sabato 30 marzo 2019

LA GAUCHE ET L’EUROPE : les vidéos - Institut tribune socialiste - ITS

LA GAUCHE ET L’EUROPE : les vidéos - Institut tribune socialiste - ITS

Franco Astengo: L'egemonia sull'agenda

L’EGEMONIA SULL’AGENDA di Franco Astengo Una rapida riflessione sui temi di maggiore attualità che l’informazione mainstream sta mettendo in evidenza ci indica come la destra più estrema abbia ormai imposto i propri temi sull’agenda politica e del dibattito pubblico presentando i termini di una vera e propria egemonia. La più stretta attualità ci presenta come temi urgenti quelli riguardanti il ritorno al sovranismo, il recupero della centralità di opzioni da medioevo sui temi dei diritti civili, la libertà di difendere la proprietà anche a danno della vita altrui in maniera del tutto indiscriminata. Una proprietà intesa proprio come “egoismo del possesso”. L’humus culturale su cui poggia questa destra retriva nasce naturalmente da una serie di combinazioni che non hanno in Italia la loro origine: è una questione di “clima” che nasce da un vero e proprio spostamento d’asse sul piano planetario. L’Italia però ne è stata investita in una dimensione molto specifica anche perché, è bene non dimenticarlo, la nostra è stata la terra della nascita e della crescita del fascismo come ideologia: ritroviamo, infatti, tratti di vera e propria cultura fascista in molte delle argomentazioni che oggi ci vengono presentate all’ordine del giorno del dibattito pubblico. Non c’è scampo sotto quest’aspetto e non sono possibili “distinguo” più o meno sottili. Bisogna saper riconoscere la radicalità del livello di scontro in atto, la forza della contrapposizione, il fatto che, dalla parte della sinistra e dei democratici, è sfuggita completamente la capacità di far valere le proprie idee. Non sembrano avere più spazio, da un lato, idee espresse attraverso il filtro culturale della dimensione sociale (forse un tempo si sarebbe detto “di classe”) e, dall’altro, più blandamente attraverso l’espressione del cosiddetto “politically correct” pur usato abbondantemente nella fase di transizione dentro la quale si sono trovate espressioni culturali e sistema politico nel corso degli ultimi 30 anni. La destra, pur in una logica complessità di espressione, si è impadronita dell’agenda ed esercita una sua egemonia superando di slancio qualsiasi possibilità di contradditorio. Si è così determinato un effetto paradossale: le istanze che un tempo sarebbero state definite come “progressiste” appaiono ormai conservatrici e frutto del passato. La “modernità” invece sembra stare dalla parte di chi vuol riportarci all’indietro nel quadrante della storia, a partire dal nazionalismo e dalla rivendicazione di supremazie culturali, antropologiche, addirittura biologiche che sembravano proprio dimenticate nei cassetti di una storia tragica che mai avremmo pensato di veder riesumata con questa baldanza. C’è materia per riflettere con urgenza.

"JEREMY CORBYN"

"JEREMY CORBYN"

"I DUE CONTRATTI" di Paolo Bagnoli

"I DUE CONTRATTI" di Paolo Bagnoli

venerdì 29 marzo 2019

Flat tax, la più neoliberista delle riforme | Keynes blog

Flat tax, la più neoliberista delle riforme | Keynes blog

Più che lo ius soli conta lo ius culturae | A. Rosina

Più che lo ius soli conta lo ius culturae | A. Rosina

Quello che serve davvero alle famiglie | C. Saraceno

Quello che serve davvero alle famiglie | C. Saraceno

Franco Astengo: Ciclo

SI APRE UN NUOVO CICLO ? RICONSIDERARE LE CONTRADDIZIONI di Franco Astengo Si sta concludendo il ciclo del “dominio atlantico” e della “globalizzazione”? I segnali, da tempo, ci stanno tutti: prima la crisi del 2008, poi il crescendo protezionista e le tensioni di potenza tra Stati Uniti, Cina e Russia. Le vicende legate alla “via della seta” appaiono paradigmatiche di un nuovo quadro. Alziamo lo sguardo dal provincialismo di casa nostra dove temi come questo sembrano essere oggetto soltanto di misere dispute intorno a un pugno di voti. La guerra, s’intuisce, potrebbe non rappresentare più un’eventualità futuribile. L’Europa è presa in mezzo in un gioco ambivalente ma nel quale l’Unione fa valere comunque i suoi poteri, la sua moneta, i suoi capitali: tutti fattori che non possono essere ignorati. Quale eredità lascia, allora, l’ultimo ventennio? La prima questione è quella del cosiddetto “ritorno alla Geografia”: l’idea dell’inesorabile dismissione del concetto di “Stato- Nazione” ha subito, almeno a mio giudizio, un fiero colpo Questo primo punto richiama la necessità di rialzare la bandiera internazionalista nel rifiuto, secco e immediato, di qualsiasi tensione nazionalista. E’ questo un punto sul quale “indietro non si torna”! La seconda questione è quella di una difficoltà evidente, nell’insieme delle relazioni economiche internazionali, del cosiddetto “multilateralismo” (cioè la stipula di accordi generali aperti a tutti i paesi su basi paritarie): una difficoltà che , nell’insieme di una complessità di altri fattori, ha certamente agevolato la vittoria di Trump, come segnale evidente di un mutamento del quadro. Si evidenzia una nuova qualità nella contesa sui mercati: la Cina, ad esempio, si fa avanti in molti settori delle alte tecnologie e i segnali di contrasto su questo sono evidenti. Si fa aspra la battaglia per sbarrare il passo ai nuovi campioni industriali e per ottenere l’apertura di nuovi mercati. Tutto questo avviene nelle telecomunicazioni (esemplare il caso Huawei) e nel settore dell’auto dove si stanno realizzando colossali investimenti nell’elettrico, settore nel quale anche la Germania sta tentando un’offensiva. Si potrebbe dire con una frase fatta che la Storia è al bivio. Chi avrebbe detto che negli USA oggetto del contendere delle presidenziali sarebbe stato un muro da tirar su ai confini con il Messico? Oppure che la Gran Bretagna si sarebbe impantanata senza soluzione nella Brexit? Oppure che in Italia la segregazione degli immigrati regolari sarebbe stata esibita come pezzo pregiato della campagna elettorale? E ancora, nello smarrimento di senso che sembra pervaderci il fatto che Twitter, Facebook, Instagram combinati coi salotti televisivi sarebbero divenute le piazze e le tribune della lotta politica imponendo i passaggi prima verso la “democrazia del pubblico” e successivamente verso la “democrazia recitativa”? Chissà per quanto tempo resisterà la storia per far nascere un nuovo ordine durante una fase nella quale possono prevedersi crisi e tensioni micidiali. Non si può assistere soltanto a tutto questo: occorre intervenire, organizzare la politica, in nome della nostra autonomia di soggetti colpiti dall’inasprirsi dei meccanismi di sfruttamento. E’ l’inasprirsi delle condizioni di sfruttamento e il loro allargarsi al quadro complessivo delle contraddizione sociali il vero fenomeno emergente che indica come restino in piedi i fondamentali della lotta per l’uguaglianza e insieme per l’affermazione di una nuova qualità della rappresentanza democratica. Il livello di scontro sociale sta facendosi molto più intenso e radicale: sfuggono i termini di possibili mediazioni. La contrapposizione sul piano sociale, politico e culturale appare molto più netta, posta proprio sull’esposizione del sistema di valori. La destra ha capito questo e sta interpretando i tempi: la sinistra appare in ritardo ferma a elucubrare formule vuote. In Italia, nel ristretto ambito del nostro sistema politico, stiamo vivendo una fase di questo tipo. Da parte nostra di quante/i si sento eredi e parte di quella che è stata la sinistra nelle sue diverse articolazioni storiche, sembra mancare una strategia di contrasto fondata sui valori dell’uguaglianza e della lotta allo sfruttamento. Sembra perpetuarsi una sorta di sudditanza culturale al “politicismo”, come accaduto nel corso degli ultimi trent’anni alla parte politica autodefinitasi come “progressista”. Si tratta di allora di tornare semplicemente a riconoscere i nostri fondamentali, le nostre insuperate basi teoriche come riferimento nella radicalità dello scontro in atto in quella che proprio si può considerare come una fase drammaticamente aperta.

lunedì 25 marzo 2019

La socialdemocrazia e il Modello Sociale Europeo | Insight

La socialdemocrazia e il Modello Sociale Europeo | Insight

L’Italia nella crisi dell’eurozona | Insight

L’Italia nella crisi dell’eurozona | Insight

L’età della disgregazione | Insight

L’età della disgregazione | Insight

España y las próximas elecciones europeas. | Insight

España y las próximas elecciones europeas. | Insight

La stagione di uno shock della politica europea | Insight

La stagione di uno shock della politica europea | Insight

"It’s time for parliament to work together and agree on a Plan B" - Corbyn's Brexit response - LabourList

