venerdì 23 luglio 2021

Fabrizio Tonello: Il socialismo negli Usa

Micromega Luglio 23, 2021 120 anni di socialismo negli Stati Uniti FABRIZIO TONELLO Il 29 luglio 1901 ad Indianapolis nasceva il Socialist Party of America. Centoventi anni dopo al Congresso c’è una pattuglia di deputati eletti che si autodefiniscono democratici-socialisti e il 50% dei giovani americani tra i 18 e i 29 anni ha un’impressione positiva del socialismo. Nelle elezioni del 2020 Donald Trump ha abilmente sfruttato la paura del “socialismo” per ottenere enormi consensi in posti come la Florida o l’Oklahoma: nel distretto congressuale di Markway Mullin, un deputato repubblicano dell’Oklahoma, ha vinto con il 76% dei voti contro il 22% a Joe Biden. Nella contea di Campbell, in Wyoming, Trump ha ottenuto l’87%. I suoi spot elettorali contro i democratici, accusati di essere socialisti simili a Hugo Chavez, evocavano lo spettro di un’America ridotta come Cuba o il Venezuela se Biden fosse stato eletto. Non ha funzionato, Joe Biden è presidente e nel cimitero di Terre-Haute (Indiana) c’è la tomba di un signore che, se esiste un paradiso dei lavoratori (in cui lui certamente non credeva) è sicuramente lì che se la ride in compagnia di Marx ed Engels: Eugene Debs. Sì perché Debs, morto nel 1926, è stato l’unico politico americano a presentarsi per ben cinque volte alle elezioni presidenziali, l’unico a presentarsi sotto la bandiera del Socialist Party of America e l’unico ad aver fatto campagna elettorale dalla cella di una prigione federale, ricevendo quasi un milione di voti, nel 1920. Debs si era presentato anche nel 1900, nel 1904, nel 1908 e nel 1912, quando aveva ottenuto il 6% dei voti. Di questi tempi lo spirito di Debs, arrestato e condannato per essersi opposto all’ingresso degli Stati Uniti nella prima guerra mondiale, nel 1917, dev’essere allegro perché quest’anno ricorre il 120° anniversario della fondazione del partito e c’è una pattuglia di deputati eletti al Congresso, che si autodefiniscono democratici-socialisti. Provengono da luoghi come il Bronx e il Queens (Alexandria Ocasio-Cortez), la periferia nord di New York (Jamaal Bowman), Detroit (Rashida Tlaib) e St Louis (Cori Bush). Chicago vanta un caucus socialista nel suo consiglio comunale, ma nessun’altra città può dire lo stesso, a meno che India Walton, che ha vinto le primarie democratiche a Buffalo (New York) non diventi sindaco della città in novembre. Già nel 2016, il Guardian scriveva che c’erano milioni di socialisti negli Stati Uniti: i sostenitori di Bernie Sanders. Oggi, dopo due entusiasmanti campagne elettorali del vecchio Bernie, il 50% dei giovani americani tra i 18 e i 29 anni ha un’impressione positiva del socialismo e questa percentuale sale al 64% tra i giovani che votano democratico. Peraltro, fra gli elettori di Joe Biden si trovano percentuali elevatissime di sostenitori del “socialismo” anche nelle classi d’età più avanzate: addirittura il 69% tra chi ha più di 65 anni. Ovviamente questi americani pensano più alla Svezia che a Cuba o all’ex Unione Sovietica quando parlano di “socialismo” ma resta il fatto che la parola non è più tabù, malgrado oltre un secolo di propaganda anticomunista e l’isteria che il termine continua a suscitare fra i politici repubblicani e i loro elettori. A differenza di quanto accadeva 120 anni fa, quando le maggiori roccaforti del movimento si trovavano nelle aree rurali degli Stati Uniti, oggi i democratici-socialisti sono concentrati nelle aree urbane mentre, fino al 1918 la forza elettorale del movimento si trovava a ovest del Mississippi, negli stati minerari, forestali e agricoli. Stati come Oklahoma, Nevada, Montana, Washington, California, Idaho, Florida, Arizona e Wisconsin. Tutte zone che per decenni hanno votato compattamente per i candidati repubblicani, con l’eccezione della California e, l’anno scorso, di Arizona e Wisconsin. Butte, nel Montana, elesse un sindaco socialista, Lewis Duncan, nel 1911, ancora oggi ha una Socialist Hall ma l’anno scorso Trump ha ottenuto il 57% dei voti nello stato. Secondo Jacobin, la rivista della nuova sinistra americana, i socialisti delle grandi città oggi “hanno ancora molto lavoro da fare nei quartieri e nei luoghi di lavoro. Ma se vogliono diventare un movimento veramente popolare, devono trovare il modo di crescere oltre le basi metropolitane. Occorre riscoprire l’eredità del PSA nella costruzione del potere nell’America rurale e delle piccole città”. Quando il Partito Socialista si formò nella Masonic Hall di Indianapolis, il 29 luglio 1901, non fu semplicemente una reincarnazione del populismo di dieci anni prima, che aveva raggiunto il suo zenith alle elezioni del 1896 con William Jennings Bryan per poi dissolversi. C’erano fittavoli e operai che venivano dalle piantagioni di cotone e dalle miniere di carbone. C’erano sindacalisti come il vecchio militante dei Knights of Labor Martin Irons, uno scozzese che aveva guidato un massiccio sciopero ferroviario nel 1886 contro il miliardario Jay Gould. I radicali e i socialisti del West traevano molto del loro sostegno tra gli immigrati che erano fuggiti dall’Europa in cerca di terra. Al posto della romantica frontiera poi creata dai film di Hollywood scoprirono che