lunedì 24 dicembre 2018

Franco Astengo: Ritorno alla politica?

RITORNO ALLA POLITICA? L’INDIVIDUALISMO DIFENSIVO di Franco Astengo “Più fiducia nello Stato e nella Politica, L’Italia preferisce la democrazia”. Titola così “Repubblica” a proposito del rapporto Demos sugli italiani e le istituzioni pubblicato oggi, 24 dicembre. Nell’incipit l’articolo di presentazione dei dati recita: “ Per anni, e da anni, in Italia ha soffiato un vento anti – politico. Partiti, leader, istituzioni e amministrazioni nazionali e locali nessuno è stato risparmiato dal sentimento di sfiducia largo e generalizzato. Oggi comunque sembrerebbe finito, comunque sospeso. Così almeno emerge dal XXI rapporto “Gli italiani e lo Stato” curato da Demos per la “Repubblica”. Pur tuttavia la lettura dei dati induce a un qualche minor ottimismo rispetto alla segnalata inversione di tendenza, soprattutto se si analizzano alcuni aspetti particolari che pure risultano segnalati e approfonditi nell’analisi di Demos. E’ il caso però di compiere un passo indietro e gettare uno sguardo sulle profonde modificazioni che il rapporto tra l’opinione pubblica e la politica ha subito nel corso degli anni e – ancora – quanto queste modificazioni abbiano inciso all’interno della stesso sistema politico italiano. Modificazioni, sia ben chiaro, verificatasi anche sulla base dei mutamenti di scenario avvenuti sul piano internazionale prima di tutto con lo svilupparsi del processo europeo, a partire dalla stipula dei trattati, in specie fondamentale quello di Maastricht. In sostanza servirebbe un bilancio dei trent’anni della lunga “transizione italiana” principiata dalla fine del sistema basato sui grandi partiti di massa che raccoglievano, all’incirca, quattro milioni di scritti complessivamente ai quali andavano aggiunti i milioni di iscritti al sindacato (all’interno dei quali iscritti non prevalevano numericamente i pensionati) e alle associazioni categoriali intermedie. Un bilancio che naturalmente dovrebbe comprendere la valutazione riguardante l’abbassamento della percentuale dei votanti, mantenutasi costante per un lungo periodo attorno al 90% e poi scesa, pur con qualche recupero, di decine di punti fino a toccare, nell’occasione ad esempio, dei ballottaggi cifre al di sotto del 50%. Intanto mutavano completamente i termini del dibattito politico, prima sempre più determinato dal video e in seguito reso ancora più complesso dall’entrata in scena dei nuovi strumenti di comunicazione che fanno sì come l’iniziativa politica si fonda con il racconto personale portando la personalizzazione a un livello esasperato fino alla confusione tra pubblico e privato. Questo sarebbe un punto non secondario da dirimere circa la valutazione del rapporto con la politica da parte dell’opinione pubblica in gran parte impegnata proprio nell’utilizzo di questi mezzi. Questi elementi di assoluta novità sul piano culturale hanno costruito un vero e proprio spostamento d’asse che ben si può rilevare nella documentazione analitica che accompagna le percentuali del sondaggio di Demos sui diversi argomenti. Non si dispone qui dello spazio necessario per una approfondimento come pure sarebbe necessario. E’ il caso però di rilevare le contraddizioni che si rilevano in questo presunto/possibile riavvicinamento alla politica. Prima di tutto i dati, come segnalano anche Giordani e Porcellato nel loro commento, rivelano un mix di individualismo, familismo e insoddisfazione al punto che riceve il massimo consenso la possibilità di autodifesa usando le armi: proprio il cavallo di battaglia della Lega. Si rivela così l’esistenza di una sorta di “individualismo difensivo” che sembra prendere il posto dell’aggressivo “individualismo competitivo” che aveva caratterizzato la fase centrale dell’emergere della crisi del 2008 e anni seguenti. Un “individualismo difensivo” che si pone, quale elemento diffuso di percezione sociale, in relazione proprio all’agire politico e al ruolo delle istituzioni. La linea di demarcazione tra il difensivo e il corporativo, infatti, è molto sottile: una combinazione che ha portato appunto allo scomposizione del dissenso e del consenso che ormai si esercitano su “single issue” in contraddizione tra loro; scelte appunto che vengono effettuate da singoli in funzione della propria conservazione di ruolo e di status, chiedendo proprio alle istituzioni di operare in funzione conservativa. E’ nata così quella particolare forma di populismo che oggi verifichiamo porsi in atto nella nostra realtà