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martedì 2 giugno 2020
Franco Astengo: Viva la repubblica!
VIVA LA REPUBBLICA di Franco Astengo
Mai come oggi è il caso di esclamare: Viva la Repubblica!
La Repubblica non ha mai attraversato un momento così difficile: né nel luglio ‘60, né nel maggio ‘78 e nell’agosto ‘80, né con Tangentopoli, né con gli assalti tentati alla Costituzione nel 2006 e nel 2016 e respinti dal voto popolare, né con l’emanazione di leggi elettorali giudicate incostituzionali dall’Alta Corte.
Abbiamo attraversato periodi di supplenza della democrazia esercitata da soggetti esterni al Parlamento come nel caso della Magistratura.
Oggi però il pericolo viene da dentro, da una classe politica chiaramente al di sotto del proprio compito storico e con al proprio interno forti tendenze negative(dall’uno vale uno, alla richiesta di pieni poteri, alla voglia di frantumazione dell’identità nazionale, al dilagare di un personalismo addirittura competitivo sul piano istituzionale) e dalla marea, sorda ma montante di una disaffezione crescente verso l’esercizio della politica. Una disaffezione che sull’onda del peso fortissimo della crisi economica provocata dall’emergenza sanitaria potrebbe tramutarsi in protesta in grado di generare una tensione sociale capace di reclamare un restringimento dell’agibilità democratica.
Senza tema di essere tacciati di retorica è il caso allora di ricordare ancora una volta che la democrazia repubblicana è nata dalla Resistenza ed è stata inverata dalla Costituzione.
E’ anche il caso di entrare nel merito del significato profondo di ciò che accadde il 2 giugno 1946, snodo decisivo della nostra vita democratica: punto conclusivo della Resistenza e di principio per il progetto della Costituzione.
La nascita della Repubblica Italiana ha rappresentato un evento preciso e datato, e occorre studiarlo valorizzando il fatto che si trattò di una scelta affidata direttamente alle elettrici e agli elettori, dopo lunghi anni in cui gli uomini non avevano esercitato il diritto di voto e le donne non erano mai state chiamate alle urne.
La valutazione circa il valore della scelta referendaria va quindi inserita in un contesto ampio dando maggior rilievo di quanto non ne sia stato dato in precedenza agli aspetti istituzionali legati allo strumento usato del referendum.
In quel voto furono investite, da entrambe le parti quella repubblicana come quella monarchica, grandi cariche emotive popolari come mai prima di allora e come forse non è mai avvenuto in seguito.
Accenniamo agli aspetti istituzionali della scelta del 2 giugno 1946, perché fu proprio attraverso la scelta del Referendum che l’Italia voltò pagina davvero senza alcuna possibilità di una sorta di “ripresa di continuità” con l’Italia dei notabili liberali pre- fascisti.
La Repubblica è dunque nata in Italia a seguito di un referendum, con uno strumento per sua natura bipolare.
Forse la predominante attenzione, in molte ricostruzioni riferite agli anni successivi, alla “consociazione tramite la partitocrazia” come elemento caratterizzante del sistema politico italiano, ha reso meno sensibili storici e analisti politici al momento fortemente bipolare rappresentato dal referendum istituzionale.
Lo strumento referendario, per sua natura bipolare e non consociativo e nel caso specifico di tipo propositivo, servì essenzialmente alla difficile saldatura tra l’Italia repubblicana che stava nascendo e l’Italia monarchica, garantendo il consenso popolare al nuovo ordinamento.
Una risposta necessaria alla realtà di allora, una realtà nella quale c’erano tante cose e tanti vissuti contraddittori difficilmente compatibili: c’erano le forti appartenenze popolari che mobilitavano il Paese, più che in ogni altro momento della sua storia, ma lo dividevano anche in profondità; c’era l’esperienza della Resistenza; c’era la frattura creata dalla Repubblica sociale.
Tornando alla valutazione relativa alla realtà istituzionale rappresentata, in quel momento, dal referendum si può dunque affermare che, forse più dell’elezione dell’Assemblea Costituente, proprio il referendum servì a realizzare una nuova saldatura, a creare le condizioni per una nuova cittadinanza per tutti gli italiani.
La scelta istituzionale divenne così per i partiti che la sostennero con accanimento, quelli della sinistra comunista, socialista, laica un’occasione per porre i problemi di contenuto e non una mera scelta di bandiera.
Emerge, così, un’ulteriore linea di ricerca: quella del ruolo dei partiti come fattori di educazione politica, e di riflesso, della condizione del cittadino italiano nell’esercizio della sovranità popolare e più concretamente del diritto di voto: il problema della sua informazione, della sua educazione alla politica, dei condizionamenti sulle sue scelte e quindi della libertà di voto.
Nelle contraddizioni di quella fase si può parlare del ruolo dei partiti come di un fattore fondamentale del recupero di un senso della cittadinanza, dell’adesione ai partiti come forma personale di appartenenza alla collettività politica nazionale: si determinò così il modo di essere cittadino dalle origini della Repubblica almeno per tutto il quarantennio successivo.
Una memoria da non disperdere e un monito per l’oggi.
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