sabato 26 agosto 2017

Franco Astengo: Democrazia e fine della politica

DEMOCRAZIA E FINE DELLA POLITICA di Franco Astengo Il punto che questo intervento intende evidenziare è quello di una vera e propria carenza di cultura politica, a tutti i livelli derivante dall’assenza di “agenzie cognitive” che se ne occupino: l’Università, in generale, propone schemi prefissati e ha grandi responsabilità nell’idea di una politica fatta esclusivamente sui sondaggi e non sulle idee; i partiti hanno completamente rinunciato ad una funzione pedagogico e hanno abbandonato l’idea della funzione guida della storia trascurando completamente la memoria; le istituzioni non rappresentano più la sede della saldatura tra società e politica da realizzarsi attraverso il suffragio e, di conseguenza, il consenso e svolgendo così il ruolo indispensabile di mediazione sociale e culturale. La crisi della democrazia rappresentativa di marca occidentale sta interessando la riflessione di vasti settori intellettuali che si cimentano in diversi spunti di analisi. I due maggiori quotidiani italiani hanno recentemente dedicato spazio a questo tema, sia pure affrontando l’argomento in forme diverse, nei loro inserti culturali “La Lettura” del Corriere della Sera e” Robinson” per Repubblica. La Lettura, nel numero di domenica20 agosto ha pubblico il testo di un colloquio tra Han Ulrich Obrist e il controverso artista cinese Ai Weiwei che sta per presentare in concorso al Festival di Venezia il suo film “Human Flow”. Un kolossal sulle migrazioni girato il 22 paesi attraverso quaranta campi profughi realizzando seicento interviste e mille ore di girato. Nel suo film Ai Weiwei affronta i nodi delle contraddizioni epocali cui oggi la democrazia sembra non essere più in grado di dare risposta: guerre, carestie, malattie, choc climatici e la crisi dell’umanità in fuga. Nel testo dell’intervista s’individuano quelle che vi sono definite come “emergenze planetarie”: la libertà di parola e la democrazia. Si pone così la grande questione della politica di oggi, se intendiamo ancora considerarla tale nella sua etimologia classica: le cose che ineriscono la Polis. Il tema è quello della sorveglianza cui siamo sottoposti e a cui dobbiamo sottoporre i governanti : il reciproco interscambio tra governanti e governati. Appare evidente come, nell’analisi che emerge dal colloquio tra Obrist e Ai Weiwei si smentisca l’assioma democrazia uguale politica che per due secoli aveva retto una presunta superiorità del sistema occidentale “classico”. Lavoro da svolgere per chi intende misurarsi nel definire una nuova complessità dei cleavages sociali. In precedenza “Robinson” inserto culturale di Repubblica si era occupato, nel numero uscito domenica 30 Luglio, del ruolo dei social network nella diffusione di notizie e nella relativa formazione di opinione politica. In quel testo si sono ricostruiti schematicamente tutti i passaggi dal 1980 quando nacque l’Electronic Frontier Foundation per tutelare e promuovere i diritti digitali, considerata la “madre” di tutti gli attivismi online fino al 2016 con la campagna elettorale di Trump nel corso della quale si evidenzia un uso spregiudicato, diretto e aggressivo di Twitter (“Fake news” comprese). Appaiono evidenti due cose che probabilmente tutti noi consideriamo scontate ma che non sono state ancora sufficientemente analizzate: 1) Il peso, inedito nella storia della democrazia e nell’insieme delle relazione politiche, di questi strumenti di comunicazione, di formazione e aggregazione del consenso quali sostituivi dei classici meccanismi usati a questo proposito a partire dalla prima rivoluzione industriale e dalla nascita degli ormai tramontati partiti di massa; 2) La creazione di una realtà virtuale illusoriamente percepita come effettiva e concreta da parte degli utenti e sede effettiva della discussione politica (ma non solo). Si annullano così gli elementi che hanno condotto a stabilire le consolidate gerarchie nella presenza politica nell’appartenenza e nella conoscenza. Quella scala gerarchica che ha portato , nella realtà dei soggetti culturali e politici, al formarsi dei cosiddetti “gruppi dirigenti” o élite. Chissà, al proposito cosa avrebbero scritto oggi Michels, Pareto, Weber? Si è così costruita quella che, nel suo articolo presente nel citato inserto di “Robinson”, Tom Nichols definisce come “Illusione egualitaria” creata, appunto, dall’immediatezza dei social network che per l’appunto cancella l’autorevolezza dei gruppi dirigenti consolidati e crea l’illusione del “tutti alla pari”. E’ evidente che si tratta di fenomeni sui quali approfondire riflessione e dibattito anche perché usati, nella politica nostrana, con sorprendente approssimazione e faciloneria