Il Circolo Carlo Rosselli è una realtà associativa presente a Milano sin dal 1981. http://www.circolorossellimilano.org/
venerdì 31 gennaio 2020
giovedì 30 gennaio 2020
mercoledì 29 gennaio 2020
Roberto Speranza, segretario di Articolo1 su Huffington Post. “Dal voto emiliano una forte spinta per una nuova grande casa comune della sinistra” | Jobsnews.it
martedì 28 gennaio 2020
lunedì 27 gennaio 2020
Franco Astengo: Numeri elettorali dall'Emilia-Romagna e dalla Calabria
NUMERI ELETTORALI DALL’EMILIA ROMAGNA E DALLA CALABRIA
EMILIA ROMAGNA
L’analisi dei dati emersi dalle attesissime elezioni regionali svoltesi il 26 gennaio in Emilia Romagna e Calabria è resa più complicata dal permanere di un alto tasso di volatilità elettorale e dalla presenza, in Emilia Romagna ma non in Calabria, della possibilità di effettuare il cosiddetto “voto disgiunto” scegliendo cioè una lista diversa rispetto a quelle che appoggiano il candidato Presidente prescelto.
Inoltre, per quel che riguarda l’Emilia Romagna, la lettura dei dati risulta ancora più difficile perché nell’elezione omologa del 2014 si registrò una delle più basse percentuali di voti validi espressi nell’intera storia elettorale del nostro Paese: risultavano allora iscritti nelle liste 3.460.402 elettrici ed elettori mentre i voti validi per i candidati presidenti furono 1.255.258 (36,27%) e per le liste 1.201.385 (34,71%). L’eletto Bonaccini ottenne 615.723 voti su 3.460.402 elettrici ed elettori pari al 17,79%.
Il raffronto tra questi numeri e quelli della partecipazione fatta registrare il 26 gennaio 2020 ha fatto gridare a un incremento esponenziale dell’interesse per questo voto: interesse che sarebbe stato alimentato anche dalla presenza del movimento delle cosiddette “Sardine” oltre che dalla posta in palio spostata, incautamente almeno da parte della Lega, verso le scelte di governo nazionale.
In realtà se ci si rapporta al totale dei voti validi che si erano registrato nelle elezioni successive a quelle regionali del 2014, Politiche 2018 ed Europee 2019 riscontriamo che il voto regionale del 2020 rientra nel solco del trend dimostratosi nel corso delle ultime consultazioni.
Nell’occasione delle politiche 2018, infatti, in Emilia – Romagna si ebbero 2.355.184 voti validi su 3.326.885 elettrici ed elettori pari al 70,79% degli aventi diritto (si ricorda che nell’occasione delle politiche gli elettori residenti all’estero possono votare là dove si trovano).
Alle europee 2019 elettrici ed elettori dell’Emilia Romagna depositarono 2.250.389 voti validi pari al 64,97% dell’intero corpo elettorale composto da 3.463.541 unità.
Il 26 gennaio 2020 i voti validi per i presidenti sono stati 2.323.353 su 3.508.179 pari al 66,22% (più 1,25 rispetto alle Europee) mentre per le liste si sono avuti 2.158.450 suffragi (61,52% quindi con una flessione del 3,45% rispetto alle europee).
Nella sostanza siamo al di sotto del 70% del totale dei voti validi, in linea cioè con il trend di questi ultimi anni e non certo di fronte a una sorta di boom nell’interesse elettorale, considerato anche che le elezioni regionali del 2020 sono rimaste a lungo sotto la luce dei riflettori mediatici.
Passiamo allora ad analizzare l’altro elemento di sicuro rilievo in questa tornata: il voto ai candidati Presidente anche sotto l’aspetto delle espressioni di voto disgiunto.
Un’osservazione preliminare: prima di tutto il riconfermato presidente Bonaccini esce da questa consultazione con un sicuro più di legittimità.
Infatti, il Presidente fu eletto nel 2014 con 615.723 voti su 3.460.402 elettrici ed elettori pari al 17,79%.
Sei anni dopo i voti sono saliti a 1.195.021 su 3.508.179 iscritte e iscritti nelle liste con una percentuale del 34,06%, quasi raddoppiata.
Inoltre le liste collegate alla candidatura Bonaccini hanno ottenuto 1.039.201 voti; quindi il Presidente appena rieletto ha avuto 155.820 voti in più rispetto alle liste.
C’era molta curiosità circa la possibilità di espressione di voto disgiunto da parte dell’elettorato che avrebbe scelto la lista del M5S: in effetti, il candidato presidente del M5S ha ottenuto 80.676 voti mentre la lista è salita fino a 102.302. Mancano all’appello 21.626 suffragi finiti evidentemente nel calderone del voto disgiunto.
Anche la candidata Borgonzoni rappresentante del centro – destra ha usufruito di voti personali superiori a quelli ottenuto dalle sue liste di sostegno: alla candidata presidente, infatti, sono stati assegnati 1.013. 454 voti e alle liste 979.184 con un incremento per la candidatura presidenziale di 34.270 entità molto inferiore a quella che ha premiato Bonaccini sul piano personale.
Interessante valutare la differenza tra il complesso dei voti ottenuti dalle liste di centro destra (compresa quella civica a sostegno della candidatura dell’aspirante presidente, quella del Popolo della Famiglia e di una lista di giovani ambientalisti) per un totale, come abbiamo visto di 979.184 voti; alle politiche 2018 Lega Nord, Forza Italia, Fratelli d’Italia e Popolo della Famiglia ebbero 840.751 voti; alle Europee 2019 1.006.495. Tra il 2019 e il 2020 il centro destra è calato di 27.311 voti. In percentuale sul totale degli iscritti il centro destra aveva ottenuto nel 2019 il 29,28%, nel 2020 il 27,91%.
