venerdì 15 gennaio 2010

Giorgio Ruffolo: il breve regno di re Bettino

“IL BREVE REGNO DI RE BETTINO”
di GIORGIO RUFFOLO
Repubblica - 14 gennaio 2010
La prima volta che vidi Craxi mi sembrò un omone un po' impacciato: come chi tema, muovendosi, di sfasciare qualche cosa. Timore, se c' era, non del tutto infondato. Personaggio singolare, anzi plurale perché non facile a essere ridotto a una dimensione, come fanno quelli, numerosi, che lo detestano e quelli, altrettanto numerosi, che lo idolatrano.
Personalmente, sono stato un critico di Craxi, ma non un oppositore. Ne ho apprezzato molti lati e ne ho disapprovato altri, sempre apertamente. Credo di poterne parlare sine ira et studio. Senza la pretesa di giudicare. Ma di dire semplicemente ciò che penso. Penso che fosse un leader politico di alto livello, di gran lunga superiore alla media dei suoi rivali, ma non un genio politico. Che sia stato capace di concepire un' impresa grande, ma incapace di restarne all' altezza. Che la sua fine sia degna di grande rispetto e di umana solidarietà. Non di ammirazione. Mi limito ad esprimermi succintamente su tre questioni vessatissime: la corruzione, il disegno politico, il duello a sinistra.
La corruzione. Craxi denunciò in un discorso al Parlamento rimasto giustamente famoso
l' universalità del finanziamento illecito dei partiti. Aveva indubbiamente ragione. Ma, a parte
l' improponibilità giuridica dell' argomento (un reato non è estinto dalla sua condivisione) è un fatto che Craxi abbia assunto in quel sistema un ruolo di primo piano. Non ne era certo un passivo fruitore, ne diventò un attivo organizzatore. Peggio. Giunto al potere nel partito, permise che vi dilagasse uno spudorato termidoro, una corte di adulatori arroganti, scarsi di meriti e ricchi di bisogni. C' è poi da dire che la politica ha un alto grado di tolleranza per il malcostume quando esso è sovrastato da un grande disegno politico. E vengo al secondo punto. Quel disegno politico, mancato clamorosamente, e vergognosamente, da Nenni alla fine della guerra, Craxi l' aveva:
l' autonomia socialista. Alcuni di noi, io tra quelli, pensavano che quell' autonomia, conquistata sganciandosi dalla subordinazione comunista, lui l' avrebbe giocata nella creazione di una alternativa di sinistra, come Mitterrand. Probabilmente Craxi stesso questa prospettiva in un certo momento la coltivò. Ma in lui il rischio del futuro fu vinto dalle rendite del presente. E quando il crollo dell' Urss gli presentò un' occasione suprema, non seppe sganciarsi da quella che era diventata un' alleanza opportunistica e priva di avvenire, il cosiddetto Caf, per correre l' alea che ogni politico, se è grande veramente, deve accettare: di perdere o di guadagnare tutto in un colpo solo. Il suo invito di andare al mare, agli italiani che chiedevano un segno decisivo di cambiamento, è la tragica prova del suo declino. Resta il terzo punto. Il duello a sinistra. Su questo, le responsabilità comuniste sono superiori a quelle craxiane, perché più antiche. Come Mario Pirani ha spiegato in modo impeccabile, la prospettiva strategica dei comunisti non era l' alternativa, tanto meno quella socialista. Era il compromesso con i cattolici. I socialisti, pobre semilla, dovevano seguire o scomparire. I comunisti, che pure avevano partecipato sia pure marginalmente alle spoglie di tangentopoli, ebbero un' inopinata fortuna: di vedere travolti i socialisti proprio nel momento in cui, a cent' anni dalla nascita del loro partito e dopo il disastro storico del comunismo, avrebbero potuto celebrare il loro trionfo. Ma gli ormai post-comunisti confermarono il loro tenacissimo antisocialismo: preferendo, all' assunzione della eredità storica socialista, una identità artefatta che ancora oggi dimostra il suo pallore; e consegnando alla destra estrema un cospicuo regalo elettorale.

1 commento:

carlo ha detto...

Mi senbra che con la lucidità di sempre Ruffolo, in poche righe, abbia detto tutto quello che si può dire su Craxi, senza codardo oltraggio né servo encomio.

Cari saluti

Carlo Salvioni