"It’s time for parliament to work together and agree on a Plan B" - Corbyn's Brexit response - LabourList

La politica estera del Governo giallo-verde | IAI Istituto Affari Internazionali

La politica estera del Governo giallo-verde | IAI Istituto Affari Internazionali

Roberto Biscardini: Socialismo o niente

SOCIALISMO O NIENTE di Roberto Biscardini Molti socialisti hanno lavorato in questi anni con l’obiettivo di ricostruire una forza larga e unitaria in grado di rappresentare la storia del socialismo italiano e internazionale, “per prospettarla per il futuro”, in nome dei valori di pace, solidarietà, giustizia, uguaglianza e libertà. Questo obiettivo non è stato raggiunto e incontra difficoltà per una serie di ragioni. Perché il Pd non è uscito dalla sua ambiguità originaria ed ha continuato ad oscillare, ancora senza orizzonte, tra una visione normalizzatrice e benpensantista di tipo postcomunista e una visione centrista postdemocristiana, unite entrambe da un unico errore strategico: l’accettazione acritica delle politiche neoliberiste e della logica di mercato. D’altra parte il Pd oggi sembra avere un solo obiettivo: prendere alle europee un voto in più del 4 marzo scorso, magari superare il 20% e se poi dovesse battere di un solo voto i 5S cantare vittoria. Cioè pensa a se stesso e poco al paese. Senza alcuna autocritica rispetto ai gravissimi errori commessi nell’era renziana, dal job acts alla proposta di riforma costituzionale. Ugualmente, alla sinistra del Pd, e non solo a sinistra, né il Psi, né altri, per debolezza, per gelosia, in nome della difesa di microrealtà residuali e personali, hanno avuto il coraggio di fare propria, unitariamente, la questione di fondo: prendere atto che la sinistra o sarà socialista o non sarà. In assenza di una sinistra socialista credibile, tutto lo spazio politico libero è quindi occupato dalla destra, che cresce e diventa sempre più “brutta” sul terreno economico e dei diritti, egoista, conservatrice e persino un po’ fascista, al di là delle sue stesse intenzioni. Proprio per questa ragione, l’unica cosa seria che una sinistra responsabile, di cultura socialista, dovrebbe fare, è lavorare concretamente per costruire un piattaforma unitaria, ripeto socialista, come unica alternativa convincente alla destra crescente. Per contrapporsi duramente alla destra crescente, con una forza socialista di sinistra in grado di rispondere alla domanda di socialismo, ancorché non esplicita, ma esistente nella società, con linguaggi e strumenti moderni. Di fronte al pericolo di una destra sempre più forte bisognerebbe lasciare da parte particolarismi e personalismi, e con generosità trovare il terreno comune di una risposta unitaria. Almeno con chi ci sta. Diversamente, come è già accaduto, la sinistra sarà punita dai cittadini e dagli elettori perché leggeranno nella sua incapacità di muoversi unitariamente solo la difesa dei propri interessi e delle proprie rendite, peraltro penose. Insomma, è decisivo ritrovare un terreno comune di dialogo e di azione, nell’orizzonte comune del socialismo, democratico e costituzionale. In fondo in Europa e nel mondo qualcosa in questa direzione si muove, qualche segno di vitalità c’è (in Gran Bretagna, in America, persino in Messico e in Europa, non solo in Spagna e nella Spd). Perché qui no? Una posizione che molti di noi hanno tenuto con coerenza in questi anni e che non abbiamo nessuna intenzione di mollare. Come è stato detto in questi giorni, non illudiamoci, presto “tornerà la dialettica (scontro) destra-sinistra”, cioè tra destra e socialismo, che è la dialettica delle società mature. Meglio prepararsi e non stare beatamente fermi nella terra di nessuno.

The apogee of capitalism and our political malaise • Social Europe

The apogee of capitalism and our political malaise • Social Europe

venerdì 22 marzo 2019

Carlo Formenti: Il socialismo è morto, viva il socialismo

Carlo Formenti: Il socialismo è morto, viva il socialismo

Crisi bancarie: questa sentenza è una lezione per l’Europa | A.Baglioni

Crisi bancarie: questa sentenza è una lezione per l’Europa | A.Baglioni

In Olanda i nuovi populisti della destra sovranista diventano primo partito - Diritti GlobaliDiritti Globali | il sito di SocietàINformazione Onlus e del Rapporto sui diritti globali

In Olanda i nuovi populisti della destra sovranista diventano primo partito - Diritti GlobaliDiritti Globali | il sito di SocietàINformazione Onlus e del Rapporto sui diritti globali

The Labour left divide is a two-way street - LabourList

The Labour left divide is a two-way street - LabourList

A Green New Deal could signal a fundamental shift away from neoliberalism | Red Pepper

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Labour for a Green New Deal – because climate change is a class issue - LabourList

Labour for a Green New Deal – because climate change is a class issue - LabourList

Che cos’è la politica di coesione europea? - Pandora Rivista

Che cos’è la politica di coesione europea? - Pandora Rivista

Anna Falcone: #greennewdeal - Appello delle donne per una nuova primavera europea - nuovAtlantide.org

#greennewdeal - Appello delle donne per una nuova primavera europea - nuovAtlantide.org

giovedì 21 marzo 2019

Elezioni in Olanda, crescono i populisti ma anche i verdi di sinistra – Strisciarossa

Elezioni in Olanda, crescono i populisti ma anche i verdi di sinistra – Strisciarossa

A left-wing success story | International Politics and Society - IPS

A left-wing success story | International Politics and Society - IPS

Oltre la democrazia dei partiti? Come cambia la politica in Europa - micromega-online - micromega

Oltre la democrazia dei partiti? Come cambia la politica in Europa - micromega-online - micromega

Franco Astengo: Ancora tra questione politica e questione morale

ANCORA TRA QUESTIONE POLITICA E QUESTIONE MORALE di Franco Astengo Ritorna in prima piano l’intreccio politica/corruzione. C’è stato un periodo nel quale si pensava che l’intreccio passasse attraverso l’eccesso di elargizione di benefici ai partiti. Oggi ritroviamo, invece, i classici elementi di un tempo: le vecchie e care tangenti il cui scambio pare albergare anche nei movimenti che avevano fatto dell’”onestà “una bandiera e dell’antipolitica il mezzo per raccogliere milioni di voti. In questo momento però non si può dimenticare il punto caratteristico dell’infinita transizione italiana da Tangentopoli in poi. L’insieme della vicenda politica italiana negli ultimi venticinque anni è stata sovrastata da un gigantesco “conflitto d’interesse” che ha inquinato pesantemente e in maniera del tutto trasversale la società, corrompendola nel profondo, offrendo modelli e stili di vita ormai accettati dai più, con sullo sfondo l’eccesso di competizione personale, violenza, sopraffazione che registriamo nella vita di tutti i giorni. E’ difficile trovare la via di un discorso politico che non appaia semplicemente un richiamo moralistico e, quindi, potrebbe essere il caso di fermarci a questo punto dimostrando semplicemente di aver registrato attentamente, ma per l’ennesima volta in un caso di “repetita non juvant”,ciò che è avvenendo. Sulle basi di ciò che pare sia stato scoperto in questi giorni si può ancora comprendere meglio la reazione avuta, nel corso degli anni, dal ceto politico (tipica di chi si sente arroccato nel fortino del “cartel party”) che ha tentato di coartare, per via legislativa, la giustizia (penso che tutti si saranno accorti che certe leggi non sono “ad personam” come si tentava di far credere, riguardavano un intero ceto politico, all'interno anche di un’idea di “alternanza”). Si è così cercato di fare in modo che emergessero determinati elementi: populismo, personalizzazione, cooptazione dall'alto e/o “dal basso” se guardiamo ai criteri di selezione del ceto dirigente, criteri dominati – a quanto sembra – dal “familismo amorale”. Non basta per fronteggiare questo stato di cose, assai grave, quella che è stata definita “bella” o “buona” politica: intenzioni di cui appare lastricata di sassi la strada dell'inferno. Abbiamo ceduto su questo terreno; abbiamo ceduto al corporativismo e a un’idea, sbagliata, di democrazia diretta di tipo sostanzialmente “referendaria” sul tema “governo sì”, “governo “no”. La “partitocrazia” (da Maranini), tanto invocata e /o maledetta, può essere superata soltanto tornando alla piena rilevanza della rappresentanza politica collettiva. In questo modo può sciogliersi in positivo l'intreccio tra “questione politica” e “questione morale”, interpretando la crescente complessità sociale nella forma della tensione al cambiamento e impedendo che il definitivo crollo della partecipazione politica apra la strada al trionfo finale dei “corpi separati”. Non è certo costruendo un regime personali fondati sull’asservimento e la prostrazione di corifei interessati che si affrontano paese. Inoltre la politica non può limitarsi, come quasi sempre è avvenuto, a delegare la magistratura. Forse, da qualche parte, è ancora il caso di richiamarsi alla “diversità”, non tanto a quella di un partito ma all’espressione di un’idea di eguaglianza, di diverso modo di vivere, di ideali da perseguire per i quali può valer la pena di vivere. Studio e sacrificio, nella via “etica” alla politica, in una qualche misura già indicata nell’odio verso gli indifferenti di memoria gramsciana potrebbero ancora rappresentare un monito e un esempio. Poca cosa? Probabilmente sì ma necessaria almeno da evocare.

