Il Circolo Carlo Rosselli è una realtà associativa presente a Milano sin dal 1981. http://www.circolorossellimilano.org/
lunedì 3 febbraio 2025
domenica 2 febbraio 2025
Franco Astengo: Il partito della Nazione
IL PARTITO DELLA NAZIONE dI Franco Astengo
FdI, Arianna Meloni chiude la direzione: “Siamo il partito della nazione, la premier come Frodo”
Al di là delle ragioni motivazionali rivolte alla propria squadra che possono risultare anche comprensibili questa frase merita un approfondimento senza il quale si lascia intatta tutta la sua - pericolosa - valenza enfatica.
Prima di tutto l'idea di autoproclamarsi "partito della nazione" si scontra contro una crisi costante del sistema dei partiti e di trasformazione di natura stessa del partito politico che appare assolutamente evidente.
Verifichiamo prima di tutto il piano del consenso elettorale: gli ultimi dati complessivi in nostro possesso riguardano le elezioni europee 2024 (elezioni europee che rappresentano storicamente il punto di più basso di raccolta del consenso da parte dell'insieme del sistema politico).
Il 9 giugno 2024 su 51.214.348 aventi diritto i voti validi espressi furono 23. 415. 587.
Fratelli d'Italia ha conseguito la maggioranza relativa con 6.733.906 voti e le tre forze che formano il governo hanno ottenuto complessivamente 9.079.242: nell'analoga votazione svolta nel 2019 la maggioranza relativa spettò alla Lega con 9.175.208 voti (all'incirca 2.500.000 in più rispetto a FdI 2024: fu quando Salvini chiese i "pieni poteri") mentre l'insieme del centro destra raccolse 13.252. 990 voti (oltre 4 milioni di voti in più rispetto al 2024) in un quadro generale di partecipazione al voto che aveva visto l'espressione di 26. 783.732 suffragi su 50.974.994 aventi diritto.
Per quel che può valere il dato elettorale appare evidente il calo di consenso complessivo: nel tempo Fratelli d'Italia ha tolto voti agli alleati (in particolare alla Lega) in un quadro di calo complessivo nella raccolta di consenso sia del centro - destra sia del sistema nel suo insieme (un dato questo che dovrebbe preoccupare tutti e nell'occasione tralasciamo le cifre - paurose - del calo accusato dal M5S soggetto trainante dell'anti - politica e assoluto primo fornitore della crescita della disaffezione e della crisi complessiva del sistema).
L'altro elemento da prendere in considerazione in uno sviluppo d'analisi è quello della funzione di governo che Fratelli d'Italia esercita in una dimensione fortemente accentrata nella figura della presidente del Consiglio.
Esaminiamo allora alcuni aspetti di questa politica di governo:
1) Sul piano della politica economica la legge di bilancio si situa tranquillamente nell'alveo dell'austerity imposto da Bruxelles e interpretata, attraverso modeste torsioni sul piano fiscale, a favore dei ceti più abbienti e a scapito di "ultimi" e "penultimi" (copyright questo dei "penultimi" del convegno di Orvieto dell'area liberaldemocratica");
2) Sul piano della politica estera le vicende più recenti segnalano una sorta di delega al "nuovo corso" USA cui la presidente del consiglio si è prontamente allineata nel tentativo di interpretare una variazione sostanziale soprattutto nel riguardo dell'UE di cui l'Italia intenderebbe farsi ambasciatrice in un quadro di ripresa nazionalistica (verificheremo cosa ci dirà l'esito delle elezioni tedesche);
3) sul piano degli obiettivi di riforma a livello nazionale, finora si sono mossi gli obiettivi degli altri partner (Lega: autonomia differenziata; Forza Italia: magistratura) che urtano con la tradizione storica del partito di discendenza ideologica di FdI (il MSI) nazionalista e giustizialista (addirittura pro-pena di morte, del resto esercitata con larghezza nel corso della Repubblica Sociale 1943-45). Si è perso per strada l'improbabile premierato, bandiera di partenza della formazione di maggioranza relativa mentre del tutto fallimentare si è dimostrata la politica fin qui perseguita nei confronti del delicato tema dei migranti.
