Il Circolo Carlo Rosselli è una realtà associativa presente a Milano sin dal 1981. http://www.circolorossellimilano.org/
giovedì 28 agosto 2025
mercoledì 27 agosto 2025
martedì 26 agosto 2025
lunedì 25 agosto 2025
Franco Astengo: Politicismo senza analisi
POLITICISMO SENZA ANALISI di Franco Astengo
Le opposizioni stanno giocando a perdere non sviluppando una seria analisi della fase e di prospettiva ed esercitandosi su misere rivalità personali sorte all'ombra del campanile, invidie di paese, tentativi di strumentalizzazioni destinate a guadagnare voti producenti spostamenti di percentuali in una quantità da prefisso telefonico mentre oltre il 50% degli aventi diritto non si reca a votare coltivando rancori e sfiducia.
Quale analisi stanno sviluppando i soggetti dirigenti delle forze di opposizione in Italia in vista della tornata di elezioni regionali che inizierà alla fine di settembre nelle Marche?
A giudicare da ciò che sta accadendo quasi dappertutto impressiona la sottovalutazione al riguardo dello stato di cose in atto e al riguardo della necessità di un forte spunto unitario orientato non solo (e sarebbe già importante) allo specifico dell'esito elettorale sul piano locale ma soprattutto al riguardo dell'urgenza di elaborazione di una proposta alternativa formulata, sia dal punto di vista dei contenuti sia dal punto di vista dello schieramento, da risultare competitiva rispetto all'aggressività della destra:
1) la drammaticità della situazione internazionale cui si accompagna la debolezza dell'Europa. Non si intende qui entrare in dettagli superflui da descrivere nel merito. Il punto riguarda invece la valutazione dell'Europa intesa come spazio politico fondamentale verso il quale riversare l'impegno per colmare il deficit di democrazia, avanzare concrete proposte di pace, proporre una posizione che risulti coerente per tutti i soggetti della sinistra e della democrazia progressista operanti nei paesi dell'Unione. Serve un nuovo internazionalismo e un'idea d'Europa smilitarizzata in particolare nella sua area centrale allo scopo di impedire la ricostituzione di una logica dei blocchi fondata sul riarmo convenzionale e sull'utilizzo del nucleare;
2) la crescente tensione interna rivolta alla determinazione di una sorta di "regime" da parte della destra, sempre in vantaggio a fornire risposte populiste in apparenza semplici a questioni complesse come nel caso dei migranti. E' sufficiente confrontare l'operato dei media mainstream da qualche mese a questa parte rispetto ad alcuni atti molto concreti compiuti dal governo, quali ad esempio lo sgombero del centro sociale Leoncavallo a Milano attuato anche bypassando il Comune: indicazione di una stretta autoritaria che si sta applicando in vari campi primo fra tutti quello dell'immaginario collettivo (nazionalismo, razzismo, revisionismo storico elargito a piene mani dalle varie agenzie culturali, in primis la televione generalista);
3) L'accantonamento di alcuni temi di carattere istituzionale, primo fra tutti quello riguardante la formula elettorale che la destra vorrebbe correggere nel senso di una ulteriore riduzione nelle possibilità di rappresentanza plurale già ridimensionata con il referendum 2020 quando il numero dei parlamentari fu fatto scendere a 600 complessivi tra Camera e Senato. La sinistra sembra aver dimenticato che la formula elettorale rappresenta l'architrave del sistema democratico , sottovalutando anche la crisi delle cosiddette democrazie liberali scivolanti gradualmente in formula autocratiche a causa della personalizzazione e dell'affermazione del concetto del dialogo diretto tra il Capo e le masse (sempre nel solco di una idea semplificata che fa coincidere la politica con il potere) ;
4) Il peggioramento nelle condizioni materiali di vita dei lavoratori e dei ceti più fragili: intensificato lo sfruttamento, ridotto quel che rimane del welfare a merce di scambio elettorale, privatizzata la sanità, reso sempre meno agibile il sistema infrastrutturale e in particolare le ferrovie, protetti settori corporativi proponenti in sostanza un'ulteriore crescita delle disuguaglianze sociali, trascurando completamente il tema ambientale : tutto questo si sta verificando in un quadro di grande disordine economico, di deficit strutturale della produzione industriale, di crescente disequilibrio complessivo (nessuna programmazione e improvvidi richiami a un nazionalismo davvero di basso profilo).
Quanto fin qui esposto (solo parzialmente) si sta verificando al di fuori di una capacità della sinistra di realizzare un quadro di proposta complessiva posta sul terreno di una visione di società alternativa fondata su di un aggiornamento di una idea di socialismo all'altezza delle contraddizioni in atto tra le quali - in chiusura - si richiama quella dell'acriticità al riguardo dello sviluppo tecnologico, dello strapotere delle multinazionali over the top, della strabordante finanziarizzazione dell'economia che ha già portato in questo primo scorcio di XXI secolo a due crisi globali (dimenticate dall'opportunistico discorso di Draghi pronunciato al meeting di CL).
martedì 19 agosto 2025
lunedì 18 agosto 2025
domenica 17 agosto 2025
venerdì 15 agosto 2025
giovedì 14 agosto 2025
Giuseppe Casanova: Tra astensionismo e calo democrafico
L’Italia sta attraversando una fase storica di profonda trasformazione, segnata da una crescente disaffezione verso la politica e da un preoccupante declino demografico. Due fenomeni apparentemente distinti, ma in realtà strettamente connessi, che delineano un quadro di fragilità sociale e istituzionale.
La politica sembra aver smarrito la sua funzione rappresentativa e ideale, restituendoci la sensazione di un’Italia, priva di slancio e di visione. Ma vediamo qualche riferimento.
Astensionismo: il sintomo di una democrazia in affanno
I dati parlano chiaro. Alle elezioni politiche del 2022 ha votato solo il 63,9% degli aventi diritto, contro il 75% del 2008 e oltre il 90% degli anni ’70. L’Istat rileva che la fiducia nei partiti politici si attesta a un modesto 3,3 su 10. Il fenomeno dell’astensionismo è ormai strutturale, e colpisce in particolare le fasce giovanili: il 27% dei 18-19enni non partecipa in alcun modo alla vita politica.
Le cause sono molteplici: la percezione di una politica distante e autoreferenziale, la frammentazione dell’offerta partitica, la mancanza di progetti credibili e la sensazione diffusa che il voto non abbia alcun impatto reale. Come ha osservato il filosofo Massimo Cacciari, “i partiti soffrono di una malattia mortale”, e la rielezione del Presidente Sergio Mattarella, pur rassicurante per alcuni, ha rappresentato per altri il segno di una politica incapace di rinnovarsi.
Denatalità: il gelo demografico che minaccia il nostro futuro.
Nel 2024 sono nati circa 370.000 bambini, il dato più basso mai registrato in Italia. Il tasso di fertilità è sceso a 1,18 figli per donna, ben al di sotto del livello di sostituzione di 2,1. L’età media al parto ha raggiunto i 32,6 anni, mentre la popolazione femminile in età fertile è passata da 14,3 milioni nel 1995 a 11,4 milioni nel 2025.
Le conseguenze sono allarmanti:
Le scuole si svuotano: il calo degli studenti in Italia. Il sistema scolastico italiano sta affrontando una sfida epocale: il drastico calo demografico. Secondo le proiezioni del Ministero dell’Istruzione e dell’Istat, nel solo 2025 si perderanno circa 134.000 studenti rispetto all’anno precedente. Ma il dato più significativo riguarda il lungo periodo: entro il 2034, il numero complessivo di studenti iscritti nelle scuole italiane potrebbe scendere sotto la soglia dei 6 milioni. Per avere un termine di paragone, nel 2014 gli studenti erano circa 7,4 milioni. Questo significa che, nel giro di vent’anni, il sistema scolastico potrebbe perdere oltre 1,4 milioni di iscritti. Un cambiamento che avrà ripercussioni su classi, organici, investimenti e sull’intero assetto dell’istruzione pubblica.
Il mercato del lavoro si contrae: entro il 2040 si suppone una perdita di circa 5 milioni di lavoratori, con una riduzione del PIL stimata all’11%.
Il sistema pensionistico è sotto pressione: gli over 65 potrebbero rappresentare il 34,5% della popolazione nel 2050.
Le cause della denatalità sono note: precarietà lavorativa, difficoltà nel conciliare lavoro e famiglia, incertezza economica, e politiche frammentate e poco incisive a favore delle famiglie.
Una sfida culturale e politica
Il quadro delineato e confermato dai dati statistici richiamati sopra, non è solo una fotografia del presente, ma un monito per il futuro. L’Italia ha bisogno di una nuova visione, capace di restituire fiducia ai cittadini e speranza alle famiglie. Occorre investire nella natalità non solo con incentivi economici, ma con politiche strutturali che garantiscano lavoro stabile, servizi accessibili, e una cultura della famiglia. Allo stesso tempo, è urgente ricostruire il legame tra cittadini e istituzioni, restituendo dignità alla democrazia e alla partecipazione.
Solo così sarà possibile invertire la rotta e restituire all’Italia quel senso di comunità e di progetto che oggi sembra smarrito.