martedì 19 marzo 2019

Stagnant Capitalism by Yanis Varoufakis - Project Syndicate

Stagnant Capitalism by Yanis Varoufakis - Project Syndicate

Le presunte virtù dell’austerità e modelli keynesiani

Le presunte virtù dell’austerità e modelli keynesiani

AMLO’s First One Hundred Days

AMLO’s First One Hundred Days

Il fenomeno del Momentum - Jacobin Italia

Il fenomeno del Momentum - Jacobin Italia

A proposito di Carlo Formenti “Il socialismo è morto. Viva il socialismo!” di Rino Genovese – Dalla parte del torto

A proposito di Carlo Formenti “Il socialismo è morto. Viva il socialismo!” di Rino Genovese – Dalla parte del torto

Could Europe face the next recession? • Social Europe

Could Europe face the next recession? • Social Europe

Krugman – Non date ai robot la colpa dei salari bassi | Vocidallestero

Krugman – Non date ai robot la colpa dei salari bassi | Vocidallestero

Bretton Woods at 75 by Arminio Fraga - Project Syndicate

Bretton Woods at 75 by Arminio Fraga - Project Syndicate

Franco Astengo: Autonomia della sinistra e radicalità costituzionale

AUTONOMIA A SINISTRA E RADICALITA’ COSTITUZIONALE di Franco Astengo La nuova segreteria del PD ha proclamato una volontà di totale rinnovamento rispetto al recente passato proponendo, per quel che riguarda le prossime elezioni europee, lo schema dell’unità da Macron a Tsipras. Unità da realizzarsi in funzione anti – sovranista e in difesa dell’Unione Europea. Nella prospettiva più precisamente riferita alla situazione italiana la nuova segreteria del PD pare propugnare il ritorno allo schema del centro – sinistra: su questo punto, però, già si levano voci interne di opposizione nel nome della “vocazione maggioritaria” e del recupero, del 40%. Il disegno fin qui enunciato dai vertici del PD richiama allora immediatamente, almeno da sinistra, un discorso di autonomia legato a una proposta di soggettività di opposizione per l’alternativa che da tempo si cerca di costruire con risultati, invero, molto modesti. E’ il caso di ricordare i passaggi della vicenda italiana precedenti all’irrompere dell’ondata di destra sciovinista che ha dato origine all’attuale governo. All’interno della confusa fase di transizione apertasi attraverso la furia iconoclasta che aveva distrutto, nel 1993, la Repubblica dei Partiti si verificarono tre fenomeni molto particolari: 1) l’assoluta inefficacia del meccanismo dell’alternanza di governo pur realizzatasi attraverso l’assunzione di un profilo bipolare a livello sistemico. Profilo bipolare esauritosi nel 2006 con l’adozione di un nuovo sistema elettorale e la disastrosa prova di governo realizzata dalla cosiddetta “Unione” tra il 2006 e il 2008; 2)il lungo periodo di assunzione di un ruolo di governo, da parte di una destra populista composta, da una parte, da un soggetto di tipo personalistico del tutto privo di una qualche capacità politica complessiva che non fosse legata agli interessi diretti del suo padrone e dall’altro dal tentativo di mettere in discussione la stessa tenuta unitaria dello Stato, già messa a dura prova dalla crisi dello “Stato-nazione” dovuta, nello specifico, dall’affermarsi dei meccanismi europei. Periodo di governo (2001-2006; 2008 – 2011) rivelatosi assolutamente esiziale per l’economia e la credibilità internazionale del Paese. 3) Il tentativo di realizzare un “primato della governabilità” da parte del PD “a vocazione maggioritaria” attraverso la modifica dell’impianto costituzionale soprattutto dal punto di vista del superamento della Repubblica Parlamentare come disegnata dalla Costituente. Tentativo fallito con l’esito del referendum svoltosi il 4 dicembre 2016. Oggi, nel pieno della tempesta provocata dall’affermazione elettorale del M5S seguita dalla vistosa crescita della Lega che si appresta a diventare il primo partito con le elezioni europee, ci troviamo davanti ad un’evidente fragilità del sistema. Una fragilità del sistema che si accompagna alla vacuità dell’agire politico, all’assenza di una “spina dorsale” che affronti l’evidente sfibrarsi della società italiana: un fenomeno che dura da decenni in un quadro di acquiescenza all’individualismo competitivo e alla resa verso la marginalità sociale come dimostrano l’affermarsi di proposte come quella del “reddito di cittadinanza” di vera e propria codificazione di questa marginalità. Un’opposizione di sinistra può ripartire analizzando a fondo questi elementi e cercando di ristabilire un nesso tra identità sociale e rappresentanza politica: quello che manca in questa folle rincorsa al ribasso che potrebbe anche concludersi, alla fine della strada, con l’affermarsi di un regime autoritario fondato su qualche (uno?) uomo della provvidenza. Quello che interessa affermare in questo momento può essere ridotto a questi punti: 1) Non esiste, al momento, uno schieramento promosso dal PD che possa garantire quell’opposizione fondata sull’espressione fondante di un concetto di “radicalità costituzionale”; 2) Ciò accade perché la trasformazione/riaggregazione dei partiti della sinistra storica, segnata nel nostro Paese per un lungo periodo dalla “diversità” del PCI, non è stata compiuta nel segno di un’alternativa se non di sistema almeno di diverso riferimento complessivo sul piano programmatico al riguardo del quadro internazionale, dell’economia, del rapporto con i temi del “sociale”, della qualità della democrazia. L’introiettamento dell’ideologia liberista da parte del soggetto principale di questo campo, il PD, ha continuato a rendere vano un eventuale tentativo di affermazione di un meccanismo di alternanza/alternativa, annullandone il significato. Il recinto di quello che dal punto di vista della nuova segretaria del PD si continua impropriamente a definire come centro-sinistra non può garantire assolutamente una qualche possibilità di fuoriuscita dal tipo di politiche che hanno segnato negativamente l’intera fase cui si è tentato, anche in questa sede, di definire i contorni; 3) La sola possibilità di ripresa, oltre ovviamente alla continuità nell’iniziativa sociale, risiede in questo momento non tanto in un afflato unitario di tutti i soggetti di sinistra, ma in un proposito di ricostruzione di soggettività da collocare in piena autonomia rispetto al quadro politico; 4) Una ricostruzione di soggettività al riguardo della quale non bisogna aver paura di incontrare il nuovo, superare divisioni storiche, recuperando anche definizioni che a molti oggi possono apparire come antiche; 5) L’autonomia politica di questa soggettività rispetto ad altri schieramenti deve essere intesa come “conditio sine qua non” per affrontare il tema di fondo di un progetto che partendo dalla necessaria opposizione all’esistente ci conduca a formulare un’idea di alternativa. Alternativa fondato su di un raccordo concreto tra spinta sociale e proposta politica. Autonomia politica, ideale, culturale che non può e non deve significare chiusura aprioristica o ancor peggio volontà di isolamento ma massima apertura alle tante istanze di lotta presenti in questo momento su temi diversi e pur tutti riconducibili all’’indispensabile rappresentanza delle contraddizioni emergenti. 6) In questa difficile attualità emerge un evidente allargamento delle disuguaglianze e un’intensificazione dello sfruttamento del territorio e del genere umano la cui analisi deve servire a fornire le basi proprio per la necessaria espressione politica di una soggettività di opposizione per l’alternativa.

venerdì 15 marzo 2019

A che punto è la notte della Brexit? | P. Manzini

A che punto è la notte della Brexit? | P. Manzini

“Nuove (e vecchie) povertà: quale risposta?” a cura di Fondazione Astrid e Circolo Fratelli Rosselli - Pandora Rivista

“Nuove (e vecchie) povertà: quale risposta?” a cura di Fondazione Astrid e Circolo Fratelli Rosselli - Pandora Rivista

