LA “RICETTA” DELLA BCE MIGLIORA O AGGRAVA LA CRISI?
di Renzo Penna
A commento della disastrosa partecipazione del governo italiano al recente G20 di Cannes che ha umiliato il nostro Paese - la terza maggiore economia dell’eurozona e un membro fondatore dell’Unione europea - ponendolo sotto la sorveglianza del Fondo Monetario Internazionale, Antonio Lettieri si interroga sulla congruità della politica prospettata nella “lettera” della Bce, quella che il “Fondo” dovrebbe sorvegliare, in relazione alla soluzione della crisi. Visto che, come la drammatica vicenda della Grecia insegna, l’applicazione di una politica che pone al primo posto la liberalizzazione dei licenziamenti e il taglio di salari e pensioni è destinata ad aggravare la crisi economica, moltiplicare la disoccupazione e, paradossalmente, intensificare l’assalto della speculazione dei mercati finanziari.
A tale proposito il neo-governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, nell’introdurre il “Financial Stability Report” di novembre, ha evidenziato come sia il peggioramento delle prospettive di crescita a livello globale il fattore che ha sin qui contribuito a intensificare le tensioni sui mercati finanziari e coinvolto l’Italia, la cui economia soffre di un elevato debito pubblico, ma, e in rapporto con gli altri paesi europei, soprattutto di una bassa crescita. Una condizione, quest’ultima, che caratterizza l’economia del nostro Paese da almeno quindici anni. Ora, se l’Italia soffre strutturalmente di un carente sviluppo - preferisco questo termine a “crescita” perché si concilia meglio con le future prospettive di una economia che dovrà sempre più essere attenta alla qualità dei prodotti e all’innovazione delle produzioni, alla sostenibilità dell’ambiente e rispettosa delle risorse e dei loro limiti - in che rapporto stanno le ricette-prescrizioni della Bce con questo problema? In particolare liberalizzare i licenziamenti mentre sta per finire la Cassa integrazione per decine di migliaia di lavoratori senza prospettive di lavoro, mentre chiudono gli stabilimenti Fiat a Termini Imerese e Avellino e sono senza commesse i cantieri navali di Sestri e Monfalcone, rappresenta una misura in grado di favorire la ripresa e lo sviluppo?
A questo proposito è bastata la ventilata ipotesi di candidare il senatore Pietro Ichino - come noto favorevole al superamento dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori - a ministro nel nuovo esecutivo di Monti a portare allo scoperto le diverse e opposte posizioni sull’argomento presenti nel Partito Democratico: per alcuni sarebbe una “provocazione”, per altri una “opportunità”. Per quanto riguarda poi la necessità di un nuovo intervento su previdenza e pensioni - una ossessione che ha contagiato anche numerosi esponenti del centro sinistra - è utile ricordare che la stessa Commissione europea ha più volte sostenuto che il sistema italiano riformato è per i prossimi decenni uno dei più stabili nell’Unione. Anche per l’ex ministro del lavoro Cesare Damiano le pensioni non devono di nuovo essere toccate, precisando che: “Mi piacerebbe che si contassero i miliardi che si sono risparmiati con gli ultimi interventi sulle pensioni e se ne cercassero altrettanti dai grandi patrimoni, dalle rendite e dagli speculatori. Vorrei proprio vedere se si vuole obbligare chi è entrato in fabbrica a quindici anni a rimanerci per 45 e passa anni”. Una presa di posizione in linea con quanto sostenuta dalla Cgil.