Giuseppe Casanova
Quartu Sant’Elena
mercoledì 13 agosto 2025
Franco Astengo: Industria
INDUSTRIA di Franco Astengo
Il quadro di fondo rimane quello a suo tempo delineato dalla resa ai meccanismi perversi di quella che è stata definita “globalizzazione” e dei processi dirompenti di finanziarizzazione dell’economia, “scambio politico” e assenza di una visione industriale. Fattori che da decenni pesano in maniera esiziale sulle prospettive dell’economia italiana. (Tanto più in tempi nei quali si è aperta la polemica sul ruolo e peso di un turismo senza controllo, gestito corporativamente da privati fautori di disuguaglianze e spacciato come possibile fattore di crescita).
Loris Scarpa, coordinatore nazionale del settore siderurgia della FIOM CGIL centra l'obiettivo in un suo intervento pubblicato dal "Manifesto"e sviluppato a proposito dell'accordo "storico" vantato da ministro Urso per la presunta decarbonizzazione della produzione nello stabilimento ILVA di Taranto.
Sostiene Scarpa (riassumo ripetendo il titolo redazionale): "Non avremo neanche l'acciaio per il ponte, ammesso che si faccia".
Questo perchè l'accordo (se così vogliamo chiamarlo) evita un ragionamento di politica industriale che affronti il problema di produrre e consumare acciaio in questo Paese. Produzione di acciaio che rimane il fattore determinante per la produzione industriale di un paese come l'Italia in tempi di deficit europeo e di dazi made in USA.
Il tema complessivo è quello della produzione industriale in calo costantemente da 20 mesi.
C'è un virus che non abbandona il corpo cronicamente debilitato dell'economia italiana. Si chiama recessione e, anche se i valori delle analisi statistiche non lo accertano formalmente, in realtà agisce sotto traccia e continua a proliferare.
L’Italia è un paese senza progetto, tale e quale l'Unione Europea.
Vale allora la pena ritornare su questi (decisivi) argomenti con alcune osservazioni.
La situazione italiana può essere, ancora una volta schematizzata in relazione alla nostra storia industriale dal dopoguerra in avanti.
Si tratta di argomentazioni già sostenute in varie sedi ma mai come in questo caso “repetita juvant”.
Il punto di partenza non può che essere quello degli anni’70: la fase di avvio dello “scambio politico”, attraverso l’operazione “privatizzazioni” realizzate in funzione clientelare rispetto alla politica.
Negli anni’80 le compensazioni delle perdite avvennero a spese dei contribuenti (ricordate i BOT a 3 mesi?) con la relativa esplosione del debito pubblico e all’inizio degli anni’90, finiti i soldi dello Stato, dichiarati incostituzionali i prestiti,l’IRI trasformata in s.p.a.
L’esito più grave della fase dello “scambio politico” infatti, si realizzò in una condizione di totale assenza di un piano industriale per il Paese, mentre stavano verificandosi almeno quattro fenomeni concomitanti:
1) L’imporsi di uno squilibrio nel rapporto tra finanza ed economia verificatosi al di fuori di qualsiasi regola e sfuggendo a qualsiasi ipotesi di programmazione;
2) La perdita da parte dell’Italia dei settori nevralgici dal punto di vista della produzione industriale: siderurgia, chimica, elettromeccanica, elettronica. Quei settori dei quali a Genova si diceva con orgoglio “ produciamo cose che l’indomani non si trovano al supermercato”;
3) A fianco della crescita esponenziale del debito pubblico si collocava nel tempo il mancato aggancio dell’industria italiana ai processi più avanzati d’innovazione tecnologica. Anzi si sono persi settori fondamentali in quella dimensione dove pure, si pensi all’elettronica, ci si era collocati all’avanguardia. Determinante sotto quest’aspetto la defaillance progressiva dell’Università con la conseguente “fuga dei cervelli” a livello strategico. Un fattore questo della progressiva incapacità dell’Università italiana di fornire un contributo all’evoluzione tecnologica del Paese assolutamente decisivo per leggere correttamente la crisi;
4) Si segnalano infine due elementi tra loro intrecciati: la progressiva obsolescenza delle principali infrastrutture, in particolare le ferrovie ma anche autostrade e porti e un utilizzo del suolo avvenuto soltanto in funzione speculativa, in molti casi scambiando la deindustrializzazione con la speculazione edilizia e incidendo moltissimo sulla fragilità strutturale del territorio. In questo contesto registriamo l'abbandono del welfare (ridotto a bonus come spot elettorali), la privatizzazione della sanità, la crisi del sistema delle autonomie locali ridotte a scorribande personalistiche con l'elezione diretta di Presidenti (definiti erroneamente Governatori) e Sindaci. Si potrebbe proseguire ricordando l'asservimento politico del sistema informativo, il clientelismo culturale e l'attacco all'indipendenza della magistratura, ma ci fermiamo a questo punto.
5) E' assente una discussione seria sull'energia (da porsi in particolare relazione con l'analisi della situazione internazionale). Riprendo ancora Scarpa "L'Italia ha una buona parte della produzione di energia nelle rinnovabili,come le centrali idroelettriche ed è un'unicità europea.Ma la paghiamo più cara. Perchè? Le centrali idroelettriche sarebbero da potenziare perché il gas è un vettore di transizione non un vettore finale. Le non-scelte che si stanno facendo in questo senso gravano sul settore industriale".
6)Sono questi riassunti in una dimensione molto schematica i punti che dovrebbero essere affrontati all’interno di quell’idea di riprogrammazione e intervento pubblico in economia completamente abbandonata dai tempi della “Milano da Bere” fino ad oggi.
Sarà soltanto misurandoci su di un’idea di progetto complessivo che si potrà tornare a parlare d’intervento e gestione pubblica dell’economia: obiettivo, però, che una sinistra capace di rovesciare il proprio paradigma storico dovrebbe porre all’attenzione generale senza tema di apparire “controcorrente”.
martedì 12 agosto 2025
lunedì 11 agosto 2025
Franco Astengo: Una riflessione sul socialismo oggi in Italia
Il brillante lavoro di Beppe Sarno sulle origini del movimento socialista in Italia (Volevamo la Rivoluzione, Storia del socialismo italiano da Bakunin a Turati- Delta edizioni 2025) stimola, come indica anche l'autore nell'introduzione, una riflessione sull'oggi.
Scrive Sarno: "Si avverte il bisogno di chiarire la situazione in cui siamo immersi, di valutare nella loro esatta dimensione le ragioni dell'attuale abbrutimento culturale e la perdita della memoria socialista".
Più avanti l'autore ricorda come: "Bisogna riaccendere la luce sulla nostra storia perché il partito nato nel 1892 non è altro che la naturale evoluzione di un processo storico".
A mio giudizio è così che deve essere affrontato il problema (esistente) di una identità e di una presenza socialista oggi in Italia e in Europa: cercando cioè di rendersi conto di quanto il processo storico in corso richieda questa presenza, tenendo conto di tutte le esperienze accumulate compresa quelle originate dalla Rivoluzione d'ottobre (La "Rivoluzione contro il capitale" secondo Gramsci) e del conseguente congresso di Livorno del 1921.
Un utilizzo di esperienze e storia da attuarsi senza recriminazioni e/o revanscismi di sorta.
In questo momento si tratta di cercare di capire almeno due cose:
1) Se può davvero risultare necessaria una presenza socialista (anche nel senso della dimensione di "classe") all'interno dello schieramento democratico - progressista oggi operante in Italia sia nell'ambito del centro-sinistra, sia al di fuori di esso o se questa presenza socialista risulti già in una qualche misura "coperta" da altre formazioni (come l'alleanza Verdi - Sinistra) oppure da correnti interne al PD;
2) Come questa presenza socialista possa inserirsi nel processo storico in atto che presenta elementi di necessità di un vero e proprio "rovesciamento teorico" rispetto alla fase ricostruita da Sarno nel suo volume e a quelle successive: fasi identificabili tanto per riassumere all'ingrosso "nelle magnifiche sorti e progressive".
In questo senso la prima affermazione compiuta che si dovrebbe sostenere risulterà necessariamente chiara e schematica: "Il centrosinistra italiano è incompleto perchè manca una forza socialista capace di interpretare, nella ricerca dell'uguaglianza e del perfezionamento democratico, il nuovo corso tecnico-scientifico ormai padrone della "politica" che sta imponendo il cosiddetto "capitalismo delle piattaforme" attraverso la trasformazione delle democrazie in autocrazie e usando la guerra quale veicolo di una nuova era di sopraffazione in campo militare, ambientale, politico costruendo nuove e profonde diseguaglianze sulla base delle quali costruire il proprio potere assoluto".
Ben conscio dei miei limiti di capacità di elaborazione per una proposta politica compiuta mi permetto anche in questa occasione il rilancio di una ipotesi di "socialismo della finitudine" inteso come base per una nuova prospettiva politica.
“Socialismo della finitudine” per ripartire dall’idea dell’impossibilità, rispetto a quello che abbiamo pensato per un lungo periodo di tempo,di procedere sulla linea dello sviluppo infinito inteso quale motore di una storia inesorabilmente lanciata appunto come ricordato poco sopra verso “le magnifiche sorti e progressive”. Il primo punto di un programma così teoricamente impostato dovrebbe allora essere quello rappresentato dalla progettazione e da una programmazione di un gigantesco spostamento di risorse tale da modificare profondamente il meccanismo di accumulazione dominante secondo i principi della programmazione democratica e una visione di "società sobria" di forte tensione verso l'uguaglianza e fondata sull'intervento pubblico in economia verso settori decisivi dell'industria, dell'ambiente, dei trasporti, della scuola(la cui priorità di intervento dovrebbe essere quello di affrontare il deficit cognitivo che assilla diversi settori sociali) della sanità. Oggi il ritorno della guerra come prospettiva globale (tema della guerra il cui affrontamento potrà avvenire soltanto a livello europeo), il riferimento a innovazioni tecnologiche in grado di mutare il quadro di riferimento sociale, l'emergere di tensioni "dittatoriali" sconvolgono l’assetto consolidato in un momento in cui si sta attraversando una forte difficoltà per quell’accelerazione nei meccanismi di scambio che abbiamo definito come “globalizzazione” e di evidente ripresa delle tensioni nazionalistiche.
"Socialismo della finitudine" come elaborazione resa al fine di realizzare un mutamento sociale posto nel senso del passaggio dall’individualismo competitivo a una nuova realtà di responsabilità collettiva per avanzare un disegno di mutamento nell'offerta politica in una visione di mutamento sistemico.
domenica 10 agosto 2025
venerdì 8 agosto 2025
giovedì 7 agosto 2025
mercoledì 6 agosto 2025
martedì 5 agosto 2025
sabato 2 agosto 2025
Milano e i giovani politici, Pacini: "Una nuova linea metropolitana fa salire i prezzi delle case ma abbatte le disuguaglianze, un centro commerciale no"
venerdì 1 agosto 2025
giovedì 31 luglio 2025
mercoledì 30 luglio 2025
martedì 29 luglio 2025
Franco Astengo: Europa
GUERRA,DAZI,SPAZIO POLITICO EUROPEO: PER UNA ZIMMERWALD DEL XXI SECOLO di Franco Astengo
In un momento di immane tragedia come questo contrassegnato dalla guerra come fattore discriminante si è aggiunta la cosiddetta vicenda dazi al riguardo delle quale vogliamo registrare le reazioni dei principali soggetti politici d'alternativa presenti sul piano europeo: una posizione che accomuna Linke, France Insoumise, PCF, Verdi Francesi (il cui portavoce Benjamin Lucas chiede il voto dell'europarlamento e dell'Assemblea Nazionale), Podemos mettendo anche in difficoltà il PSOE di governo che facendo parte del gruppo S&D a Strasburgo ha votato la commissione Von der Leyen oltre ai partiti italiani.
L'occasione può diventare buona allora per cercare di oltrepassare remore antiche individuando l'Europa come spazio politico ed elaborando una posizione di sinistra alternativa sui punti nodali del confronto in atto superando anche la logica che presiede la divisione in gruppi al Parlamento Europeo.
L'obiettivo dovrebbe essere quello di costruire una adeguata realtà che da sovranazionale (come adesso) dovrebbe evolvere in internazionalista.
Il giudizio che si cerca di esprimere attraverso questo intervento deriva dall’analisi delle contraddizioni che sul piano economico, politico e sociale attraversano lo spazio politico europeo: contraddizioni che possono essere affrontate soltanto se valutate nel profondo delle loro determinazioni complessive, prima di tutto al riguardo del ristabilimento delle condizioni imposte da meccanismi, ben evidenti tra l’altro nello specifico del “caso italiano” di limitazione nell’esercizio dell’agibilità democratica.
Si tratta di non lasciare aperto lo spazio generato dal disorientamento generale e fin qui appannaggio dei populismi e dell’astensione, cercando di colmarlo – anche parzialmente com’è ovvio- da contenuti di lotta che possono avere possibilità di presenza politica ed anche istituzionale soltanto attraverso una precisa collocazione all'interno del quadro politico europeo nell'ottica di costruzione alternativa.
La questione europea necessita di un ripensamento al riguardo di determinate posizioni assunte anche nel recente passato.
Debbono essere elaborati elementi di progettualità alternativa posti sia sul terreno della strutturazione politica, sia al riguardo della prospettiva economica e sociale e soprattutto della pace. Non è sufficiente pensare alla green economy e ai possibili relativi modelli di vita: le fasi di transizione sono diverse e complesse, difficili da intrecciare.
Abbiamo davanti grandi difficoltà : dobbiamo essere capaci di ripensare i temi dello sviluppo e della stessa convivenza civile, delle relazioni umane, degli interscambi economici, culturali, sociali, ambientali proponendo il superamento del legame esclusivo alla logica del profitto.
Deve essere aperta una prospettiva della trasformazione sociale a livello sistemico corrispondente però ad una adeguata soggettività politica.
il punto di ripartenza potrebbe essere costituito da un’opposizione alla logica della guerra il cui senso potrebbe essere riassunto nell’indicazione di una “Zimmerwald del XXI secolo”. Un incontro tra forze diverse nel corso del quale porre le questioni fondamentali affrontando anche il tema del deficit di democrazia che affligge la vita politica del Continente.
lunedì 28 luglio 2025
domenica 27 luglio 2025
sabato 26 luglio 2025
venerdì 25 luglio 2025
giovedì 24 luglio 2025
mercoledì 23 luglio 2025
lunedì 21 luglio 2025
Franco Astengo: Il sol dell'avvenire
IL SOL DELL'AVVENIRE di Franco Astengo
Siamo di fronte a un momento senza precedenti: la rivoluzione agricola richiese millenni, quella industriale secoli, la trasformazione tecnologica è già avvenuta in pochi decenni. Ora è tempo di farla evolvere. E' oggi che plasmiamo le fondamenta della prossima società.
Così Luciano Floridi inquadra lo stato di cose in atto con un suo saggio "L'era digitale richiede responsabilità" pubblicato dalla "Lettura" del Corriere della Sera il 20 luglio.
Floridi prosegue: "In molti contesti si parla ancora di tecnologie emergenti come se il digitale fosse una novità. Ma la rivoluzione digitale è già avvenuta da decenni: è tempo di farla evolvere nella direzione che preferiamo. Siamo di fronte ad un momento senza precedenti, a differenza delle rivoluzioni agricola e industriale, che richiesero millenni la prima e secoli la seconda per dispiegarsi, la trasformazione digitale sta avvenendo in pochi decenni.
Lo stordimento è comprensibile, ma trattarla ancora come un'innovazione è un errore che rischia di diventare alibi per l'inazione. E' oggi che plasmiamo le fondamenta ancora malleabili della società futura. Dalla crisi dei rapporti internazionali ai cambiamenti climatici, dalla non equità economica alle migrazioni, dalle guerre alle violenze sulle minoranze le soluzioni partono dalla politica e quindi anche dalla creazione di una società digitale migliore, trasformando il possibile in preferibile. Se non interveniamo ora, gli errori diventeranno sempre più difficili da correggere e le opportunità mancate sempre più irrecuperabili".
L'autore aggiunge: C'è il rischio di una oligarchia digitale formata da alcuni Paesi con capacità avanzate, grandi aziende tecnologiche e pochi individui, il famoso 1 per cento. Unicamente con maggiori e migliori conoscenze, democrazia, politica si può governare la transizione senza subirla.
Sorprendentemente (ma non troppo almeno per chi ha sempre e comunque cercato di analizzare la strutturalità delle fratture sociali andando oltre lo schema di Lipset e Rokkan) arrivano risposte radicali a questo tipo di interrogativi.
Ne citiamo due:
1) quella della politologa albanese Lea Ypi autrice di un recente testo "Confini di Classe" pubblicato da Feltrinelli. La Ypi risponde, tra le altre, ad una domanda sulla creazione della coscienza di classe richiamando la funzione di partiti e movimenti per la costruzione di una egemonia del discorso recuperando un modello di partito inteso gramscianamente come "Moderno Principe". In sostanza una direzione “diffusa” con un concetto di relazione tra verticalità e orizzontalità nella direzione politica posto in grado di esprimere tre elementi critici rispetto al modello passato: 1) la solidarietà nella massa, senza il vincolo stretto della dimensione puramente ideologica; 2) L’espressione di questa solidarietà come egemonia verso l’intera classe; 3) Una direzione “larga” composta non soltanto da rivoluzionari professionali ma da quadri diffusi sul territorio e nella società capaci di introdurre anche elementi di “parzialità” nel rapporto con il partito e di forte, ragionato, ricambio nella formazione dei gruppi. Una visione originale dunque della “via consiliare” sulla quale forse, pensando a una strutturazione politica della classe adeguata alla complessità dell’oggi, vale la pena di sviluppare qualche riflessione sul piano teorico.
2) quella di Alessandro Sahebi nel suo " Questione di classe" (Mondadori) dove sostiene come Il pensiero dominante ci ha convinto che la felicità sia una conquista individuale, non collettiva. Ma è solo l'ennesimo inganno di un sistema ingiusto, che alimenta la competizione e l'egoismo per dividerci. Un'alternativa esiste ed è collaborare, condividere, immaginare una società in cui stare bene non sia un privilegio per pochi, ma un diritto di tutti. Realizzarla non è solo un desiderio, è un atto politico necessario. Per compiere questo atto politico l'autore indica molto semplicemente l'orizzonte del socialismo riscoprendo in pieno il tema marxiano dell'alienazione del lavoro.
Valeva la pena di riprendere gli interrogativi di Floridi e di accostarli alle risposte di Ypi e Sahebi (in questa sede pur riassunte molto schematicamente) perché ci richiamano a una necessità che, in questo frangente storico, ci appare imprescindibile: E' urgente rinnovare un tentativo per affrontare questo tema partendo da un punto fermo: l'inevitabilità di ricostruire una coscienza e una volontà politica.
La coscienza della propria appartenenza e la volontà politica di determinare il cambiamento rimangono fattori insuperabili e necessari come motore di qualsivoglia iniziativa della trasformazione dello stato presente delle cose.
Attenzione però lo stato presente delle cose va cambiato sia nel senso della condizione oggettiva della nostra esistenza sia in quello dell'assunzione di una consapevolezza soggettiva del vivere con gli altri.
Da questa consapevolezza tra individuale e collettivo "si realizza la vita d'insieme che è solo la forza sociale, si crea il "blocco storico"" (Gramsci Quaderno 11).
Come auspicava Luckas "la coscienza di classe trova il suo superamento nell'universale riconoscimento della propria appartenenza al genere umano".
E' l'utopia del sol dell'avvenire: ben venga se elaborata guardando al futuro senza rimpianti.
domenica 20 luglio 2025
sabato 19 luglio 2025
Franco Astengo: Modernità e concezione del potere
MODERNITA' E CONCEZIONE DEL POTERE di Franco Astengo
Lo scontro aperto tra il Governo e la Magistratura rappresenta in questo momento il punto più delicato emergente dalla crisi della nostra democrazia costituzionale e dal presentarsi di quello che potremmo definire tranquillamente "spostamento a destra" del contesto istituzionale.
Altri elementi appaiono di fronte stridore in un contrasto che oltrepassa il riferimento politico e investe in pieno quello ideologico sul terreno della concezione dello Stato: ad esempio quello dell'educazione.
Da qualche parte nell'affrontare questo tema della concezione dello Stato si tende ad assimilare l'iniziativa della destra oggi al governo in Italia ad un classico "ritorno all'indietro" analizzando i fattori (che pure si presentano studiando i diversi passaggi) che ci richiamano alla tradizione politico - culturale patrimonio del partito di maggioranza relativa: quella del fascismo (anche se qui ci sarebbe da distinguere essendo la matrice missina legata alla Repubblica di Salò mentre nell'immaginario del partito di maggioranza relativa si sommano altri elementi abbastanza inquietanti come quelli esoterici).
Per affrontare questo stato di cose non basta però riflettere sul presentarsi di elementi di indubbio "pragmatismo di governo" intesi quali punti di contrasto con una visione rivolta all'indietro accreditando così l'azione di governo alla "modernità" e relegando in secondo piano la visione ideologica.
Il punto di partenza per un ragionamento di merito riguarda proprio la Magistratura che ha svolto sempre di più funzioni di supplenza al riguardo della determinazione degli equilibri politici e degli stessi orientamenti legislativi, intervenendo addirittura su temi di diretta pertinenza al riguardo delle fonti stesse di legittimazione delle sedi legislative: si pensi al tema della legge elettorale senza addentrarci in temi di stretta attualità.
Inoltre i confini del potere politico appaiono confusi rispetto a quelli del potere economico: su questo punto è avvenuto, sempre per restare nell’ambito dell’Occidente e ancor più in specifico del “caso italiano”, una surrettizia (e non completata) “cessione di sovranità” verso le istituzioni monetarie e finanziarie dell’Unione Europea (queste, tra l’altro, prive di una legittimazione politica complessiva che dovrebbe essere proprietà soltanto del Parlamento Europeo, provvisto però di una capacità d’incidenza concreta molto limitata, come abbiamo ben verificato nel corso degli ultimi episodi di fortissima crisi internazionale).
Questa labilità dei confini tra l'economico e il politico è tra l'altro tra le cause di una situazione post-globalizzazione che sta generando quella realtà contrassegnata da eventi bellici e di nuova guerra commerciale che troviamo all'ordine del giorno.
Uno spunto di riflessione ulteriore può essere suggerito, a questo punto, da un aggiornamento d’analisi al riguardo della teoria della “microfisica del potere” elaborata a suo tempo da Michel Foucault per rispondere proprio all’evidenziarsi di quella “confusione tra i poteri” cui si è appena accennato.
La teoria del filosofo francese considera il potere come una risorsa che circola attraverso un’organizzazione reticolare.
Il potere non si concentra più al vertice ma si disperde nella società attraverso gli individui: è la tesi della “inflazione del potere” cui Luhmann risponde considerandola come fonte dell’ingovernabilità con la teoria della riduzione del rapporto tra politica e società, e di conseguenza con una sorta di ritorno a forme “decisionistiche” di tipo quasi assolutiste.
Si tratterebbe in sostanza di prendere atto della necessità di un potere sovraordinato rispetto al venir meno di confini netti tra potere economico, politico, ideologico, tra poteri costituenti e poteri costituiti oppure ancora tra esecutivo, legislativo, giudiziario.
Sorge però a questo proposito una domanda cruciale: come potrà costituirsi, nel concreto, questo potere sovraordinato?
Una possibile risposta può venire proprio dall’analisi dell’attualità del caso italiano.
La risposta può venire dalla finzione, dalla messa in scena di un potere esclusivamente immaginario esercitato in via personale da un attore capace di interpretare il flusso degli strumenti mediatici (orientati, tra l’altro, sempre più verso il consumo individuale di notizie e di fittizi rapporti sociali e di trasmissione di idee).
Nel "caso italiano" è già stato tentato (e fallito) il salto diretto dalla presidenza del consiglio a quella della repubblica che potrebbe essere ritentato nella prossima occasione utile considerate le difficoltà che l'ipotesi di premierato sta incontrando sia nelle valutazioni di merito sia sul piano più propriamente politico.
Il punto di una possibile saldatura nell'azione di governo tra una sorta di "ideologia dell'immaginario" e un "pragmatismo della modernità" si troverebbe invece in un cambiamento radicale nella concezione del potere rispetto alla tradizione liberale: ed è un punto di assoluta pericolosità per l'avvenire della democrazia ( nella fattispecie di quella repubblicana sancita dalla Costituzione del 1948).
Forse vale la pena riflettere al meglio su questi elementi di novità al fine di comprendere davvero ciò che sta accadendo attorno a noi.
L’obiettivo dovrebbe essere quello di attrezzarci al meglio sul piano teorico: sicuramente, sotto quest’aspetto il concetto e la conseguente percezione esterna del potere sono mutati nella valutazione di larga parte dell’opinione pubblica, almeno in Occidente.
Un elemento sul quale, con ogni probabilità, il fattore globalizzazione ha inciso in maniera inferiore rispetto ad altre tematiche come, invece, quelle riguardanti la finanziarizzazione dell’economia, la standardizzazione dei meccanismi comunicativi, l’apertura ai flussi di migrazione: tutti fenomeni che nell’ultimo ventennio hanno registrato un forte incremento nel loro peso specifico sulla realtà politica, economica, sociale.
Nello sviluppo del pensiero umano il concetto di potere è sempre stato suddiviso in “comparti” (per così dire).
Nella modernità attorno al concetto di potere abbiamo trovato espressi fattori come potenza, forza, influenza tutti utilizzati al fine di realizzare il condizionamento sociale per trovare obbedienza a un comando che contenga un determinato contenuto.
Su queste basi era maturato il concetto fondamentale di separazione dei poteri (Locke, Montesquieu, Sieyès) destinata a diventare il cardine dello Stato di diritto.
In particolare l’abate Sieyès, con la sua teorizzazione dei rapporti tra potere costituente e poteri costituiti, pone le basi per la teoria moderna della Costituzione.
Il testo della Costituzione deve essere così inteso come atto normativo mirante a definire e disciplinare la titolarità e l’esercizio del potere sovrano.
Da questa concezione del potere e del suo esercizio che, a questo punto, potrebbe essere definita come “classica” è derivata concretamente l’attuazione del principio della separazione dei poteri: tra potere legislativo e potere esecutivo da un lato, e tra potere giudiziario e potere legislativo dall’altro.
Su questi basi prendeva corpo l’idea della Centralità del Parlamento, che sovraintende – tra l’altro – all’intero impianto istituzionale previsto dalla Costituzione Italiana del 1948.
Oggi, non soltanto in Italia, questo schema si sta rapidamente modificando.
Lo Stato legislativo ha ormai lasciato il posto allo Stato governativo che produce una sorta di “inflazione normativa” nella forma di decreti e decisioni particolaristiche (è sufficiente esaminare il lavoro del Parlamento Italiano nel corso degli ultimi trent’anni).