e causa di clamorosi fraintendimenti in particolare sul terreno della costruzione di pericolosi e sostanzialmente illusori meccanismi di “democrazia diretta”. Fenomeni che stanno alla base del pericolosissimo concetto della disintermediazione che, per restare in Italia, fa parte di una buona quota della propaganda del M5S e del PD(R). Disintermediazione che , alla fine, favorirebbe davvero l’egemonia di quella “società dello spionaggio” di cui parla Ai Weiwei . C’è da domandarsi: l’azione politica agita attraverso gli strumenti della comunicazione “social” crea nuova acculturazione e di conseguenza diversa aggregazione oppure soltanto l’illusione di un’inedita forma di democrazia diretta, diversa da quella che abbiamo fin qui considerata sul modello plebiscitario del consenso diretto nella relazione tra il Capo e le masse? Al di sopra di questa comunicazione “social” non agisce forse un qualche potere occulto, non paragonabile neppure al “Grande Fratello” orwelliano ma dotato di poteri di controllo assolutamente superiori perché insiti direttamente nella vita quotidiana delle persone modellandone i comportamenti effettivi? Questo è, mi pare, l’interrogativo di fondo, quello più pregnante e insidioso. Pare proprio che, alla fine, il confronto si sia spostato tra una teoria dell’intermediazione elitista (strutture portanti i partiti fondati sulla legge ferrea dell’oligarchia e le assemblee elettive proporzionalmente rappresentative di queste élite all’interno delle quali si verifica lo scambio del potere) e una visione dell’immediatezza di una democrazia diretta fondata sulla verticalizzazione del potere personalizzato, tagliando fuori quella che era l’antica visione pluralista. Attenzione: verticalizzazione del potere, ripetiamo “ad abundantiam” che contiene in sé gli elementi di inedite forme di controllo non semplicemente “sociali” (com’era un tempo) ma “personali”. Sorge forse da qui la crisi della democrazia liberale: una crisi della quale la democrazia dei social porta responsabilità evidenti. Sono anche palesi gli interrogativi che ne sorgono in sistemi sempre più sprovvisti di un consenso di base e con una partecipazione elettorale in picchiata di partecipazione. intendendo beninteso la partecipazione elettorale quale base minima per verificare il concorso collettivo alla cosa pubblica ( e non di più, senza affidare al voto alcunché di salvifico di per sé). Forse sarebbe il caso di tirare diritto e di proseguire nel proporre un agire politico fondato sugli antichi strumenti del partito a integrazione di massa e del Parlamento rappresentativo delle principali sensibilità politiche (“Specchio del Paese”) e di un governo che si forma in quella sede. Ma quest’ultima è soltanto un’opinione espressa da chi ha vissuto davvero un’altra epoca. Quel che è certo che la crisi della democrazia rappresentativa come “fine della politica” non appare più , come si pensava un tempo, un’ipotesi – limite da evocare alla stregua di una provocazione speculativa. Sembra proprio che abbiamo ormai perduto la capacità di indagare sul variare delle “forme”, dei soggetti, dei luoghi della politica nel contesto della post – modernità dell’Occidente dominata ormai dalla relazione tecnica /vita e di conseguenza tecnica / politica. Siamo pigri nel cercare di capire cosa ha resistito e cosa è completamente deperito dei tradizionali dispositivi teorici davanti ai mutamenti che hanno sconvolto le figure più familiari dell’analisi politica e sociologica. Una pigrizia che ha portato, ad esempio, a decretare anzitempo la fine dei due soggetti portanti nell’analisi politica del ‘900: le classi e lo Stato Nazionale. Abbiamo ceduto al mito della “società complessa” arrendendoci all’apparente primato della “governabilità” senza vedere quanto restava di ancorato nella società di sopraffazione e sfruttamento ( del lavoro, dell’ambiente, di genere) come base di quello che dobbiamo continuare a definire come “arretramento storico”. Si sta tentando di imporre una verticalizzazione del potere incontrollato da una sorta di autonomia della “società orizzontale”: un nuovo feudalesimo tecnologico basato su di un impianto esclusivamente individualistico. Una riflessione in questo senso potrebbe rappresentare anche un primo punto d’inversione di tendenza rispetto al declino in atto: declino che si compone degli elementi sopra enunciati , guerre, carestie, malattie, choc climatici , la crisi dell’umanità in fuga, sottrazione delle forme codificate di controllo del potere da parte della base sociale, nuovo feudalesimo basato sul rifugio individualistico nell’uso della tecnologia. Le “sette piaghe” della modernità racchiuse tutto all’interno della categoria dello sfruttamento? Probabilmente sì.