Franco Astengo: Internazionalismo

PARLAMENTO EUROPEO: SOVRANAZIONALITA’ E INTERNAZIONALISMO di Franco Astengo L’edizione italiana di “Le monde diplomatique” appena uscita nelle edicole dedica le proprie pagine centrali alle prossime elezioni europee sotto il titolo “Un’unione da rifare”. Vi si leggono articoli molto interessanti sui temi principali, dall’euro ai trattati,: articoli rappresentativi di voci autorevoli della sinistra critica a livello continentale. In quel contesto assumono poi particolare rilevanza sul piano politico due interventi, quello di Thomas Guenole, responsabile della formazione politica di France Insoumise e quello di Yanis Varoufakis, ex ministro dell’economia greco nel primo governo Tsipras e fondatore del Movimento per la democrazia in Europa 2025 (DiEm25). L’articolo di Guenole è titolato “Di fronte a Bruxelles, la scommessa della non sottomissione”, quello di Varoufakis “Verso una primavera elettorale”. A principio di pagina l’abstract di presentazione di entrambi gli interventi recita: “Bisogna disobbedire? E se sì come? La sinistra nel suo complesso ritiene che i trattati attuali impediscano una politica di progresso sociale. Dopodiché, le strategie divergono. Per l’ex-ministro dell’economia greco Yanis Varoufakis solo un movimento transnazionale potrà trasformare l’Europa. Il candidato di France Insoumise Thomas Guenole giudica invece indispensabile rimettere immediatamente in discussione i trattati europei”. In questa sede allora si pone in rilievo, invece, un’assenza grave all’interno dei due articoli redatti da così autorevoli esponenti delle forze di sinistra: l’assenza riguarda il tema del Parlamento europeo. Non si riscontra, infatti, alcun accenno al ruolo e alle funzioni del Parlamento: all’evoluzione determinatisi in questo senso nel corso degli anni fino al trattato di Lisbona, al tipo di quadro politico che all’interno del Parlamento si è determinato nel corso dell’ultima legislatura, a un eventuale progetto di riforma dell’istituzione. Non si accenna a un’ipotesi di abbandono contrapposta magari a un’altra ipotesi di tentativo di valorizzazione. Pare non esistere la possibilità di aprire, all’interno del Parlamento, una fase di dialettica politica. Nulla di tutto questo. Perché? A un’attenta analisi i due testi non sfuggono a una impressione di “astrattezza tecnocratica”. Questo giudizio si può esprimere perché non si riscontra alla lettura la necessità di una presenza internazionalista di rappresentanza politica dei milioni di sfruttati che vivono nel territorio dell’Unione. Pare, invece, che si debba riflettere soltanto in termini di valutazioni econometria e/o di opportunità politica. Insomma: pare proprio che si resti stretti e subalterni alle valutazioni sull’Euro o sulle ipotesi di modifica e/o annullamento dei trattati. Eppure non sarebbe difficile riconoscere i soggetti da rappresentare, quelli maggiormente colpiti da questa feroce gestione del ciclo capitalistico che sta provocando spostamenti epocali sul piano globale. Riflettere, invece, sulla possibilità di rappresentanza politica degli sfruttati, di ritorno ai nostri storici “fondamentali” principiando da quelli marxiani consentirebbe anche di evitare quei fenomeni di accostamento a destra pericolosamente insiti in quelle visioni “sovraniste” che pure albergano a sinistra in molti paesi europei (significativo sotto quest’aspetto l’elenco dei possibili alleati di DiEm 25 fra i quali spicca “Aufstehen” spezzone della Linke). La presenza nel Parlamento Europeo di una forza internazionalista (e non espressione di una alleanza sovranazionale: termine che in questo contesto suona ambiguo) rappresentante sul piano politico di quanti soffrono delle grandi e complesse contraddizioni della modernità contribuirebbe a rivalutare in una qualche misura l’istituzione sollevando anche questioni di fondo che riguardano natura e prospettiva dell’Unione che qui sarebbe troppo lungo da analizzare. Realizzare questo progetto attraverso la costruzione di una lista che raccolga soggetti di diversi paesi accomunati da questo semplice intento, appunto ripetiamo quello della rappresentanza degli sfruttati, costituirebbe sicuramente un passo avanti nell’affrontare quel dato della frammentazione del rapporto tra progetto politico e azione sociale, la cui divaricazione costituisce un elemento decisivo nel determinare la fragilità di qualsiasi azione politica e l’isolamento della capacità stessa di quella reazione sociale che pure in certi casi si dimostra, sia pure in una maniera piuttosto confusa. Le forze attualmente in campo sembrano lontane da questa possibilità politica di rappresentanza internazionalista e sostanzialmente, come già affermato, purtroppo subalterne alle negatività dell’esistente.

martedì 12 marzo 2019

Il country report della Commissione Europea: le prospettive sull'economia italiana - Pandora Rivista

Il country report della Commissione Europea: le prospettive sull'economia italiana - Pandora Rivista

