mercoledì 30 novembre 2011

Il caso Fassina e lo scontro sul lavoro - micromega-online - micromega

Il caso Fassina e lo scontro sul lavoro - micromega-online - micromega

6 commenti:

maurizio ha detto...

Cari compagni,
mi rendo conto di arrivare con un certo ritardo, ma in ogni caso spero di essere ancora in tempo utile per porre un interrogativo, peraltro preesistente, che la lettura di questa interessante discussione ha riproposto. I contratti di lavoro a tempo non indeterminato (tempo determinato, lavoro somministrato o interinale, co.co.pro.) rappresentano veramente un grande vantaggio economico per i datori di lavoro, come afferma Fassina, o invece il costo è ormai sostanzialmente lo stesso di quelli a tempo indeterminato per cui le motivazioni per cui vengono preferiti sono altre, come viceversa sostiene Alleva?
Grazie se potrete rispondere e fraterni saluti.
Maurizio Giancola

giovanni ha detto...

Caro Giancola, non solo i contributi sociali sono circa la metà di quelli dei contratti a tempo indeterminato, ma, quel che è peggio, i lavoratori con contratti a tempo determinato sono alla mercè dei datori di lavoro e dei superiori e non possono far valere alcun diritto anche a fronte di richieste di prestazioni non dovute e, spesso, umilianti, pena il restare a casa alla scadenza del contratto o anche prima, perché sovente è prevista la rescissione del contratto con preavviso di tre mesi. Questa circostanza rende desiderabile per i datori di lavoro assumere con contratti precari anche più che per i risparmi effettuati. Tuttavia un freno potrebbe essere posto a queste assunzioni vergognose, salvo che per i lavori stagionali, sottoponendo i contratti a tempo determinato a oneri sensibilmente superiori di quelli che gravano sui contratti a tempo indeterminato. Cari saluti. Giovanni Baccalini

maurizio ha detto...

Caro Baccalini,
ti ringrazio per la pronta e precisa risposta. Anch'io penso che il principale motivo per cui si ricorre ai contratti precari in misura così ampia - e paradossalmente soprattutto nelle imprese sotto i 16 dipendenti dove non si applica l'art.18 - sia l'estrema flessibilità, per usare un eufemismo, di questa forza lavoro del tutto priva di diritti e di tutele. Sui costi avevo rilevato la contraddizione fra Fassina e Alleva e se non ricordo male lo stesso Alleva prima aveva parlato di minori costi per poi invece affermare che così non è. Poichè il ricorso al precariato è stato massiccio anche nella Pubblica Amministrazione, dove il clima non è certo quello delle fabbrichette, è evidente che un vantaggio economico deve esserci. Concordo con te sul fatto che il miglior rimedio, salvo casi particolari come gli stagionali, consisterebbe nel rendere il lavoro precario più oneroso di quello a tempo indeterminato, come accade in molti paesi europei.
Un caro saluto.
Maurizio Giancola

guido ha detto...

Caro Giovanni, come sempre preciso e ragionevole. Il problema è che qui viviamo in una società di classe (non nel senso delle cene “eleganti e di classe” di cui vaneggia il Padrone principale, perché quella classe e quella eleganza il Cav. non se le può comperare neppure con tutti i soldi che ha) ma nel senso di una società classista. Nell’italietta moderatamente classista e notabilare c’erano tre classi di treno e non erano neppure tanto offensive; i viaggi in terza che ho fatto da studente e da giovane docente erano in genere più che decorosi e abbastanza allegri.

guido ha detto...