10 commenti:

felice ha detto...



Prime riflessioni:
Il primo problema è quello del voto e delle elezioni, che da strumento democratico, anche se pensate e sviluppate in una oligarchia aristocratica, da strumento di consolidamento democratico con l'estensione del suffragio fino alla sua universalità sono diventate il ventre molle della democrazia, perché i rappresentanti non sono scelti dagli elettori, ma i candidati si scelgono il corpo elettorale. Questo fatto combinato con la crisi dei partiti, almeno nell'accezione prefigurata dall'art. 49 Cost. sono un segnoindelebile della crisi democratica. Legittimazione democratica e potere effettivo non coincidono più, d'altro canto la democrazia si è sviluppata dapprima nelle città e poi negli stati nazionali, soggetti emarginati dalla globalizzazione ed internalizzazione. Nelle organizzazioni internazionali, gli stati sono rappresentati dai governi, che in tale veste non rispondono ai rispettivi parlamenti ma all'assemblea delle organizzazioni internazionali, cioè agli altri governi. Alcune organizzazioni internazionali ( In Europa Consiglio d'Europa, O.S.C.E., In.C.E.hanno una dimensione parlamentare con funzioni ancillari, ma almeno in Italia, il parlamento non da direttive alle e non ascolta rapporti delle proprie delegazioni.
Consiglio di lettura: David Van Reybrouck, CONTRO LE ELEZIONI-Perché Votare Non è Più Democratico-
Serie bianca-FELTRINELLI, 2015, p. 155


Felice C. Besostri

franco ha detto...

Mi pare ci sia piena coincidenza con l’incipit del mio intervento che sottolineo: le istituzioni non rappresentano più la sede della saldatura tra società e politica da realizzarsi attraverso il suffragio e, di conseguenza, il consenso e svolgendo così il ruolo indispensabile di mediazione sociale e culturale.

lorenzo ha detto...

Credo che dovremmo tutti porci un paio di semplici domande. La prima: ci sentiamo rappresentati, personalmente o come categoria, dal Parlamento in carica? Temo che la risposta sarebbe largamente negativa (a meno di non essere parenti amici conoscenti, o beneficiati, di un certo parlamentare; a meno di non avere a disposizione un lobbista che porti avanti le proprie istanze o quelle di categoria; in entrambi i casi con l’effetto di distorcere la rappresentanza a favore del privilegio…). Seconda domanda: crediamo che saremmo meglio rappresentati da un Parlamento eletto con un sistema proporzionale? Avremmo un Parlamento immune dai vizi indicati prima? E, nel caso di voto proporzionale: con o senza preferenze? (Con la possibilità, nel secondo caso, di vendere il proprio voto a fronte di qualche beneficio?). O forse non ci sentiremmo meglio rappresentati da un parlamentare eletto in un piccolo collegio (se i parlamentari sono circa seicento, un collegio potrebbe contenere centomila abitanti, cioè un mondo dove tutti conoscono tutti) con la possibilità di seguirlo, contattarlo, controllarlo, perché al collegio deve rimanere legato… Secondo me questa è la rappresentanza: non quella di un parlamentare che rappresenta sessanta milioni di abitanti, quindi, in realtà, solo se stesso e i propri interessi…


Lorenzo Borla

roel ha detto...

L'analisi sulla crisi della "democrazia rappresentativa" risulta abbastanza circostanziata, invece quelle che risultano assenti o deboli sono le proposte per superarla. -Al politico, al politologo, all'analista oltre che l'esame della realtà, si chiede : Quali sono i rimedi possibili? Quali le soluzioni? Come è possibile realizzare un modello sociale rispondente a criteri di maggiore equità senza sacrificare le conquiste positive come la libertà e la salvaguardia della dignità umana? Tramite quale modello di società e attraverso quali meccanismi sarebbe possibile assicurare a ciascuno il minimo vitale per una sopravvivenza dignitosa, capace di produrre forme di convivenza civile e di rispetto delle regole secondo il criterio guida del perseguimento del "bene comune" e "interesse collettivo"? Sappiamo, per es., che basterebbe azzerare per qualche tempo le spese militari di tutti gli stati per risolvere la fame nel mondo. Come mai non si parla più di disarmo, quando invece si esaltano. con espressioni gioiose da bimbi viziati, armamento missilistico e super-bombe? Forse che le aberrazioni dell'uomo e la sua irrazionalità è già scritta nel destino dell'apocalisse di Giovanni e nella fine dei lemmi? Ma non ci è stato anche insegnato che l'uomo è l'artefice della propria storia perchè la fa e quindi ne è l'unico responsabile? Quali altri organismi internazionali bisognerebbe creare o potenziare quelli esistenti per assicurare pace e giustizia nel mondo evitando che siano interessi nazionali o di parte, o dei potentati economici a creare discordie e veti? Come è pensabile assicurare ordine e convivenza pacifica tra i popoli quando vi sono intere aree in cui si vive con un dollaro al giorno pro-capite? E che ne sarà dell'umanità quando a breve la popolazione mondiale si duplicherà, mentre continuerà a restare assente o discontinua una politica demografica di contenimento? A trarre beneficio di tante contraddizioni sono i soliti profittatori, per cui vi sono personaggi la cui ricchezza supera a volte quella di interi stati del mondo sottosviluppato, forse proprio perchè si sono appropriati delle risorse di detto mondo. Urge che la stessa libertà sia sostanziale senza essere appannaggio di pochi o diventare libertinaggio . Non si può continuare a saccheggiare il territorio o ad avvelenare l'aria imponendo poi alla collettività di sopportarne le conseguenze e i costi. La "democrazia" fondata sul suffragio sta rivelando di aver prodotto frequentemente guasti e devianze incalcolabili, ivi compresa la prevalenza del numero sulla qualità e dell'intrallazzo sulla rettitudine. Bisognerà forse trovare qualche nuovo sistema per la designazione delle rappresentanze? Con quali rischi?

Un saluto, Roel

alberto ha detto...