Si è arrestato sicuramente il flusso in crescita della Lega passata, nel frattempo, dai 233.439 voti del 2014, ai 486.997 del 2018 e ancora ai 759.948 del 2018: adesso registriamo invece un’inversione di tendenza con un calo di 70.682 voti. Netta la flessione di Forza Italia che scende da 131.992 voti nelle europee 2019 a 55.199 suffragi nel 2020 mentre molto netta appare l’affermazione di Fratelli d’Italia che nel quadriennio sale da 23.052 voti (2014) a 84.785 (2018) ancora 104.861 (2019) sino a 185.503 nel 2020.
Per la Lega di Salvini sicuramente uno stop importante con un mancato recupero sull’elettorato in fuga da Forza Italia che invece premia Fratelli d’Italia: una dinamica elettorale che, nell’ambito della destra, è da valutare con attenzione.
Nell’ambito del centro sinistra, dal punto di vista dell’espressione del voto di lista, è sicuramente da considerare positivo l’andamento del PD che sale a 749.027 voti pari al 21,35% sull’intero corpo elettorale, in crescita dal punto di vista dei numeri assoluti di 45.896 unità rispetto alle europee 2019. Da considerare, inoltre, sotto quest’aspetto i 124.402 voti ottenuti dalla lista di diretto sostegno alla candidatura Bonaccini, lista che sicuramente ha drenato voti a più Europa arretrata da 80.153 voti a 33.054 e ai Verdi scesi da 66.002 voti a 42.106 (riferimenti con le Europee 2019). Da rilevare la presenza, nel centro sinistra, di una lista civica ecologista con 81.375 suffragi.
Il dato dell’estrema volatilità elettorale ha contraddistinto ancora una volta il tormentato cammino del Movimento 5 stelle.
L’andamento della lista lanciata a suo tempo da Beppe Grillo appare emblematico delle difficoltà complessive del nostro sistema politico: nel 2014 il M5S ottenne come lista 159.456 voti mentre il suo candidato presidente, Gibertoni, salì a 167.022 suffragi. Nelle politiche 2018 i penta stellati ottennero il tetto di voti con 698.204 (20,98% dell’intero corpo elettorale), calati a 209.190 nelle europee 2019 e ancora contratti a 80.676 per il candidato presidente e 102.302 per la lista nelle regionali 2020 (2,91% sull’intero corpo elettorale; un decimo circa rispetto al 2018). Mentre la caduta di consenso verso il M5S poteva essere attribuita per il 2019 a un indirizzo verso la Lega (in quel momento alleata di governo) adesso l’ulteriore flessione può essere considerata come indirizzata verso il PD: insomma il né di destra, né di sinistra ha riportato gli elettori di diversa provenienza verso i rispettivi punti di partenza e probabilmente si può affermare che, almeno all’inizio, l’antipolitica avesse attratto più elettori di destra mentre i delusi di sinistra si erano affidati (e in buona parte continuano ad affidarsi) all’astensionismo.
A sinistra del PD sono state presentate 3 candidature, dal Partito Comunista, da Potere al Popolo e da L’Altra Emilia Romagna. Nessuna delle tre liste ha superato l’1% restando dietro, addirittura, a una lista NO VAX che ha avuto 10.940 voti. Giudicare urgente, a sinistra, un momento di diversa riflessione può essere considerato un eufemismo. Il Partito Comunista che ha come segretario Rizzo, ad esempio, è calato da 25.291 voti nel 2019 a 10.254 nell’incapacità – almeno a giudizio di chi scrive – di proporre un progetto politico misurato oltre il richiamo identitario di bandiera.
CALABRIA
(Dati su 2387 sezioni su 2450).
Ribaltata la situazione in Calabria con la vittoria netta del centro destra.
In questo caso le regionali della Calabria si situano all’interno della dinamica presente almeno dalle elezioni europee 2019 e della successive elezioni regionali, evidenziando come il centro sinistra e segnatamente il PD torni a presentarsi vincente soltanto in determinate situazioni geografiche caratterizzate da una certa tradizione politica e da una situazione economica particolare.
Il “ritorno alle regioni rosse” potrebbe rappresentare un termine d’attualità per il PD con il riproporsi, già evidente, di un’impossibilità di esprimere la “vocazione maggioritaria” (salvo fidarsi della scure della soglia di sbarramento per evitare la presenza di eventuali competitor).
Il trend della partecipazione al voto in Calabria è risultata in effettiva lieve crescita. Il totale dei voti validi, bruscamente calato tra le politiche 2018 e le Europee 2019 passando da 937.710 unità a 729.337 si è assestato con le Regionali 2020 su 798.413 voti per le candidature presidenziali (42,11% sul totale di 1.895.990) e su 764.455 per le candidature di lista (40, 31%). Percentuali comunque al di sotto del 50% e quindi indice di disaffezione e di fragilità del sistema.
La candidatura Santelli, risultata eletta ha incrementato rispetto alla candidatura Ferro perdente nel 2014 di 254.298 unità (con la candidatura del M5S in calo di circa 150.000 voti tra il 2019 e il 2020: si può quindi pensare di un passaggio di voti tra il M5S e il centro destra) passando da 188.288 a 442.586.
