La Germania non parteciperà a un intervento militare in Libia. Siamo convinti che l’alternativa a un intervento militare non sia l’inerzia, bensì pressioni politiche e sanzioni finanziarie ed economiche mirate. Su questo punto la Germania ha assunto un ruolo di guida sia in Europa che nel Consiglio di sicurezza, vogliamo portare avanti queste iniziative e inasprirle. L'obiettivo è fare in modo che il dittatore Gheddafi, che conduce una guerra contro il suo stesso popolo, non possa andare avanti. La strada è quella delle sanzioni, delle pressioni politiche, dell’isolamento internazionale. Le Nazioni Unite giocano un ruolo decisivo, ma tutto quello che va al di là di sanzioni mirate può essere preso in considerazione solo se c'è il sostegno e la partecipazione anche dei Paesi della Lega Araba».
Cosa significa questo in concreto?
«Che non spedirò nessun soldato tedesco in Libia. Che succede, ad esempio, se si verificano eventi nella Costa d'Avorio? Che facciamo con gli altri Paesi in cui l’opposizione è vittima di oppressioni barbariche? È spaventoso vedere le immagini che arrivano dalla Libia, l’istinto dice che uno dovrebbe intervenire ora, ma un intervento militare è solo l’inizio, è la partecipazione a una guerra civile, che può durare a lungo».
Così rischia però di isolarsi da Francia e Gran Bretagna.
«Siamo molto amici dei nostri partner europei, ma tuttavia non spediremo soldati tedeschi in Libia. Rispettiamo le nostre responsabilità internazionali, ad esempio in Afghanistan».
Quindi una partecipazione della Germania è esclusa, comunque essa si configuri?
«Lo ripeto: non partecipiamo con saldati tedeschi a una missione militare in Libia. È difficile prevederne le conseguenze sui movimenti per la libertà nell’intero mondo arabo e nordafricano e questo ci preoccupa: noi vogliamo che questi movimenti siano rafforzati e non indeboliti. Sono molto preoccupato per la situazione in altri Paesi della regione, come in Bahrein, dove credo che sia necessario un dialogo nazionale: non ci sarà una soluzione internazionale, ma solo una nazionale. Gli sviluppi nello Yemen sono molto inquietanti. Le immagini che ci arrivano dalla Libia sono sconvolgenti, ma la soluzione militare, che sembra tanto semplice, non lo è affatto, bensì è pericolosa, è piena di rischi e conseguenze. Che succede se non si riesce a bloccare l'avanzata delle truppe di terra con gli attacchi aerei? Il prossimo passo sono le truppe di terra?» (...)
Il paradosso libico, secondo Oscar Giannino
17 commenti:
era la proposta di Pannella per Saddam, una soluzione ragionevole, considerando che aveva fatto la guerra all'Iran per conto USA. Ma che si è scontrata con la necessità per l'economia USA di avere sempre una guerra in corso...
LA VICENDA DELLA LIBIA MI SUSCITA DEI DUBBI ENORMI CUI AL MOMENTO NON SO DARE RISPOSTE PER ME CONVINCENTI.
Lasciamo a parte le sceneggiate di Gheddafi e la compiacenza ridicola di Berlusconi degli ultimi anni.cosa abbiamo da guadagnare dalla evoluzione della vicenda libica?una crescita della democrazia sulla sponda sud?mi basterebbe.ma come si è visto finora,se non mi sbaglio,è più uno scontro tribale e territoriale,ben diverso dai moti(peraltro ancora sospesi nel loro esito)della tunisia e dell’egitto.Lo sviluppo più probabile è o la rottura della libia col rischio di una permanente instabilità ai ns confini,con rischi di tipo somalo e di crescente flusso immigratorio , organizzato anche a fini di colpire noi e l’europa.Oppure una guerra più lunga e sanguinosa,non limitata alla no fly zone, per fare fuori del tutto Gheddafi e con un gran punto interrogativo sul nuovo regime libico,la sua tenuta,i suoi nuovi tutori internazionali.Anche in questo caso con l’italia in posizione meno importante,ma cmq coinvolta.La prudenza iniziale di Berlusconi forse nascondeva anche ragioni non confessabili e ci lasciava vicini a un tiranno folle e sanguinario.ma forse era meglio da lì esercitare una pressione moderatrice,che trovarsi nella situazione attuale.Peraltro nessuno può credere che sarkosy si muova per nobili ideali.allora era forse meglio da ultimo stare con la germania e riservarsi una azione di moderazione per un compromesso,magari lavorando per l’uscita di scena di Gheddafi,chiamandosi fuori dalle azioni militari.