In questo quadro l'azione del governo di destra trova il suo spazio non semplicemente riferito al"ritorno all'indietro" o a una mera concezione totalitaristica: il tema è quello della "concezione dello stato" e l'opposizione non può limitarsi al semplice terreno politico, occorre "cercare ancora" e molto più a fondo.
venerdì 18 luglio 2025
mercoledì 16 luglio 2025
martedì 15 luglio 2025
domenica 13 luglio 2025
sabato 12 luglio 2025
venerdì 11 luglio 2025
giovedì 10 luglio 2025
Franco Astengo: Cultura e politica
CULTURA E POLITICA di Franco Astengo
Nei giorni scorsi Gianfranco Pasquino attraverso un suo intervento ha risollevato il tema del rapporto tra cultura e politica rivolgendosi alla sinistra italiana nella sua complessità e rilevando un vero e proprio deficit nella riflessione strategica e nella stessa dimensione della ricerca di valori le cause delle imperanti divisioni non risolvibili attraversi meccanismi di alleanza appoggiati semplicisticamente sulla dimensione politicista.
Sulla base di questo importante stimolo abbiamo allora provato ad entrare un poco nel merito della delicata (e annosa) questione.
La sinistra italiana, quella “storica” che aveva contribuito in maniera determinante alla Liberazione e nell’Assemblea Costituente, è stata da molto tempo colpita al cuore da fenomeni di vera e propria involuzione dell'agire politico.
Forze politiche radicate profondamente sul territorio attraverso ramificate strutture organizzate hanno prima ceduto sul piano culturale (pensiamo alla personalizzazione e alle logiche del maggioritario e della governabilità ad ogni costo) e poi su quello concreto della presenza sociale e politica, lasciandosi dietro di sé un vuoto che prontamente, come vogliono leggi immutabili, è stato riempito con i veleni dell'antipolitica e della sua degenerazioni autocratiche, sovraniste, nazionaliste. Veleni cui hanno contribuito il deficit democratico accumulato dall'Unione Europea e l'arretramento delle democrazie liberali nei loro storici "punti alti".
Il fenomeno, naturalmente, come abbiamo già richiamato ha assunto dimensioni sovra-nazionali (anche in conclusione di un ciclo nel corso del quale era stata accelerata l'idea di cessione di sovranità dello stato-nazione) ma nello specifico del “caso Italiano” (quello delle anomalie positive del ’68 più lungo perché intrecciato tra studenti e operai, e della presenza del più grande partito comunista d’Occidente pilastro della democrazia repubblicana) ha palesato una valenza del tutto particolare, al punto da farci pensare dell’esistenza di rischi seri di involuzione autoritaria mentre si evidenzia una "fragilità degenerativa" dell'insieme del sistema politico.
L’aggregazione dei soggetti agenti all’interno delle grandi contraddizioni della modernità ma anche, e soprattutto, da un recupero nel rapporto tra cultura e politica, dalla ricostituzione di un nucleo intellettuale all’altezza e ramificato in vari settori della vita non soltanto del Paese ma a dimensione internazionale.
Un nucleo intellettuale che recuperi l’idea di una politica considerata anche come oggetto di studio e sede di riflessione sulle grandi prospettive epocali, sulla storia, sull’approfondimento del pensiero politico.
Per questo motivo seguiranno considerazioni di merito rivolte proprio all’aspetto dello studio del pensiero politico, invitando coloro che non intendono abdicare dall’impegno nascondendosi (come sempre più spesso purtroppo accade) dalla loro identità a riflettere attorno a questo elemento.
Dalla “filosofia della prassi” gramsciana va ripresa in pieno l’idea di fondo del ruolo dell’intellettuale: “Elemento vitale del partito politico è l'unità di teoria e pratica. Questo, però, non è un problema filosofico ma, una "quistione" che deve "essere impostata storicamente, e cioè come un aspetto della quistione politica degli intellettuali".
Gramsci si pone quindi il problema di elaborare una teoria generale della funzione e del ruolo degli intellettuali (a essa sono dedicate le note raggruppate nel Quaderno 10), il cui concetto principale è quello di "intellettuale organico". Esso sta a indicare che gli intellettuali, contrariamente a come generalmente si autorappresentano, non costituiscono "un gruppo sociale autonomo e indipendente", ma "ogni gruppo sociale, nascendo sul terreno originario di una funzione essenziale nel mondo della produzione economica, si crea insieme, organicamente, uno o più ceti di intellettuali che gli danno omogeneità e consapevolezza della propria funzione non solo nel campo economico, ma anche in quello sociale e politico" (ibid., p. 1513). Le funzioni degli intellettuali sono eminentemente "organizzative e connettive", e dipendono dal ruolo che essi hanno in rapporto al mondo della produzione, all'organizzazione della società e dello Stato.
L’idea allora è quella di lavorare, con tutti gli strumenti disponibili, intorno al rapporto tra cultura e politica, un rapporto che accusa ormai da molti anni un deficit particolarmente vistoso, ridotto all’assemblaggio di un insieme di tecnicismi, in diversi campi da quello accademico per arrivare a quello istituzionale, laddove la politica appare ormai confusa con l’economicismo e con un giurisdizionalismo astratto nell'esercizio del potere.
Tutti questi elementi sono ancora del tutto validi anche in tempi di IA anche se vanno adattati al coacervo di contraddizioni operanti nella modernità che reclamano un mutamento di paradigma rispetto all'idea un tempo prevalente delle "magnifiche sorti e progressive".
Si tratta di partire per una ricognizione di fondo, anche partendo dal proposito di sviluppare una “ricerca di parte”, con l’ambizione di ottenere il risultato di provocare una riflessione complessiva tale da superare le settorializzazioni, gli schematismi oggi imperanti che, alla fine, hanno danneggiato non soltanto la qualità degli studi e delle ricerche, ma soprattutto la qualità dell’“agire politico” in un contesto nel quale
Il riferimento è rivolto a un pensiero politico in grado di esprimere interessi, finalità aspirazioni ben individuabili che, a partire da precisi punti di vista di soggettività determinate, è capace di interpretare le sfide reali della storia, e vi risponde in base a parametri e a esigenze di volta in volta mutevoli.
Serve legarsi a un filo conduttore, coscienti del fatto che ciò non significa che il pensiero politico si sia rivolto sempre ai medesimi problemi attraverso le medesime categorie.
Al contrario è necessario prestare grande attenzione e insistenza nel mettere in luce che, se è vero che i concetti politici sono la struttura-ponte di lungo periodo, l’asse portante della storia politica dell’Occidente (perché è dell’Occidente che si è chiamati a occuparci, sia pure giocoforza) è anche vero che solo le trasformazioni epocali, il mutare degli orizzonti di senso, il modificarsi catastrofico degli scenari sociali e politici, oltre che intellettuali, hanno consentito ai concetti politici di assumere di volta, in volta, il loro significato concreto.
Insomma, è necessario mettere in rilievo che la concretezza del pensiero politico consiste proprio nel fatto che esso aderisce alle drammatiche discontinuità dell’esperienza storica, e anzi le riconosce, le interpreta, le mette in forma.
Probabilmente quello che stiamo attraversando è proprio uno di quei momenti storici.
Si deve avere fiducia, ed è questa l’unica nota di ottimismo permessa, nell’importanza e nell’efficacia formativa della storia del pensiero politico, nel suo senso più vasto.
Si tratta di tornare alla capacità di fornire strumenti per interpretare lo spessore storico e concettuale, per decifrare i momenti di crescita e di crisi, di dramma e di trionfo, di chiusura localistica e di apertura universale della nostra civiltà intellettuale e politica: tutto il contrario dell’impreparazione improvvisata che appare di scena oggi nell’arena del sistema politico italiano.
mercoledì 9 luglio 2025
martedì 8 luglio 2025
Franco Astengo: Socialismo internazionale
SOCIALISMO INTERNAZIONALE di Franco Astengo
Utilizzo senz'altro in modo arbitrario alcuni interventi apparsi in questi giorni e incentrati attorno al tema della forma politica della sinistra in Italia e altrove.
"Domani" ha lanciato un vero e proprio dibattito impostato sulla base di una lettera inviata da Nadia Urbinati e Carlo Trigilia alla segreteria del PD Schlein, cui hanno già risposto Gianni Cuperlo e Andrea Lorenzo Capussela: dibattito nel corso del quale il tema appare essere quello di una visione alternativa da opporre ai demagoghi, reazionari, moderati o populisti che hanno rinunciato al tentativo di invertire il declino economico e civile dell'Italia e da decenni si contendono la prerogattiva di gestire il potere a vantaggio di diversi interessi particolaristici.
Nello stesso tempo dalle colonne del "Manifesto" Luciana Castellina misura da par suo l'andamento di una assemblea nazionale dell'ARCI svoltasi a Padova e rilancia - in sostanza- l'idea del "partito sociale della sinistra".
Mi permetto di collegare a questi due spunti di discussione anche il contenuto di una intervista rilasciata qualche giorno fa sempre al "Manifesto" da Yannis Varoufakis, promotore del movimento Diem25 (in verità l'unico che utilizza il termine "socialista").
Varoufakis accenna all'idea di ricostruire un internazionalismo socialista europeo (un vero e proprio "Socialismo Internazionale") con l'idea di collegare la lotta al riarmo e il movimento pacifista in un quadro complessivo di prospettiva socialista per la quale, però, mi permetto di aggiungere va compiuto almeno sul piano teorico il salto di un mutamento di paradigma inserendo nel concetto di "sviluppo" quello di "limite" (un tema sul quale mi permetto un accenno ma che credo occorrerebbe approfondire) in una visione di "socialismo della società sobria" affrontando sul piano progettuale i nodi della complessità delle contraddizioni post-moderne poste in relazione alla "frattura" dello sfruttamento (del lavoro, del territorio, del genere).