Modesto l’incremento di voti per la candidatura Santelli nel rapporto voto presidente /voto di lista: i voti per la candidata presidente poi eletta sono stati meno di 5.000.
Nel quadro del centro destra si può scrivere (usando un termine da analisi elettorale d’altri tempi) di sostanziale tenuta di Forza Italia rispetto al 2014 dove il partito di Berlusconi aveva ottenuto 96.066 voti; nel 2020 siamo a 95.051, nel frattempo però Forza Italia aveva toccato un tetto di 188.667 voti nelle politiche 2018 : risultato bruscamente ridimensionato nelle europee 2019 fino a 97.135.
La Lega salita da 52.676 voti (2018) a 164.915 (2019) ridiscende a 93.686: quota sicuramente ragguardevole, ma l’andamento complessivo (legando questo risultato anche a quello dell’Emilia Romagna) ci indica sicuramente un momento – perlomeno – di arresto nella crescita della “Lega Nazionale” se non di vero e proprio arretramento.
La Lega ha perso anche la maggioranza relativa regionale, scavalcata dal PD.
Il centro destra complessivamente è passato dai 336.885 voti ottenuti da FI, FdI, Lega nel 2019 ai 437.802 del 2020 (compresivi della Liste del Presidente, di una lista “Casa della Libertà” che nel 2014 aveva ottenuto 67.189 voti scesi a 49.117 nel 2020) e dell’UDC che ha ottenuto 52.075 suffragi (21.020 nel 2014 e 17.675 nel 2018, non presente nel 2019.)
Nel centro sinistra la candidatura Callipo è arretrata rispetto a quella vincente di Oliverio nel 2014, quando il presidente eletto ebbe 490.229 voti. Nel 2020 l’industriale del tonno ne ha ottenuti 240.131 (meno 250.098) pur realizzando una buona performance personale essendosi le liste collegate fermate a 222.936.
Sicura invece la crescita costante di Fratelli d’Italia con questi numeri: 2014, 18.353, 2018 42.733, 2019 74.835, 2020 82.662, in questo caso con un sicuro trasferimento di voti da parte della Lega.
Nel centro sinistra calo del PD di circa 70.000 voti rispetto al 2014 e di 18.000 rispetto al 2019: da considerare però i 59.952 voti ottenuti dalla lista civica del presidente Callipo (nel 2014 quella legata da Oliviero ne ebbe 97.618). e i 47.155 voti per la lista Democratici e Progressisti che nel 2014 ne aveva avuti 56.928.
In sostanza le prime sommarie conclusioni che si possono trarre da questi dati riguardanti le elezioni regionali 2020 di Emilia – Romagna e Calabria possono essere così riassunti:
1) L’aumento nella partecipazione al voto deve essere vita con spirito critico perché, nel caso dell’Emilia Romagna, la valutazione è viziata dal dato molto basso del 2014. In Calabria l’incremento avvenuto colloca comunque il totale dei voti validi molto al di sotto della soglia psicologica del 50%;
2) La Lega risulta sicuramente in ribasso: sconfitta sicuramente in Emilia arretra anche in Calabria in coincidenza, in questo caso, con la “tenuta” di Forza Italia;
3) Fratelli d’Italia appare sicuramente in ascesa come segnale di uno spostamento a destra di settori non secondari della società italiana. Tra l’altro c’è da notare che Fratelli d’Italia ha condotto (come del resto la Lega) una campagna elettorale fortemente personalizzata e in gran parte incentrata sui temi di carattere nazionale;
4) La sola candidatura presidente a usufruire in maniera consistente del voto personale è stata quella Bonaccini in Emilia – Romagna, con una quota di provenienza M5S espressasi anche nel voto disgiunto;
5) La questione “M5S” rappresenta sicuramente un problema per il Governo e un elemento di indebolimento dell’intero sistema. Non è qui il caso di analizzare le cause del tracollo, ma soltanto di segnalare che cifre di questo genere pongono al movimento il tema di una vera e propria sparizione e ripropongono la questione della volatilità elettorale in termini di rapporto con la demagogia populista;
6) Il PD ottiene un risultato sicuramente confortante ma non pare in grado di decollare;
7) E’ difficile intestare al movimento delle cosiddette “Sardine” l’incremento nella partecipazione al voto in Emilia Romagna: a questo proposito il trend tra 2018. 2019. 2020 non ha subito variazioni tali da essere attribuite e fattori specifici;
8) La sinistra d’opposizione, presentatasi in Emilia Romagna, con tre liste prosegue nella sua corsa verso l’irrilevanza politica. C’è da riflettere sia per i movimentisti, sia per gli identitari: salvo non si decida per tornare sulle rive astensioniste, ma se si va alle elezioni sarebbe il caso di cercare di ottenere un risultato almeno vicino alla realizzazione di una rappresentanza istituzionale. Con questi dati diventa difficile appellarsi alla maledizione del “voto utile”: emergono problemi di contenuto, comunicazione, gruppo dirigente.
sabato 25 gennaio 2020
venerdì 24 gennaio 2020
World Economic Forum, due mondi si scontrano a Davos - Diritti GlobaliDiritti Globali | il sito di SocietàINformazione Onlus e del Rapporto sui diritti globali
giovedì 23 gennaio 2020
mercoledì 22 gennaio 2020
Time to care. Il nuovo rapporto Oxfam sulle diseguaglianze - Diritti GlobaliDiritti Globali | il sito di SocietàINformazione Onlus e del Rapporto sui diritti globali
Franco Astengo: Proporzionale
PROPORZIONALE di Franco Astengo
Rispondendo a due lettori del “Corriere della Sera” nel merito della bocciatura della proposta leghista di referendum sulla legge elettorale Aldo Cazzullo sotto il titolo “Triste spettacolo: il PD festeggia il proporzionale” scrive una cosa che mi permetto di giudicare davvero molto triste: “ E priverà in futuro i riformisti della possibilità di cambiare le cose, senza affondare nella palude delle coalizioni e delle clientele”.
