giovedì 2 gennaio 2020

Franco Astengo: L'anno del trasformismo

L’ANNO DEL TRASFORMISMO di Franco Astengo L’anno del trasformismo e non l’anno delle “Sardine”: questa la scelta (probabilmente controcorrente) per definire questo 2019 che se ne sta andando. O meglio la “miseria del trasformismo” se ci riferiamo alle tante piccinerie che agitano oltre misura il sistema politico italiano: trasformismo inteso come conservazione di grandi e piccole porzioni di potere. I riferimenti riguardanti l’esercizio del trasformismo in questo 2019 risultano chiari ed evidenti: 1) Resta un esempio classico il passaggio di governo avvenuto nei giorni tumultuosi (almeno a giudizio dei media) del Ferragosto. Ancora una volta il trasformismo è rimasto lo strumento “classico” a rappresentare quasi un punto identitario nel sistema politico italiano. Beninteso, a partire dal connubio Cavour – Rattazzi realizzato nel Parlamento Subalpino fino all’ultima operazione giallo – rosa del Conte 2 le finalità del trasformismo di volta in volta d’occasione, possono anche risultare nobili e utili a sventare pericoli maggiori. Resta però il dato costante della manovra di palazzo che finisce oggettivamente a indebolire la credibilità del sistema soprattutto nel livello di giudizio generale circa la coerenza del ceto politico alimentando sempre e comunque il qualunquismo, altro male storico della società italiana a partire dalle sue classi dirigenti (il gramsciano “sovversivismo delle classi dirigenti”); 2) Ancor più gravi, dal punto di vista dell’indebolimento del sistema, le molteplicità di scissioni che hanno caratterizzato questo 2019 sotto l’aspetto della vita parlamentare: scissioni che, in alcuni casi, si sono nuovamente avventurate sul terreno dell’impropria esaltazione di concetti personalistici seguendo modelli, tra l’altro, abbastanza tramontati nella visione dell’opinione pubblica; 3) Si può sicuramente giudicare come un’operazione trasformistica di rilevanti dimensioni il mutamento di finalità e di denominazione della Lega passata dalla posizione separatista a quella nazionalista con vocazione sovranista. Data la necessità di ridurre la vecchia Lega Nord a una sorta di “bad company” attraverso la quale far finta di saldare i debiti accumulati con una precedente sciagurata gestione (del resto anche reiterata nel passato più recente) il passaggio al nazionalismo appare quanto mai strumentale e opportunistico al punto tale da consentirci di definire – appunto – l’intera operazione come trasformismo di basso profilo. Tutti ricordano le tante scissioni del passato, a sinistra come a destra, ma non può non essere segnalato l’abbassamento radicale nei diversi “oggetti del contendere”. Le scissioni si verificano a livello parlamentare, senza alcuna verifica nel territorio, sfruttando seggi parlamentari ottenuti soltanto attraverso l’automatismo della posizione in lista. Ci troviamo ormai, in buona parte delle occasioni di questo tipo, nel pieno della soddisfazione dell’ipertrofia dell’ego. Un sistema quello italiano all’interno del quale si notano profili bassi, ripicche sterili, incapacità di visione. Tutto questo tramestio, fin qui descritto molto schematicamente, è oggettivamente fattore di conservazione allontanando dalla possibilità di definire obiettivi di cambiamento. Servirebbe definire un traguardo di livello “sistemico” (come quello che fu fissato nell’Assemblea Costituente) andando oltre le differenze progettuali, programmatiche e anche di visione personale: essere all’altezza del cambiamento d’epoca che stiamo vivendo. Limitandoci al piccolo del sistema politico italiano (senza dimenticare il quadro europeo e quello più ampio a dimensione planetaria) l’occasione da cogliere dovrebbe essere quella di entrare davvero nella logica del cambiamento d’epoca rivedendo schemi e modelli e soprattutto valutando come l’esercizio della politica oggi sia ormai ridotto a mero esercizio comunicativo. Il ritorno dell’esercizio politico a fatto di cultura e pensiero potrebbe rappresentare un traguardo di natura costituente attraverso cui ridefinire la natura di una visione “accettata” della democrazia. Dal punto di vista di questo intervento la preoccupazione maggiore riguarda stato e condizione della sinistra principiando, sotto quest’aspetto, dalla necessità di coltivare e mantenere una “memoria storica”. Il compito che spetta alla sinistra oggi deve essere quello di tradurre la memoria in una nuova identità per quanto possibile unificante rispetto alle divisioni del passato. Un’identità da definire attraverso un’effettiva capacità di afferrare e affrontare la complessità di contraddizioni che la modernità ci sta presentando. Il nostro compito primario rimane quello di un’offerta di alternativa concreta al dominio della miseria della logica di scambio che adesso è contrabbandata come esercizio dell’agire politico. L’alternativa allo stato di cose presenti dovrebbe rappresentare il livello di elaborazione e di proposta da raggiungere: un livello per il quale potrebbe ancora valere la pena di impegnarci per recuperare visione di senso e dimensione di partecipazione e di presenza. Al di sotto non si può andare e non è proprio il caso di arrenderci al mercantilismo dell’oggi per l’oggi e all’idea dell’eterno presente. Appare assente infine una seria valutazione di quanto il trasformismo abbia pesato e stia incidendo sulla credibilità e sulla solidità del sistema. Un sistema democratico la cui fragilità nel rapporto sociale dovrebbe rappresentare la prima preoccupazione per tutti i soggetti politici.

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