venerdì 25 maggio 2012

gim cassano: dopo i ballottaggi

Dopo i ballottaggi.

I risultati dei ballottaggi di domenica e lunedì scorsi confermano le considerazioni fatte dopo il primo turno. Anzi, aggiungono ulteriori elementi di conferma a quanto emerso 15 giorni fa (vedi, su “Spazio Lib-Lab”: "Dopo le elezioni amministrative").
Ma, pur tenendo nel debito conto l’importanza di quanto è avvenuto a Palermo, Genova, Parma, va fatta una considerazione. Guardando alle conseguenze sui futuri scenari, ancor più dei risultati dei ballottaggi, il dato politico più significativo è la constatazione della distanza abissale che passa tra un minimo di senso della realtà e di consapevolezza delle attese e delle necessità del Paese da una parte, e le dichiarazioni e le prime mosse dei diversi leaders di partito dall’altra.
Che, tutti, nessuno escluso (neanche Beppe Grillo), non sono riusciti a sottrarsi alla consueta sceneggiata di ogni dopo-elezioni italiano: quella di affannarsi a spiegare ad un Paese che, con tutta evidenza, si suppone fatto di gonzi, come può essere che in una sconfitta si debba invece vedere un “mantenimento delle posizioni” (in quanto si arretra quasi ovunque, ma si “tiene” a Roccacannuccia), e come un catastrofico arretramento celi invece invariabilmente una realtà “più complessa”. Come nei bollettini della guerra fascista, una rotta diventa una “rettifica del fronte”, ed un modesto avanzamento si trasforma invariabilmente una “trionfale avanzata”. Rifiutando i bollettini fascisti, e preferendo quelli dell’Armata Rossa, ma non diversamente, Grillo, identificatosi nei panni di Zhukov, ha parlato di avanzata da Stalingrado a Berlino. Beati loro, maestri nel paese di Vanna Marchi.

Occorre riconoscere che il povero Maroni, dopo la catastrofe leghista, non ha potuto far altro che ammetterla, tanto da farsi tentare dall’idea di rinunciare alla presenza in Parlamento, che con la legge attuale potrebbe anche essere a rischio. Ma, prima ancora, ha pronunciato un’affermazione che, dovrebbe suonare ben strana in una democrazia: che la Lega non è stata “aiutata” dalla diffusione delle notizie relative all’utilizzo di denaro pubblico da parte di Bossi e del suo entourage. Il che è come lamentarsi, alla faccia del “conoscere per deliberare” di Einaudi, del fatto che la conoscenza dei fatti e della verità abbia danneggiato il suo partito; e allora?

Vendola e Di Pietro si sono affrettati a tirar fuori dal cassetto le foto del centrosinistra triforcuto di Vasto (in base all’assunto che dove PD, IdV, SEL marciano uniti, si vince (ma a Palermo, PD e SEL non erano con Ferrandelli e IdV con Orlando, il quale ha vinto proprio rompendo lo schema di un centrosinistra siciliano inesistente sul piano politico?), annunciando, come se fossero i trionfatori di queste elezioni, ulteriori incontri ed iniziative politiche dirette a rafforzare la loro campagna antigovernativa.
In ciò decisi a giocare la carta di un’alleanza che non avrebbe altro terreno comune che il tentativo di condizionare il PD e, certamente con maggior dignità e coerenza nei ragionamenti di Vendola che in quelli di un Di Pietro che si scopre alleato della FIOM, quello di sfruttare in vista delle prossime elezioni politiche la sin troppo facile leva dello scontento generale nei confronti delle politiche di rigore imposte dal governo.

Casini, una volta che gli elettori hanno mostrato di vedere nel progetto del Terzo Polo non molto più che una manifestazione del “Franza o Spagna, purchè se magna” di guicciardiniana memoria (un po’ poco per potervi leggere un “grande” progetto per la repubblica che verrà), archiviato prontamente un progetto che stenta a decollare, e con una malcelata propensione a farsi leader di una destra allo sbando, per il momento si è consolato con Cuneo ed Agrigento, tacendo su tutto il resto.

In quanto ad Alfano, ha cercato di minimizzare la débacle, accontentandosi, contento lui, del fatto che il suo elettorato, pur sbandatosi, non sia comunque passato al nemico, e promettendo grandi novità per tentare di riacchiappare le pecorelle smarrite. Ma il progetto della lista civica nazionale come unica alternativa alla “sinistra” non è che il pallido tentativo di far ripercorrere ad un cavallo imbolsito la strada del ’94, mascherando la crisi profondissima di una destra che, di colpo, si trova a non aver più nulla da proporre, se non il cercare di correggere (solitamente non in meglio) le politiche portate avanti dal governo attuale.
E che, c’è da scommetterci, lungi dal convertirsi alla visione di una destra dignitosamente europea, troverà più comodo far concorrenza a Grillo nel denigrare le istituzioni, i metodi e le procedure della democrazia.

Il PD si crogiola nel fatto di perdere meno elettori di altri, crescendo in percentuale (dove cresce) solo grazie all’enorme aumento degli astenuti, che sarebbero stati ben di più ove le 5 Stelle non avessero raccolto i voti di molti elettori in fuga dalla destra e, in misura inferiore, dal centrosinistra.
Il PD, nelle sei più importanti città d’Italia, ha un solo sindaco: quello di Torino. Nelle altre, sembra esser riuscito ad esser partecipe della vittoria solo se ed in quanto abbia perso le primarie; il che dice molto sulla capacità di quel partito nel formare e selezionare una dirigenza politica e nel definire comportamenti politici a livello locale e regionale seri ed innovativi. E, nonostante un voto che ha certificato il disfacimento della destra, dovuto agli innumerevoli demeriti di questa, il PD non guadagna, ma perde, voti. La propensione al cambiar pagina c’è, ma questo centrosinistra (ed il suo maggior partito) non convincono.
Per citare due casi di rilievo non marginale, in una Sicilia in cui quasi certamente -a seguito delle dimissioni annunciate da Lombardo- si andrà in autunno al voto regionale, quanto è successo a Palermo manda in frantumi la linea barocca ed opportunista dell’appoggio dato al governo Lombardo. Ed a Genova, si vince proprio perché le primarie hanno indicato un candidato ben distante dall’establishment locale del PD. Di Parma, parliamo più avanti.
Arrivare a vedere in tutto ciò una “vittoria senza se e senza ma” (e quindi ritenere di avere già in pugno la vittoria alle prossime politiche), significa non aver compreso cosa stia avvenendo nell’Italia di oggi; e, soprattutto, significa non essere attrezzati a dare al Paese una nuova prospettiva, che consenta di avviarne quella che a tutti gli effetti deve esser vista come la ricostruzione dalle macerie del berlusconismo e della seconda repubblica.

Se queste sono le conclusioni che la nostra politica è stata in grado di trarre da questo voto, c’è poco da stare allegri. In un Paese che è ben lungi dall’aver superato difficoltà gravissime, che l’aggravarsi della crisi greca probabilmente acuirà, le cui aspettative prevedono almeno due anni di piena recessione che non può esser combattuta con incrementi di spesa per investimenti, a meno che a questi non facciano riscontro sensibili riduzioni della spesa corrente, caratterizzato da un prelievo fiscale eccessivo e vessatorio per i più e risibile per altri, e nel quale il sistema politico che dovrebbe guidarlo ha perso ogni credibilità, occorrebbe una capacità di interpretazione della realtà e di dare risposta alle aspettative del Paese ben diversa dalle litanie che abbiamo sentito. Che, prescindendo da chi le abbia pronunciate, sono tutte accomunate dal guardare allo ieri e non al domani, come se niente fosse successo e niente stesse succedendo, e dal non riuscire a tradursi in altro che in tattiche di posizionamento politico.
Chi, come il sottoscritto, in tutti questi anni ha sempre ritenuto che questa destra non fosse meritevole né di credito né di dialogo, e che condizione, non sufficiente, ma certamente necessaria per l’ammodernamento e la democratizzazione del Paese fosse la sconfitta del cavaliere e di coloro che lo hanno supportato o subito passivamente, dovrebbe oggi riconoscere come alla propensione degli elettori a cambiar pagina non si accompagni da parte cel centrosinistra una corrispondente ed adeguata capacità di rinnovamento, di assunzione di responsabilità, e di proposta politica.
Mancando questi elementi, si corre il rischio che le giustificate esecrazioni contro la casta politica vadano a saldarsi con il disagio sociale e con lo scontento per le terapie che il governo Monti sta applicando al Paese. E’ questa una tentazione che non riguarda solo le 5 Stelle di Grillo, ma che riguarda anche estesi settori della destra che già stanno rispolverando il “si stava meglio quando si stava peggio”.
Se il prevalere di demagogia e populismi dovesse render difficile il costituirsi di una reale maggioranza politica capace di avviare e gestire politiche riformatrici tali da ripristinare la coesione sociale e territoriale del Paese, e da rimuovere le cause antiche e recenti dell’arretratezza italiana ed i guasti prodotti in questo ventennio -e tra queste il ridare credibilità in termini non demagogici al nostro sistema politico non è cosa secondaria- diventerà estremamente rimettere in movimento l’Italia.

Quanto è successo a Parma rappresenta, emblematicamente, ed in termini amplificati, questo rischio.
Occorre vedervi ben altro che un fenomeno locale, e non voler cogliere il fatto che i dati di Parma rappresentano, esasperati, una tendenza avvertibile in tutto il Nord ex-leghista, significa soltanto rifiutarsi di guardare la realtà e le tendenze in atto.
Intanto, va fatta una considerazione preliminare. A mio parere, si confermano tutti i dubbi sulle virtù salvifiche delle primarie e sulla loro efficacia come fenomeno di apertura e di partecipazione. I casi di Napoli, un anno fa, e più recentemente, quello di Palermo avevano gettato più di un’ombra sul meccanismo delle primarie, tanto da doverle annullare nel primo caso, e sottoporre ad una verifica che comunque ne ha minato la credibilità nel secondo; ma erano sostanzialmente stati addebitati a caratteri deteriori della politica locale.
A Parma, nulla di tutto ciò è avvenuto, ma il risultato, sia pure col senno del poi, ci mostra come questo meccanismo, in assenza di forti personalità, finisca col favorire chi sia “portato” dagli apparati di partito, a prescindere dalla sua capacità di aver successo nell’elezione “vera”.
Quanto poi è avvenuto al primo turno ha dell’incredibile: il PdL passa da 20.000 (2010) a 3300 voti; la Lega, da 11.500 a 2.100; IdV da 5.600 a 2.000; il PD, da 28.500 a 17.500; le 5 Stelle, da 5.400 a 13.800; i centristi guadagnano voti e le formazioni alla sinistra del PD mantengono il loro elettorato; in più, vi sono circa 6.500 voti per liste civiche di centrosinistra. Gli astenuti arrivano al 64%, e passano da circa 35.000 a circa 50.000.
In altre parole, il vincitore senza se e senza ma (il PD), ha perso 11.000 voti in 2 anni (oltre un terzo del proprio elettorato), che si suppone siano andati ad ingrossar le fila degli astenuti e, in misura molto inferiore, quelle dei grillini, i quali hanno pescato largamente nell’elettorato di destra e leghista in particolare. Cosa poi risultata di assoluta evidenza nel secondo turno, dove Bernazzoli ha sostanzialmente confermato i voti raccolti al primo turno (ma non uno di più), e tutti gli altri (destra, Lega, estrema sinistra) hanno spinto Pizzarotti dal 19% del primo turno sin oltre il 60%.
Il dato significativo di queste elezioni, che a Parma è risultato evidente, è che gli elettori della Lega e della destra, oltre che andare ad accrescere l’esercito degli astenuti, hanno massicciamente votato per le 5 stelle, ed in modo quasi totalitario al ballottaggio; e che il PD perde ovunque elettori in carne ed ossa, che si aggiungono anch’essi agli astenuti, mentre riesce a tenere, ed in qualche caso a crescere in percentuale, ma solo grazie alla ridotta partecipazione al voto.