E’ la solita mistificante solfa che ascoltiamo dal 1993 sulla necessità di semplificazione dell’agire politico.
Si rispolvera così l’inno alla governabilità che ha fornito esiti disastrosi per questo paese: naturalmente non si è trattato di un esclusivo agente negativo, ma sicuramente il culto del maggioritario (con relativa “vocazione”) è stato un fattore determinante nella giravolta di fallimenti che, sul piano istituzionale, hanno seguito il mutamento della formula di voto propugnata dalla follia referendaria del 1993.
Non si può smarrire la memoria di ciò che fu deciso nella Costituente: centralità del parlamento.
Come conseguenza della centralità del Parlamento sorse naturale la necessità di una presenza nelle aule parlamentari (e nell’insieme dei consessi elettivi anche a livello locale) delle principali sensibilità politiche e culturali presenti nel Paese; da qui la scelta del proporzionale con la legge elettorale esclusa dal novero dei testi legislativi costituzionali.
Con la proporzionale fu ricostruita l’Italia dalle macerie della guerra e accompagnato il “miracolo economico”: certo, tutto ciò avvenne tra grandi contraddizioni derivanti anche dalla divisione del mondo in senso bipolare e la conseguente – sul piano politico italiano- formulazione della “conventio ad excludendum” rivolta verso il PCI,a un certo punto addirittura minacciato di messa fuori legge.
Tempi difficili che non debbono essere dimenticati, non cadendo nella facile trappola di un giudizio di eccesso d’instabilità: anzi avvenne il contrario, se pensiamo alle difficoltà che si affrontarono per arrivare al centro sinistra.
L’esplosione di nuove contraddizioni sociali, il graduale abbandono dell’idea della politica come espressione di pensiero e il prevalere di un personalismo “dell’apparire”, il mutamento delle esigenze di sovranazionalità dovute alla costruzione europea e al disequilibrio sul piano planetario dovuto alla caduta del muro di Berlino, la rapidità dell’innovazione tecnologica principalmente posta sul piano della comunicazione di massa: queste le principali ragioni (affrontate superficialmente, soltanto sul versante politicista, almeno nel sistema politico italiano) del mutamento di scenario.
Da qui però rispetto all’assoluta “damnatio memoriae” della formula proporzionale dovrebbe correrci qualcosa in mezzo e il principale quotidiano di quella che fu la borghesia italiana dovrebbe avere il dovere di promuovere una riflessione più compiuta, sia sul piano storico sia sul piano politico, anche rispetto all’attualità.
lunedì 20 gennaio 2020
domenica 19 gennaio 2020
Luciano Belli Paci: L'ultimo leader socialista
L’ULTIMO LEADER SOCIALISTA
Non posso non dirmi craxiano. Anche se volessi nascondermi – e non è nel mio stile – non potrei farlo: mi iscrissi al Psi nel 1984 proprio per Craxi. Venivo dal Psdi dove avevo militato dall’età di 14 anni e dal quale da tempo meditavo di uscire perché ne vedevo l’irreversibile sclerotizzazione. Avevo rimandato più volte quel passo perché indispettito da prese di posizione del Psi che giudicavo inaccettabili, come la linea della trattativa durante il rapimento di Moro nel 1978 o come la solidarietà con l’Argentina nella crisi della Falkland-Malvinas nel 1982. Nel 1984, finalmente, mi decisi e portai con me un bel gruppo di giovani socialdemocratici.
Se prima Craxi non avesse completato il processo di piena socialdemocratizzazione del Psi non avrei mai aderito perché ho sempre considerato lo sterile massimalismo, la subalternità ai comunisti, la confusione ideologica e la distanza dalla famiglia socialista e laburista europea come tare devastanti nella storia del socialismo italiano.
Nel Psi craxiano mi sono sentito sempre al posto giusto, compagno tra compagni dentro una missione davvero titanica, specie per un partito medio, quella di superare da sinistra le tante anomalie italiane che si compendiano nella definizione di “democrazia bloccata”. Nessuno allora pensava che il Muro potesse crollare e la guerra fredda potesse finire nel giro di pochi anni. Noi avevamo il nostro muro domestico da demolire, frutto della storia fatta anche dei nostri antichi errori. Avevamo il maggiore partito comunista dell’occidente, il più debole partito socialista d’Europa, la Dc permanentemente al governo, nessuna possibilità di alternanza e, di conseguenza, una montante tendenza consociativa ed una occupazione sempre più pervasiva dei partiti nella pubblica amministrazione e nella vita economica. Tutta l’azione corsara del Psi di quegli anni deve essere valutata dentro questo contesto immobile e marcescente.
Furono commessi anche molti errori, ma resto convinto che la linea fosse giusta. Perché la denuncia della questione morale fatta dal Pci berlingueriano, in sé sacrosanta, rimaneva fine a se stessa visto che solo lo smantellamento della paralizzante egemonia dei due colossi politici poteva ridestare la nostra bella addormentata dal suo sarcofago.
