Faccio rilevare che la nostra Costituzione dopo averla ibernata ora
si vuole cancellare,ricorderete la secuaela di tentativi di
modificare l'art.41 e così via, ora la Fornero sferra l'attacco
all'art.1 principio costituzionale fondamentale (non mi si dica che è
ignorante) e poi a tenerle bordone gli intellettuali integrati di
turno liberisti a sostegno. Le reazioni di altrettanti intellettuali
che rispondono con valide ragioni. Allego quattro articoli due contro
e due pro come oggetto di riflessione.
La costituzione italiana del 1948 è sicuramente di ispirazione
liberalsocialista, compatibile con la dottrina sociale della chiesa
cattolica, modello economico a finalità sociale all'opposto di
quello ispirato dal pensiero unico liberista.
Da venti anni dal Trattato di Maastricht questo modello economico è
stato sostituito dal modello liberista. Possiamo però ancora
considerare la Costituzione come manifesto ideologico-programmatico
unificante la sinistra italiana da proporre ai prossimi Stati
generali della sinistra a settembre. Troppo semplice ... lo so.
Un dialogante fraterno saluto socialista.
Luigi Fasce
2 commenti:
Grazie Luigi. Il dibattito è interessante anche se costellato delle cadute
di stile tipiche dei letterati presuntuosi. Quando Ceronetti butta lì che
l'Italia è una Repubblica fondata sugli scioperi non si rende conto, il
tapino, di sparare una delle più grossolane e viete battute della piccola
borghesia italiana. Non so se l'abbia inventata Guareschi, certo era una
battuta da Candido o Il Borghese che girava nella parte
imprenditorial-fascistoide della mia famiglia. Sentirla in bocca a un
letterato che si vuole raffinato, mi fa lo stesso effetto di quelle
barzellette stantie che il prozio notaio racconta a tavola dopo una delle
cene natalizie o altro tra i fumi della sigaretta e i rutti per i
cappelletti adagiati sotto il piloro e che la tavolata accoglie con
esasperata bonomia.
Mi sembra che da un Ceronetti l'auspicato emendamento
del linguaggio non possa venire perché questo emendamento deve essere
contrario ai luoghi comuni e richieda competenza e non approssimazione. A me
pareva di ricordare che il diritto costituzionale che mi hanno insegnato
distinguesse tra diritti soggettivi e diritti "programmatici" (lavoro,
salute, sicurezza, istruzione) cioè obiettivi, aspirazioni collettive
vincolanti politicamente, che danno origine a diritti soggettivi solo in
virtù di leggi specifiche che traducono di volta in volta le aspirazioni
costituzionali in diritti soggettivi specifici. E' vero che questa
concezione "programmatica" della Costituzione fu a lungo usata per
conservare la legislazione fascista (vedi il principe senza scettro di Lelio
Basso) e che il costituzionalismo recente, come spiega bene Zagrebelski, ha
teso a trasformare le statuizioni costituzionali in obblighi di legge, ma
credo che utilizzare strumentalmente la distinzione tra declaratoria di
principio (il diritto al lavoro) e la constatazione ovvia che se il lavoro
non c'è non puoi darlo, per negare valore alla dichiarazione di principio
sia una operazione politicamente retriva ed epistemologicamente un classico
esempio di "fallacia della concretezza fuori luogo". Non c'è bisogno di
disconoscere che il diritto al lavoro sia di difficile o anche impossibile
realizzazione, per accettare e sottolineare il valore di vivere in una
società che sottoscrive questa aspirazione. Così come il diritto al lavoro
non significa posto retribuito garantito, che è concetto feudale. Il
concetto di lavoro implica il concetto di performance con dignità, come
sottolinea Pellizzetti, in un mondo che riconosciamo dinamico e pericoloso.
Però parlando di mercato del lavoro non dobbiamo mai dimenticare che questo
mercato ha una asimmetria insanabile. Dal lato della domanda, cioè i chi
chiede una prestazione, il rapporto è astratto nel senso che prescinde entro
certi limiti dalla persona. Dal lato dell'offerta invece, cioè di chi offre
una prestazione, il lavoro è concreto, fa parte di un progetto di vita. Che
poi il mercato funzioni, come dicono molti economisti, come un mercato di
merci non deve sorprendere in società in cui esistono i mercati virtuali di
denaro, terra e umanità, ce l'ha spiegato Polany in modo insuperabile.
Potremo deprecare, ma nessuno ci ha ancora provato che la schiavitù, il
servaggio della gleba, o il dispotismo orientale abbiano più attrattive e
meno difetti. Quello che i neoliberisti non possono provare è che siamo
obbligati ad accettare come mercato un mercato che non c'è: se ci troviamo
in una situazione in cui la perdita del posto di lavoro è solo la premessa
per trovarne un altro in tempi e a condizioni ragionevoli, come è stato in
buone condizioni di sviluppo capitalistico, il sacrificio del lavoratore può
essere accettato in nome di un migliore funzionamento del sistema produttivo
complessivo. Ma se il licenziamento significa alta probabilità di
emarginazione senza speranze, allora deve scattare la protezione
costituzionale. E forse si vedrà che anche dal punto di vista del sistema
produttivo è un modello più efficiente. G
Guido Martinotti
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