ripeto.posso sbagliarmi e magari rivedere presto queste valutazioni.ma dopo l’iraq e l’afghanistan un pò di prudenza,anche ai fini dell’interesse nazionale,non guasterebbe
La sinistra italiana nella politica internazionale ha perso la sua stella polare. Una volta bastava stare contro gli Stati Uniti e perciò a fianco di chi fosse un campione anti-imperialista, non importa cosa facesse o come governasse a casa sua. Un'altra stagione in cui era semplice da che parte stare era la lotta di indipendenza dei paesi coloniali. MPLA in Angola, FRELIMO in Mozambico, PAIGC Guinea Bissau- Capo Verde, ZANU in Zimbawe, SWAPO in Namibia o contro l'apartheid e perciò ANC in Sud Africa. Passta la fase eroica qei popoli sono stati dimenticati. Nello Zimbawe è al potere Mugabe e nelle ex colonie portoghesi il partito unico al potere è una centrale di corruzione per una casta pèolitica privilegiata, Sulla Libia si scaricano antiche contradddizioni non risolte: Gheddafi era uno dei campioni dell'anti-i8mperialismo. Quanti silenzi sulle repressioni fin dall'inizio della sinistra libica e del movimento degli studenti libici. prima di continuare vorrei trascrivere un pezzo ricevuto da Piero basso, il figlio del per me carissimo e indimenticabile Lelio Basso, che con la sua Lega Internazionale per i Diritti dei Popoli è stato antesignano sdi un interesse, che venuta meno la Guera Fredda è invece scemato nella sinistra. Piero segnala e riproduce in parte un articolo di Farid Adly un giornalista di Radio Popolare Milano, scritto per PUNTO ROSSO. Siamo in poieno ambiente di sinistra sinistra. Lerggiamo insieme, meditiamoci sopra e poi ne parliamo. confesso che in questo momento non mi sento di dare una linea e di salire in cattedra con il ditino alzato per dare lezionio a chicchessia. Dovremmo discutere di principi, ma anche di strumenti per una politica internazionale, svilita nel nostro paese dai personalismi( e dagli interessi materiali) di un Capo del Governo, che neppure capisce che è ritenuto un buffone planetario.
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Mentre scrivo non possiamo prevedere cosa accadrà in Libia nei prossimi giorni, forse nelle prossime ore, e neppure sappiamo esattamente cosa sta accadendo e cosa è accaduto in queste settimane.
Farid Adly, ben noto a tutti gli ascoltatori di Radio Popolare, cittadino libico da oltre quarant’anni esule in Italia, ha scritto per Punto Rosso un articolo appassionato di cui vi propongo alcuni brani:
[Un approfondito dibattito sulla Libia sarebbe molto interessante] se non fosse in corso la tragedia di un popolo che viene ucciso ogni giorno, nelle piazze delle città libiche e nelle piazze d’affari del mondo industrializzato. […] Prima di tutto, quella in corso non è una guerra civile; lo potrà diventare in futuro, ma adesso è una resistenza popolare contro un tiranno, la sua famiglia, i miliziani e mercenari. È paragonabile alla resistenza italiana contro il fascismo mussoliniano. […] Fondare [sull’apparizione di alcune bandiere monarchiche] una critica ai giovani libici che hanno affrontato a petto nudo le mitragliatrici dei miliziani e mercenari di Gheddafi, è di una ingenerosità disarmante. Non si nega l’esistenza di piani internazionali per mettere le mani sul petrolio della Libia, ma la rivoluzione libica del 17 febbraio 2011 non è guidata da fantocci dell’imperialismo, bensì da giovani e democratici che hanno una storia nel paese. La caduta del muro della paura, dopo le esperienze di Tunisia ed Egitto, li ha portati ad alzare la testa contro la tirannia. Se non mettiamo al centro dell’attenzione questo grido di libertà, che nasce dal basso, non capiremo nulla dai moti di rivolta che stanno caratterizzando la lotta dei paesi arabi contro le cariatidi al potere da troppi anni.