L’errore esiziale di Craxi fu quello di non capire che, essendo intervenuto nel 1989 il crollo del Muro di Berlino prima che noi riuscissimo a compiere l’impresa titanica di abbattere il muro invisibile che necrotizzava la vita democratica italiana, lo schema di gioco era saltato ed occorreva cambiare tutto. Perdendo contatto con la realtà, il Psi si trovò ben presto da inseguitore a inseguito, da rinnovatore di una democrazia esangue a bersaglio grosso di chi voleva in realtà distruggere la repubblica dei partiti, con tutti i filistei.
Di quella repubblica dei partiti il Psi era il perno, il simbolo, ma anche l’anello debole per via del radicamento fragile, del potere sproporzionato, della mancanza di “controllo sociale” per filtrare arrivisti ed affaristi, dell’antipatia del leader troppo compreso nel suo titanismo. L’establishment economico-mediatico, ormai insofferente nei confronti di partiti che non gli conveniva più finanziare e con i quali non voleva più spartire il potere reale, decise di abbattere quel sistema approfittando dei suoi vizi. Così arrivarono prima le campagne antipartitiche di Segni e C., poi la decimazione giudiziaria, i processi nelle piazze, la delegittimazione della politica in quanto tale, che fu messa “a cuccia” per ridurla a compiti di servizio per il Mercato (maiuscolo) che tutto regola.
La fine dell’ultimo leader socialista, latitante ed esule al tempo stesso, non rappresenta solo un simbolo dell’umiliazione collettiva patita da milioni di socialisti, umiliazione che ha pesato e pesa come un macigno sulle sorti, anche elettorali, della sinistra italiana. Quel titano incatenato nel suo rifugio di Hammamet rappresenta una sorta di presagio di come, facendo tabula rasa della democrazia dei partiti (e non ne conosco altre), si sarebbe ridotta la politica italiana.
A questo penso oggi, 19 gennaio 2020, 20° anniversario della morte di Bettino Craxi.
sabato 18 gennaio 2020
venerdì 17 gennaio 2020
Libia-Eni. L’Italia, la geopolitica e il petrolio - Diritti GlobaliDiritti Globali | il sito di SocietàINformazione Onlus e del Rapporto sui diritti globali
domenica 12 gennaio 2020
sabato 11 gennaio 2020
venerdì 10 gennaio 2020
Anna Falcone: "se la ricomposizione a sinistra fosse solo una operazione di ceto politico, sarebbe una misera pratica di autoconservazione" - nuovAtlantide.org
giovedì 9 gennaio 2020
Franco Astengo: Leggi elettorali
LEGGE ELETTORALE di Franco Astengo
“Arriva il Germanicum, la proposta di legge elettorale su cui lavorerà la commissione affari costituzionali della Camera. Prevede 391 seggi assegnati con metodo proporzionale, una soglia di sbarramento del 5 per cento, con un meccanismo che permette il diritto di tribuna. La proposta cancella i collegi uninominali del Rosatellum e di quella legge utilizza i 63 collegi proporzionali e le 28 circoscrizioni. La proposta è stata depositata dal presidente della Commissione affari costituzionali, Giuseppe Brescia, dei 5Stelle. In base a questo testo, il partito che non supera il 5% nazionale, ma ottiene il quoziente in 3 circoscrizioni in 2 Regioni, ottiene seggi (il cosiddetto diritto di tribuna). Il tutto in 3 articoli per 10 pagine.”
Dei 400 seggi della futura Camera, 8 spetteranno ai deputati eletti all’Estero (nelle circoscrizioni Estere con metodo proporzionale), un seggio va all’eletto in Valle d’Aosta in un collegio uninominale.
I 63 collegi plurinominali del Rosatellum servivano per eleggere 386 deputati, quindi funzionano anche per la nuova Camera formato “mignon”.
Stesso metodo per assegnare i 200 seggi del nuovo Senato: quattro vanno ai senatori eletti all’estero, uno alla Val d’Aosta e i restanti 195 sono distribuiti ai partiti che nel resto d’Italia superano il 5%.
Ancora da decidere se l’elezione avverrà su liste bloccate oppure se ci sarà il ripristino del voto di preferenza.
Un “Germanicum” adattato soprattutto dal punto di vista dell’assegnazione di un diritto di tribuna (in Germania c’è il doppio voto proporzionale, maggioritario e il diritto di tribuna vale per chi conquista almeno 3 collegi) e al quale non corrisponde comunque un Senato delle Regioni e il meccanismo della “sfiducia costruttiva“ come nel modello tedesco.
Alcuni dati per poter meglio valutare la scelta di questo tipo di proporzionale con sbarramento.
Prima di tutto deve essere ricordato come il sistema parlamentare sia stato articolato, al tempo dei partiti strutturati, su 8 formazioni politiche poi salite di numero quando sono entrate in scena le contraddizioni post – materialiste con conseguente esigenza di nuovi livelli di rappresentanza come nel caso del ritorno al cleavage “centro – periferia” interpretato a suo tempo dalla Lega Lombarda e della frattura ambientalista (con la formazione delle Liste Verdi: elezioni 1987; i federalisti, salvo le presenze dell’SVP e – saltuariamente – del PSd’Az trovarono già presenza istituzionale nel 1983 con la Liga Veneta di Tramarin).
Il numero delle forze in parlamento è poi lievitato con il “Mattarellum” per via delle ragioni di necessità di estensione delle coalizioni, le liste civetta, lo scorporo e quant’altro per poi tornare più o meno al numero consueto anche se in presenza di molti sottogruppi nel “misto”.