The Reopening of the Irish Question

The Reopening of the Irish Question

Erik Olin Wright : reconstruire le marxisme - La Vie des idées

Erik Olin Wright : reconstruire le marxisme - La Vie des idées

Franco Astengo: La produttività del sistema politico

LA PRODUTTIVITA’ DEL SISTEMA POLITICO di Franco Astengo Il 4 marzo 2018, all’incirca un anno fa, l’esito delle elezioni legislative generali fornì l’indicazione di apertura di una nuova fase per il sistema politico italiano. Andava in archivio, almeno in quel momento, il bipolarismo e si creava la possibilità di espressione per una nuova maggioranza di governo composta di due forze politiche che, negli anni precedenti, si erano opposte alla fase di austerità imposta dall’Europa e alla quale si erano acconciati i governi seguiti alle elezioni del 2013 , formati da forze concorrenti di centrosinistra e di centrodestra. Nel frattempo, è bene ricordarlo sempre quando si tratta di tirare un bilancio delle più recenti vicende politiche italiane, il voto popolare aveva respinto a grande maggioranza il progetto di riforma costituzionale elaborato dal PD e la Corte Costituzionale si era incaricata di bocciare ben due sistemi elettorali, il primo con il quale si era votato nelle elezioni del 2006, 2008, 2013 e il secondo, invece, mai utilizzato. Le forze politiche arrivate al governo con il voto del 2018 si erano collocate all’opposizione: la Lega fin dal 2011 avversando il governo Monti e il M5S dal suo ingresso nell’arengo parlamentare avvenuto con le elezioni del 2013. Il M5S aveva raccolto,nell’occasione delle elezioni del 2013, una larga messe di consenso accogliendo le diverse e anche contraddittore forme di dissenso presenti nel Paese sui temi più svariati riunificandole all’insegna dell’antipolitica, della lotta al ceto dirigente, all’Europa dei banchieri. Tutti temi che avrebbero richiesto una netta cesura “di sistema”. La proposta del reddito di cittadinanza, da realizzarsi attraverso il deficit spendig avrebbe dovuto rappresentare l’emblema di questa rottura di fondo. La Lega diventata “nazionale” e ormai identificata nella figura del suo nuovo leader attraverso un processo di esasperata personalizzazione, era riuscita a tenere assieme le antiche rivendicazioni autonomiste della sua base tradizionale con l’allargamento a tutto il territorio nazionale attraverso l’enfatizzazione della contraddizione riguardante lo scabroso tema dei migranti ; su queste basi era sortito un sorprendente 17%, insufficiente però a realizzare un progetto di governo di centro destra egemonizzabile da parte della Lega stessa. Entrambi i soggetti, M5S e Lega avevano anche tratto beneficio dall’inserirsi nel fronte del “NO” nel già ricordato referendum costituzionale del dicembre 2016. Da questo quadro molto complesso era così sortito un inedito “contratto” di governo all’interno del quale ciascuno dei contraenti avrebbe sostenuto l’altro a realizzare le misure – base considerate utili per soddisfare quegli impegni che pareva stare principalmente a cuore dei rispettivi elettorati. Si tralascia, a questo punto, di entrare nel dettaglio del prosieguo di questa storia che, di elezione parziale in elezione parziale, è sembrata essere segnata da un ribaltamento nei rapporti di forza tra i due soggetti di governo con un prevalere evidente della Lega . Di conseguenza ne è derivato il porsi del tema – a cavallo della scadenza elettorale per il Parlamento Europeo – di una riconsiderazione complessiva delle relazioni di governo. Nel frattempo tante e complicate sono state le questioni poste sul tappeto. Non elenchiamo i temi in ballo, tutti li conoscono. Il punto che questo intervento intende sollevare riguarda, invece, il tipo di produttività che il sistema politico italiano è stato in grado di realizzare non tanto e non solo sul piano legislativo, nel corso di questo periodo. Un’analisi da sviluppare, quella della produttività del sistema politico, ponendo una premessa: la produttività di un sistema politico è questione che non può essere semplicemente valutata attraverso la garanzia di consegna di poteri a livello popolare al fine di determinare un esito in termini di diritti. Sotto quest’aspetto è necessario mantenere un interscambio: avere cioè flussi che vanno dal sistema politico all’ambiente sociale e “immissioni” che seguono l’andamento contrario dall’ambiente sociale al sistema politico. Quanto appena esposto richiede una conformazione del sistema fondato su alcuni elementi che non possono essere ignorati: la pluralità nelle presenze politiche a livello istituzionale; il rapporto tra maggioranze e opposizioni nell’ambito del quadro parlamentare; la presenza di soggetti “forti” di intermediazione . Soggetti di intermediazione almeno sufficientemente rappresentativi della complessità delle istanze presenti nella società. Tutti elementi questi che nel corso degli ultimi decenni si è tentato di smantellare per affermare il concetto di governabilità maggioritaria che, oggi, ha trovato una sua vera e propria sublimazione nella “contrattualità di governo”. In questo senso si tralascia anche, se non riferito per accenni, il grande mutamento avvenuto a livello di una società nella quale, per molteplici ragioni, si è verificato un fenomeno di vera e propria apertura di nuova fase fondata sull’egemonia di forme di vero e proprio egoismo soggettivo : in pratica quello che è stato definito “individualismo competitivo” accompagnato da una forma di passivizzazione delle masse attraverso l’affermazione della cosiddetta “democrazia del pubblico” portata fino alla sua forma estrema di “democrazia recitativa”. Un quadro quello appena delineato che ha condotto, dopo anni di distruzione di sostanza e di immagine politica, a un punto di vera e propria difficoltà nella credibilità del sistema . Il sistema politico italiano oggi presenta (nonostante la voce grossa dei suoi protagonisti) una situazione di fragilità congenita sia sul versante della rappresentanza, sia su quello della decisionalità. Si ricorda, a questo proposito soltanto per inciso, il deficit accumulato nella funzione parlamentare attraverso l’uso “smodato”, da parte di tutti i governi, di decreti – legge e di voti di fiducia. Si tratta di situazioni poco avvertite soprattutto perché coperte dal coro dei “media”. Ma da qualche parte (vedi “Limes” 2/19) si avanzano proposte di correzione istituzionale tendenti a fronteggiare questa evidente fragilità sistemica. Proposte che arrivano anche a modificare lo stesso ruolo di garanzia del Presidente della Repubblica . Presidente della Repubblica che ,si ricorda, rimane espressione del Parlamento e, di conseguenza, dei suoi equilibri. Da questo punto di vista non si mai verificato un passaggio da una presunta Prima Repubblica a una fantomatica Seconda Repubblica (per non parlare della futuribile Terza). Due esempi, allora, di proposta per la modifica di ruolo e di compiti della Presidenza della Repubblica (tratti da Limes 2/2019) 1) Allo scopo di affrontare il deficit di decisionalità si propone che il Capo dello Stato dovrebbe accompagnare la firma di ogni decreto legge con un messaggio sulla legislazione secondaria che esso implica. In un video rivolto ai cittadini, senza paura di annoiarli, il Presidente della Repubblica dovrebbe indicare i decreti attuativi contenuti nella misura da lui firmata e richiamare tutte le autorità coinvolte nell’attuazione; 2) Allo stesso tempo, presso il Quirinale andrebbe costituita una struttura deputata all’attuazione delle politiche, perché la distanza tra annunci e realtà costituisce un rischio democratico, di divaricazione della rappresentanza, di dissoluzione dell’unità della nazione. Proposte che non possono essere che intese proprio nel senso di un tentativo di affrontare proprio quella già richiamata debolezza del sistema ormai, in tutti i suoi attori, incapace di affrontare i nodi strutturali della convivenza politica, economica, sociale del Paese soprattutto all’interno del quadro internazionale. In conclusione può essere il caso di ricordare i diversi ambiti di politiche pubbliche all’interno dei quali il sistema avrebbe il dovere di intervenire. Sarebbe utile riflettere come, a partire dalle riforme costituzionali bocciate dal voto, al job act, alla “buona scuola”, al reddito di cittadinanza, alla facoltà di sparare, ai vari provvedimenti presi sul tema dei migranti (solo per enunciare i provvedimenti maggiormente pubblicizzati), sono stati affrontati questi ambiti d’intervento collegandosi anche a quanto, rispetto a ciascuno di essi, prevede la Costituzione: a) Politiche regolative. Finalizzate a delimitare le sfere di libertà privata e di autonomia individuale, includendo gli interventi con cui il sistema politico si fa garante degli accordi tra individui; b) Politiche giurisdizionali, volte ad assicurare la giustizia restituiva e retributiva, nonché la sicurezza dei diritti delle persone da cambiamenti ingiustificabili e arbitrari; c) Politiche redistributive, volte a garantire una maggiore giustizia distributiva nella ripartizione delle opportunità di accesso, diretto o indiretto, a risorse e servizi; d) Politiche di sviluppo, volte a promuovere lo sviluppo degli individui e la loro autonomia (esempio: le politiche educative e formative) e lo sviluppo materiale e culturale della società (ad esempio attraverso la produzione di infrastrutture.) e) Politiche di welfare o assistenziali finalizzate a soddisfare alcuni bisogni degli individui e ad assicurare loro condizioni di vita minimamente dignitose; f) Politiche di riconoscimento: politiche volte a contrastare il pregiudizio e la discriminazione nei confronti degli appartenenti a gruppi sociali minoritari; g) Politiche di inclusione volte a favorire la partecipazione delle persone alla vita della collettività e all’esercizio del potere politico; h) Politiche estrattive volte ad assicurare al sistema politico le risorse, i servizi, il sostegno di cui necessita; i) Politiche organizzative volte a organizzare l’apparato pubblico in vista del perseguimento di specifici obiettivi.

Felice Besostri da Left, 8 marzo 2019

La manifestazione del 2 marzo è andata molto bene, tutti dobbiamo esserne contenti. Ma il problema della sinistra italiana, se non vuol fare la fine di quella polacca non più rappresentata nel Sejm dal 2015, è altro dall’unirsi sui temi dei diritti umani. Se fosse divisa anche su questo, sarebbe meglio immergersi nel Terzo Settore e fare volontariato rinunciando ad un impegno politico. Le condizioni di partenza non sono delle migliori, ala luce dei risultati impietosi del 4 marzo 2018: la ricostruzione di una presenza politica significativa è chiaramente un impegno di lunga durata. Tutti dovremmo saperlo, ma quesito aumenta l’angoscia, perché c’è un ceto politico, che non ha alternative personali alla permanenza nelle istituzioni o nelle vicinanze, godendo di una qualche indennità di rappresentanza. La preservazione del gruppo dirigente è anche ragionevole, ma è chiaro che senza rinnovamento non si attirano nuove forze. Ci sono ragioni oggettive ed universali per le difficoltà della sinistra, che non è in buona salute in diverse parti del mondo, anche per l’affermarsi di stili di vita e modelli culturali di individualismo competitivo e consumista. In Europa il modello socialdemocratico, rappresentato dai partiti del PSE, è in affanno, con la crisi economica non sono più possibili politiche distributive della ricchezza e il welfare state.Della loro crisi non beneficiano se non molto marginalmente i partiti alla loro sinistra. Solo il laburismo di modello britannico è ancora competitivo in Gran Bretagna e nei paesi del Commonwealth very british, Australia e Nuova Zelanda, tanto che il Canada è escluso. In Africa i partiti dell’indipendenza FLN,Frelimo, MPLA,PAIG, ZANU, ZAPU e anche ANC ( queste sigle diranno qualcosa alla maggioranza dei lettori sotto i 30 anni?), per non parlare di chi ha preso il potere in Eritrea o in Etiopia non sono più quei puri campioni della liberazione dal colonialismo e dall’imperialismo. In America Latina sembra passata l’ondata di sinistra, che aveva travolto regimi militari. Il caudillismo influenza anche le esperienze più avanzate. Nel nostro democraticissimo paese si vota ad ogni piè sospinto, ovvero non si vota più come nelle Province. Le leggi elettorali di Comuni e regioni con premi di maggioranza alle coalizioni hanno nascosto la crisi, ma basta l’arrivo di una legge elettorale come l’europea, per mettere tutto in crisi. Le uniche alleanze le possono fare i partiti rappresentativi delle minoranze linguistiche, ma non sono mai state al centro di un’azione politica della sinistra, tranne che i tedeschi dell’Alto Adige per ragioni di potere e gli sloveni del Friuli Venezia Giulia per contingenza politica. Il PD d’accordo con FI ha introdotto la soglia alle europee apposta prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona e non se ne è mai pentito e neppure quelli che se ne sono usciti. Nessun sostegno alle azioni per farla dichiarare contraria Trattati. Nella XVII legislatura nessuna iniziativa per modificarla, anzi parlamentari europei del Pd hanno votato a favore della decisione n 994/2018 per renderla obbligataria nei grandi paesi come Germania, Francia, Spagna, Polonia e il nostro. Non solo nel Senato l’approvazione è passata senza battaglia anche da parte di Leu. La sinistra diventa a favore delle soglie, come incentivo a unirsi? Con il trattato di Lisbona il Parlamento non rappresenta più “le popolazioni degli Stati” associati, ma direttamente “i cittadini UE” (art. 10.2 TUE), quindi non ci possono essere soglie nazionali, facoltative e variabili , perché il voto non sarebbe più uguale , ma dipenderebbe dal paese di residenza e con la Carta di Nizza il diritto di voto e di eleggibilità è diventato un diritto fondamentale (art. 39 CDFUE). Sarebbe come eleggessimo la Camera dei Deputati con soglie di accesso differenziate per regione in misura variabile e decisa da loro. Preoccupa che la sinistra si prepari alle elezioni europee non sapendo che “I cittadini sono direttamente rappresentati, a livello dell'Unione, nel Parlamento europeo.” e, invece, che “Gli Stati membri sono rappresentati nel Consiglio europeo dai rispettivi capi di Stato o di governo e nel Consiglio dai rispettivi governi, a loro volta democraticamente responsabili dinanzi ai loro parlamenti nazionali o dinanzi ai loro cittadini."(art. 10.2 TUE) Il 26 maggio non eleggiamo i deputati italiani nel Parlamento Europeo, ma i rappresentanti dei cittadini UE residenti in Italia. Ci fosse ancora un residuo di internazionalismo candideremmo un cittadino UE non italiano da far votare da tutti i cittadini UE residenti in Italia. Non succederà perché c’è rischio che sia eletto lui e non un Pisapia nuovo entrante o un vecchio uscente. Un passo avanti si potrebbe fare se a sinistra si discutesse su cosa ci divide con lo scopo di superare le divisioni o, meglio, per trovare un metodo democratico per decidere le questioni controverse. Invece di dire W Corbyn, impariamo dal Labour: si cambia decisamente linea senza dividersi, perché contano iscritti e militanti, non dirigenti o signori delle tessere. Felice Besostri, Presidente del gruppo di Volpedo, rete dei circoli socialisti e libertari del N.O.

