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martedì 4 dicembre 2018
Franco Astengo: Democrazia diretta, parlamento, costituzione
DEMOCRAZIA DIRETTA, PARLAMENTO, COSTITUZIONE di Franco Astengo
Dal punto di vista della tenuta costituzionale non può che suscitare profonda preoccupazione l’avvio della discussione sull’introduzione del referendum propositivo.
Leggendo, infatti, il resoconto delle audizioni tenute in Commissione da alcuni costituzionalisti pare emergere, infatti, ben oltre il dibattito sull’assenza del quorum o su altre particolari tecnicalità, il principio di fondo che anima l’idea di questa proposta in particolare da parte del Movimento 5 stelle.
L’idea è quella dell’anti – parlamento, del superamento della democrazia rappresentativa, del populismo eretto a sistema con una costante contrapposizione tra il “popolo” e le istituzioni rappresentative, lasciando il Governo a diretto confronto con la massa senza volontà di espressione dell’intermediazione politica.
Nella sostanza ci troviamo di fronte ad un’ipotesi di rovesciamento dell’impianto costituzionale proprio sul terreno più delicato: quello della forma di governo.
Un tentativo che si reitera nel tempo, già presente nei testi elaborati dalla Bicamerale presieduta da D’Alema tra il 1997 e il 1998, successivamente nella proposta di riforma costituzionale fatta approvare dal governo Berlusconi nel 2006 e poi bocciata nel referendum confermativo e – ancora – nella riforma voluta e approvata dal PD nel 2016 e sonoramente sconfitta dal voto popolare il 4 dicembre dello stesso anno.
I tre progetti disponevano però di un punto in comune: quello di avviare comunque la forma di governo verso il presidenzialismo, sia con l’elezione diretta (il progetto della Bicamerale prevedeva il semipresidenzialismo alla francese, quello del PD del 2016 spostava dal Parlamento al Governo la potestà legislativa).
In questo caso, invece, l’obiettivo è quello della disintermediazione compiute (comunque pure vagheggiata anche dal già ricordato progetto del PD 2016), dell’annullamento di tutti gli strumenti organizzati della mediazione politica e sociale.
Risulterà fondamentale la questione dei limiti dell’ammissibilità del referendum propositivo soprattutto al riguardo delle leggi di spesa e di quelle riguardanti i trattati internazionali.
A questa situazione corrisponderà, ovviamente, il rafforzamento dell’uso del web per la decisionalità politica, inoltrandosi così per quella strada di vera e propria abolizione dell’istituto parlamentare già preconizzata da qualche tempo dai vertici dello stesso movimento.
In conclusione, allo scopo di argomentare al meglio le ragioni per le quali l’Assemblea Costituente scelse la forma di governo Parlamentare dell’idea che all’epoca si aveva dell’istituzione e per confermare la volontà di difendere la forma di governo di tipo parlamentare non trovo di meglio che riportare le parole con cui Umberto Terracini aprì, il 4 marzo 1947, in Assemblea Costituente, la discussione generale del progetto di Costituzione della Repubblica italiana:
«... La imminente discussione, onorevoli colleghi, deve assolvere - oltre che quello costituzionale —un altro compito, che non dirò gli sovrasta, ma certo gli sta a paro.
Essa deve dare conforto a tutti coloro — e sono incommensurabilmente i più, fra il popolo italiano — che nell’ ʼ istituto parlamentare vedono la garanzia maggiore di ogni reggimento democratico; a tutti coloro che, soffrendo in sé — nel proprio spirito — di ogni offesa e ingiuria che venga portata contro il principio rappresentativo e gli istituti nei quali esso storicamente oggi sʼincarna, vogliono però a buon diritto, e si attendono, che questi non vengano meno al proprio dovere: che non è solo quello di elaborare testi legislativi e costituzionali, ma anche di essere in tutti i propri membri esempio al Paese di intransigenza morale, di modestia di costumi, di onestà intellettuale, di civica severità; e ancora — me lo si permetta — di reciproco rispetto, di responsabile ponderatezza negli atti e nelle espressioni, di autocontrollo spirituale ed anche fisico, di sdegnosa rinuncia a ogni ricerca di facili popolarità pagate a prezzo del decoro e della dignità dell’ʼAssemblea.
È certo difficile, dopo tanta immensità di umiliazione nazionale, ritrovare dʼun tratto quellʼincrollabile equilibrio interiore senza il quale non può darsi alcuna consapevole e conseguente attività politica, e cioè attività in servizio del bene pubblico. Ma ciò che per tanti, più prostrati dalla miseria e meno ferrati nel sapere, può ancora essere una meta da raggiungere, per noi — che abbiamo osato accogliere lʼofferta di farci guida del popolo — per noi ciò deve essere, o dovrebbe essere, certamente una meta già conquistata.
Io amo, dunque, pensare, onorevoli colleghi, che lʼalta impresa cui oggi moveremo i primi passi, impegnandovi ogni nostra forza dʼingegno, ogni nostro moto di passione, ogni nostro fervore di fede, riuscirà a dare prova ai nostri e ai cittadini di tutti i Paesi del mondo che lʼAssemblea Costituente italiana è pari alla sua missione, e degnamente rappresenta il popolo che lʼha eletta, un popolo probo, eroico, incorrotto».
Primo compito dellʼAssemblea rappresentativa è dunque dare esempio ”: di intransigenza morale, di modestia di costumi, di onestà intellettuale, di civica severità, di reciproco rispetto, di responsabile ponderatezza negli atti e nelle espressioni, di autocontrollo spirituale ed anche fisico, di sdegnosa rinuncia a ogni ricerca di facili popolarità.
Compito che non avrebbe potuto essere surrogato dalla perfezione tecnica del metodo, che «non sarà sufficiente a soddisfare le attese ansiose che circonderanno il nostro lavoro. E neanche le placheranno lʼabbondanza di erudizione, lo splendore della dottrina, il dominio del ragionamento, lʼabilità polemica, la ricercatezza del linguaggio di cui la nostra tornata parlamentare sarà ricca e generosa».
Dal basso e dallʼ alto: le due direzioni della rappresentanza.
Si potrebbe facilmente dire che alla situazione odierna, di disprezzo/dileggio della rappresentanza, siamo giunti perché coloro che si attendevano quel buon esempio sono rimasti delusi e frustrati dal cattivo esempio.
Ricordo, infine, che Umberto Terracini (1895 – 1983) fu arrestato dai fascisti nel 1926 in violazione dell’immunità parlamentare e liberato soltanto al 25 luglio 1943, dopo aver trascorso 11 anni in carcere e 8 anni al confino prima a Ponza poi a Santo Stefano.
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