Poi hanno cominciato a giocare con i nomi dei treni e ora abbiamo una cosa vergognosa come la TAV con 4 classi e i viaggiatori di seconda chiusi dentro a chiave. La terza, pudicamente, sui treni non c’è più perché ci sono treni tutti di terza (e di quarto mondo), ipocritamente chiamati treni dei pendolari. Vorrei che qualcuno dei guru della Bocconi mi misurasse l’impatto differenziale sulla crescita e sulla produttività di treni costosissimi, pagati da tutti noi compresi i pendolari, che servono alcune centinaia di funzionari e borghesi che arrivano a destinazione con la musica nelle orecchie, e i treni pendolari per centinaia di migliaia di lavoratori che arrivano al lavoro con già tre quattro ore di fatica (più quelle del ritorno). Altro che “riproduzione allargata”!Altro che “fine della borghesia”: la borghesia va in TAV e oggi si è anche seduta su tutte le poltrone finto Louis XVI e falso Rococò dei nostri ministeri.

guido ha detto...

Ieri il guru De Rita spiegava che per risorgere l’Italia deve far ricorso al suo “scheletro contadino”. Quegli scheletri lì sono morti di artrite una generazione fa. L’Italia contadina vive solo nella testa degli intellettuali e nelle canzoni di Apicella e Berlusconi, che non per nulla ricorda a memoria Rio Bo. I contadini reali marginali rimasti sono i Pacciani, il Michele Misseri o i pastori sardi disastrati perché i soldi per sostenere settori critici dell’agricoltura sono stati dati ai ladri delle quote latte. L’unico scheletro che manca all’Italia è una seria dorsale digitale che è stata fottuta dal digitale terrestre. Nell’Italia classista è difficile attendersi molta equità, anche se questa equità è perfettamente ragionevole dal punto di vista del sistema economico. Trovo interessante, ma anche molto deprimente, leggere un giorno si e un giorno no, ma sempre più spesso tutti i giorni, i famosi economisti mercatisti che hanno collaborato, con la testa e con le consulenze strapagate, alla più colossale rapina planetaria dai tempi della conquista delle indie (occidentali e orientali, Macaulay, 1945), parlare di rimedi che sono possibili solo in un mondo virtuale senza classi e senza interessi (“assume we have a can opener” .Per un esempio assolutamente imbattibile vedere la proposta antievasione di Luigi Zingales, presentato come uno dei “maggiori economisti del mondo”, che non contento di essere stato sbertucciato al jamboree della Leopolda di Renzi – già, ma che ci è andato a fare?- ripropone il rimedio su l’Espresso (17 Novembre 2011,”Luigi Zingales (Libero mercato)”Perché propongo un’amnistia”, p.23). Se questo rimedio fosse stato proposto al bar enoteca Bulloni, Pza Aquileja ang. via Giovio (chi se parla anca el milanès) avrebbe ricevuto una ulteriore dose di sbertucciamenti. Una bella bacchettata sulle dita il suddetto Zingales se l’è presa anche dal blog Angry Bear per l’uso improprio della parola “meritocracy”. E non è il solo: tutti questi famosi mercatisti usano “meritocrazia” con un significato assiologico positivo, senza sapere, perché l’ignoranza non è mai troppa, che il termine è stato inventato con un significato fortemente critico dal sociologo inglese Michael Dunlop Young nella sua satira del 1958. E quelle bestie dei sessantottini l’hanno sempre usato criticamente, ma oggi è chissaccome diventato positivo: miracoli dell’intelligenza e della cultura. Pagheranno sempre i soliti e moriremo democristiani. GM

PS Ringrazio anche per gli apprezzamenti su Lelio Basso. Essendo compagno di classe dalla iv ginnasio in poi e coetaneo di Mimi e Carlo Basso ho passato gran parte della mia adolescenza nella affsascinante casa dei Basso in Cso Venezia, 6, che sembrava letteralmente incurvata dal peso dei libri: gli scaffali lo erano. Lelio e Lisely erano persone straordinarie e Lelio si divertiva moltissimo a confrontarsi con i preti sui Vangeli, di cui aveva una conoscenza imbattibile. E poiché soffriva della medesima fragilità venosa che i Padre Pio chiamano stimmate, e che talvolta richiedeva una sorta di piccolo guanto palmare di cuoio a protezione, si divertiva moltissimo a turbare le coscienze delle buone dame della parrocchia mostrando i segni della sua santità. G