nazionale e che – a sinistra – sconfina addirittura in idee di tipo sovranista nel richiamo a una mal digerita “identità nazionale” pur esercitata nei tempi passati in funzione però di legittimazione della classe sul piano della presenza politica. Nasce così quello che, sempre in commento al rapporto di Demos, è definito da Ceccarini e Pierdomenico come “voglia di impegno ma disperso in mille rivoli”. Senza cioè che si possa definire un quadro di “interesse generale” o di prospettiva politica. Si giustifica in questo modo il voto, da un lato al M5S ben caratterizzato socialmente e geograficamente si direbbe in termini etnico – corporativi e dall’altro alla Lega. I due soggetti, attualmente al governo, hanno trovato la soluzione del “contratto” quale strumento per conciliare le rispettive divergenti basi di consenso. Si verificherà adesso, quando la manovra finanziaria dovrà essere posta con i piedi per terra dei provvedimenti concreti l’esito di questa vicenda. Le avvisaglie sono quelle di una “assenza d’anima” e di una piattaforma elaborato non tanto al ribasso ma estranea (nella trattativa con l’Europa) all’essenza delle due proposte politiche sulla base delle quali si era raccolto il consenso necessario per consentire proprio la stipula del contratto. Ma si tratta di una valutazione per forza provvisoria. L’altro punto sul quale si sviluppano le contraddizioni operanti nella società italiana, almeno secondo di dati elaborati da Demos, riguarda il concetto di democrazia e il tema della rappresentanza politica. Nell’analisi di Bordignon e Securo si rileva, infatti, come la democrazia sia stata definita come: ” l’unico orizzonte possibile per la maggioranza degli italiani”. Mentre rimane sullo sfondo un 19% che pensa accettabile, in determinate circostanze, un regime autoritario (percentuale non trascurabile) il tema della democrazia è affrontato da una percentuale molto rilevante di intervistate/i (40%) in un quadro di ridimensionamento delle funzioni del Parlamento. Si tratta di un dato frutto essenzialmente della scomparsa nel dibattito politico del concetto di “rappresentanza” e dello spostamento verso il “decisionismo” verificatosi proprio al momento della scomparsa dei grandi partiti di massa e alimentato, non solo dal cambiamento dei sistemi elettorali, ma soprattutto dalla crescita – a tutti i livelli-. dal peso della personalizzazione (a questo punto tornerebbe in ballo il discorso sull’utilizzo dei mezzi di comunicazione di massa in funzione della costruzione dell’élite). Il tema della rappresentanza politica e del fatto che la conclamata “centralità” del Parlamento (poi puntualmente disattesa nei fatti attraverso l’intreccio tra decretazione e voto di fiducia) deriva essenzialmente dall’incapacità di sintesi dovuta alla crisi verticale della soggettività coincidente con la sparizione della funzione di integrazione sociale svolta a suo tempo dai partiti. E’ emerso così un intreccio fra tecnocrazia decisionista e spinta al potere personale che sta realizzando forme inedite rispetto a quelle classiche della democrazia liberale (circola addirittura una tesi di “democrazia illiberale) soprattutto a livello internazionale, facendo registrare così anche forti difficoltà di tutti gli organismi sovranazionali compresi trattati di vario tipo incluso quello di non proliferazione nucleare con il ritorno di una fase geopolitica nella quale s’intravvedono nuove tensioni imperialiste. In questo senso la situazione italiana non è certo provinciale, ma soffre particolarmente del derivare da particolari condizioni di partenza quelle che erano state definite come “caso italiano”. “Caso Italiano” che era riassumibile nella particolare conformazione data alla democrazia parlamentare da una Costituzione che aveva mantenuto per decenni un forte influsso, anche morale, sulla dinamica politica. Adesso che il “caso italiano” può essere considerato all’opposto di come lo si poteva valutare anni addietro si riapre un dibattito di fondo sulla qualità della democrazia. I segnali del rapporto di Demos sono timidi ma sembrano andare nel senso del recupero di una dimensione di riflessione collettiva sul tema: toccherebbe a chi pensa di potersi impegnare in questa direzione ad affrontare la questione in termini non generico partendo proprio dal recupero di una espressione di sintesi da parte di rinnovate soggettività politiche. E’ il tema del partito che ritorna alla ribalta della riflessione politica.

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