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giovedì 21 settembre 2023
Andrea Ermano: Due o tre cose sull'Europa
Dall'Avvenire dei lavoratori
EDITORIALE
DUE o tre COSE
SULL’EUROPA
E sul nulla
di Andrea Ermano
Molte sarebbero le notizie di primo piano apparse all’orizzonte degli eventi in questi giorni su Volodymyr Zelenskyj e Vladimir Putin, su Joe Biden e Donald Trump, su Xi Jinping e Narendra Modi – oltre che naturalmente sui “nostri” leader europei, il socialdemocratico tedesco Olaf Scholz, il centrista Emmanuel Macron, la “destrorsa” Giorgia Meloni, senza dimenticare Ursula von der Leyen, attuale presidente democristiana della Commissione europea.
Ancora grande è il pluralismo in questo nostro vecchio continente, e invero stupisce che il “sol dell’avvenire” non sia ancora completamente tramontato. I socialisti però, senza tanti peli sulla lingua, rappresentano ormai apertamente il nemico da battere. Nemico dichiarato per Matteo Salvini, ex bullo di lotta e di governo, con tanto di bulla televisiva del gran sacerdote Bruno Vespa: «L’unico modo per cambiare l’Europa è mandare a casa i socialisti», ha detto: «Abbiamo la prima occasione, da quando esiste l’Europa, di fare un governo senza i socialisti». Fin qui il tubo catodico vespasiano.
Il capo della Lega è il nuovo che non finisce mai. E avanza. Che non si butta mai. E avanza. Ed ecco allora il suo nuovo programma elettorale da leader ex lumbard, talmente antisocialista e neo-nazionalista, che persino Bossi e Borghezio (non invitati alla festa della Lega), ma anche Castelli, avvertono quel minimo di nausea. Ma la Lega se ne frega dei suoi capi storici, tira dritto nella guerra dichiarata al PSE e si allinea, con grandi sbandieramenti sul pratone di Pontida, all’estrema destra lepeniana in assetto di battaglia…
Insomma, tra pennacchi e pernacchi, la campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento Europeo è iniziata. A questo punto nessuno può tirarsi indietro, nemmeno Ursula von der Leyen, che punta alla riconferma, ed è volata a Lampedusa rubando di fatto la scena a Giorgia “Faccina” Meloni: «Chi entra in Europa lo decidiamo noi», ha scandito la presidente della Commissione Europea in faccia alla Presidente del Consiglio italiana.
Un concetto che i nostri commentatori si sono subito affrettati a definire “molto meloniano”. Ma, cari buontemponi dei giornaloni, davvero voi non vedete che Giorgia “Faccina” Meloni non poteva mica dire quella stessa cosa lì. Solo l’Europa unita sarebbe in grado di darne garanzia, sempre che un Europa basti di fronte a questo esodo biblico.
Quindi, “Faccina” arrabbiatissima con Bruxelles in campagna elettorale, ma ora “Faccina” trepidante in attesa delle coperture politico-finanziarie senza cui non si sa più come fare… Colpisce, di contro, per indipendenza di giudizio il severocommento di Rosy Bindi: «Gravissimo che si sia prestata a fare campagna elettorale su un tema così drammatico». Vergin di servo encomio / E di codardo oltraggio, diceva il Manzoni.
Dopodiché, sia lecito dubitare che esista un “noi” dotato di poteri tali da fermare le grandi migrazioni a venire. Meglio sarebbe concentrarsi non sull’essere o non essere, ma sul come. Come riuscire a governarle? That’s the question. Ma che ci vuoi fare, è la campagna elettorale… E resta ancora da vedere che cosa vuol dire qui esattamente la parola “noi”. Perché per adesso “Unione Europea” significa ancora quell’alleanza di socialisti, popolari, ecologisti e liberaldemocratici che, l’Europa, l’hanno sognata, voluta, costruita e governata fin qui.
Vedremo, a giugno prossimo, se le pulsioni anti-europeiste, nazionaliste e dichiaratamente anti-socialiste prevarranno o non subiranno una risacca. Certo, potrebbero vincere, perché i pochi e pochissimi si ricordano ancora del Nulla a cui i vari nazionalismi condussero il nostro continente durante il “secolo breve”.
Ma giunti sin qui dobbiamo parlare oggi anche di un altro Nulla, che appartiene ai temi di un grande pensatore italiano, due volte europarlamentare, scomparso martedì sera nella sua Torino a 87 anni. A dare la notizia della morte è stato il compagno del filosofo, Simone Caminada.
Vattimo, preso in mezzo tra un suo estremismo decisamente geniale e una sua sregolatezza sempre moderata dalla gentilezza, era stato allievo di un grande maestro, Luigi Pareyson. E lui stesso ha esercitato una vasta influenza sulle giovani generazioni, ben oltre i confini del nostro Paese, appartenendo al novero degli autori italiani più tradotti al mondo.
Oltre che maître à penser di statura internazionale (conseguì la specializzazione a Heidelberg con Löwith e Gadamer), Vattimo è stato un esponente del movimento gay italiano, ma anche un attivista politico impegnato nella vita sociale e istituzionale, nel nostro Paese e nel Parlamento di Strasburgo. Dalla sua militanza giovanile nel movimento studentesco, passò al Partito Radicale per poi approdare un suo comunismo libertario e non violento.
Nel 1999 venne eletto all’Europarlamento nelle file dei DS entrando a far parte del PSE. Dieci anni dopo si ricandidò e fu rieletto nelle file dell’IdV aderendo al Gruppo dell'Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l'Europa.
E però la risonanza internazionale non gli è venuta dall’attività politica, ma in quanto filosofo del “Pensiero Debole”. In questa veste Gianni Vattimo ha sviluppato un percorso di ricerca radicalmente pluralistico e quindi molto diffidente verso ogni fondamentalismo. La stessa idea di “fondamento” è stata oggetto di una distruzione che potemmo definire “allegramente nichilista”. Anche il sentimento religioso, in lui profondo e sicuramente genuino, veniva trattenuto da una continua riserva, volta a frenare i “grandi gesti”, i gesti perentori della cosiddetta “Verità” per lasciare spazio ad altro: altre visioni, altre teorie o tradizioni di cultura e pensiero, altre persone.
Gianni Vattimo è stato uno dei pochi pensatori italiani che hanno saputo parlare al mondo, socraticamente, sorridendo con ironia, e dicendo però tutta una serie di cose irritanti che il mondo non aveva nessuna voglia di sentirsi dire. Ma alla fine riusciva a strapparti ugualmente un sorriso. Straordinario spirito di finezza.
Apparteneva alla vasta schiera degli allievi di Luigi Pareyson. Tra questi ricordo qui soltanto Umberto Eco, Sergio Givone, Giuseppe Riconda, Diego Marconi, Aldo Magris. Né potrei non citare un grande, paterno amico come Mario Perniola, terzo tra cotanto senno.
Ma la lista sarebbe ben più lunga e si fatica a pensare l’Italia della cultura filosofica nel secondo dopoguerra senza l’apporto di questa scuola pareysoniana, davvero grande. Di essa l’ermeneutica tagliente ma anche sorridente di Gianni Vattimo rappresenta una fioritura indimenticabile.
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