Il travaso diretto di voti dalla Lega e dal PdL alle 5 Stelle non deve affatto stupire.
Come in altri Paesi, anche nell’Italia repubblicana sono sempre state presenti tendenze e movimenti che non si caratterizzavano sul proporre politiche alternative a quelle di altri partiti, ma semplicemente sull’avversione generalizzata nel confronti delle forme nelle quali si andava esprimendo la democrazia rappresentativa. Queste hanno di volta in volta preso le sembianze dell’Uomo Qualunque e, per molti aspetti, del MSI; e, più avanti, della Lega, e successivamente, del “grillismo”. Prescindendo dal fatto che venissero etichettate come “di destra” o “di sinistra”, vi sono riconoscibili alcuni tratti comuni: il considerare le degenerazioni del sistema politico come suoi aspetti fisiologici e non patologici, la sostituzione dello slogan al ragionamento, la diffidenza nei confronti di culture politiche rispetto alle quali ci si sentiva estranei, l’affermazione del “tanto sono tutti eguali”, e “solo noi siamo diversi”, il caratterizzarsi sul contro e non sul per, la distanza da una visione europea e sovrannazionale.
Se per un verso le degenerazioni della seconda repubblica, sino agli ultimi e recenti casi riguardanti il finanziamento dei partiti, ed il berlusconismo, hanno offerto sin troppo facili argomenti a questi atteggiamenti, è anche vero che lo stesso berlusconismo si è sviluppato mantenendovi più di un punto di contatto: in modo particolare nel rifiuto della razionalità politica, nell’uso spregiudicato della parola in quanto tale, nella presunzione di combattere una “vecchia” politica identificata in blocco di volta in volta con la sinistra o tout-court con la democrazia, nell’affinità logica tra il “tanto sono tutti eguali” ed un molto più comodo “tanto siamo tutti eguali”, nell’estraneità rispetto alla storia della Repubblica ed alla costruzione europea.
E se gli insulti ed i “vaffa” di Grillo e la sua irrisione nei confronti dell’intero sistema politico hanno trovato alimento evidente nella degenerazione di una democrazia divenuta sistema feudale, vedono anche i loro precursori negli analoghi insulti di Bossi, Borghezio e compagni e nel concetto di Roma Ladrona; e la polemica di Grillo nei confronti del potere, della finanza, dell’Europa, trova evidenti riscontri nella teoria della congiura ordita ai danni dell’Italia e del suo governo da parte della finanza internazionale che ha accomunato larga parte della precedente maggioranza e non piccoli settori della sinistra italiota.
Così come alcune connotazioni isolazioniste, antieuropee, e xenofobe, ben presenti nelle 5 Stelle, trovano evidenti corrispondenze nelle posizioni portate avanti dal precedente governo.
In conclusione, le 5 Stelle non hanno inventato nulla: nell’esser “contro”, trovano di volta in volta affinità con la Lega, con la destra, con Di Pietro, con una parte della sinistra. Di certo non la trovano e non possono trovarla con concezioni riformatrici, di ispirazione liberademocratica o socialista che siano.

Non c’è quindi affatto da stupirsi se quella parte dell’elettorato di destra e leghista, rimasto deluso dalla pratica del “siamo tutti eguali”, abbia preferito Grillo al centrosinistra ed al PD.

E’ urgente, quindi, che le forze di centrosinistra sappiano operare con efficacia almeno su due fronti sui quali è indispensabile operare per sottrarre terreno di coltura alle pulsioni populiste che sono largamente presenti nell’Italia di oggi:
• Quello di ridare dignità e credibilità alla politica: innanzi tutto smagrendola e proponendo agli italiani, in termini inequivoci e sottratti alle proprie convenienze di bottega un nuovo sistema elettorale (è solo una mia personale convinzione, ma mi vado convincendo che l’antica legge elettorale della Prima Repubblica, con pochissimi correttivi, sia di gran lunga la preferibile); in secondo luogo, sfoltendo la pletora di incarichi, consulenze, consigli di amministrazione che ruota attorno alla Pubblica Amministrazione locale e nazionale, e sottoponendo ogni nomina a procedure aperte, pubbliche e trasparenti; in terzo luogo, praticando e non declamando democrazia interna, apertura, trasparenza, partecipazione, nella vita dei rispettivi partiti; da ultimo, assumendosi la responsabilità di misurarsi e confrontare su scelte chiare, per quanto ciò possa essere poco pagante in termini di facile consenso.
• Impegnarsi con gli italiani su un patto per nuove prospettive di crescita civile, economica, sociale, fondate sulla riqualificazione della spesa in termini di investimenti e su un carico fiscale meno pesante e più equilibrato tra imposte indirette, dirette, e patrimoniali, nonchè meno gravoso nei confronti del lavoro nelle sue diverse forme e della produzione, e svilupparsi in parallelo alla promozione del merito e della concorrenza ed all’eliminazione di privilegi, parassitismi, monopoli.
Ne devono essere connotati l’imprescindibilità dei diritti umani nei loro aspetti individuali, civili, sociali, il diritto-dovere di tutti a dare alla società, ed a vedervi tutelato, il proprio apporto sotto le forme della cittadinanza, del lavoro, del sapere e dell’arte, del contributo economico; il diritto di tutti ad un’esistenza libera e decorosa; il pluralismo dei corpi intermedi della società e dei soggetti politici, economici, culturali, dell’informazione, della solidarietà; la concezione aperta e dinamica della società e dell’economia nel loro divenire; l’inclusione sociale e la protezione dal bisogno, la promozione del merito e dell’equità, l’avversione a caste, monopoli e corporazioni; la concezione laica dello Stato di Diritto e quella di una democrazia rappresentativa indenne da tecnocrazia e populismo, la tutela delle differenze; il buon amministrare i beni pubblici; la visione europea, cosmopolita, non razziale.

Gim Cassano (Alleanza Lib-Lab), 25-05-2012 gim.cassano@tiscali.it

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