Insomma: una politica di governo che parafrasando il motto di un film americano: "tutta chiacchiere e distintivo".
Insomma: quanto uscito fuori dalla riunione della Direzione Nazionale di Fdi non può restare senza risposta, una risposta però che - sui contenuti - dovrebbe far riflettere anche le forze di opposizione: infatti ci sono punti che li riguardano direttamente.
venerdì 31 gennaio 2025
Franco Astengo: Democrazia del pubblico e democrazia recitativa
DEMOCRAZIA DEL PUBBLICO E DEMOCRAZIA RECITATIVA di Franco Astengo
Premesso che occorre sempre ricordare che Fratelli d'Italia rappresenta un partito che non è stato votato da circa 43 milioni di italiane e di italiani .
Il il grado di rappresentatività degli esponenti di FdI compresa la presidente del consiglio è molto basso nei voti reali ( i sondaggi segnalano soltanto le percentuali, sde hanno risposto in 8 e 4 ti hanno indicato hai il 50%).
E' ancora necessario considerare che l'innesto dello scontro oggi in atto con la magistratura appartiene per intero alle categorie della "democrazia del pubblico" e della "democrazia recitativa", come del resto era riconducibile alle stesse categorie dell'analisi politica il tipo di scontro svoltosi tra gli anni '90 del XX secolo fino all'inizio degli ani'20 del XXI.
Nell'avviarsi cioè della fase del sorgere di accentuati punti di crisi della capacità democratica di espressione della rappresentanza.
Intanto va detto che da tempo si sta procedendo ad una forma di comunicazione politica che affonda le sue radici nella strategia del marketing, attraverso rappresentazioni iconiche, slogan immediatamente assimilabili, che per la loro banalità non richiedono sforzi ermeneutici per essere decodificati e impressi nella memoria, dando vita ad una “politica indiziale” che anticipa i nostri desideri con un'arte manipolatoria che suscita transfert di realtà.
In questo solco si colloca anche l'utilizzo dell'intreccio tra media e sondaggi, considerato “principio di legittimazione politica e istituzionale sempre più importante, perché agisce in tempo reale, trasformando la democrazia in semplice momento di raccolta del consenso”.
Bernard Manin, filosofo politico francese, dedica alla democrazia del pubblico molto spazio all'interno del suo testo dedicato ai “Principi del governo rappresentativo”.
La formula della democrazia del pubblico descrive, per Manin, un'epoca in cui i partiti cedono spazio alle persone, intese come moltitudine, l'organizzazione alla comunicazione, mentre le identità collettive si indeboliscono, svuotandosi e facendosi attrarre dalla fiducia personale diretta: lo spazio della rappresentanza coincide con lo scambio tra leader e “opinione pubblica”, attraverso i media, nei termini sopra indicati, e ovviamente a senso unico, cioè asimmetricamente (c'è molta filosofia negriana della rivoluzione).
In Italia -nella rincorsa della democrazia del pubblico- è stato persino scippato il concetto di opinione pubblica intesa come corpo di garanzia e dibattito sulle pubbliche scelte.
Lo schema di "democrazia recitativa" è stato già utilizzato in precedenza nel caso del tema delle liste d'attesa in sanità e del trasferimento di migranti in Albania e nella costante capacità di rinvenire un "nemico" attorno alle cui presunte condizioni di conflitto ottundere la realtà.
Diverso invece lo schema utilizzato per il tema "sicurezza" per il quale si sta intrecciando l'alimentazione di paure (anche con sapore razzistico) e populismo.
Rimane in comune tra "Democrazia del Pubblico" e "Democrazia Recitativa" il fenomeno della personalizzazione della politica di cui dobbiamo ricordare le origini del pieno sdoganamento all'epoca della discesa in campo di Silvio Berlusconi (anche se il "fattore personalizzazione" circolava già da tempo nel sistema politico italiano).