domenica 10 marzo 2019

Le culture della Repubblica per l'Europa

LE CULTURE DELLA REPUBBLICA PER L’EUROPA Le Fondazioni e gli istituti culturali proponenti intendono con questo documento aprire un dibattito sui principali problemi della crisi del nostro paese e dell'Europa, che necessitano di essere affrontati in tutta la loro drammatica portata. Chi si riconosce nei valori comuni delle culture fondatrici della Repubblica vede oggi messo a rischio di oblio e di negazione lo spirito della Resistenza e della Costituzione, che ha costituito la base per il contributo italiano alla costruzione dell’Unione Europea. La nostra convinzione è che gli eredi di quelle culture non possano ridursi al ruolo di testimoni del passato, ma debbano dimostrare capacità di reazione e di progettualità nel presente. Si tratta di discutere temi decisivi e tra loro interconnessi come la delegittimazione delle classi dirigenti; le risposte nazionaliste alla globalizzazione; l'impasse della democrazia rappresentativa; la sofferenza dell'integrazione europea e del suo consenso popolare. Si tratta però anche di reagire alla rassegnazione verso l'affermazione delle forze e delle idee che alimentano queste tendenze. Partiamo dalla volontà di discutere e capire la crisi della politica in Europa e in Italia in una chiave di ampio respiro e svincolata dalla contingenza, nella convinzione che le tendenze nazionaliste e "sovraniste" non rappresentino una soluzione, ma un problema ancora peggiore. La stessa vicenda politica recente rimanda a scelte strategiche sempre più stringenti. La lunga trattativa tra Governo italiano e Commissione UE ha messo in luce come un approccio meramente rivendicativo e una visione ristretta dell'interesse nazionale non favoriscano, e anzi impediscano, una seria discussione sulla riforma dell'Unione Europea, delle sue istituzioni, dell'eurozona. Nello stesso tempo, l'Italia si è trovata isolata in Europa, mentre una riforma autentica impone di stabilire alleanze attorno a progetti credibili e consensuali, a partire dal rilancio di una crescita del reddito e dell’occupazione sostenibile sul piano ambientale ed equa sul piano sociale. La retorica antieuropea che negli ultimi tempi ha invaso il discorso politico italiano (ma anche di molti altri paesi) è infondata e autolesionista. L'Unione Europea continua a essere una potenza economica globale, dotata di una moneta forte. Le sue capacità di rispondere alla crisi globale del 2008 sono state inizialmente limitate e criticabili, ma si sono rafforzate nel tempo. La vicenda della Grecia ha mostrato che uscire dall'euro è visto come un salto nel buio dalla maggioranza dei cittadini, la vicenda della Brexit sta mostrando quanto sia oneroso e azzardato lasciare l'Unione. L'appartenenza all'Europa è irrinunciabile sotto il profilo dei valori di progresso e civiltà politica che affondano le radici nella ricostruzione democratica e repubblicana dell'Italia, ma è altrettanto importante sotto il profilo degli interessi concreti e materiali del nostro Paese. L’Unione è quindi una realtà indispensabile per pensare il futuro stesso del nostro Paese. Fare questa affermazione non significa occultare i suoi problemi e le sue contraddizioni, ma inquadrarli nella loro giusta dimensione. Bassa crescita e alta disoccupazione sono problemi cruciali da risolvere. Occorre che i cittadini italiani ed europei si sentano coinvolti non semplicemente in un sistema di vincoli, quanto in un progetto europeo dotato di una ampia legittimazione politica e istituzionale, in grado di promuovere lo sviluppo, difendere il welfare, rispondere in modo efficace alle crisi globali, a cominciare dalla crisi dei flussi migratori. Diversamente il rischio di una disgregazione dell'Unione potrebbe farsi reale, con conseguenze regressive e drammatiche per tutti. Non vogliamo nasconderci quanto è avvenuto sul piano politico: nessun governo della zona euro che abbia seguito le prescrizioni delle autorità istituzionali europee è riuscito a sopravvivere ai confronti elettorali. La Germania è naturalmente un caso a parte, ma la stessa coalizione che la guida si trova in una situazione politica certamente non facile e non riesce ad esercitare quel ruolo di aggregazione e di stimolo che le competerebbe. Riteniamo che esista un nesso tra le difficoltà in cui si trova l’Europa e le trasformazioni della globalizzazione nel contesto della crisi del 2008. Già prima di essa, lo straordinario sviluppo dell’interdipendenza globale ha prodotto forti resistenze identitarie, che attraversano in forma nuova e aspra le sensibilità dei popoli. L’esplosione dei flussi migratori ha amplificato enormemente questa tendenza, producendo la rinascita di sentimenti xenofobi e di forze politiche pronte a sfruttarli. Lo spostamento della ricchezza mondiale verso l'Asia ha prodotto la percezione di un impoverimento in Occidente, dove le ineguaglianze della crescita mondiale si sono riverberate sulle classi medie e sulle classi lavoratrici. Si è incrinato il nesso tra democrazia e prosperità. Si è allentato il nesso transatlantico tra Europa e Stati Uniti. Siamo in presenza di una regressione visibile e pericolosa della democrazia rappresentativa e liberale. Le idee e le pratiche delle "democrazie illiberali" hanno attecchito in vari paesi europei, delineando una risposta negativa alla mancata espansione della democrazia politica oltre i confini dello Stato nazionale, che pure rappresenta la vera sfida e necessità della nostra epoca. La questione cioè della democrazia nella dimensione sovranazionale e della sovranità condivisa. È a questa che si deve dare risposta. Costruire le passerelle giuste tra nazionale e sovranazionale, verso l’alto e verso il basso, questo il problema culturale e politico che è dinanzi all’Europa. Procedere decisamente alla riforma dell’eurozona, con gli Stati che aderiscono all’Unione monetaria. Su questo si è aperta la discussione tra Francia e Germania e su questo bisogna portare un contributo italiano. Può essere l’inizio di una nuova Europa, più solidale, più sociale, più politica, più globale e insieme più attenta alla cura dei propri spazi, dei propri territori. È questa l’Europa per la quale vale la pena di battersi, di impegnarsi. Esiste un evidente rapporto tra crisi della democrazia europea e crisi della democrazia italiana. Molto più che altrove, è emersa da tempo in Italia un deficit di legittimazione delle classi dirigenti, anzitutto politiche, ma anche economiche, sociali e culturali. Le classi dirigenti del nostro Paese, salvo casi isolati, non hanno saputo prevedere o capire gli effetti “lunghi” della crisi globale del 2008. Si sono limitate a esorcizzare “il populismo” senza porsi il problema di come mantenere i rapporti col popolo. Sul piano politico assistiamo, come conseguenza, allo stravolgimento di un corretto rapporto tra le istituzioni ed il sistema di pesi e di contrappesi tra i vari poteri propri di ogni autentica democrazia, alla crescente manipolazione della comunicazione politica e dell'opinione pubblica, a gravi forme di intolleranza verso la libera informazione. Le Fondazioni che hanno espresso la loro adesione a questo documento intendono promuovere una giornata di pubblico dibattito, coinvolgendo nella riflessione esponenti e soggetti della società civile, del mondo economico e della cultura italiana. Fondazione Circolo Fratelli Rosselli …………………… Valdo Spini Fondazione Gramsci …………………… Silvio Pons Istituto Luigi Sturzo …………………… Nicola Antonetti Fondazione Bruno Buozzi …………………… Giorgio Benvenuto Fondazione Socialismo…………………… Gennaro Acquaviva Fondazione Ugo La Malfa…………………… Giorgio La Malfa Fondazione Giulio Pastore…………………… Aldo Carera Fondazione Giangiacomo Feltrinelli …………………… Massimiliano Tarantino Fondazione Giuseppe Di Vagno (1889-1921) …………………… Gianvito Mastroleo Fondazione Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico…………………… Vincenzo Vita Fondazione Pietro Nenni …………………… Carlo Fiordaliso Fondazione Giacomo Matteotti…………………… Angelo Sabatini Fondazione Giacomo Brodolini Giuseppe Ciccarone Fondazione Francesco Saverio Nitti …………………… Stefano Rolando Fondazione Luigi Einaudi Roma …………………… Giuseppe Benedetto Forum per i Problemi della Pace e della Guerra, Firenze…………………… Anna Loretoni Si ringraziano per il loro contributo alla stesura del documento-che rimane esclusiva responsabilità dei firmatari- Alessandro Barbano, Pier Luigi Ciocca, Biagio Di Giovanni, Ugo Intini Hanno inoltre aderito: Circolo Riccardo Lombardi di Ancona…………..Diego Franzoni Circolo Giovanile “I Pettirossi” …………………… Rosa Fioravante Roma, 7 marzo 2019