In tempi di guerra la ricerca di uno strumento utile per avviare la discussione farebbe saltare in mente vecchie storie, risalenti addirittura alla prima guerra mondiale con l'opposizione di alcuni dei socialisti di allora (dopo la tregedia del voto ai crediti di guerra dell'SPD e del Partito Socialista Francese e il pratico scioglimento della Seconda Internazionale) e la convocazione delle conferenze di Zimmerwald e Kienthal.
Fin qui soltanto un accenno ad un itinerario (evidentemente impossibile) riferito soltanto per tracciare un solco non soltanto nella memoria, ma riflettendo che tant'è un tasto lo si potrebbe battere nella passività imperante.
lunedì 7 luglio 2025
sabato 5 luglio 2025
venerdì 4 luglio 2025
martedì 1 luglio 2025
lunedì 30 giugno 2025
sabato 28 giugno 2025
venerdì 27 giugno 2025
Gianluca Mercuri: Mamdani, New York e l'eterna ricerca di un'anima di sinistra
Mamdani, New York e l'eterna ricerca di un'anima di sinistra
editorialista
Gianluca Mercuri
Provate a immaginare Joe Biden che, un paio d’anni fa, si tuffa nel mare gelido a Capodanno, completamente vestito, e poi guarda il cellulare che lo sta riprendendo e dice ammiccante: “Sto congelando… l’inflazione”.
Il vecchio presidente si tuffò invece in una campagna senza speranza, da cui si ritirò troppo tardi e senza evitare il ritorno di Trump.
Zohran Mamdani, il 33enne socialdemocratico eppure radicale che ha stravinto le primarie democratiche per il sindaco di New York, quel tuffo a Capodanno l’ha fatto davvero. Le acque erano quelle (oltre che fredde) mai pulitissime di Coney Island, lo spiaggione ultra-pop di New York, il posto meno elitario che ci sia. Lo slogan non parafrasato era questo: «Sto congelando… il vostro affitto! Da prossimo sindaco di New York». Risultato: pubblicazione virale su TikTok, e lo sconosciuto deputato dell’assemblea statale che due mesi prima rifletteva in un caffè yemenita del Queens se candidarsi davvero, iniziava un’ascesa travolgente.
Ecco, in questo confronto impossibile tra il vecchio presidente e il giovane (possibile) sindaco forse c’è già tutto: perché i democratici e le sinistre perdono spesso, perché i democratici e le sinistre a volte vincono. Perdono quando non danno mai uno straccio di idea di nuovo, si arroccano alla logica dei clan - in questo caso i Cuomo di Andrew, sposato con una Kennedy, sponsorizzato dai Clinton - e pensano di potersi/doversi riproporre ancora e ancora, anche quando si avvicinano ai 70 anni, e hanno già governato lo Stato di New York, per non dire delle accuse di molestie sessuali. Vincono invece, o almeno scoprono qualche inattesa chance, quando la logica-illogica della casta che si autoperpetua viene spazzata via da un nuovo che suona autentico, in un modo così potente che quasi non conta se lo sia davvero.
Ecco, su Mamdani è scattato subito il gioco della non autenticità effettiva, con ampi riferimenti al suo background privilegiato, in quanto figlio della regista Mira Nair e di un professore della Columbia University. E anche quello dell’eccesso di radicalità delle sue proposte, che lo renderebbe destinato alla sconfitta a novembre o al fallimento se davvero sarà sindaco. Un riflesso cui parte dell’élite democratica non ha resistito. «Questo è il giorno migliore per Donald Trump da molto tempo a questa parte, ora ha un simbolo a New York che tutti i repubblicani possono indicare», ha detto per esempio Hank Sheinkopf, uno dei loro strateghi newyorchesi. Che però così riecheggia Trump in persona, subito pronto a truttare (l’equivalente di twittare su Truth, il suo social) che Mamdani è un «lunatico comunista al 100%» e che «abbiamo già avuto dei radicali di sinistra, ma questo sta diventando un po' ridicolo. Ha un aspetto TERRIBILE, la sua voce è irritante, non è molto intelligente, AOC al cubo, TUTTI scemi quelli che lo sostengono», con riferimento ad Alexandria Ocasio-Cortez, l’ex barista ora deputata, diventata il simbolo della sinistra radicale e, agli occhi dell’establishment, l’emblema del velleitarismo ultra-progressista.
Il paradosso è che lui, Mamdani, si è ispirato proprio al presidente. «Sia Donald Trump sia la nostra campagna sono in grado di vedere la disillusione della politica, l'incapacità di molti di festeggiare per le briciole che non possono sfamare loro e le loro famiglie», ha detto dopo il successo su Cuomo. Naturalmente la distanza che sottolinea è abissale: «La differenza è che Trump cerca di sfruttare questo sentimento senza alcun desiderio di affrontarlo».
La parola chiave è affordability, accessibilità: che senso ha essere la città più cool del mondo se poi la maggior parte dei suoi abitanti non se la possono permettere? Da qui il programma definito radicale dagli osservatori e socialista-democratico dal candidato. Che vale la pena conoscere con qualche dettaglio. La proposta principale è quella del video di Coney Island: Mamdani promette di nominare al Rent Guidelines Board (l’organismo che decide i canoni dei circa 960.600 appartamenti stabilizzati di New York) persone che si impegnino a bloccare gli aumenti degli affitti, che finora scattavano inesorabilmente ogni anno; promette di aprire 5 negozi di alimentari di proprietà comunale, uno per ogni quartiere, che, non dovendo pagare tasse sugli affitti e sulle proprietà, potrebbero abbassare il costo del cibo; propone di rendere completamente gratuiti gli autobus in tutta la città, espandendo un programma pilota che dall’anno scorso ha già reso free cinque linee; e di rendere universale l'assistenza per tutti i bambini tra le sei settimane e i cinque anni di età, finanziando asili nido e centri di assistenza all'infanzia. Mamdani propone anche un nuovo ufficio che aiuti le piccole imprese, con l'obiettivo di ridurre multe, tasse e regolamenti, aumentando del 500% i fondi dei Business Express Service Team, che aiutano le aziende a gestire permessi e adempimenti. E poi nuove norme sulle app di delivery, con retribuzioni standard per i fattorini e possibilità per i clienti di lasciare la mancia all'inizio dell'ordine.
Non sorprende che tra i finanziatori di Cuomo ci fossero proprio app e grande distribuzione. Né che a Wall Street sia scattata la psicosi del chiunque-tranne-Mamdani, che il suo programmone «comunista» lo vuole finanziare con un aumento forfettario del 2% delle tasse per l'1% dei newyorkesi che guadagnano più di un milione di dollari all'anno.
Dietro tutto questo c’è Morris Katz, lo stratega della campagna che ha asfaltato Cuomo. Da martedì sera, ha raccontato al New York Times, lo cercano «molti democratici di tutto lo spettro ideologico», a caccia di consigli per «catturare un'energia simile nelle loro campagne». A tutti suggerisce di «candidare persone che abbiano posizioni chiare sui vari temi, anziché oscillare in base a quello che indicano sondaggi e focus group». Ma Katz non è molto ottimista sull'establishment del partito, che da una parte dice di voler riconquistare i giovani e la classe operaia e dall’altra a New York ha preferito Cuomo a un volto davvero nuovo. «Ci stiamo sparando sui piedi», dice. Eppure la domanda chiave dovrebbe riguardare i deboli, ricorda: «Come possiamo iniziare a sollevarli anziché cercare di soffocarli?».
Ecco, da due o tre lustri la domanda risuona sinistra tra tutte le sinistre del mondo, ma quando qualcuno prova a dare risposte, scatta subito l’etichetta del (troppo) radicale, o radical-chic. I dem scettici dicono che le ricette newyorchesi non sono applicabili allo Iowa, come se nell’America profonda avessero trovato il modo di rendersi presentabili, e come se le esigenze espresse da Mamdani – autenticità, attenzione per i problemi concreti dei più svantaggiati – non valessero ovunque.
Magari se non valgono in Iowa potrebbero valere in Italia, dove l’abolizione della povertà non ha funzionato ma una leadership più radicale qualche voto in più l’ha preso. E venendo dallo Iowa a Milano, che fa sconti sugli oneri di urbanizzazione per grattacieli ma non riesce a controllare gli affitti alle stelle, non vale anche qui la domanda «che te ne fai della città più scintillante d’Italia se non te la puoi permettere?».
giovedì 26 giugno 2025
mercoledì 25 giugno 2025
Franco Astengo: La commedia della guerra
LA COMMEDIA DELLA GUERRA di Franco Astengo
La guerra e di conseguenza le armi come contraddizione della modernità: è questo il passo avanti della storia nell'intreccio dominante tra tecnocrazia e autoritarismo?
L'intelligenza artificiale (senza intelligenza come scrive oggi 25 giugno Vincenzo Vita sul "Manifesto") quale strumento di questo nuovo passaggio nella riduzione hobbesiana del rapporto tra politica e vivere civile che sta avvenendo nel segno del dominio identificato nella guerra?