Temo che le questioni sollevate siano un po’ più complesse. Per esempio spese militari e fame nel mondo: la gran parte degli economisti concorda sul fatto che la grande recessione americana fu sconfitta solo con l’entrata in guerra perchè fu gioco forza rimettere in moto tutta l’industria pesante e di alta tecnologia. Dopo l’America non passò un solo anno senza coinvolgersi in qualche guerra ( Corea, Vietnam, Afghanistan, Siria ecc.) perchè non poteva rinunciare alla fetta più grande del proprio PIL: quella che girava, e gira, attorno all’industria bellica. Il problema dunque è molto più complesso che non sospendere tale settore industriale per qualche anno. Per farlo occorrerebbe una volontà “mondiale” “durevole” - basta uno che si arma perchè gli altri non possano disarmarsi – di riconversione di tutto quanto gira attorno a tale industria. Altrimenti si entra in una profondissima crisi economica mondiale. Quanto alla “Democrazia” sarebbe utile andare a rileggere le riflessioni di Aristotele nel testo “Politica” (a pag. 125 del testo pubblicato da Economica Laterza ediz. 2002) là dove mette a confronto la democrazia là dove tutti possono ricoprire cariche ( eguaglianza dei cittadini indipendentemente dal censo o latro) ma impera la Legge , da un’altra forma di democrazia che ha tutti gli stessi requisiti di eguaglianza ma sovrana è la massa e non la Legge. E, scrive Aristotele, questo avviene quando sono sovrane le decisioni dell’assemblea e non la legge: e ciò accade per opera dei demagoghi. che ivi appaiono perchè allora diventa sovrana non la legge ma il popolo, la cui unità è composta di molti. Tema dunque antico quello della rappresentanza e della sua forma migliore.

luigi ha detto...

"collante ideologico"
il capo funzionale che deve ricoprire questo o quella carica ... da
segretario di Partito a deputato o senatore è necessario che abbia in
comune con il suo più umile compagno di base lo stesso collante
ideologico quello che ha tenuto assieme i compgni comunisti, noi
socialisti, i democristiani i repubblicani.
Ci hanno sottratto il collante ideologico senza cui dunque siano
tornati al medioeveo con fedeltà alla persona sia specchiata sia
farabutto.
Io al tempo delle preferenze votavo sempre in minoranza il mio
candidato achilliano che regolarmente perdeva ... ma quelli che
vincevano avevano la strada stretta dettata del collante ideologico
del Socialismo democratico e nel disbrigo delle proprie mansioni
alte, terra terra aveva come indicatore la Costituzione italiana
... con principi, diritti civili sociali e modello economico ...
percorso senza tema di sbagliare da parte dei mariuoli (piccoli e
diffusi tangentari) ma anche da parte di "statisti" che facevano
realizzare riforme strutturali "il riformismo è socialista o non è".
Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare.
(SENECA)
Per restare ai tempi nostri mi pare che si sia persa bussola e stella
polare.
Non mi interessa la rappresentanza democratica tout court con o senza
preferenze con senza o con collegio elettorale di riferimento ... la
guida per tutti ha da essere ritrovata nella Costituzione via
italiana al socialismo. Ci hanno fatto saltare ponti e divelto binari
costituzionali, ora la gente si aggira confusa.
Un dialogante franco saluto.
Luigi Fasce

roel ha detto...

E' ovvio che la sospensione degli armamenti per far fronte alla fame del sottosviluppo dovrebbe avere carattere mondiale, tant'è che nel mio intervento ho parlato del coinvolgimento di "tutti gli stati". Finchè un tale obiettivo non si raggiunge, accade, ovviamente, la rincorsa continua a sopravanzare l'ipotetico avversario, per cui la terra continua a diventare una polveriera che minaccia la sopravvivenza sull'intero pianeta. Seguendo la logica della stabilità economica sostenuta dall'industria bellica come settore trainante, si rischia di sottovalutare i pericoli imminenti e futuri che essa comporta e che sono più consistenti di gran lunga dei vantaggi provvisori. Di ciò si corre il rischio di non poterci neanche accorgere quando sarebbe troppo tardi!!!! Quanto ai difetti della democrazia greca, bisogna considerare che alcuni paletti correttivi di bilanciamento erano stati previsti, primo fra tutti e fra i più importanti, oltre all'ostracismo, il "SORTEGGIO".