nel West le terre migliori erano state accaparrate dalle ferrovie, dagli speculatori e dagli allevatori di bestiame, mentre il costo di creare una fattoria era spesso proibitivo. Molti agricoltori nominalmente indipendenti divennero rapidamente schiavi dei creditori. A fine secolo, la maggior parte degli agricoltori della regione erano affittuari e mezzadri, piuttosto che contadini liberi e autosufficienti. Oltre che tra i fittavoli, gli organizzatori socialisti furono ben accolti tra i minatori, i lavoratori del legname e gli operai delle ferrovie dell’Oklahoma, del Texas, dell’Arkansas, del Kansas. Ebbero particolare successo nel reclutare minatori militanti, che crearono sedi della United Mine Workers e della Western Federation of Mineworkers in tutta la regione. Le organizzazioni ufficiali del partito non sorsero da un giorno all’altro. Nei primi anni del XX secolo, il Sud-ovest era coperto da una vasta rete di attività giornalistiche e di propaganda che attirava masse di persone nel movimento socialista – spesso prima che il fragile PSA potesse raggiungerle. Come racconta James Green in Grass-Roots Socialism, giornalisti, intellettuali e militanti riuscirono a raggiungere “un livello insolito di autoorganizzazione e autoeducazione tra i lavoratori poveri che si univano al movimento”. Ne parla ampiamente anche Bruno Cartosio nel suo recente Verso Ovest. Eugene Debs era ovviamente l’oratore più popolare nei grandi meeting del Sudovest. Debs trasmetteva nei suoi discorsi un’intensità sia profetica che intellettuale e una fede incrollabile nella capacità delle persone più povere e disprezzate di cambiare il mondo. Riflettendo sul successo dei meeting, Debs raccontava di come i contadini e le loro famiglie tornassero a casa “con la sensazione di essersi rinfrescati a una fonte di entusiasmo”, pronti e capaci di portare “la lieta novella del sol dell’avvenire” ai loro amici e vicini di casa. A suo credito il PSA, a differenza di molti partiti della Seconda Internazionale, prese una posizione forte contro la partecipazione degli Stati Uniti alla prima guerra mondiale. La ricompensa fu una repressione spietata da parte dell’amministrazione Wilson. Lo strumento più efficace fu la decisione del Postmaster General di vietare ai giornali di partito l’uso della posta, colpendo in questo modo tutti i periodici socialisti importanti del paese. Nelle zone rurali per il partito (che contava molto sulla posta per organizzare, educare e mobilitare) questo fu particolarmente devastante. L’Oklahoma fu la sede delle attività più militanti contro la guerra, compresa una fallita rivolta armata nel 1917 chiamata la Green Corn Rebellion. Il PS era ufficialmente contro queste tattiche ma i democratici al potere nello stato attaccarono ugualmente i socialisti con una furiosa repressione in nome del patriottismo. In pochi mesi il Partito Socialista dell’Oklahoma, una volta potente, fu schiacciato: l’organizzazione si sciolse, molti dei suoi leader e militanti fuggirono dallo stato. Tra il 1918 e il 1921 la cosiddetta Red Scare, alimentata dall’isteria per la rivoluzione in Russia e per l’attività di sindacalisti e anarchici, sostanzialmente spazzò via non soltanto il partito ma anche le organizzazioni militanti dei lavoratori. Per la sinistra americana cominciava un inverno secolare, che avrebbe avuto qualche timido raggio di sole soltanto fra il 1933 e il 1941, quando Franklin Delano Roosevelt migliorò, in misura modesta, la condizione degli operai bianchi. Poi subentrarono la Seconda guerra mondiale e la guerra fredda, con il loro contorno di maccartismo, caccia alle streghe e ossessione per lo spionaggio. I sindacati reclutarono decine di migliaia di membri alla fine degli anni Trenta, ma alla fine non riuscirono a sopravvivere alle pressioni combinate dell’assistenza agricola del New Deal, della violenta repressione dei proprietari terrieri e della meccanizzazione dell’agricoltura. Migliaia di fattorie familiari furono definitivamente spazzate via, portando con sé le comunità rurali. Il conflitto si spostò per qualche tempo nelle grandi fabbriche, a loro volta colpite, a partire dalla presidenza Reagan, dalla deindustrializzazione e dall’attacco ai sindacati. A partire dagli anni Ottanta, come ha scritto Marc Edelman “le casse mutue e le cooperative, le imprese a conduzione familiare, le industrie e i giornali locali, le strutture sanitarie e di assistenza agli anziani, le scuole e le biblioteche sono tutte cadute vittime di implacabili politiche di austerità o di razziatori privati”. La disintegrazione delle comunità rurali ha aperto la porta a demagoghi reazionari come Donald Trump. Oggi la sinistra ha la possibilità di ricostruire la sua base nell’America delle piccole città, dove la gente sta soffrendo per 40 anni di politiche neoliberiste: i socialisti dovrebbero fare tutto il possibile per alleviare quella sofferenza riscoprendo la tradizione radicale del vecchio movimento socialista e lanciando, tra l’altro, un programma di riforma agraria che sfidi la concentrazione della proprietà terriera e l’agricoltura ecologicamente distruttiva delle multinazionali. La fine del tabù del “socialismo” fra i giovani è un’occasione per la sinistra americana.

Nessun commento: