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giovedì 13 febbraio 2025
Franco Astengo: Prosegue la crisi della produzione industriale
PROSEGUE LA CRISI DELLA PRODUZIONE INDUSTRIALE di Franco Astengo
Sono questi che seguono i dati che contano sul piano economico, altro che presunti aumenti dell'occupazione o fantomatici dati di natura finanziaria:
L’industria italiana continua a non dare segnale di risveglio. È quanto emerge dai nuovi dati diffusi questa mattina dall’Istat, con la produzione calata dal 7,1% a dicembre rispetto a un anno prima (al netto degli effetti calendario), e del 3,1% rispetto a novembre. L’Italia archivia comunque un 2024 da dimenticare, con una flessione complessiva del 3,5% rispetto al 2023, con una dinamica tendenziale che – sottolinea l’Istat – “è stata negativa per tutti i mesi dell'anno, con cali congiunturali in tutti i trimestri”.
Gli unici settori di attività economica che registrano a dicembre incrementi tendenziali sono l'attività estrattiva (+17,4%) e la fornitura di energia elettrica, gas, vapore ed aria (+5,0%). Flessioni particolarmente marcate si rilevano, invece, nella fabbricazione di mezzi di trasporto (-23,6%), nelle industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori (-18,3%) e nella metallurgia e fabbricazione di prodotti in metallo (-14,6%).
Il 2024 si chiude con una diminuzione della produzione industriale del 3,5%. Tra i principali raggruppamenti di industrie, solamente per l'energia si registra un incremento nel complesso del 2024. Nell'ambito della manifattura, solo le industrie alimentari, bevande e tabacco sono in crescita rispetto all'anno precedente, mentre le flessioni più marcate si rilevano per industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori (-10,5%) e fabbricazione di mezzi di trasporto (-11,3%).
Analizziamo alcune cause del protrarsi di questo drammatico stato di cose:
1)L’imporsi di uno squilibrio nel rapporto tra finanza ed economia verificatosi al di fuori di qualsiasi regola e sfuggendo a qualsiasi ipotesi di programmazione;
2) La perdita da parte dell’Italia dei settori nevralgici dal punto di vista della produzione industriale: siderurgia, chimica, elettromeccanica, elettronica. Quei settori dei quali a Genova si diceva con orgoglio “ produciamo cose che l’indomani non si trovano al supermercato”; A fianco della crescita esponenziale del debito pubblico si collocava nel tempo il mancato aggancio dell’industria italiana ai processi più avanzati d’innovazione tecnologica. Anzi si sono persi settori nevralgici in quella dimensione dove pure, si pensi all’elettronica, ci si era collocati all’avanguardia. Determinante sotto quest’aspetto la defaillance progressiva dell’Università con la conseguente “fuga dei cervelli” a livello strategico. Un fattore questo della progressiva incapacità dell’Università italiana di fornire un contributo all’evoluzione tecnologica del Paese assolutamente decisivo per leggere correttamente la crisi;
3) Si segnalano infine due elementi tra loro intrecciati: la progressiva obsolescenza delle principali infrastrutture, ferrovie autostrade e porti e un utilizzo del suolo avvenuto soltanto in funzione speculativa, in molti casi scambiando la deindustrializzazione con la speculazione edilizia e incidendo moltissimo sulla fragilità strutturale del territorio.
Sono questi elementi riassunti in una dimensione molto schematica i punti che dovrebbero essere affrontati all’interno di quell’idea di riprogrammazione e intervento pubblico in economia completamente abbandonata dai tempi della “Milano da Bere” fino ad oggi dove prevale la retorica nazionalista di un governo fondato sulla "democrazia recitativa".
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