Personalmente, ancor prima di Ainis, avevo parlato dell'introduzione di un "parziale sorteggio" nell'assegnazione dei seggi, cominciando, in via sperimentale, dal basso: circoscrizioni, comuni, regioni: Quando ne parlai nel corso di alcuni interventi tramite il Circolo, fu considerato dai più una banalità estemporanea. Potrebbe rappresentare una possibilità di rinascita per il Socialismo italiano che, con l'introduzione di un tale meccanismo, metterebbe in campo un interesse diretto ed un'offerta a quanti appartengono all'esercito degli astensionisti. Un saluto, Roel.

franco ha detto...

Il tema del sorteggio è suggestivo ma elude il nodo di fondo che è quello della rappresentanza politica. I sorteggiati rappresenterebbero gli astensionisti? Non è nemmeno detto questo, e già sarebbe una motivazione del tutto insufficiente. Sulla base di quali ipotesi politiche i sorteggiati si presenterebbero nei consessi elettivi ? Più o meno nella situazione nella quale si presentano oggi gli eletti cinque stelle : ipotesi politica zero. La democrazia greca era una democrazia di censo e poteva permettersi il lusso di affidare al caso la rappresentanza degli stessi interessi e dello stesso tipo di società. Più o meno come i “caminetti” della democrazia dei notabili, dove i proprietari terrieri sceglievano chi avrebbe dovuto rappresentare i loro interessi (già ampiamente tutelati ai Lord) anche ai Comuni. Partecipava l’1% della popolazione assolutamente omogena per censo, cultura, status.A quel punto ci si poteva permettere il lusso di sorteggiare.
Nel frattempo mi permetto farvi partecipi di poche righe che ho inviato qualche minuto fa al “Manifesto” in risposta ad un articolo di Floridia. Sono cosciente del fatto che la gran parte di voi non sarà d’accordo, ma davvero siamo dentro ad un quadro di “guerra di posizione” e di “rivoluzione passiva”. Dovremmo, per cercare di ragionare, partire da questi dati.
Ecco il testo:
Scrive Floridia (“Il Manifesto” 31 Agosto): “ la lista di sinistra se ci sarà dovrà chiedere consenso e voti proprio per poter essere forza decisiva nei futuri equilibri di governo. Tutt’altro, quindi, che una forza vocata alla testimonianza”. Mi permetto di replicare, augurandomi di poter essere ospitato per pochi righe: prima di tutto è necessario evitare di confondere testimonianza con rappresentanza. Alla sinistra, se si riuscirà a presentare una lista, è necessario ottenere un livello adeguato di rappresentanza politica in funzione delle contraddizioni sociali. Questo è il punto decisivo dell’azione politica che ci attende considerato che ci si trova, senza tema di smentite, in una fase di guerra di posizione nella quale non è realistico prevedere la conquista di casematte e tantomeno la partecipazione ad un governo qualsiasi. Altro che essere decisivi, in quel senso, è necessario prioritariamente ritrovare – appunto – la capacità della rappresentanza politica e istituzionale.Franco Astengo

luciano ha detto...



Sono perfettamente d’accordo con Astengo sul sorteggio, propugnato dall’instancabile Roel.

Sorteggio che, per le ragioni che Astengo illustra molto bene, non è una mera “banalità” ma proprio una sesquipedale assurdità.

