venerdì 1 febbraio 2019

Rosa Fioravante: Dopo la socialdemocrazia - Jacobin Italia

Dopo la socialdemocrazia - Jacobin Italia

3 commenti:

Luciano ha detto...



Penso (e spero) che sul saggio di Rosa si aprirà un dibattito.
Comincio io rendendo pubblico questo messaggio che le ho inviato appena terminata la lettura:

"Bello il tuo articolo Rosa. Permettimi però, da socialdemocratico che non si era perduto, di dirti che l’uso che fai della definizione “socialdemocratici” è un po’ troppo statica. La socialdemocrazia è sempre stata dinamica, revisionista, antidogmatica e quello che tu proponi non richiede un suo superamento perché sta dentro il suo perimetro ideale. Piuttosto il problema è un altro: quella che molti hanno interpretato come eclissi della socialdemocrazia è invece eclissi dello strumento al quale storicamente la socialdemocrazia ha affidato la realizzazione dei suoi programmi: lo stato nazionale.
Piegare il capitalismo - non mi illudo nel suo superamento perché “ha i secoli contati” (Ruffolo) - ad un rinnovato primato della politica è complicato soprattutto per questo, perché manca lo scettro di questo primato. Se non troviamo un nuovo scettro, qualunque politica di ispirazione socialista, non importa se radicale o all’acqua di rose, diventa velleitaria. Parliamone.
Luciano"

luigi ha detto...

In possibile dialogo costruttivo per dibattito sollecitato - no
Pirandello - ecco commento del commento.

Ebbene socialdemocrazia.
Vogliamo fare tutta intera la storia della socialdemocrazia a partire
dalla Repubblica di Veimar ? meglio di no. Rosa Luxemburg non
gradisce.
Partiamo però dal manifesto che risale al congresso della SPD a Baden
Baden nel 1959.
Ebbene riassumo da mio libro:
<
Ebbene noi italiani ben 11 anni prima abbiamo fatto di meglio che
coniare un manifesto, abbiamo redatto e approvato la Costituzione
italiana.
E' sostanzialmente socialdemocratica ? Personalmente la ritengo più
assimilabile al manifesto liberalsocialista del 1941 scritto da Guido
Calogero e Aldo capitini, ma non solo, anche da cultura comunista e
cultura cattolico-cristiana, pensiero repubblicato.
Per arricchire il materiale del circolo Rosselli metto in allegato
il Manifesto liberalsocialista per verifica.
Ci sarebbe da aggiungere, chiedere per approfondimenti necessari
anche la Costituzione Tedesca del 1949 giusto 10 anni prima della
grande svolta socialdemocratica del 1959.
Da quale filone di pensiero sarà sorta ... chiedere sempre a
Besostri.
Infine dove voglio arrivare, suggerire al citatissimo guru
internazionale Krugman di leggere la nostra Costituzione e proporla
a Sander come modello di economia mista per formulare un programma
ai Democratici da attuare negli USA.
Altro che scuola e sanità gli obiettivi minimali di un modello
economia mista proposto da Krugman ! Ben altro avevamo realizzato in
Italia fino al tracollo del dopo 1989 con la conversione dei
socialisti europei qui sempre citati Blar-Schroder - terza via - e a
seguire dei comunisti itaiani.
Noi avevamo già con la Costituzione realizzato la "via di mezzo"
portentoso equilibrio tra potere pubblico e potere economico privato
con supremazia però del potere pubblico del privato imponendo la
finalità sociale anche di impresa privata.
Per me socialdemocrazia forse ma ad alta tensione.
Ora siamo senza tutto ciò in balia della plutocrazia di
multinazionali di imprese e finanza e non se ne vede la fine.
Proviamo a ripartire con le elezioni europee con fronte popolare
democratico costituzionale per il quale sta perorando la nascita De
Magistris (per conoscenzaallego articolo odierno su "il Fatto".
Luigi Fasce - DemA Agorà Genova - www.circolocalogerocapitini.it

maurizio ha detto...

L'articolo di Rosa Fioravante pone problemi, suscita interrogativi ed invita ad approfondimenti su piani diversi anche se fra loro strettamente connessi. Penso che Luciano abbia colto il punto fondamentale: la crisi dello stato nazionale nel cui ambito si erano affermate le classiche politiche socialdemocratiche incentrate sulla realizzazione del welfare e sulla redistribuzione del reddito mediante la leva fiscale. Questo modello ha funzionato nel corso dei trenta gloriosi, come ormai siamo abituati a definire il periodo che va dalla fine della Seconda Guerra Mondiale alla metà degli anni '70, ed ha prodotto i risultati che conosciamo. Poi è entrato in crisi sotto la spinta di molteplici fattori: l'abbandono da parte degli USA dell'aggancio fra dollaro e oro nel 1971, i ripetuti shock petroliferi successivi alla guerra del Kippur del 1973, l'inflazione e gli squilibri nel sistema dei cambi che ne sono derivati. La risposta capitalista è stata l'accelerazione delle tendenze globaliste già in atto ed una narrazione neo-conservatrice tesa all'esaltazione di un ritrovato individualismo e al rifiuto di ogni intervento dello Stato nella sfera economica. Reagan e Thatcher ne sono stati i campioni sotto il profilo politico ed hanno espresso ed affermato un'elaborazione culturale che si poneva in rotta di collisione con le politiche keynesiane e riformiste. Tutto questo si realizzava in un quadro caratterizzato da profondi cambiamenti tecnologici e produttivi dovuti all'affermazione dell'informatica, dell'automazione e della robotica; da un'organizzazione del lavoro sempre più lontana dalle grandi concentrazioni operaie tipiche del modello fordista; da una stratificazione sociale non più piramidale ma con un ampio ceto medio in progressiva crescita proprio per effetto delle politiche redistributive. La crisi della socialdemocrazia inizia in questa fase e paradossalmente il suo declino coincide, almeno in parte, con il raggiungimento dei suoi obiettivi. Il colpo di grazia avviene con il crollo dell'URSS e dei paesi satelliti. Questo infatti non viene percepito come vittoria del socialismo democratico e riformista su quello autoritario di origine leninista. ma come assoluta e definitiva affermazione del capitalismo (la fine della storia). La risposta delle forze socialdemocratiche è debolissima e nessuno ha più la forza e il coraggio di opporsi al nuovo corso mercatista e globalista. Poi però è arrivata la crisi del 2008, nella quale continuiamo ad essere immersi, ed è risultato chiaro, almeno per chi voleva vedere e capire, che il meccanismo non conduceva affatto al migliore dei mondi possibili.
Da allora e via via sempre più ci si pone la domanda del che fare, ma al di là delle situazioni locali e contingenti non abbiamo risposte di ampio respiro proprio perché il capitalismo, cioè il potere economico, è globale mentre gli stati, che dovrebbero essere espressione del potere politico, sono nazionali. Questo significa che lo stato nazionale va superato in direzione di entità sovranazionali? L'esperienza dell'UE dimostra che questa è una favola per non dire di peggio. Dobbiamo forse rinchiuderci in una dimensione esclusivamente nazionale, sostenuta da politiche economiche protezionistiche? E' un'illusione che nel mondo di oggi non reggerebbe a lungo e infatti nessuno ci crede seriamente, nemmeno quelli che fingono di sostenerla.
Posso solo concludere con la stessa espressione usata da Luciano: parliamone. Anche se, lo confesso, il parlare spesso mi sembra inutile.
Maurizio Giancola