Diem alla sinistra: tutti nella piattaforma Primavera Europea - nuovAtlantide.org

Diem alla sinistra: tutti nella piattaforma Primavera Europea - nuovAtlantide.org

Paolo Zinna: Fermi un momento, per favore

“Per costruire un’alternativa, la sinistra deve ripartire dalle fondamenta, sapendo che spesso dovrà essere alternativa a sé stessa, a com’era prima. Ripensare molto di quel che ha detto e fatto, dimenticato di dire e di fare, non negli ultimi cinque anni, ma negli ultimi venticinque almeno. = Avremmo bisogno di forze moderate e liberali … ma questo non è il nostro compito. Il nostro compito è ridefinire un’identità della sinistra, che si faccia carico della nuova questione sociale, con valori, idee, battaglie, uomini e donne in grado di rappresentare credibilmente un’idea di società radicalmente diversa. = È la separazione tra inclusi ed esclusi dal patto sociale, ormai non solo per ragioni di reddito, ciò a cui dovrebbe tornare a guardare con coraggio la sinistra, perché il superamento di quella barriera, l'inclusione degli esclusi, attraverso la redistribuzione di ricchezza e di potere, è il compito di una sinistra che voglia ridare senso a se stessa. = La prospettiva va cercata in un'idea di socialismo, declinata individuando le frontiere concrete attraverso cui promuovere l'uguaglianza. Dare nuova linfa alla radice del lavoro, che è vitale per la sinistra, perché è un'irrinunciabile leva di uguaglianza e dignità, fonte di una visione politica del rapporto con il sapere, con la tecnica, con l'autonomia del sociale, a partire dal ruolo del sindacato. Ridare valore alla cosa pubblica, per combattere le divisioni e le solitudini, per redistribuire potere alle persone e restituire capacità di rappresentanza alla democrazia. Affrontare una trasformazione dei processi di produzione e delle relazioni sociali di cui non conosciamo gli esiti, con strumenti «nuovi››, per liberarsi dalla dittatura degli algoritmi e dei monopoli intellettuali, ma senza rinunciare a strumenti troppo frettolosamente archiviati come «vecchi››, dalla progressività fiscale al welfare state, che invece abbiamo usato poco e male. Reinventare leve di intervento pubblico nell'economia, per creare spazi di mercato laddove regna il monopolio, per orientare e indirizzare l'innovazione, all'insegna della sostenibilità dello sviluppo e della creazione di lavoro buono. Riconquistare spazi di sovranità e democrazia economica, riaffermare l’interesse nazionale, un concetto a cui ridare dignità, sia all'interno, per arginare le nuove spinte secessioniste, sia all'esterno, in chiave di apertura al mondo e contro il modo razzistico e dannoso con cui è richiamato dai cosiddetti sovranisti. Ricostruire le istituzioni, sempre più fragili, a partire dallo Stato, rilanciando gli investimenti e portando una nuova generazione nei ranghi della macchina pubblica, per promuovere un nuovo modello di sviluppo e riaffermare lo Stato di diritto. Da qui, concorrere a rifondare l'Europa, come luogo ideale dove perseguire maggiori spazi di libertà e uguaglianza, di solidarietà tra i lavoratori di tutti i paesi, ponendo regole e vincoli a un capitalismo che cerca in ogni modo di sbarazzarsene, e non come la realtà disgregata che appare oggi, in cui si lasciano dilagare gli egoismi nazionali, si nega ogni solidarietà interna e si riproducono le storture competitive della globalizzazione, nascondendo spesso una doppia morale, quella che applica le regole ai più deboli e le interpreta per i più forti. = Il nostro compito è costruire il nuovo, abbandonare formule usate e stanchi riti. Le forme organizzate della sinistra attuale non sono in grado di assolverlo. Le formazioni a sinistra del Partito Democratico sono polverizzate. E, con ogni evidenza, non basteranno le primarie del PD a determinare il cambiamento radicale di cui avremmo bisogno. Possono tuttavia marcare una discontinuità con l'ultima stagione, premessa necessaria per riprendere un discorso, non nella sinistra, ma nella società italiana che l'ha rigettato nel modo più radicale.” Interessante, vero? Quasi la sintesi di un programma politico concreto e socialista. Ma chi scrive queste cose, un esponente della diaspora a sinistra, un giovane blogger di poca visibilità? No, le scrive nel suo libro “la Sinistra e la scintilla” uno dei più autorevoli intellettuali del PD di oggi, Giuseppe Provenzano, vicedirettore dello Svimez, punto di riferimento di molti compagni della sinistra interna. Perciò, compagni del Rosselli, mi permetto di invitarvi ad un momento di cautela. Ovvio che con le primarie non è finito il congresso, anzi, abbiamo solo sgomberato le macerie più evidenti. Ovvio che la persona di Zingaretti e la segreteria Zingaretti, di per sé sole, non hanno trasformato il PD in un partito di sinistra socialista. Lo sappiamo bene, dall’interno, e sappiamo bene che il confronto politico sarà ancora lungo, difficile ed aperto a tutti gli esiti, anche completamente negativi. Però mai, in tutta la storia del PD e dell’Ulivo, dal 1992 in avanti, ci sono state condizioni meno avverse alla nascita di una forza socialista dalla precisa identità. Vi segnalo un dato decisivo: il consenso a Zingaretti nell’ambito vasto dei “primaristi” è stato enormemente superiore a quello ottenuto entro il partito. Dobbiamo fare una riflessione sul chi, sul come e sul perché - ma già ora è certo che la nuova segreteria ne ha ricevuto un impulso forte, che la rende meno dipendente da troppi opportunistici sostenitori. Allora, mi pare sbagliato dare per ineluttabile un esito e già deciso un confronto che è invece tutto da svolgere. Vi chiedo invece di osservare con mente aperta l’evolversi delle cose, valutando non i risultati in assoluto, ma la direzione del cambiamento, e sostenendo con la vostra simpatia, per quanto possibile, gli sforzi di chi cerca di ricostruire una grande forza di sinistra. Paolo Zinna

lunedì 4 marzo 2019

Pd, Corallo: "Ha vinto Zingaretti con Renzi, non contro Renzi. Non cambierà nulla. Alleanza con M5s? Dibattito idiota" - Il Fatto Quotidiano

Pd, Corallo: "Ha vinto Zingaretti con Renzi, non contro Renzi. Non cambierà nulla. Alleanza con M5s? Dibattito idiota" - Il Fatto Quotidiano