Deve essere ricordato come la possibilità di formare gruppo alla Camera al di sotto della soglia prevista dei 10 parlamentari fu consentita per la prima volta dalla Presidenza Ingrao nel corso della VII legislatura in favore dei radicali (4 deputati) e del gruppo DP – PdUP (6 deputati).
All’esito delle elezioni del 2018 si ebbero 32.841.705 voti validi, il quorum al 5% si sarebbe collocato alla cifra di 1.642.085 voti: soglia superata dalla Lega, Forza Italia, Movimento 5 stelle, PD con un complesso di 27.189.605 voti utili a eleggere rappresentanza.
Sarebbero rimasti esclusi 5.652.100 voti validi resi inutili per l’assegnazione di seggi: il 17,21% sul totale.
Per quel che riguarda il diritto di tribuna a esso avrebbe avuto accesso soltanto Fratelli d’Italia (del resto non lontano dalla soglia con1.429.550 suffragi) superando il 5% in tre circoscrizioni (Friuli 5,31%, Lazio 8,90%, Lazio 2 6,63%) mentre LeU ha superato il 5% soltanto in Basilicata con il 6,44%.
Per tentare un paragone con il passato confrontiamoci allora con i risultati del 1976 (sempre riferiti alla Camera dei Deputati): ci trovavamo allora al massimo della forza del sistema dei partiti e in particolare dei 2 grandi partiti di massa divisi dalla “conventio ad excludendum” (il “Bipartitismo imperfetto” di Giorgio Galli) e della “prima volta” al voto per le elezioni politiche dei diciottenni (che avevano già votato alle elezioni amministrative del 15 giugno 1975).
Il 20 giugno 1976 si ebbero 36.705.878 voti validi su 40.426.658 di iscritte e iscritti nelle liste ( 90,79%).
Il quorum al 5% si sarebbe quindi collocato a 1.835.293 (circa 200.000 voti in più rispetto al 2018.)
Adottando lo sbarramento al 5% sarebbero entrati alla Camera soltanto 4 partiti, esattamente come sarebbe avvenuto nel 2018 a conferma di una certa continuità nelle dinamiche del sistema politico: DC 14.209.519; PCI 12.614.550; PSI 3.540.309 e MSI 2.238. 339 per un totale di 32.602.717 ( 5 milioni di voti in più rispetto al 2018, a dimostrazione di un secco calo nella partecipazione intervenuto gradualmente nel frattempo): esclusi quindi 4.103.161 suffragi, circa 1.500.000 suffragi in meno rispetto al 2018.
In quel ormai lontano 1976 nessuna formazione al di sotto del 5% avrebbe ottenuto il diritto di tribuna: il PSDI, infatti, aveva superato la soglia del 5% soltanto in due circoscrizioni (Cuneo - Alessandria – Asti e Udine – Gorizia – Belluno) e il PRI in una soltanto (Bologna – Ferrara – Ravenna – Forlì).
Insomma lo sbarramento al 5% tende a dimezzare la rappresentanza parlamentare tradizionalmente presente in Italia in corrispondenza delle principali sensibilità politico – culturali presenti nel Paese (la presenza istituzionale delle più importanti sensibilità politico – culturali aveva ispirato la scelta del proporzionale adottata dall’Assemblea Costituente e stesso criterio era stato seguito nel ripristinare quella formula dopo il fallimento della legge con premio di maggioranza nelle elezioni del 7 giugno 1953).
Da ricordare ancora che la formula oggi in discussione si applicherebbe in vigenza della riduzione del numero dei parlamentari: 400 deputati e 200 senatori.
Il tutto salterebbe naturalmente in presenza di scioglimento delle camera e di indizione dei comizi.
Si può affermare che lo sbarramento al 5% produrrebbe una secca riduzione dei margini di presenza democratica senza peraltro garantire la governabilità: del resto non è neppure certa la semplificazione dell’aula, si assisterà probabilmente al fenomeno di alleanze interne alle liste più grandi per poi assistere al determinarsi di mini – scissioni all’inizio o nel corso della legislatura con la ripresa di autonomia dei soggetti confluiti per forza maggiore.
Tutto ciò avviene in un momento di grande fibrillazione dal punto di vista del quadro istituzionale: modifica della formula elettorale, incertezza sulla possibilità di svolgimento del referendum confermativo proprio attorno alla legge costituzionale che fissa il numero dei parlamentari (pare ci siano defezioni nei firmatari) e attesa per la pronuncia della Cassazione sull’ammissibilità del referendum presentato dalla Lega per introdurre surrettiziamente il maggioritario secco.
Ci sarà da stare attenti e da mobilitarsi ancora una volta per la riaffermazione dell’impianto di democrazia repubblicana previsto dalla Costituzione.
Istat. Disoccupazione: a novembre stabile al 9,7%, ma sale al 28,6% la disoccupazione giovanile. Critica la Cisl: rispetto al 2008 mancano 500 milioni di ore lavorate | Jobsnews.it
mercoledì 8 gennaio 2020
martedì 7 gennaio 2020
Croazia, Zoran Milanovic è il nuovo presidente - Diritti GlobaliDiritti Globali | il sito di SocietàINformazione Onlus e del Rapporto sui diritti globali
lunedì 6 gennaio 2020
domenica 5 gennaio 2020
Rojava. Intervista al co-presidente del PYD Sahoz Hesen - Diritti GlobaliDiritti Globali | il sito di SocietàINformazione Onlus e del Rapporto sui diritti globali
sabato 4 gennaio 2020
Alberto Benzoni-Roberto Biscardini Ripartire da Hammamet?