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La seconda questione riguarda il Gheddafi socialista. Le tesi sul cosiddetto socialismo arabo hanno imperversato negli anni Cinquanta e Sessanta, al momento del riscatto nasserian-baathista di Egitto e Iraq. Queste interessanti esperienze di borghesia nazionale del sud del mondo sono state, solo per necessità, anti-imperialiste nella prima fase del loro sviluppo. In Iraq, Egitto e Siria di quegli anni, i comunisti e i socialisti sinceri sono stati perseguitati e repressi. Quelle esperienze di colpi di stato hanno dato frutti positivi sul piano sociale, ma solo nella prima fase del loro sviluppo.
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La tendenza verticistica e la mancanza di una legittimità democratica, da una parte, e l’attacco dei paesi occidentali alleati di Israele dall’altra [nel 1956 e 1967] hanno reso questi nuovi regimi delle oligarchie militari che nulla hanno a che fare con l’idea di una giusta distribuzione della ricchezza nazionale e dello sviluppo sociale e culturale dell’essere umano, base di ogni esperienza socialista.
Gheddafi arriva dopo, nel 1969. La «spinta propulsiva» del golpe militare contro il vecchio re Idriss è finita molto presto. Già nel 1973 della rivoluzione degli ufficiali liberi non c’era più nulla, se non la spietata repressione di ogni dissenso. Le forche all’Università, l’allontanamento dei compagni d’armi, la cancellazione di ogni forma d’opposizione, il divieto dei sindacati, l’annullamento di ogni azione indipendente della società civile, l’uccisione degli oppositori all’estero (l’Italia è stata un teatro prediletto per azioni terroristiche) e le operazioni militari contro civili che protestavano pacificamente contro le volontà del tiranno (tra l’altro a Derna e Bengasi negli anni ’80 e ’90), il massacro di Abu Selim (26 giugno 1996), sono esempi di questo dominio di una nuova classe dirigente che si è ridotta di fatto alla famiglia di Gheddafi e a una piccola cerchia di suoi seguaci.
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La corruzione imperante e il dominio totale dei servizi segreti sulla vita quotidiana dei cittadini sono alla base di un regime che ha sperperato le ricchezze del paese non per costruire una Libia moderna, capace di creare occupazione e prosperità per il popolo, ma per comperare le coscienze, conquistare l’appoggio di altri dittatori, in impossibili e perdenti guerre africane (Uganda, Ciad…) e nel lusso per i suoi figli e adepti. La Libia è un paese ricco, ma i libici sono poveri. […] Non credo che Gheddafi rappresenti una continuazione dell’esperienza non allineata di Nasser. Nasser è morto povero e suo figlio non ha ereditato nessun ruolo politico. Qui invece abbiamo la ricchezza petrolifera del paese, considerata come proprietà privata della famiglia, e il potere jamahiriano ridotto a una ridicola monarchia. Considerare Gheddafi come parte di quel mondo che si è incamminato nel solco del nobile esperimento dei «Non Allineati» è stato un errore di valutazione.
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Anch’io, come molti giovani libici di allora, ho occupato il Consolato libico a Milano e ho distrutto la gigantografia di re Idriss. Ma già nel 1973 l’Unione generale degli studenti libici che guidavo ha occupato l’ambasciata libica a Roma, per protesta contro l’impiccagione nell’atrio dell’Università di Bengasi (per di più senza processo) degli studenti che chiedevano libertà e rappresentanza. La sinistra libica è stata cancellata con uccisioni e detenzioni e in alcuni casi con la compravendita delle coscienze, nel più totale silenzio. È stata anche colpa nostra, perché non siamo stati capaci di comunicare e tessere relazioni e abbiamo vissuto l’azione di opposizione in forme organizzative frammentarie.
[…] Gheddafi ha sbandierato il vessillo dell’anti-imperialismo e dell’anti-colonialismo, ma sotto il tavolo ha barattato la propria salvezza personale con accordi che hanno aperto la Libia al saccheggio dei paesi ricchi. Siamo consapevoli che il petrolio fa gola a molti. E per questo siamo contrari a ogni intervento militare esterno. L’opposizione ha chiesto una «No Fly Zone» per impedire l’uso dell’aeronautica da parte del colonnello Gli uomini che formano il governo provvisorio di salute pubblica sono persone che conosco personalmente e sono serie e fidate. Non sono secessionisti né fondamentalisti. La matrice democratica che li spinge a ribellarsi al tiranno è fuori discussione. Non dar loro ascolto sarebbe un grave errore da parte della sinistra italiana e dell’Italia democratica tutta.
