martedì 5 ottobre 2010

I socialisti devono sinceramente e felicemente considerarsi reazionari, Stefano D’Andrea

I socialisti devono sinceramente e felicemente considerarsi reazionari, Stefano D’Andrea

6 commenti:

mario ha detto...

Conosco queste "argomentazioni": sono vecchie rimasticature "nazi-maoiste" anni '70 (Freda e dintorni) e "giochi di parole" (Socialismo nazionale = nazional-socialismo) riprese a loro volta da alcune correnti fasciste pseudo-socialisteggianti anni '40, in particolare italiane e francesi....è roba più prossima al comunismo autoritario che al socialismo democratico. Niente di nuovo sotto il sole: strategia della confusione.

lanfranco ha detto...

necessità di aggiungere confusione con la ridefinizione della parola reazionario.Accettando questa impostazione perchè tornare indietro solo agli anni 70?E' vero che questi 20 anni di "turbocapitalismo"hanno fatto arretrare le condizioni del mondo del lavoro in tutti i paesi del capitalismo più sviluppato,ma il recupero di migliori rapporti di forza e la coquista di migliori condizioni di vita non può configurarsi come un puro ritorno al quo ante e cmq non potrebbe mai passare sotto la definizione di politica reazionaria ,a meno che non si coltivino con questa proposta secondi fini volti a legittimare altri discorsi.Naturalmente questo discorso non vuole avallare la fiducia banale nelle magnifiche sorti e progressive...

luciano ha detto...

Interessante, ma datato.
Già negli anni venti la destra vestì i panni del nuovismo, del futurismo,
del giovanilismo, del darwinismo (sociale), tacciando i socialisti (quelli
non rivoluzionari) di passatismo e conservatorismo.
Questo qui si compiace di scaricare sui socialisti anche la definizione di
"reazionari", ma il giochino è lo stesso.
Si tratta di intendersi, ovviamente, sul concetto di progresso. Che per noi
non è necessariamente - purtroppo - ciò che verrà. E non è neppure stare
dentro la corrente del tempo, assecondare la moda, piegarsi fatalisticamente
alle forze della natura (oggi alle forze incontrollate e cieche del mercato
globale).
Il socialismo democratico aspira a trasformare gradualmente lo stato di
natura, governando quelle forze che, lasciate agire secondo il loro (spesso
imperscrutabile) corso naturale, impedirebbero, appunto, di "rendere di
nuovo vigente il principio secondo il quale il salario deve garantire una
esistenza libera e dignitosa" o "tutelare il lavoro autonomo eseguito per
conto del grande capitale o svolto in concorrenza di quest'ultimo".
L'unica cosa sulla quale concordo con l'autore è che non è progressista
affidare i compiti della moderna socialdemocrazia ad uno strumento, come lo
stato nazionale, che è manifestamente obsoleto ed impotente.
Di questo noi "volpediani" siamo consapevoli. O si sposta l'azione - e la
dimensione, la visione, la mission - dei partiti e delle istituzioni nello
stesso ambito globale nel quale agiscono i soggetti economici, oppure
nessuno riuscirà ad evitare la barbarie che questo Stefano D'Andrea pretende
di gabellare per progresso.

Anonimo ha detto...

Non ho seguito l’intero dibattito, ma nei confronti del tema, nutro senz’altro uno spiccato interesse … se così posso dire! Il dibattito è estremamente attuale; da ultimo vi segnalo in uscita da Laterza “Dialoghi sulla sinistra” di Butler, Zizek e Laclau. Nel libro, di maggiore interesse mi sembra il tentativo di Laclau che riprende il concetto gramsciano di “egemonia” come risposta al veteromarxismo e al decostruzionismo postmoderno. Eppure, anche questo tentativo mi pare destinato all’insuccesso: occorre infatti che anche la soluzione gramsciana sia dotata di una prospettiva di senso che orienti l’azione e consenta in tal modo di superare la teoria decostruzionistica moderna, in base alla quale, per semplificare di molto (!), esisterebbero non fatti bensì interpretazioni dei fatti-che accadono. In realtà, la questione dirimente consiste proprio nel significato da attribuire al “(già) dato” (a tale proposito, si veda in particolare l’analisi di U. Eco e gli studi introduttivi sulla semiotica), con cui necessariamente occorre che ognuno degli “interpreti” si confronti. Quando dico necessariamente, mi riferisco al concetto della tradizione greca significato dal termine “necessità” (in greco, ananke), ovvero: de-stino o anche fato. Ciò premesso, pur condividendo il richiamo di Lanfranco al saggio recente di Carlo Galli, allo stesso tempo ripropongo la critica (alla quale rimando in maniera più dettagliata) al saggio stesso sviluppata nell’articolo del 24 febbraio c.a. pubblicato su www.leragioni.it. Nell’articolo, proponevo quale soluzione al problema ontologico, e di conseguenza alla questione politica se sia non priva di fondamento la distinzione tra una modalità dell’essere (Galli) di “destra e una di “sinistra”, la risposta di Emanuele Severino, che è inscritta nel concetto di “de-stin-azione”. A tale proposito, per converso, occorre segnalare il diverso tentativo di risposta elaborato da Marcello Veneziani che, sempre quest’anno, riprendendo anche il tema di un suo saggio del 1992 dal titolo “Sul destino. Se la vita non sorge dal caso”, ha pubblicato un saggio dal titolo “Amor fati”. Per entrambi gli autori, si tratta di ripensare il de-stino (traduzione: intorno allo stare dell’essere) in modo da ridare una prospettiva, e significato quindi, all’azione. Il discorso da fare sarebbe lunghissimo, ma, in estrema sintesi, solo la risposta di Severino, che peraltro è presente già in Parmenide (V secolo a.C.), consente di attribuire, all’interno del sistema di riferimento, un fondamento logico-razionale “coerente” (secondo la terminologia assunta dall'austriaco Godel nella prima metà del secolo scorso). Attraverso questo percorso, banalmente qui sintetizzato, si potrebbe convenire con Galli, allorchè scrive che, ancora oggi, la “sinistra”, a differenza della “destra”, si caratterizza in termini di relazione e “superamento del presente … per la negazione del mondo com’è, e per lo sforzo di realizzarne un altro, migliore, che è già una possibilità (benché al momento negata) immanente al presente … (laddove invece) per la destra tutto è davvero possibile”.

luigi ha detto...