Nel caso della Democrazia Recitativa il fenomeno si colloca a livello di governo dove gli attori principali diventano il capo e la folla che lo ha eletto, l’uno sempre più dotato di libertà di movimento e di potere, l’altra ridotta a semplice “moltitudine votante”, plaudente ed acclamante, ma completamente priva di influenza sul potere ("se mi si indaga si danneggia la Nazione").
La Democrazia Recitativa è simile a quelle forme di governo democratico che già gli antichi greci conoscevano e criticavano, stiamo parlando di raffinate forme di demagogia, che inducono, tramite a far apparire il rapporto tra il leader e la folla dei votanti un esempio di funzionamento democratico della Società.
Il meccanismo è tanto semplice quanto subdolo ed inarrestabile: io ti prometto, tu mi voti, io non mantengo e segue - appunto - la logica demagogica dell'annuncio utile a spostare i problemi in un orizzonte indefinito.
La campagna elettorale viene convertita nell’allegoria di una lotta in cui si decide sempre e comunque il futuro del popolo e il destino della nazione attraverso il plebiscito sul "si" o il "no" riguardante una persona, che rimane l'obiettivo della Presidente del Consiglio sicuramente appassionata, per i suoi riferimenti ideologici e storici, proprio all'arma plebiscitari.
In sostanza possiamo affermare che l'utilizzo della "Democrazia del Pubblico" appare ideale dall'opposizione perché utilizzabile meglio da un apparente deficit di potere mentre la "Democrazia Recitativa" funziona meglio se diffusa dai canali di Palazzo Chigi proprio quale espressione di un esercizio della potestà di governo conferita direttamente dal "popolo".
giovedì 30 gennaio 2025
martedì 28 gennaio 2025
lunedì 27 gennaio 2025
Franco Astengo: Formula elettorale, rappresentanza, governabilità
FORMULA ELETTORALE, RAPPRESENTANZA, GOVERNABILITÀ' di Franco Astengo
Partiamo dal basso della "macelleria politica": la proposta di Franceschini del "marciare divisi per colpire uniti" (Von Moltke) ha riavviato, sia pure flebilmente, il dibattito sulla formula elettorale in Italia, tema abbandonato da tempo in favore di soluzioni come quella del premierato (del resto ormai in declino).
Bisognerebbe comunque affrontare l'intero tema elettorale non soltanto quello della formula che traduce voti in seggi: una scelta di riflessione di fondo andrebbe imposta tenendo conto dalla larghezza della disaffezione al voto che ormai mette in discussione la legittimità dell'esito delle urne. I primi due partiti usciti dalla tornata europea Fdi e PD rappresentano sommati circa il 24% dell'intero corpo elettorale e questo fatto rappresenta un problema democratico.
Per di più la sciagurata riduzione del numero dei parlamentari ha agito - assieme - sia sulla rappresentanza politica sia su quella territoriale, funzionando da ulteriore punto di lacerazione tra l'elettorato e le forze politiche.
Purtuttavia anche la cosiddetta "proposta Franceschini" si preoccupa soltanto del lato "governabilità" del problema trascurando totalmente come avviene da tanto tempo la parte "rappresentanza".
In realtà il tema del governo andrebbe affrontato per scavare a fondo il significato vero del termine, chiamando in causa i “fondamentali” della filosofia politica.
Con l’avvento della concezione della divisione dei poteri per culminare, nell’età classica della dottrina, nella pratica dello Stato di diritto, il “governo” è stato progressivamente ricondotto al profilo del semplice potere esecutivo, quale esecutore della volontà popolare sovrana rappresentata dal potere legislativo.
Nasce qui la distinzione tra legge e decreto (come fa notare Kant, nella “Metafisica dei Costumi”), tra norma generale e norma particolare, e sarà su questo punto che partirà un processo di delimitazione e ridefinizione dell’ambito dell’attività di governo rispetto alla funzione legislativa che, nella nostra Costituzione, assume la denominazione (non effimera) di “Repubblica Parlamentare” e si stabilisce la “Centralità del Parlamento” (Il “Parlamento come specchio del Paese” nella visione togliattiana).