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A seguito di questo articolo, ho chiesto a Farid due chiarimenti, sulle armi in mano agli oppositori e sul razzismo da cui non sembrano esenti le città liberate (abbiamo visto e ascoltato drammatiche testimonianze). Ecco le sue risposte:
1) Le armi. A me personalmente questa piega militare non piace affatto, ma non tocca a me dare valutazioni di principio a chi si è sollevato contro la repressione pacificamente e si è visto attaccato con artiglieria e mitragliatrici anticarro. I giovani del 17 febbraio avrebbero fatto a meno di questa svolta. Sono stati costretti dalla reazione violenta e preventiva delle forze di sicurezza di Gheddafi.
Quelle armi provengono, in un primo momento, dalle sedi delle forze di sicurezza fuggite immediatamente dopo la discesa nelle piazze della popolazione intera; poi, dopo l'attacco dei pretoriani guidati da Abdalla Sanussi (1500 uomini delle truppe scelte arrivati dal Fezzan), dallo stesso esercito libico passato alla resistenza nella battaglia per la conquista della Caserma Omar Bou Fadeel.
E' chiaro che adesso la leadership politica (Consiglio Nazionale di Transizione Libico) sta riorganizzando le forze armate e sta cercando fonti di armamento, soprattutto dall'Egitto. Loro chiedono una protezione internazionale della popolazione civile. Sono fortemente contrari all'intervento straniero.
2) La questione razzismo. E' un pericolo insito in questa situazione complicata del paese. Nel 2000 ho scritto per il Manifesto un articolo con la firma Abi Elkafi, nel quale denunciavo le forti forme di razzismo nate tra i giovani libici che vivevano di stenti, mentre vedevano affaristi stranieri (arabi e africani) godersi la vita nei migliori alberghi. [Anche i più modesti lavoratori stranieri sono considerati privilegiati, potendo cambiare l’80% del loro salario in dollari al cambio ufficiale e rivenderli poi al mercato nero a un tasso dieci volte superiore].
Nel 2000 contro i giovani africani e arabi a Tripoli c'è stata una rivolta con assassinii e caccia allo straniero. Di quella rivolta nessuno ha parlato e il regime per mettere una pezza ha fatto incetta di lavoratori stranieri senza permesso e li ha caricati su aerei cargo verso i loro paesi d'origine.
Poi ci sono stati gli accordi dei lager nel deserto per gli emigranti respinti dall'Italia. E il comportamento scandaloso dei poliziotti libici nei confronti dei poveri disperati è noto.
Quello che è successo oggi va nello stesso solco. Il regime ha utilizzato mercenari di diverse nazioni africane (Ciad, Sudan, Nigeria, Niger, Benin e Mali) e arabe (tunisini, sahrawi e algerini). Hanno compiuto massacri contro i funerali di Bengasi, venerdì 18 Febbraio. Questo è un dato documentato e ci sono circa trenta mercenari arrestati che verranno processati e la loro documentazione presentata ad eventuali corti internazionali. La reazione generale dopo la caduta del regime è stata quella di vendicarsi di tutti gli stranieri di quelle nazioni. Non ci sono stati infatti violenze contro cinesi, filippini, coreani o bengalesi. E' una reazione sbagliatissima e da condannare fermamente. Appena formato il Comitato di gestione al Tribunale di Bengasi, infatti, una delle prime direttive è stata proprio quella di garantire la sicurezza di tutti gli stranieri non armati. Sono stati formati dei gruppi di giovani che sorvegliavano i cantieri di lavoro dove risiedono i lavoratori stranieri e portare loro cibo e acqua. Queste informazioni le ho per conoscenza diretta da più voci.
Per rendere più normalizzata questa situazione di odio che il regime è riuscito ad instillare negli animi ci vorranno tempi lunghi, ma credo che le basi giuste siano state poste da chi sta guidando questo processo difficilissimo
Caro Felice,
L’articolo che alleghi mi sembra utile ed interessante. E condivido quel che affermi: ricordo, tra l’altro, che la stella polare di cui parli ha portato,tra l’altro, a clamorosi svarioni da parte di un certo tipo di sinistra, quale l’appoggio di Cossutta al panslavismo serbo sostenuto da una Russia che riprendeva l’antica politica della Russia zarista: altro che liberazione dei popoli.
