venerdì 9 gennaio 2015

Il filo rosa del presidente. La versione di Ranieri | Idee controluce

Il filo rosa del presidente. La versione di Ranieri | Idee controluce

16 commenti:

francesco ha detto...

Capisco il rispetto con cui Lanfranco possa aver letto questo libro di Umberto Ranieri, trattandosi di una storia che, come lui stesso ammette, è stata per un certo tratto (e non breve) anche la sua. Andrà pur detto però che la splendida resipiscienza del Lanfranco di questi anni non sembra avere davvero più nulla a che vedere con la deriva centrista e renziana di Ranieri e dei suoi amici. Per quel che mi concerne, in ogni caso, devo dire che il libro in realtà io non l'ho letto e nemmeno sono particolarmente invogliato alla sua lettura.

francesco ha detto...

Credo infatti che esso non farebbe che irritarmi, senza trasmettermi nulla di utile. Rispetto al percorso politico che Ranieri tratteggia (e che Lanfranco ben ricostruisce) risulta infatti difficile, dal mio punto di vista, non avvertire una profonda distanza: una distanza, direi, davvero siderale, fino a limiti dell'incomunicabilità. I motivi di cio' sono gli stessi che ben descrive anche Lanfranco, quando parla della sua netta propensione (che è in effetti anche la mia) per un percorso radicalmente alternativo rispetto a quello che Ranieri esalta invece con tanto entusiasmo.

francesco ha detto...

A tale riguardo ci si potrà semmai interrogare - me lo faceva notare proprio ieri Luciano Belli Paci - sulle ragioni per cui dei comunisti da tempo pervenuti ad un approdo socialdemocratico (come erano, in effetti, gli aderenti alla componente amendoliana e poi migliorista del PCI-PDS-DS) abbiano potuto così radicalmente trasformarsi, nel giro di pochi anni, in convinti liberal-liberisti, rinnegando di fatto ogni legame con una visione trasformativa della società (e dunque col Socialismo).

accul ha detto...

Le ragioni e le modalità di questa mutazione non sembrebbero in effetti ben chiariti dal libro di Ranieri. Nè il puntuale resoconto di Lanfranco riesce da questo punto di vista a fornire risposte questo interrogativo. Che tutto sia dipeso, ad esempio, dall'improvvisa fascinazione di un blairismo interpretato in modo particolarmente acritico?

francesco ha detto...

Difficile da credere. Piuttosto si dovrà forse pensare che sia prevalsa più che altro la logica, in fondo tutta comunista, dell'incontro con il "nemico"(logica che avrebbe condotto dapprima a stigmatizzare l'enfasi - per me invece più che fondata - dell'anti-berlusconismo, e poi a sostenere l'idea che il berlusconismo andasse sostanzialmente affrontato riassorbendolo nel sistema e dunque alleandosi con esso e sposandone addirittura gran parte dei tratti).

francesco ha detto...

E' un'interpretazione che mi pare plausibile. In ogni caso è certo che in nome della logica del disinnescare le possibili valenze eversive del berlusconismo, il migliorista Napolitano - col pieno plauso di Ranieri e dei suoi - ha finito per divenire, in più di un caso, l'artefice primo della salvezza politica dello stesso Berlusconi (e dunque anche del prolungamento della non felice vicenda del berlusconismo), nonchè il promotore, anche a costo di gravissimi debordamenti rispetto alle competenze di un presidente della Repubblica, di scelte politiche ben precise.

francesco ha detto...

Tutta una stagione politica che io considero in modo negativo, e che va dalle grandi coalizioni di questi ultimi anni, fino all'avallo (ed anzi all'incoraggiamento) accordato ai più recenti indicibili patti di manomissione della democrazia, così come si sono venuti definendo in quest'ultima fase renziana (forse appunto come un estremo e disperato tentativo di blindare un intero sistema politico prima che questo possa sfuggire completamente di mano) recano indiscutibilmente l'impronta di Napolitano, che proprio per questo (cioè per aver voluto così pesantemente influenzare la vita politica del Paese) deve a mio avviso essere considerato come il peggio presidente della storia repubblicana.

francesco ha detto...

Mal di là di queste questioni, pur importanti, io vorrei qui sottolineare un altro aspetto che mi pare in vero particolarmente irritante nel discorso di Ranieri (così come esso viene riportato da Lanfranco). Mi riferisco all'indebita appropriazione che questi ex-miglioristi sembrano voler fare della nozione di "Socialismo Liberale". Questa, infatti, e' cosa che da rosselliano non mi riesce proprio di mandar giù. Già: perchè nella resa al pensiero unico liberista da parte di coloro che sono stati comunisti amendoliani, e che ora, abbandonato "l'antagonismo sistemico" ed ogni altra idea di conflitto, si sono di fatto scoperti più berlusconiani di Berlusconi (tanto da pretendere di superare il berlusconismo sul terreno della sua fantomatica "rivoluzione liberale" e di essere loro gli artefici di ciò che Berlusconi non ha saputo fare) non c'è veramente nulla che possa autorizzare un qualsivoglia richiamo all'idea del "Socialismo Liberale" di Carlo Rosselli, cioè di colui che di quell'espressione e di quell'idea mantiene l'indiscutibile paternità e dunque anche una sorta di copyright. Il fatto è che il Socialismo Liberale non è un Socialismo che rinnega se stesso facendosi liberale e liberista (e con ciò dimenticando ogni istanza di carattere egualitario), ma è al contrario un Socialismo che si invera e si rafforza assumendo fino in fondo il tema della libertà, e facendo di questo elemento un principio politico chiave da collocare al fianco (e non in contrapposizione) dell'istanza egualitaria (e per ciò socialista) per la giustizia sociale. Nel Socialismo Liberale (alla Rosselli) c'è inoltre una componente di volontarismo liberario e di vitalismo trasformatore e rivoluzionario, di impronta romantica e neo-risorgimentale, che potrà forse essere rimproverato di ingenuità e di velleitarismo, ma che certo e' qualcosa che ai grigi ex-miglioristi di oggi, rassegnati alla logica mercatista del "there is not alternative" (il tatcheriano TINA) manca in vero proprio del tutto. Infine - ed è questo un punto fondamentale - in quella nozione (e più in generale in tutta la vicenda umana e politica di Rosselli) è molto forte l'idea di una democrazia socialista che si costruisca dal basso: il che esprime un'istanza partecipativa che si colloca su un piano totalmente opposto rispetto a quell'idea di contrazione della platea dei decisori e di verticalizzazione dei processi deliberativii che ora ci si vorrebbe propugnare in nome di una mal intesa rincorsa al mito della “governabilità decidente”. Rosselli immaginava in altre parole una democrazia larga, mentre qui ci stanno portando dritti dritti verso una sorta di fuoriuscita dallla democrazia stessa. Davvero non c'è quindi proprio nulla, nell'idea rosselliana di Socialismo Liberale che possa costituire un punto di contatto con gli approdi cui sono pervenuti gli ex-miglioristi al termine della loro deriva. Dunque Ranieri ed i suoi amici se ne andassero pure dove li porta il cuore e facessero quel che credono. Ma nell'autodefinirsi, e nel cercare di dare un nome a quel che sono diventati, avessero almeno un po' di pudore e di onestà intellettuale, e mostrassero un po' meno approssimazione. Scegliessero ad esempio di chiamarsi "liberali (poco) compassionevoli", o "riformisti senza bussola", o "propugnatori di diseguaglianza", o magari "rassegnati al peggio" (e dunque peggioristi), o perfino "post-democratici"... Ma lasciassero perdere, per favore, il "Socialismo Liberale" e anzi se lo scordassero proprio, perchè di esso nella loro svolta centrista e destrorsa non c'è davvero nessun elemento possibile da individuare. Insomma, come si dice a Milano: "tegn giò i man!" (giù le mani). Un saluto, Francesco Somaini

simone ha detto...

Caro Francesco,

sono convinto, e da molti anni, che l’area amendoliana prima e migliorista poi sia quella che ha incarnato più e meglio di tutte le altre la cultura politica del PCI togliattiano, con estrema coerenza, adattandola di volta in volta allo “spirito del tempo”: la concezione autoritaria del partito e della società, l’avversione nei confronti delle minoranze e di qualsiasi forma di pensiero critico, bollato come “avventurista” e “spontaneista” (Amendola, lo ricordava spesso Gaetano Arfè, definiva Lombardi come un “malato di avventurismo politico”), la disattenzione (per usare un eufemismo) rispetto ai temi della laicità e dei diritti civili, l’assoluto disprezzo per la questione morale.

A supporto di quanto affermo si potrebbero citare decine di episodi: l’adesione acritica alla politica sovietica (dalle forche di Budapest all’invasione dell’Afghanistan, approvata nel PCI di quegli anni dai soli Amendola e Cossutta), seppur edulcorata con fantomatiche “vie italiane al socialismo”; l’avversione profonda alla rivoluzione giovanile e di costume del ’68 e dintorni e alle lotte dei lavoratori negli anni ’70; la subalternità al peggior Craxi (quello del post 1982) e al blairismo; dulcis in fundo lo sbraco finale del renzismo e del Partito Unico della Nazione, sul quale non ho nulla da aggiungere rispetto alle tue lucidissime considerazioni.

Hai ragione: il richiamo al pensiero di Carlo Rosselli, antitetico al migliorismo sotto tutti i punti di vista (politico, morale, culturale), suona grottesco e paradossale.

Cordialmente

Simone Zecca

peppe ha detto...

il socialismo liberale di Rosselli è l'esatto opposto del migliorismo "liberal".....Rosselli era un socialista revisionista e libertario , che è l'opposto del social-liberismo degli ex amendoliani di destra. Basta dire che da GL e dal Partito D'Azione sono venuti uomini come Lombardi, Brodolini , Codignola, Foa...e......Bruno Trentin e se questo è poco...cioè il meglio della sinistra italiana .

sergio ha detto...

La subordinazione culturale (alle teorie neoliberiste) non centra nulla ? Non è il più grosso errore anche della sinistra socialdemocratica o almeno di una buona parte di essa? E che dire delle esperienze americane del Partito Democratico: Clinton ed Obama?

Occorre secondo me ripensare e rilanciare una nuova teoria politica che ci faccia recuperare forza per azioni politiche che trasformi in profondità a cominciare dalla società europea e democratica; della Rivoluzione francese si è persa la "fraternitè" ed io non l'accetterò mai.

Fraterni saluti.
Sergio Tremolada

claudio ha detto...

forse, anzichè approfondire il pensiero di una periferia molto provinciale rispetto al mondo degli economisti, come sono gli economisti italiani e ancora di più gli abboracciati economisti di carriera politica, sarebbe il caso di capire cosa è successo all’assemblea mondiale degli economisti che si è svolta qualche settimana fa in USA, e ha avuto un andamento sessantottino
, con la maggioranza dei partecipanti violentemente contestatori degli economisti di governo e del FMI, sempre più teologici e incapaci di azzeccare qualunque previsione

luigi ha detto...

Recuperare la piena agibilità della Costituzione Italiana non
potrebbe bastare ?
Luigi Fasce

lanfranco ha detto...

Ringrazio Francesco per l'attenta lettura della mia recensione.L'evoluzione neoliberale non fu solo degli ex miglioristi del Pci ( quasi tutti, ma non tutti! Per es. farei fatica a collocare in quella evoluzione un compagno come Macaluso),che ci misero una coerente elaborazione culturale, ma anche del grosso dell'area centrista. Venuta man mano a mancare la credibilità della trasformazione radicale tentata dall'Urss e dal comunismo realizzato, la resistenza a riconoscere i risultati della esperienza socialdemocratica ha tardato quel riconoscimento fino al momento in cui essa stessa veniva a cadere sotto l'egemonia neoliberista con Blair. A quel punto fu D'Alema a celebrare i riti dell'Ulivo mondiale con Blair e Clinton ( il presidente più deregolatore degli ultimi decenni americani). Renzi senza tanti sforzi intellettuali arriva su quell'onda, quella da cui nasce il Pd. E sbaracca gruppi dirigenti che non hanno mai dato conto dei loro cambiamenti di linea politica e di basi culturali. Napolitano per una sorta di nemesi storica gli dà pieno sostegno riconoscendo, secondo la interpretazione di Ranieri, in Renzi una sorta di vendicatore della sua precedente storia di emarginazione dal gruppo dirigente post-89.

felice ha detto...

Concordo con Francesco, anche se mai mi sono definito socialista liberale o liberal-socialista, per me socialista democratico basta ed avanza, ma ho sempre ritento che sia una componente a pieno titolo del socialismo e appunto ce ne fossero di più nel PD: difficile perché il laicismo non è gradito, ma neppure il socialismo cristiano di Silone o dello svizzero Ragaz. Il periodo di maggiore collaborazione con Ranieri l'ho avuto nel Gruppo Socialista del Consiglio d'Europa,, del quale era Vicepresidente, funzione nella quale gli sono succeduto quando ha dovuto lasciare l'Assemblea Parlamentare perché diventato Sottosegretario agli Esteri. A STRASBURGO era un normale socialdemocratico europeo, ma, come la maggioranza dei PDS DS, appena passava le Alpi se ne dimenticava.


Felice C. Besostri

alberto ha detto...

caro Sergio il problema è un altro. Ed è sempre stato presente nel dibattito del socialismo. Ed è che in democrazia quando vinci una tornata elettorale devi poi anche preoccuparti di mantenere il consenso, perché è con questo che si può continuare a governare. E chi ti ha dato il voto vuole subito una vita migliore : più posti di lavoro, salari più alti, più ricchezze e benessere immediato ... nel senso di consumismo più che di qualità della vita. Cosa quest’ultima che necessita di una forte funzione pedagogica e culturale. Ne parlava già profeticamente Pasolini negli scritti Corsari ed in particolare nell’articolo “ Sviluppo e Progresso”. E’ un tema che la sinistra non è mai riuscita a risolvere: come ottenere, in democrazia, il consenso elettorale e mantenerlo creando una società nuova dove i valori, la sobrietà , la cultura la qualità della vita fa premio sul consumismo. In questa direzione hanno fallito in tanti da Blair alla Russef in Brasile ... Forse solo in Svezia e in parte in Germania la sinistra è riusciti, in parte, a contenere le tentazioni di una politica smaccatamente liberista.