La Costituzione disegna con grande chiarezza lo scenario della centralità del Parlamento e della presenza nelle istituzioni di un largo spettro di rappresentatività, sia sotto l’aspetto delle idealità che delle capacità progettuali.
In quale punto allora si è innestato il meccanismo di una vera e propria “inversione di tendenza” rispetto al dettato costituzionale?
Attorno agli anni’70-’80 del secolo scorso era partito il dibattito sul cosiddetto “eccesso di domanda”: dalla società saliva ormai verso la politica la richiesta di un consolidamento e di un allargamento dei meccanismi universalistici del welfare e salivano di tono le rivendicazioni operaie in tema di salario e garanzie del lavoro; richieste ormai non più riservate a determinate e precise aree dell’Occidente capitalistico.
La risposta è stata duplice: da un lato la spinta a recuperare il ruolo prioritario degli “spiriti animali” del capitalismo attraverso il lancio di una forte controffensiva portata avanti su entrambe le rive dell’Atlantico attraverso le opzioni di un “liberismo selvaggio”; dall’altro lato la spinta a ridurre il rapporto tra politica e società attraverso il taglio del cosiddetto “eccesso di domanda”.
Nasce da questo punto il dibattito sulla “governabilità” e la ricerca di nuove forme – autoritative – di governo e sorge anche una distinzione tra “governance”, espressione di un potere articolato sul territorio per rispondere, spezzettando le diverse problematiche, in maniera sostanzialmente neo-corporativa ai bisogni espressi dai ceti sociali più forti e “governament” utilizzato per normalizzare le dinamiche sociali più fortemente conflittuali, attraverso l’espressione di un potere centrale fortemente concentrato e posto, attraverso opportuni tecnicismi che dovrebbero includere anche la legge elettorale, al riparo da dibattiti giudicati inopportuni.
Nessuna risposta, insomma, in termini di allargamento democratico, di ruolo delle istituzioni rappresentative, di presenza dei soggetti intermedi (partiti, sindacati), la cui funzione nel frattempo è stata ridotta al solo rango di selezionatori del personale di governo, provvisti di denaro ed elargitori di “incentivi selettivi” e non certo di soggetti propositori della rappresentanza politica e sociale.
Si sono così smarrite le coordinate di fondo dell’appartenenza sociale e del legame diretto tra questa e l’appartenenza politica, si è perso il ruolo di sede di confronto dialettico da parte del Parlamento e l’idea di “governo” come esecutivo è via, via evaporata fino a ricomparire il fantasma della stabilità: una sorta di “Pax romana” della politica e si sta insistendo su questa strada sulla quale non si potrà che incontrare ulteriori danni inflitti alla democrazia.
Diventa così decisivo affrontare il tema della rappresentanza, ponendosi una domanda: attorno a quale contraddizione si può collocare il confronto a questo livello, come si regola oggi la relazione tra struttura e sovrastruttura e la relativa ricaduta sulla presenza istituzionale e la forma di governo (quest’ultima appare, infatti, decisamente incamminata sul terreno dell’autocrazia tecnocratica)?.
Tutto questo in tempi di vero e proprio disfacimento dell’azione politica.
Il salto nella capacità di delineare una prospettiva si gioca, almeno a mio giudizio, nel passaggio da un generico riferimento alla necessità di soggettività ad una proposta di modello di organizzazione della rappresentanza nelle condizioni economiche, culturali, sociali (di mutamento antropologico, come è stato fatto notare) date e futuribili, almeno nel medio periodo (constata anche la velocità assunta dal procedere dei cicli storici così come è imposta dal vorticare dell’innovazione).
Vanno in discussione i diversi livelli di organizzazione e aggregazione nel rapporto tra società, corpi intermedi, sedi di decisionalità politica: quel circuito che era stato garantito per un lungo periodo dal sistema dei partiti.
Si tratta di reperire un modello di espressione del consenso sviluppato in sedi adeguate (forse non sarà più sufficiente la sola sede parlamentare e lo stesso corollario delle istituzioni locali) per arrivare ad affrontare in maniera sufficientemente equilibrata la normativa necessaria per regolare (e contenere) l'uso (e lo sviluppo) dell'intelligenza artificiale rispetto al modificarsi della molteplicità delle attività umane che dovranno relazionarsi in quella direzione.
L'impressione su ciò che si sta verificando è quella di un'arretratezza "strutturale" della nostra discussione, qui alla periferia dell'Impero.
Non basta discutere su di una governabilità appesa tra formula elettorale proporzionale o maggioritaria .
Così restiamo destinati, alla fine, ad esprimere una rappresentanza mediocremente corporativa fondata su interessi immediati e non mediati da un'idea (necessaria da ricostruire) di una prospettiva futura.
sabato 25 gennaio 2025
venerdì 24 gennaio 2025
giovedì 23 gennaio 2025
Franco Astengo: Referendum
REFERENDUM/PARLAMENTO di Franco Astengo
Le decisioni della Corte Costituzionale assunte ieri in materia referendaria aprono una stagione di grande complessità nella prospettiva del piano politico.
Da un lato la possibile riapertura del confronto in Parlamento sul tema dell'autonomia differenziata e dall'altro la preparazione allo scontro elettorale su questioni relative alla giurisdizione del lavoro e della cittadinanza (entrambe prefiguranti un vero e proprio quadro di "civiltà giuridica") finiranno con una richiesta di intreccio tra lavoro parlamentare e operatività elettorale.
Un intreccio tra lavoro parlamentare e prospettiva referendaria tale da richiedere comunque un salto di qualità nel rapporto tra le forze politiche dell'opposizione, il sindacato, i soggetti culturali che fin qui si sono occupati della difesa del dettato costituzionale.
E' necessario stabilire una linea comune: sul lavoro parlamentare rispetto alle modifiche sull'autonomia differenziata deve valere il dato di abbandono della filosofia che a suo tempo ispirò negativamente la riforma del titolo V e che può essere riassunta come l'idea di inseguimento della Lega sul suo terreno al fine di accattivarsene la benevolenza. Si trattò di una linea politica sbagliata adesso improponibile in un quadro totalmente cambiato. E' necessario intervenire con una grande chiarezza di proposta che ponga il tema dell'autonomia locale nella situazione di un'attualità permeata da una idea diffusa di concezione del potere e non di una concezione di governo mentre le richieste già avanzate dalla regioni del Nord - Est fanno riaffiorare vecchi stilemi secessionisti (in questo quadro ci sta anche la questione del terzo mandato, nell'idea di ulteriore esasperazione del concetto di personalizzazione della politica).
Nello stesso tempo sarà necessario lavorare in funzione dei referendum ammessi che riguardano punti delicati del rapporto di lavoro così come questo era stato modificato dal job act e la cittadinanza: punti divisivi nella storia del centro - sinistra e del quadro attuale dei soggetti all'opposizione. Difatti sono già stati annunciati distinguo collocati, anche in questo caso, dentro a vecchi filoni di pensiero politico: elaborati in un quadro completamente diverso dall'attuale.
Su entrambi i punti, quello del lavoro e quello della cittadinanza, va ovviamente affiancata la capacità di mobilitazione organizzativa della CGIL che a mio giudizio dovrebbe funzionare da punto di riferimento complessivo: nello stesso tempo da parte delle forze politiche e dei soggetti di cultura politica dovrebbe partire una riflessione relativa al contesto complessivo all'interno del quale si svolgerà la contesa referendaria.
Si tratta di un contesto non favorevole ad intese più o meno blandamente "riformistiche" ( con molte virgolette) ma di scontro politico e sociale molto duro attorno a contraddizioni ben definite ed evocate anche a livello internazionale nel connubio tra politica, economia, tecnica al punto da indicare una "narrazione" completamente diversa dal passato.