Capisco i dubbi che manifesta Lanfranco, ma penso anche che:
· Se è vero che in Libia non siamo di fronte ad una società civile (in un senso prossimo al nostro) che si ribella, non mi pare che si tratti soltanto di una faida tribale. D’altra parte, la rivolta anti italiana degli anni ’10 e ’20 del secolo scorso fu guidata da una tribù, quella Senussita, ma assunse un carattere molto più vasto. Oggi, se è vero che i ribelli hanno avuto il loro punto di forza ed il loro retroterra in Cirenaica, è anche vero che anche a Tripoli, prima della repressione, vi sono state imponenti manifestazioni e scontri.
· Non mi pare che una politica che abbinasse moral suasion e pressione ed embargo economico avrebbe mai potuto avere alcuna efficacia nei confronti di un regime e di un dittatore che dispone, considerandola roba propria, della rendita petrolifera, immediatamente convertibile in armi, mercenari, e regalie al proprio popolo. D’altra parte, tutti i precedenti lo confermano, a partire dalle inique sanzioni.
· L’intervento ha assunto un carattere di emergenza perché si stava lottando con le ore: le truppe di Gheddafi erano, ieri mattina (19-03) alle porte di Bengasi, con la certezza di occuparla entro poche ore. Prendere altro tempo avrebbe significato adottare una decisione, di qualsiasi tipo potesse essere, sul cadavere dell’opposizione.
· In ogni caso, non si deve mai dimenticare chi e cosa sia Gheddafi, cosa ha fatto e, da ultimo, il fatto che avrebbe avuto, sino a ieri, la possibilità di fermarsi e congelare le cose al punto in cui erano arrivate (e già abbastanza favorevoli per lui), evitando l’attacco.
· Sono assolutamente convinto che, se la comunità internazionale avesse adottato un provvedimento come quello dell’altroieri subito dopo i primi massacri, quando Gheddafi era in evidente difficoltà, sarebbe stato sufficiente l’annuncio dello stesso, il dispiegamento del dispositivo militare, ed un salvacondotto. Questo deve far riflettere: condivido quanto afferma Felice circa i principii e gli strumenti.
Credo inutile commentare i comportamenti del governo italiano: non si può che diventare ripetitivi e noiosi. Quel che Frattini si affanna a presentare come frutto di equilibrio, ponderazione e saggezza, è soltanto il non saper che pesci pigliare, data l’ignobile situazione nella quale ci eravamo andati a cacciare; e su questo, occorre dirlo chiaramente, il PD è stato ampiamente partecipe votando il Trattato. Sarebbe cosa opportuna, adesso, che tutti cominciassero a capire che dittatori e macellai restano tali non solo a prescindere da quali siano i loro alleati, ma anche a prescindere da chi siano quelli che vi si oppongono. E sarebbe anche ora che la comunità internazionale iniziasse a capire che il sacrosanto principio della non ingerenza negli affari interni di un Paese deve iniziare a trovare un limite non tanto nel giudizio sulle forme politiche, ma almeno nel giudizio sul rispetto di quei diritti naturali ed umani che, a partire dalla Carta Atlantica, sono stati il principio fondativo dell’ONU.
Saluti
Gim Cassano
Una soluzione ragionevole, certo, ma Pannella ne parla come se con Saddam
Hussein fosse stata anche praticabile. Cosa di cui non vi è evidenza.
Idem per Gheddafi. Immaginare per personaggi come Saddam Hussein e
Gheddafi la disponibilità alla ragionevolezza è come immaginare che Ruby sia
veramente la nipote di Mubarak.
Luciano.
A chi invoca la recente risoluzione ONU (che metterebbe tutto il fronte anti-Gheddafi al riparo "democratico-legalitario") replico che di quella stessa risoluzione si è già fatto carta straccia....Sarkozy docet! Siamo di fronte ad un copione ampiamente noto e ripetuto! La verità è che di tanto in tanto certe nazioni "occidentali e democratiche" hanno bisogno di individuare un unico "Signore del Male" (specie se detentore di risorse importanti) su cui concentrarsi, dimenticando volutamente i tanti altri suoi emuli che da anni ed anni fanno e continuano indisturbati a fare ben peggio dell'odioso Gheddafi in ogni angolo del mondo. Quindi, la favoletta della risoluzione ONU ed altre fanfaluche per cerebrolesi e videolesi le si vada a raccontare altrove: "salvaguardia dei diritti civili ed umani" un corno!!!! Mi e ci si spieghi perché nessuno interviene per fermare i continui massacri nel Darfour ! Perché si spalancano gli occhi sulla Libia e si chiudono del tutto sulla Birmania, sul Ruanda, sullo Yemen, sull' Iran ed anche sulla Bielorussia.......ma l'elenco potrebbe continuare!