RIPARTIRE DA HAMMAMET ?
L’intervento di Bettino Craxi
di Alberto Benzoni e Roberto Biscardini
“Sono felice di vedervi in tanti intorno a me nel ventesimo anniversario della mia morte. Per me, il vostro affetto è necessario come l’aria che respiro. Anche se, in vita, sono stato troppo timido per chiedervelo apertamente; così da acquisire la fama di orso e per giunta arrogante. Non vorrei però che la vostra visita fosse vista come una specie di pellegrinaggio politico di fedelissimi; finalizzato a rendere omaggio alla mia persona e non alle mie idee e/o al mio progetto politico. E ancor meno alla mia visione del socialismo.
Personalmente è questo che vi chiedo. Non ho bisogno di “riabilitazioni”. Anzi le considererei offensive, se concesse da coloro che mi hanno massacrato. Ma non ho neanche bisogno di vendette. Anzi trovo del tutto disdicevole che abbiate affidato il ruolo di “equilibratori e vendicatori” non a voi stessi ma ad altri: occasionalmente interessati a usare il mio nome; ma in modo sfacciatamente strumentale. E, infine, non ho bisogno di “commemorazioni”; perché si commemorano le persone scomparse e io non mi sento tale; e soprattutto perché vivo come una ferita aperta quella organizzata subito dopo la mia morte. Tanti compagni; ma pervasi di odio e diffidenza reciproche che avvelenavano l’atmosfera. Da allora in poi, il socialismo, la parola come la cosa, si è frantumato in diecine di sigle; e il simbolo è comparso sulle schede elettorati solo se accompagnato- o annullato- da altri.
Tutto questo male, e anche tutto questo dolore, non solo personale ma collettivo, non potrà mai essere né cancellato né riparato. Così come do per scontate le reazioni automatiche quanto ipocrite che inevitabilmente susciterà la riproposizione delle mie vicende nel film che sta per uscire. Do certo per scontata la vostra indignazione; al punto di esonerarvi dall’obbligo di esprimerla.
Obbiettivo del nostro incontro, che si svolga ad Hammamet, non è di rimestare sul passato o di rendere omaggio ad una vittima. Qui non è in discussione il passato ma il futuro. Non la sorte subita dal sottoscritto ma la vostra. E precisamente e semplicemente il futuro dell’idea socialista e di quelli che la difendono nel nostro paese; come anche di quella prima repubblica che ho difesa sino all’ultimo, sino a diventare capro espiatorio di tutte le sue manchevolezze, agli occhi di coloro che volevano eliminare, con l’acqua sporca, anche il bambino.
Personalmente, vedete, ascrivo a mio merito quella che è stata anche causa non ultima della mia rovina: la capacità dolorosa di dire la verità e percepire il falso - che fosse nella cultura politica dominante, nelle prese di posizione politiche o nei dettami dei media- e di denunciarlo per nome, cognome e indirizzo. Così avevo fatto ai tempi della prima repubblica; così mi comportai negli anni della “falsa rivoluzione” di Mani pulite. Denunciandone, da solo, la reale natura di destra: e quindi contro il “ruolo” della politica, dei partiti e dello stato. E annunciando, contestualmente, che questa falsa rivoluzione sarebbe stata foriera di disastri negli anni a venire. Fino al punto di distruggere, per almeno una generazione non solo i socialisti; ma la cultura e le istituzioni del socialismo.
Avrei dovuto, soprattutto dopo il mio discorso del luglio 1993, battermi contro questa deriva. Ma non mi è stato consentito. E non l’avete fatto neanche voi, a partire dalla scelta di adeguarvi alla seconda repubblica, alle sue idee e alle sue regole: ciò che vi ha reso progressivamente dipendenti da coloro che vi garantivano l’esistenza in vita ma non più di questo.
E’, da allora, passata una generazione. Quanto basta per verificare l’interminabile disastro della seconda repubblica. Ma quanto basta a far nascere, in Italia, e non solo in Italia, una nuova generazione che, del tutto libera dal condizionamento di un passato fatto di sconfitte, di umiliazioni e di impotenti rancori, sta riscoprendo, in contrasto con l’ordine esistente, i valori essenziali del socialismo: libertà, pace, tolleranza, ruolo dello stato e del pubblico e delle nuove solidarietà collettive, internazionalismo, eguaglianza. E non perché qualcuno glieli abbia insegnanti; ma perché hanno a che fare con il loro e anche nostro futuro.
Un mondo che non ha ancora trovato una rappresentanza politica. A voi il compito di aiutarli a trovarla, non nel nome di un passato che non ritorna, ma perché il socialismo possa ancora avere un ruolo.
Solo un grande partito socialista può rappresentare la sinistra.”
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venerdì 3 gennaio 2020
Austria, al via il governo Kurz II grazie all'accordo destra-Verdi - Diritti GlobaliDiritti Globali | il sito di SocietàINformazione Onlus e del Rapporto sui diritti globali
giovedì 2 gennaio 2020
Spagna. Accordo tra Sánchez e Iglesias, in arrivo un programma di sinistra - Diritti GlobaliDiritti Globali | il sito di SocietàINformazione Onlus e del Rapporto sui diritti globali
Il 2019 nero del Brasile: Diritti umani violati, territori devastati - Diritti GlobaliDiritti Globali | il sito di SocietàINformazione Onlus e del Rapporto sui diritti globali
Franco Astengo: L'anno del trasformismo
L’ANNO DEL TRASFORMISMO di Franco Astengo
L’anno del trasformismo e non l’anno delle “Sardine”: questa la scelta (probabilmente controcorrente) per definire questo 2019 che se ne sta andando.