In una società che già di suo è liquida, anonima, atomizzata e al tempo stesso massificata, se non si collega la rappresentanza ad una scelta del delegato – che a sua volta sia collegato ad un partito; partito che sia tale nel senso proprio, etimologico, e dunque sia ed esprima un “prendere parte” per precisi interessi ed ideali – ma la si lascia al caso dell’estrazione a sorte, tanto varrebbe abolire la democrazia.

Infatti, se “questo o quello per me pari sono” e chiunque venga sorteggiato mi rappresenta, allora possiamo anche incaricare una società di head hunting di selezionarci un amministratore delegato e conferirgli i pieni poteri.

Secondo logica un AD così selezionato dovrebbe essere più competente dei quivis de populo scelti per sorteggio.



Invece la risposta di Astengo a Floridia mi pare, prima ancora che poco condivisibile, basata su una contrapposizione artificiosa.

Dove sta scritto che mirare ad essere una forza decisiva nei futuri equilibri di governo e puntare ad ottenere un livello adeguato di rappresentanza politica in funzione delle contraddizioni sociali siano obiettivi contrapposti ?

Non si tratta di voler andare al governo a tutti i costi, cosa che non credo proprio che Floridia possa aver sostenuto (non ho letto l’articolo).

Facciamo il caso concreto per non perderci in elucubrazioni astratte.

Anche se so benissimo che sulla base dei sondaggi non è ad oggi realistico, mettiamo che una lista unitaria di sinistra [US] riesca a prendere tanti voti. Mettiamo che si profilino due diverse maggioranze possibili: a) PD + US; b) PD + FI.

Non essere vocati alla testimonianza significa che ci si mette a disposizione per fare la maggioranza a) sulla base di un programma che metta al centro gli interessi dei lavoratori e dei meno abbienti, accettando ovviamente qualche compromesso come in qualunque coalizione.

Sono convinto che comunque nel PD scatterebbe l’affinità elettiva coi berlusconiani, in continuità con le politiche sia di questa sia della precedente legislatura.

Ma a parte questa mia previsione personale, resta che non vi sarebbe contraddizione alcuna tra lo scenario a) e la rappresentanza delle contraddizioni sociali alle quali la sinistra deve riuscire a dare voce.

A meno che non si prendano le mosse da un esasperato “purismo”, che però nelle sempre razionali – anche se non sempre da me condivise – riflessioni di Astengo non ravviso.

Luciano Belli Paci

felice ha detto...

L'Inghilterra aristocratica, proprio perché era una società oligarchica e censitaria, ha inventato le elezioni. Chi votava conosceva personalmente i candidati, che per di più erano della sessa condizione sociale e si frequentavano prima o dopo le elezioni. La democrazia moderna poteva funzionare al meglio con i partiti di massa, che costituivano uno strumento di comunicazione bidirezionale tra ceto politico e società. Il dramma attuale, che segna la crisi democratica, è l'assenza di un contatto diretto o mediato in modo qualificato tra il popolo e i suoi ipotetici rappresentanti. Il sorteggio è un palliativo, ma anche certe cure sono palliative, ma hanno effetti. Con le ultime leggi elettorali a partire dal Mattarellum e da Tatarellum e fino al Porcellum/Italikum la selezione della rappresentanza è stata talmente negativa, che il sorteggio non può statisticamente peggiorare la qualità della rappresentanza popolare. Quello che è intollerabile è che la percentuale dei votanti non abbia nessun effetto sulla validità delle elezioni, al limite per costringere alla loro ripetizione. Il solo caso previsto è il caso di comuni nei quali si presenti una sola lista e non vada a votare almeno il 50%. In Emilia romagna, con il 37% dei votanti, la formazione di minoranza assoluta maggiore si è presa il 60% dei seggi e ha eletto il Presidente di Regione. Se avessero coperto soltanto il 37 per cento dei seggi e i restanti con sorteggio, sarebbe stata un giusta punizione. Se c'è un ampio dibattito pubblico che precede le deliberazioni è più importante che il sistema elettorale.

Felice C. Besostri