Mai come oggi il circo mediatico-politico sull'affaire Libia sta mostrando tutta la sua inconsistenza e tragica risibilità!
Mario Francese
la posizione di Francese è tipica di una formazione culturale di tipo idealistico, che sarà una nobile cosa, ma con la politica serve solo per la propaganda, per far fare manifestazioni agli studenti, ecc. La politica estera si decide in singoli paesi, in base agli interessi di quel paese: se qualcuno lo trova scandaloso, è perchè adotta canoni che con la politica non c'entrano.
L'Italia non ha nessuna ragione di occuparsi della Birmania, o di Timor Est, o del fatto che nella Corea del Nord muoiono di fame per le spese militari di una famiglia di pazzoidi. Possiamo manifestare la nostra solidarietà partecipare a un boicottaggio, votare una mozione all'ONU ma basta lì.
Quello che succede invece sul pianerottolo sud di casa. come quello che succedeva sul pianerottolo est ci interessa eccome, ed è dovere dei nostri governanti occuparsene, sopportando con pazienza quelli che gridano che c'è nen altro di più tragico.
Con la dissoluzione della Jugoslavia non avevamo grandi interressi economici, se mai di evitare che si creino stati-rifugio per i nostri mafiosi, come sta succedendo. Con la libia in vece si, e così con l'algeria. Chi trova scandaloso che ce ne occupiamo forse è meglio che non si metta apriedicare di politca, ma si occupi del sostegno alle Missioni, attività benemerita ma, appunto, apolitica
Caro Bellavita nella sinistra c'è spazio per tutti: mi sembra che sia necessario coagulare piuttosto che disperdere. Non discuto e non mi confronto soltanto con due categorie: 1) chi ha deciso di offrirsi come scudo umano contro i raid aerei 2) chi ha deciso di combattere a fianco degli insorti armi in pugno.L'altra cosa che mi indigna, ma non preoccupatevi alla mia età, parafrasando Claire Bretecher, non posso indignarmi totalmente per più di 3 minuti, è la giustificazione per l'inerzia/indifferenza di fronte a genocidi e massacri del passato e del presente, che poiché non si è intervenuti in Ruanda, in Cambogia, in Cecenia, nell'Oman , a Sebrenica o in Timor orientale, Tibet e tra gli Uiguri non di possa intervenire in Libia: un bel lavacro universale. Se poi si vuole approfondire ci sono cose giuste da fare, ma fatte in modo sbagliato o addirittura tradendo le ragioni dell'interevento. Tuttavia se fare ragionamente complessi prende troppo tempo ed uno sente la necessità di esprimere i suoi sentimenti lo faccia pure, basta che non giudichi gli altri come pedine del complotto demo-pluto-giadaico -massonico o pretenda che tutti lo seguano sventolando bandiere. Ripeto a sinistra c'è posto per tutti
ma non c'è neanche uno, in questo mondo di idealisti di sinistra, che dica quando ci si occupa di politica estera bisogna prima di tutto badare ai nostri interessi nazionali, tra i quali primeggia quello di non avere una guerra civile in corso sul pianerottolo di casa, in particolare sul pianerottolo da cui passano i fornitori? E tutto il resto, compresa la scelta della anime belle per cui fare il tifo ( e che spesso si rivelano per anime porche) passa in seconda fila? francamente sono un po' stufo di questo modo di discutere...
Caro Claudio,
l'interesse nazionale, soprattutto per degli internazionalisti, come dovrebbero essere i socialisti, è ragione necessaria, ma non sufficiente. In come mostra anche questo nostro piccolo dibattito, il punto debole dell'azione socialista è, storicamente, la politica estera, per la difficoltà, appunto, di coniugare interesi nazionali e dimensione internazionalista (e per un certo, paradossale ma non troppo, disinteresse verso questi temi)
Felice, magari posto a sinistra per tutti tutti no! Comunque condivido il concetto di fondo.
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