O meglio la “miseria del trasformismo” se ci riferiamo alle tante piccinerie che agitano oltre misura il sistema politico italiano: trasformismo inteso come conservazione di grandi e piccole porzioni di potere.
I riferimenti riguardanti l’esercizio del trasformismo in questo 2019 risultano chiari ed evidenti:
1) Resta un esempio classico il passaggio di governo avvenuto nei giorni tumultuosi (almeno a giudizio dei media) del Ferragosto. Ancora una volta il trasformismo è rimasto lo strumento “classico” a rappresentare quasi un punto identitario nel sistema politico italiano. Beninteso, a partire dal connubio Cavour – Rattazzi realizzato nel Parlamento Subalpino fino all’ultima operazione giallo – rosa del Conte 2 le finalità del trasformismo di volta in volta d’occasione, possono anche risultare nobili e utili a sventare pericoli maggiori. Resta però il dato costante della manovra di palazzo che finisce oggettivamente a indebolire la credibilità del sistema soprattutto nel livello di giudizio generale circa la coerenza del ceto politico alimentando sempre e comunque il qualunquismo, altro male storico della società italiana a partire dalle sue classi dirigenti (il gramsciano “sovversivismo delle classi dirigenti”);
2) Ancor più gravi, dal punto di vista dell’indebolimento del sistema, le molteplicità di scissioni che hanno caratterizzato questo 2019 sotto l’aspetto della vita parlamentare: scissioni che, in alcuni casi, si sono nuovamente avventurate sul terreno dell’impropria esaltazione di concetti personalistici seguendo modelli, tra l’altro, abbastanza tramontati nella visione dell’opinione pubblica;
3) Si può sicuramente giudicare come un’operazione trasformistica di rilevanti dimensioni il mutamento di finalità e di denominazione della Lega passata dalla posizione separatista a quella nazionalista con vocazione sovranista. Data la necessità di ridurre la vecchia Lega Nord a una sorta di “bad company” attraverso la quale far finta di saldare i debiti accumulati con una precedente sciagurata gestione (del resto anche reiterata nel passato più recente) il passaggio al nazionalismo appare quanto mai strumentale e opportunistico al punto tale da consentirci di definire – appunto – l’intera operazione come trasformismo di basso profilo.
Tutti ricordano le tante scissioni del passato, a sinistra come a destra, ma non può non essere segnalato l’abbassamento radicale nei diversi “oggetti del contendere”.
Le scissioni si verificano a livello parlamentare, senza alcuna verifica nel territorio, sfruttando seggi parlamentari ottenuti soltanto attraverso l’automatismo della posizione in lista.
Ci troviamo ormai, in buona parte delle occasioni di questo tipo, nel pieno della soddisfazione dell’ipertrofia dell’ego.
Un sistema quello italiano all’interno del quale si notano profili bassi, ripicche sterili, incapacità di visione.
Tutto questo tramestio, fin qui descritto molto schematicamente, è oggettivamente fattore di conservazione allontanando dalla possibilità di definire obiettivi di cambiamento.
Servirebbe definire un traguardo di livello “sistemico” (come quello che fu fissato nell’Assemblea Costituente) andando oltre le differenze progettuali, programmatiche e anche di visione personale: essere all’altezza del cambiamento d’epoca che stiamo vivendo.
Limitandoci al piccolo del sistema politico italiano (senza dimenticare il quadro europeo e quello più ampio a dimensione planetaria) l’occasione da cogliere dovrebbe essere quella di entrare davvero nella logica del cambiamento d’epoca rivedendo schemi e modelli e soprattutto valutando come l’esercizio della politica oggi sia ormai ridotto a mero esercizio comunicativo.
Il ritorno dell’esercizio politico a fatto di cultura e pensiero potrebbe rappresentare un traguardo di natura costituente attraverso cui ridefinire la natura di una visione “accettata” della democrazia.
Dal punto di vista di questo intervento la preoccupazione maggiore riguarda stato e condizione della sinistra principiando, sotto quest’aspetto, dalla necessità di coltivare e mantenere una “memoria storica”.
Il compito che spetta alla sinistra oggi deve essere quello di tradurre la memoria in una nuova identità per quanto possibile unificante rispetto alle divisioni del passato.
Un’identità da definire attraverso un’effettiva capacità di afferrare e affrontare la complessità di contraddizioni che la modernità ci sta presentando.
Il nostro compito primario rimane quello di un’offerta di alternativa concreta al dominio della miseria della logica di scambio che adesso è contrabbandata come esercizio dell’agire politico.
L’alternativa allo stato di cose presenti dovrebbe rappresentare il livello di elaborazione e di proposta da raggiungere: un livello per il quale potrebbe ancora valere la pena di impegnarci per recuperare visione di senso e dimensione di partecipazione e di presenza.
Al di sotto non si può andare e non è proprio il caso di arrenderci al mercantilismo dell’oggi per l’oggi e all’idea dell’eterno presente.
Appare assente infine una seria valutazione di quanto il trasformismo abbia pesato e stia incidendo sulla credibilità e sulla solidità del sistema.
Un sistema democratico la cui fragilità nel rapporto sociale dovrebbe rappresentare la prima preoccupazione per tutti i soggetti politici.
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