Compagne e c ompagni,
Pirandello docet !
Il linguaggio si presta a ogni tipo di stortura dal tempo dei
sofisti! Io sto dalla parte di Socrate che un capo e una coda ci
devono pur essere.
Bel sofisma che si sia reazionari come socialisti.
Reazionari sono i neoliberisti che da almeno un ventennio vogliono
riportarci indietro addirittura all'ottocento del "laissez faire -
laissez passé", non a caso che si mette il prefisso neo-liberista.
Poi sempre cercando si spezzare il sofisticheggiante filo si deve
attribuire alla chiesa cattolica una linea politica di restaurazione
(negli USA l'arcipelago delle chiese evangeliche ma con stesso
pensiero oscurantista), si definiscono meglio in generale teocon o
teodem o altri titoletti, ma la sostanza che sono anch'essi, è oramai
termine di senso comune, reazionari.
Perché dunque stiamo qui a dibattere su reazionario o progressista,
forse perché il termine "noi progressisti" è diventata una costante
nei documenti del PSE - vedi Manifesto Eurosocialista di Madrid, vedi
recentemente documento congiunto PSF e SPD ?
Per me c'è perfetta coerenza, tra socialismo e progressista, sempre
che sia punto fermo "socialismo è sinistra e sinistra è socialismo",
il socialismo nel mondo è ancora da realizzare, in progressione
riformista nel mondo e questo da almeno un secolo. Con i vincoli di
Giustizia sociale Libertà individuale e oggi più che mai con
ecologia. E' chi tenta di fermare questa azione progressista mondiale
che possiamo definire come internazionale reazionario-restauratrice
neoliberista-teocon purtroppo ancora attualmentein piena azione che
va sotto il nome di globalizzazione mercatista o turbocapitalista.
Che nell'ultimo ventennio non si sia riusciti a tenere saldo
l'avamposto della socialdemocrazia europea in campo economico
(economia mista, gestione pubblica di beni e servizi nonchè di
imprese strategiche, tutela dell'ambiente) va tutto a demerito della
dirigenza del socialismo europeo a partire da Blair e Schroeder e
fino al congresso di Praga dell'anno scorso. Speriamo in un deciso
recupero (riflessa, naturale, sana, reazione ?) a sinistra del PSE e
di tutti i partiti socialiste nei rispettivi Paesi. Purtroppo con
Nencini-Biscardini che si definiscono socialisti liberali
(liberisti), che vogliono rimaneggiare la Costituzione c'è ben poco
da sperare.
Fatto il mio socratico esercizio per raddrizzare il discorso
contorto su reazionario-progressista porgo a tutti fraterni saluti.
Luigi Fasce - liberalsocialista (senza trattino)
PS
Visto che si continua a ignorare il pensiero liberalsocialista di
Guido Calogero e Aldo capitini, sempre per non troppo tediare, per
chi volesse (congiuntivo) in allegato rimetto il manifesto
liberalsocialista del 1941 per verificare quanto è distante dai
cosiddetti socialisti liberali nostrani.

manfredi ha detto...

Il tersto è seduicente, ma le strutture economiche e sociali quando cadono
non lo fanno in maniera indolore: e pensare che eliminare la
globalizzazione sia una cosa semplice quanto "mettere un dazio lì e uno
qui" è una grande illusione, specialmente perchè i processi di
globalizzazione sono sempre esistiti. Fu globalizzazione l'impero romano,
fu globalizzazione l'egemonia araba sul mediterraneo, fu globalizzazione
l'epoca delle esplorazioni ... il capitalismo finanziario moderno è solo
il punto di arrivo di un processo di espansione dei mercati iniziato
secoli, millenni or sono. Cercare di arrestare questo processo, e di
riportarlo a una posizione precedente, significa non solo buttare il
bambino con l'acqua sporca, ma anche riorientare integralmente il nostro
sistema produttivo in una direzione diversa da quella che molto
faticosamente sta prendendo, con ulteriori sacrifici che ben difficilmente
sono compatibili con la preoccupazione di "vincere le
elezioni". Guardare il passato come l'epoca d'oro a cui tornare è tipico
dei momenti di crisi, e la sinistra europea è appunto in un momento di
crisi da quando si sta avviando l'attuale transizione economica di lungo
periodo ... l'abbozzo di risposta migliore è secondo me il documento
PSF-SPD, che prova a tratteggiare un socialismo più vicino alle esigenze
dell'era globale. Se cadiamo nella trappola di considerare il socialismo
come attributo esclusivo degli stati nazionali, nell'attuale epoca
globale non ci resterà altro che tornare a una sorta di neomercantilismo
protezionista. L'ascesa dei BRIC sarebbe stata impossibile nel mondo
immaginato dall'Autore, e con essa anche il massiccio riorientamento
della produzione di ricchezza che sta avvenendo.