Sarà facile riconoscere l'altalena di questi giorni come "La commedia della guerra" con unici perdenti i popoli vessati e bastonati dal gioco a scacchi dei potenti.
Però è emersa chiara la contesa che è quella del riarmo, dell'inseguimento a bombe sempre più potenti, missili ultrasonici, droni guidati da remoto per bombardare la povera gente nella consueta logica dei "danni collaterali" ecc, ecc..
Il riarmo va finanziato per favorire i profitti e per tenere alta la tensione in un quadro di militarizzazione complessiva di una dimensione globale che non garantisce neppure l'equilibrio del terrore di antica memoria della guerra fredda.
Militarizzazione destinata a ridurre ancora di più la complessità della politica a schema binario, con il gran ritorno della diarchia (almeno apparente) amico/nemico.
E' tornato di moda Le Bon e la sua psicologia delle masse (del resto indispensabile per esaltare il nazionalismo, la difesa della propria "civiltà" e far accettare come indispensabile la regressione democratica) e torna di moda Carl Schimtt attraverso l'estensione del cui pensiero si pensa di militarizzare lo scontro politico.
Obiettivo: non corrispondere più alle esigenze e ai bisogni di massa in termini di welfare e di equilibrio economico per favorire al massimo disuguaglianza e povertà intese come nuove frontiere sulle quali reggere regimi della paura.
Un futuro difficile da interpretare che sembra riduttivo far star dentro a un sistema di incognite in una prospettiva che appare regressiva in assenza di una indispensabile "cultura del limite" che rappresenterebbe, per la sinistra, il necessario vero salto di paradigma.
martedì 24 giugno 2025
lunedì 23 giugno 2025
domenica 22 giugno 2025
sabato 21 giugno 2025
Franco Astengo: Repressione e lotta di classe
REPRESSIONE E LOTTA DI CLASSE di Franco Astengo
L'episodio di Bologna con la tangenziale bloccata dallo sciopero dei metalmeccanici sfidando il DL Sicurezza e i camionisti che suonano il clacson in segno di solidarietà con gli operai, rappresenta un segnale che non può essere trascurato in questa Italia dove sembrerebbe tutto egemonizzata dall'individualismo proprietario e dal qualunquismo menefreghista che rappresentano la cifra etica e la collocazione sociale di questo governo.
L'applicazione del "DL sicurezza" ha riportato alla nostra memoria il cupo scenario degli anni’50, ai tempi di feroce repressione poliziesca.
Gli anni ’50: quelli della polizia di Scelba davanti alle fabbriche o ai campi occupati dai contadini, quando il proletariato contava i suoi morti e lottava per affermare una diversa condizione di vita da Modena a Melissa, da Montescaglioso a Battipaglia.
Chi ha attraversato quel periodo, ad esempio abitando in una città operaia, ha ancora nelle orecchie il suono lacerante delle sirene, lo stridore delle gomme delle camionette che salivano sui marciapiedi dove i manifestanti (magari donne e bambini) cercavano di ritirarsi, il Natale trascorso sotto le ampie volte di una fredda fabbrica occupata oppure in piazza attorno a falò improvvisati, il commissario con la fascia tricolore che ordina la carica, la miseria nelle case dove ci si radunava per cercare di dare sostegno a chi proprio non riusciva più a cucire il pranzo con la cena ma anche la solidarietà dei commercianti che facevano credito e tiravano giù le saracinesche quando c’era lo sciopero.
L’Italia del boom nacque in quel modo, attraverso i sacrifici immensi delle lavoratrici e dei lavoratori passati attraverso una temperie straordinariamente pesante, nel periodo – è bene ricordarlo – immediatamente seguente alla guerra, all’invasione nazista, alle deportazioni, alle fucilazioni, alla Resistenza.
Chi ha vissuto sulla propria pelle quei tremendi anni’50 oggi sta provando la sensazione del ritorno all’indietro, ma anche di un peggioramento secco della capacità collettiva di capire la condizione nella quale ci si sta trovando alle prese con il ritorno incontrastato dall'arroganza del potere.
Ma i clacson di solidarietà suonati dai camionisti di Bologna ci riportano anche al senso della solidarietà di classe: l'unica strada possibile da seguire per i lavoratori, per l'affermazione dei loro diritti, per lottare verso un futuro migliore.
Quando si analizzano i risultati del referendum in chiave di sconfitta, magari per trarne vantaggi politici addirittura in chiave personale, si dovrebbero considerare questi elementi partendo con un discorso di ricostruzione di elementi di solidarietà sociale che potrebbero (con tutte le contraddizioni del caso) ripartire anche da 13 milioni di voti.
venerdì 20 giugno 2025
giovedì 19 giugno 2025
martedì 17 giugno 2025
lunedì 16 giugno 2025
domenica 15 giugno 2025
sabato 14 giugno 2025
venerdì 13 giugno 2025
giovedì 12 giugno 2025
mercoledì 11 giugno 2025
Giuseppe Casanova: Medicina, la beffa del test posticipato e la carenza di medici in Italia
Medicina: la beffa del test posticipato e la carenza di medici in Italia
In un momento storico in cui la carenza di medici in Italia ha raggiunto livelli preoccupanti, il Governo ha scelto di intervenire con un provvedimento che, invece di semplificare l’accesso al corso di laurea in Medicina e Chirurgia, rischia di complicarlo ulteriormente. Il nuovo sistema prevede lo spostamento del test di ammissione a sei mesi dopo l’inizio del primo anno universitario. Apparentemente un'apertura, nei fatti una scelta che potrebbe far perdere un anno intero a migliaia di giovani aspiranti medici.
Il numero chiuso non è stato rimosso, né i posti disponibili sono aumentati in modo significativo. Lo studente, dunque, si iscrive al corso di laurea in Medicina, frequenta le lezioni e affronta i primi mesi di studi, per poi ritrovarsi a dover sostenere un test di selezione a metà anno, con la concreta possibilità di dover abbandonare il corso qualora non superasse la prova. Nessuna certezza, nessuna reale semplificazione e, chi non supera la selezione è costretto a cambiare rotta, perdendo mesi e motivazione.
In passato, chi non superava il test sostenuto ad anno Accademico non ancora iniziato, poteva scegliere un piano B, come iscriversi ai cosi di laurea di Farmacia o di Biotecnologie, sostenere esami in comune con Medicina e magari vederseli convalidati in caso di successo al test l’anno successivo. Ora questa possibilità viene inibita da una finta apertura che espone gli studenti a un doppio danno: perdita di tempo e incertezza sul futuro.
Il paradosso è reso ancora più amaro dalla realtà: l’Italia forma pochi medici, costringendo il sistema sanitario ad assumere personale dall’estero, spesso senza piena conoscenza del livello della loro formazione. Tutto ciò mentre le nostre università, riconosciute a livello mondiale per la qualità della didattica in Medicina e della formazione effettuata nei vari reparti ospedalieri, continuano a esportare eccellenze che trovano all’estero stipendi e condizioni di lavoro ben più dignitose.
In sintesi, una riforma che avrebbe dovuto aprire le porte, finisce per essere solo una vetrina vuota, priva di coraggio e di visione strategica. Serve un intervento serio, che aumenti i posti, elimini o quantomeno riduca il numero chiuso e valorizzi davvero il talento dei nostri giovani, investendo sul futuro della sanità italiana per riportarla alla efficienza e alla efficacia di un tempo.
Giuseppe Casanova
(Cagliari)
martedì 10 giugno 2025
Franco Astengo: Valutazioni sull'esito del referendum
VALUTAZIONE (IMPROVVISATE) SULL'ESITO DEL REFERENDUM di Franco Astengo
Di seguito si troveranno alcuni dati riguardanti la partecipazione al referendu: un'analisi che probabilmente farà storcere il naso a molti perchè fondata su di una comparazione con i dati delle europee 2024: operazione che potrebbe non essere intesa come corretta.
Ci sono due ragioni per le quali a spoglio ancora in corso è stato deciso di procedere a questo modo:
1) fornire subito a caldo alcuni materiali che consentano l'avvio di una riflessione che sarà necessario approfondire al massimo disponendo anche delle cifre assolute dei partecipanti al voto;
2) la parametrazione sui dati relativi alle Europee 2024 è motivata prima di tutto dal fatto che si tratta dell'ultima elezione generale svoltasi in Italia in ordine di tempo e in secondo luogo che si trattò dell'elezione di una sorta di "consolidamento" dell'astensionismo dopo che per molti anni la crescita della non partecipazione al voto si era accompagnata con una forte volatilità elettorale che, tra il 2013 e il 2022, aveva dato anche ad un "cambio" nell'indicazione del partito di maggioranza relativa accompagnato da una forte instabilità (in discesa) delle espressioni di voto.
Le elezioni del 2022 avevano anche avviato un disegno di ritorno al bipolarismo che successivamente in una serie di elezioni regionali e locali (non utilizzabili per questo tipo di lavoro perchè svoltesi in epoche diverse) si era ulteriormente radicato.