Millennial Socialism | Novara Media

Millennial Socialism | Novara Media

Luciano Belli Paci: Col Pd ogni giorno si rivive il giorno della marmotta

COL PD OGNI GIORNO SI RIVIVE IL GIORNO DELLA MARMOTTA La vita del Pd è uguale a un film, come si addice ad una creatura di Veltroni … I film per l’esattezza sono due: l’americano "Ricomincio da capo" (Groundhog Day: il giorno della marmotta) del 1993 ed il remake italiano del 2004 "E' già ieri", col grandissimo Antonio Albanese. Narrano la storia di un personaggio che rimane intrappolato in un circolo temporale: ogni mattina, alla stessa ora, viene svegliato dalla radio con lo stesso brano, dopo di che la giornata trascorre inesorabilmente allo stesso modo della precedente. Gli eventi si ripetono esattamente uguali ogni giorno, e solo dopo moltissimi tentativi l'incantesimo si spezza e il protagonista può riappropriarsi della sua vita normale. L’analogia con ciò che da anni accade col Pd a me pare impressionante. Il Partito Democratico si fonda sulla coabitazione forzosa tra opposti (non tra diversi che convivono nei grandi partiti, ma proprio opposti: laburisti con neoliberisti, laici con clericali, sostenitori di “un’altra Europa” e feticisti dello spread, custodi del primato della politica e spacciatori di antipolitica, ecc.), una coabitazione garantita e perpetuata dall’assenza di un’identità definita e dall’adozione di un meccanismo americano (del tutto immaginario) di “primarie” per la scelta dei dirigenti. Il micidiale cocktail produce, alternativamente o simultaneamente, una costante rissa interna che ne paralizza l’efficacia politica ed una totale subalternità culturale, dato che il vuoto identitario viene riempito inesorabilmente – complice anche la dipendenza prodotta dalle “primarie” – dalle idee dominanti nell’establishment. Insomma, il partito o parla solo a se stesso, oppure si rende acritico cantore e (quando governa) volenteroso attuatore del pensiero unico delle élite nazionali ed internazionali. In entrambi i casi si produce uno scollamento sempre più profondo tra il partito ed i segmenti della società che una forza di sinistra normalmente rappresenta. Quei segmenti – lavoratori dipendenti sempre più svalutati e precarizzati, giovani con prospettive sempre più incerte, ceto medio che le crisi fanno scivolare verso il basso, ecc. – non si sentono più rappresentati e spesso si sentono francamente traditi, migrando prima verso l’astensione e poi verso la protesta. Nel contempo si determina un nuovo innamoramento tra il partito e l’establishment, con vistosi riscontri nel voto dei residenti nelle ztl. Questa vera e propria sostituzione della rappresentanza, alla lunga, sposta quote sempre più rilevanti dell’elettorato popolare verso i contendenti. Prima, negli anni ruggenti del berlusconismo, si rivolgevano a FI e – nelle periferie del Nord – alla Lega bossiana, adesso, dopo anni di crisi e di grandi coalizioni, si sono spostati massicciamente verso gli attuali campioni del sovranismo e del populismo. Questi spostamenti, però, producono ogni volta un riflesso pavloviano nel circuito - sempre più ristretto e concentrato nei centri urbani - dei militanti e simpatizzanti del Pd, i quali, anziché essere indotti a riflettere sulle cause della costante emorragia derivata dalle posizioni impopolari e non di rado antipopolari del loro partito, vengono ipnotizzati da un clima emergenziale ed accorrono alle “primarie” come se fosse una chiamata alle armi per fronteggiare i barbari. E così continuano a legittimare gruppi dirigenti portatori degli identici vizi originari ed a perpetuarne gli effetti. Il giorno dopo sarà di nuovo il giorno della marmotta. Luciano Belli Paci

Montanari: in Italia quattro destre, nessuna sinistra | Libertà e Giustizia

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Time for a red shift from Germany’s ‘black zero’ • Social Europe

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Cosa ci hanno detto le Primarie del Pd - Lettera43

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Algeria: Cosa succede? | Global Project

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Zingaretti trionfa alle primarie del Pd Ora ha la forza di vincere le tre sfide per rifondare il centrosinistra – Strisciarossa

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Le sfide del segretario Zingaretti dopo le Primarie del Pd - Lettera43

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[agenda] Pacifisme et socialisme : de la IIe Internationale à la guerre froide | EUROSOC Normandie

[agenda] Pacifisme et socialisme : de la IIe Internationale à la guerre froide | EUROSOC Normandie

domenica 3 marzo 2019

Franco Astengo: Parlamento

PARLAMENTO di Franco Astengo “Il Consiglio dei Ministri nella riunione del 28 febbraio scorso ha, in 58 minuti, approvato dieci disegni di legge che spaziano su due terzi della nostra legislazione e prevedono delega al governo del potere di modificarla. Dei dieci disegni di legge uno è generale e riguarda una decina di materie. Le materie su cui è data delega al governo sono: economia, fonti di energia, governo del territorio, ambiente, cittadinanza, acquisto di beni e servizi da parte dell’amministrazione, corruzione, trasparenza, giustizia tributaria, tutela della salute, e si spinge fino a riordinare fiere, mostre, tarature, e pesature”. Gli altri disegni di legge sono, per così dire, particolari, e riguardano il codice civile, i contratti pubblici, agricoltura, turismo, disabilità, lavoro, istruzione e università, ordinamento militare, spettacolo e beni culturali. Su tutte queste materie, insomma, il governo potrà legiferare una volta approvate le deleghe. Contemporaneamente, l’”Osservatorio della legislazione” della Camera dei Deputati ha fornito un calcolo aggiornato del numero delle norme con forza di legge emanate dall’inizio della legislatura (dopo le elezioni del 4 marzo scorso) fino al 22 febbraio 2019, quindi quasi un anno. Da esso si evince che, in questo periodo, sono state approvate solo 29 leggi, di cui 13 sono di conversione di decreti legge del governo. Dunque l’attività parlamentare si è ridotta a 16 leggi, molte delle quali di iniziativa governativa, che rappresentano poco più del 15 per cento della complessiva attività normativa (95 atti che includono leggi, decreti legge, decreti legislativi, regolamenti di delegificazione”. Sabino Cassese, in un suo articolo apparso il 3 marzo su, l “Corriere della Sera” (“Così il governo ha svuotato il Parlamento”) riassume così, in estrema sintesi, il quadro dell’attività parlamentare fin qui realizzata nel corso della XVIII legislatura. E’ il caso, allora, di entrare nel merito di alcune questioni sollevate direttamente dall’articolo oppure soltanto implicitamente richiamate. Il punto della situazione non risiede però nella quantità della produzione legislativa del Parlamento: si tratta di un dato indicativo, che è necessario annotare soprattutto sotto l’aspetto dell’uso dei decreti – legge, della delega e della frequenza del voto di fiducia, ma non si tratta della questione decisiva. Viene a compimento, infatti, in questa evidente e progressiva distorsione della funzione parlamentare un processo iniziato da lungo tempo, almeno dagli anni ’80 del XX secolo allorquando il tema della “governabilità” era stato assunto come centrale rispetto a un modificarsi nelle finalità di fondo dell’agire politico – istituzionale. Un processo nel corso del quale si era cercato di stabilire progressivamente i termini di una “costituzione materiale” di stampo presidenzialista. Una sorta di semipresidenzialismo era stato addirittura previsto nella riforma costituzionale elaborata dalla Bicamerale nel 1997 ma non era presente – ad esempio – nella riforma bocciata dall’elettorato nel 2016. La “Costituzione materiale” non è mai stata portata a compimento come “Costituzione formale”: di conseguenza l’attuale spostamento d’asse nel ruolo del Parlamento denunciato da Cassese nel suo articolo si situa ai limiti del dettato costituzionale e meriterebbe un intervento molto più incisivo da parte del Presidente della Repubblica, alle cui funzioni nello specifico ci si dovrebbe richiamare con molta più forza da parte di chi intende salvaguardare il ruolo dell’istituto parlamentare. La salvaguardia dell’istituto parlamentare rimane il punto di fondo dell’affermazione (e non della semplice difesa) della democrazia. Per finire tener presente che nello stesso articolo già citato ruolo e funzioni del Parlamento sono presentati in maniera perlomeno incompleta. Vi si scrive, infatti: “ I parlamenti hanno due compiti fondamentali quello di dare al Paese un governo e di controllarlo e quello di dettare le regole della comunità”. Una visione giuridico – amministrativa all’interno della quale manca l’enunciazione relativa al ruolo di rappresentanza politica che nel Parlamento deve essere esercitata all’interno della dialettica tra le forze politiche e non necessariamente ristretta al rapporto maggioranza – opposizione (pensiamo, al proposito come esempio, il tema della politica estera). Anche questa è materia di natura costituzionale. Deve essere ricordata ancora una volta la visione di centralità del Parlamento sul piano del confronto politico insita nell’idea fondativa della democrazia repubblicana emersa nel corso dei lavori dell’Assemblea Costituente. Una visione della democrazia repubblicana insita soprattutto nell’azione dei tre grandi partiti di massa, democristiano, socialista e comunista che esercitarono in quella sede una funzione egemonica contrapponendosi sia all’idea liberale di un sostanziale “ritorno allo Statuto” e della considerazione del “fascismo come parentesi” sia all’idea azionista di una democrazia maggioritaria di stampo britannico. E’ necessario richiamare questi elementi quando si discute di ruolo e funzioni del Parlamento: in particolare in una fase come questa dove emergono forti tensioni verso la disintermediazione in funzione della cosiddetta “democrazia diretta” (in tempi di web) e di disarticolazione del tessuto unitario. Disarticolazione del tessuto unitario come si sta tentando di portare avanti propugnando una “autonomia asimmetrica” delle Regioni che assomiglia molto a prove tecniche di secessione. Si aprirebbe a questo punto il discorso sulla funzione degli Stati nazionali e del rapporto con la realtà di espressione di forme di sovranazionalità e di cessione di poteri (come nel caso dell’Unione Europea): un tema che sarebbe necessario affrontare con molta capacità di riflessione e rifuggendo dai propagandismi di maniera che da più parti sono avanzati in attesa dello svolgimento delle elezioni europee. Avremo ancora occasione di rifletterci su.

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sabato 2 marzo 2019

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