Di conseguenza quelle imposte dalla Bce e subite da un governo senza più alcuna credibilità internazionale, più che misure per contrastare la crisi, nei fatti ripropongono i contenuti ideologici delle scontate e tradizionali ricette liberiste, destinate ad aggravare la situazione e a rafforzare l’attacco speculativo dei mercati finanziari. Di altro e opposto tipo sono gli interventi necessari per superare le attuali gravi difficoltà, ad iniziare da una intransigente lotta all’evasione, dalla messa in campo di una imposizione patrimoniale sulle grandi ricchezze, finalizzando le risorse accumulate al rilancio degli investimenti e alla ripresa dell’occupazione. Credo che queste siano le principali ragioni che hanno consigliato alla Segretaria della Cgil Susanna Camusso un atteggiamento di cautela nei confronti dell’incarico assegnato dal Presidente della Repubblica al professor Mario Monti di formare un nuovo governo, dopo - finalmente - le dimissioni di Berlusconi. Al posto di una adesione senza condizioni la Cgil ha preferito sottoporre al Presidente incaricato, nell’incontro di martedì, il merito delle proprie proposte - nella sostanza già contenute nella piattaforma che è stata alla base dello sciopero generale del 6 settembre - ribadendo la necessità che il prossimo esecutivo rappresenti una discontinuità rispetto alle politiche del passato governo e operi per una maggiore equità sociale. Prestando maggiore attenzione ai temi del lavoro, alla riduzione della precarietà e a una nuova politica industriale.
Le indispensabili misure di risanamento dovranno costringere davvero tutti a pagare i costi della crisi in modo equo. E questo significa che chi detiene maggiori risorse deve pagare il costo più alto perché lavoratori dipendenti e pensionati, a causa dei tagli che il passato governo ha inferto alla spesa sociale, alla previdenza e ai diritti, hanno già abbondantemente dato. In particolare sul tema fiscale, la Cgil propone una sovrattassa straordinaria sui capitali già sanati con lo scudo fiscale, ma non rientrati dall’estero, con un’imposizione aggiuntiva del 15%; un piano strutturale di lotta all’evasione fiscale, all’elusione e al sommerso, coinvolgendo le istituzioni locali anche con speciali poteri di accertamento e ripristinando le norme anti-evasione ed anti-elusione abolite nell’ultima legislatura. La Cgil propone inoltre un “contributo di solidarietà” su tutti i redditi, in ragione della “capacità contributiva”, con un prelievo del 5% per la parte eccedente i 90mila euro e del 10% per la parte eccedente i 150mila euro. Un contributo che deve assumere le caratteristiche della “straordinarietà” e dell’equità finalizzato agli investimenti e all’occupazione giovanile, e introducendo un’Imposta ordinaria sulle Grandi Ricchezze (IGR), sull’esempio della Francia.
Si prevede un’aliquota progressiva dallo 0,55% all’1,8% sulle attività reali, patrimoniali e finanziarie. L‟imposta verrebbe pagata solo sulla quota che eccede gli 800.000 euro. A subire un aumento del prelievo fiscale strutturale non sarebbe così il 95% delle famiglie italiane. Inoltre viene prevista l’introduzione di un’Imposta straordinaria sui Grandi Immobili (IGI) il cui valore patrimoniale netto superi la soglia dei 800.000 euro, con aliquota fissa dell’1%, per l’anno 2012. E si ritiene occorra anche un piano straordinario di lotta al lavoro sommerso, al caporalato e all’elusione contributiva.
Le risorse derivanti dai tagli per i singoli Ministeri la Cgil propone infine siano destinate alla costituzione di un Fondo per la Crescita e l’Innovazione (FCI). L’unica esclusione dai tagli va fatta per il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, per le funzioni ispettive e di accertamento fiscale, prevedendo invece il taglio delle risorse per la spesa del Ministero della Difesa relativa anche alle “missioni all’estero”. Occorre, inoltre, una rimodulazione e un trasferimento di parte dei fondi per le grandi opere (es. il Ponte sullo Stretto) agli investimenti per l’apertura di cantieri che operino alla manutenzione e alla messa in sicurezza del territorio, al risparmio energetico dell’attuale patrimonio immobiliare, promuovendo anche per questa via lo sviluppo produttivo, sociale ed occupazionale del Paese.
Alessandria, 17 novembre 2011
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