Alcune prime schematiche considerazioni di carattere generale possono essere così riassunte
1) Il blocco astensionista non è stato smosso dalla campagna elettorale in alcuna delle sue componenti dalla disaffezione al deficit di offerta politica all'assenza - specialmente - al sud di valide motivazioni al "voto di scambio" (sul piano generale non per via dell'assenza di candidature)
2) Sul piano strettamente riferito alla qualità dei quesiti si è dimostrata l'asimmetria tra domande forzatamente "tecniche" e un'idea generale di teoria politica che aveva consentito l'introiezione del liberismo a sinistra. Un tema da seminario che dovrà però essere affrontato considerato l'emergere di una accusa di ideologismo che è necessario ribaltare. Da affrontare però nel segno di una riconnessione e di un nuovo riconoscimento sociale del mondo del lavoro;
3) Sul piano politico la precisa presa di posizione dei partiti costringe a una valutazione che sicuramente non è da manuale di scienza politica: il voto non definisce una possibilità di blocco di riferimento e ricalca più o meno la geografia del voto politico, con tutti i limiti che ben conosciamo dal punto di vista dell'opposizione alla destra.
Partendo dai dati con riferimento - appunto - alle elezioni europee 2024 la saldatura tra astenuti (50,31%) e somma delle percentuali dei partiti di centro-destra riferita alla totalità degli aventi diritto (Italia, escluso estero) toccava la percentuale del 72,60%.
Lo spazio effettivo della partecipazione al voto - in partenza - assommava quindi al 27,40%. Da notare come il referendum sulla cittadinanza pure promosso da soggetti diversi da quelli proponenti i quesiti sul lavoro non abbia prodotto un qualche livello di propria partecipazione autonoma (sul piano del conteggio dei voti invece la situazione appare affatto diversa).
Si resta sulle percentuali perchè le cifre assolute si potranno avere soltanto ultimati gli scrutini. Mentre non sono ancora ufficiali i dati dei votanti all'estero.
ITALIA (referendum 2025. iscritti escluso estero: 45.997.941)
Europee 2024: astenuti più centro destra 72,60%
"spazio di voto" 27,40%
votanti 30,58% più 3,18%
Dati Regione per Regione
Piemonte: Europee 2024: astenuti più centro-destra 70,05%
"spazio di voto" 29,95% votanti 35,20% più 5,25%
Liguria: Europee 2024: astenuti più centro destra 70,52%
"spazio di voto" 29,48% votanti 35,07% più 5,69%
Lombardia: Europee 2024: astenuti più centro destra 78,33%
"spazio di voto" 22,67% votanti 30,69% più 8,02%
Veneto: Europee 2024: astenuti più centro destra 77,15%
"spazio di voto" 22,85% votanti 26,21% più 3,36%
Friuli - Venezia Giulia: Europee 2024: astenuti più centro destra 77,52%
"spazio di voto" 22,48% votanti 27,59% più 5,11%
Emilia - Romagna: Europee 2024: astenuti più centro destra 63,99%
"spazio di voto" 36,11% votanti 38,09% più 1,98%
Toscana: Europee 2024 astenuti più centro destra 63,35
"spazio di voto" 36, 65% votanti 39,10% più 2,45%
Umbria: Europee 2024 astenuti più centro destra 66,66%
"spazio di voto" 33,34% votanti 31,21% meno 2,13%
Marche: Europee 2024 astenuti più centro destra 70,12%
"spazio di voto" 30,88% votanti 32,70% più 1,82%
Lazio: Europee 2024 astenuti più centro destra 74,45%
"spazio di voto" 26,55% votanti 31,87% più 5,32%
Abruzzo: Europee 2024: astenuti più centro destra 75,75%
"spazio di voto" 24,25% votanti 29,75% più 5,50%
Molise: Europee 2024 astenuti più centro destra 73,92%
"spazio di voto" 26,18% votanti 27,70% più 1,52%
Campania: Europee 2024: astenuti più centro destra 70,80%
"spazio di voto"; 29,20% votanti 29,86% più 0,86%
Puglia: Europee 2024: astenuti più centro destra 73,07%
"spazio di voto": 27,93% votanti 28,62% più 0,69%
Basilicata: Europee 2024: astenuti più centro destra 72,35%
"spazio di voto" 27,65% votanti 31,27% più 3,62%
Calabria: Europee 2024: astenuti più centro destra: 77,22%
spazio di voto 23,28% votanti 23,81% più 0,53%
Sicilia: Europee 2024 astenuti più centro destra 72,29%
"spazio di voto" 27, 71% votanti 23,10% meno 4,61%
Sardegna: Europee 2024: astenuti più centro destra 75,06%
"spazio di voto" 25,94% votanti 27,74% più 1,80%
Valle d'Aosta: Europee 2024 astenuti più centro destra 73,55%
"spazio di voto" 27,45% votanti 29,04% più 6,34%
Trentino Alto Adige: Europee 2024: astenuti più centro destra 66,89%
"spazio di voto" 33,11% votanti 22,70% meno 10,41%
Graduatoria delle regioni dove si è votato maggiormente rispetto allo "spazio di voto" di partenza:
incremento nazionale 3,18%
8.02% Lombardia
6,34% Valle d'Aosta
5,69% Liguria
5,50% Abruzzo
5,32% Lazio
5,25% Piemonte
5,11% Friuli Venezia Giulia
3,62% Basilicata
3,36% Veneto
2,45% Toscana
1,98% Emilia Romagna
1,82% Marche
1,80% Sardegna
1,52% Molise
0,86% Campania
0,69% Puglia
0,53% Calabria
lunedì 9 giugno 2025
sabato 7 giugno 2025
venerdì 6 giugno 2025
Adam Tooze: The Emperor has no thanks
https://www.ft.com/content/f450f1e7-4344-4ab0-afd7-d190ffd1e462?accessToken=zwAGNuTlQaGYkdP0UPHnQ0RKsNOv19GQ_9HkYg.MEYCIQCd0gwn1Wu4Ct67hCOAbRrkGcLC7xbYKu4YwzOPMaimMwIhALqiKBLXq-LT5tTTk143GQMPC8BBc3H4quFU0cZ--zFE&sharetype=gift&token=d163750a-1e35-48db-895c-d68adb34765d
giovedì 5 giugno 2025
martedì 3 giugno 2025
lunedì 2 giugno 2025
sabato 31 maggio 2025
venerdì 30 maggio 2025
Franco Astengo: 2 giugno, referendum, identità repubblicana
2 GIUGNO, REFERENDUM,IDENTITÀ' REPUBBLICANA di Franco Astengo
La celebrazione del 2 giugno 2025, festa della Repubblica, assumerà tratti inediti nella storia d'Italia:definitivamente dissolto l'antico "arco costituzionale" sotto il cui ombrello ci poteva comunque ritrovare mai è stato così violento l'assalto alle fondamenta del dettato della nostra Carta Fondamentale.
In aggiunta questa scadenza fondamentale per l'identità repubblicana cadrà nel calendario alla vigilia di un appuntamento elettorale di grandissimo rilievo: l'appuntamento dell'8 e 9 giugno relativo ai 5 referendum sulla dignità del lavoro e la cittadinanza che la maggioranza di governo vorrebbe affondare attraverso la pratica di un astensionismo predicato dall'alto: un atto di vera e propria di "eversione" da parte delle classi dirigenti.
La dignità del lavoro e la cittadinanza saldano assieme due articoli della Costituzione che ne dettano il senso complessivo: l'art.1 che fonda la Repubblica sul lavoro e l'articolo 3 che indica la via maestra dell'eguaglianza di tutti davanti alla legge.
Qual'è l'obiettivo della destra ? Cancellare la Costituzione e mandare in archivio il suo punto di vera scaturigine, la Resistenza.
Non è possibile far passare questo progetto e il successo dei 5 sì nei referendum appare in questo momento la migliore garanzia per difendere e affermare i principi invalicabili della nostra Carta Fondamentale.
E' in corso un attacco alla democrazia che si sviluppa in un quadro generale davvero inquietante.
Una situazione dominata dalla suprema incertezza tra la pace e la guerra: dilemma che la nostra Costituzione intende sciogliere con un articolo 11 già fin troppe volte violato nella sua sostanza.
Abbiamo visto come si stia sviluppando un attacco diretto a categorie come quella della Magistratura (attuandone una sostanziale riduzione di autonomia dall'esecutivo) e dell'informazione (con un evidente arretramento nella liberà d'espressione come testimoniato anche dalle classificazioni internazionali in materia); Questi fatti evidenziano uno stato di cose che non può che essere contrastato se non prendendo atto fino in fondo della loro gravità e pericolosità, esprimendo così un pieno convincimento alternativo fuori da qualsivoglia tentativo di compromissione, in ispecie sul piano costituzionale e delle stesse forme istituzionali che derivano direttamente dalla sua applicazione, prima fra tutte la forma di governo parlamentare.
La celebrazione del 2 giugno, il cui riferimento essenziale sarà quello dell'indicazione dei 5 sì nei referendum dell'8 e 9 giugno, dovrà essere allora impostata come momento di richiamo alla necessità, prima di tutto, di espressione di un sentimento: come è stato scritto "di qualcosa di cui non si può non parlare, di cui non si può tacere" partendo dalla risposta alla tragedia fascista da cui nacque la nostra identità repubblicana.
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