Intendiamoci bene su questo punto: non siamo all'interno di un sistema di "bipolarismo temperato" come hanno cercato di far intendere i due convegni dei cattolici democratici e dei liberal riformisti svoltisi nella scorsa settimana: ci troviamo in uno scontro i cui termini sono stati ben delineati nel discorso di insediamento del nuovo presidente USA e applaudito con grande calore dalla presidente del consiglio italiana.
Torniamo però specificatamente al tema dei referendum: i punti sui quali soffermarci sono almeno due:
1) il valore mobilitante dei quesiti di per sé che deve essere fortemente valorizzato indicandone la validità complessiva nel definire una proposta politica alternativa alla destra;
2) la capacità di realizzare nell'occasione referendaria una visione unitaria dell'opposizione alla destra. Opposizione dalla quale dovrebbero scaturire elementi comuni di soggettività consapevole al fine di favorire l'elaborazione di una necessaria progettualità alternativa (esattamente quello non seppero fare i soggetti posti a difesa della Costituzione in una visione progressista che si misurarono positivamente con il referendum del dicembre 2016).
Su questi elementi andrà aperto immediatamente un confronto tra i soggetti interessati: il possibile asse PD-CGIL potrebbe rappresentare la spina dorsale di questa fondamentale operazione politica (senza rievocare ovviamente spettri del passato) ma la complessità di espressione dell'intera sinistra costituzionale avrà un ruolo molto importante sul versante politico, culturale, sociale; è necessaria una nuova connessione non dettata soltanto dal pericolo della destra che pure c'è ed è incombente; una connessione imposta essenzialmente dall'esigenza di fornire una prospettiva al futuro.
lunedì 20 gennaio 2025
domenica 19 gennaio 2025
Roberto Biscardini: Craxi 25 anni dopo
CRAXI 25 ANNI DOPO
Mai come in questo 25esimo anniversario abbiamo visto tanto interesse per Bettino Craxi, per la sua vita e la sua storia politica. Per ciò che ha rappresentato nella politica italiana e internazionale e per il ruolo che ha avuto come uomo politico e di governo.
Tanti libri, tanti commenti sulla grande stampa, tante interviste Tv. Chi per portarlo in palmo di mano a destra, chi giustamente per riaffermare a pieno titolo il suo ruolo nella sinistra italiana e mondiale.
Comunque, a venticinque anni dalla sua morte ad Hammamet e a più di trent’anni dalla sua drammatica uscita di scena, riemergono inaspettatamente il valore delle sue azioni, la sua grande capacità d’innovazione, ma soprattutto l’importanza e la chiarezza che Craxi riuscì a dare alla politica del socialismo italiano ed europeo. Idee e visioni chiare: chiarissime anche per l’oggi. Idee e visioni tanto chiare da diventare la vera causa di chi lo volle politicamente morto. La nuova destra, cavalcando e strumentalizzando in modo particolarmente violento le vicende giudiziarie, schierandosi con il plotone di esecuzione delle tante reti televisive e della grande stampa. E la sinistra “comunista e post comunista” che si trovò su un piatto d’argento l’opportunità di cancellare dalla politica Italiana l’antagonista Craxi e tutti i socialisti insieme, dopo tanti tentativi non riusciti dal Midas in poi.
Queste celebrazioni ci dicono due cose importanti. Craxi appare ancora oggi agli occhi dell’opinione pubblica come l’unico uomo politico ancora vivo. Più vivo dei vivi. Un uomo di cui ci si ricorda ancora la sua esistenza e la sua storia. Un personaggio che merita non solo di essere ricordato, ma anche studiato. E di lui è chiara l’immagine del grande statista socialista, un grande leader della sinistra italiana ed europea. Un leader del socialismo di sinistra. Un leader politico di cui sentiamo la sua assenza e la sua attualità.
Non è un caso che senza Craxi e senza il socialismo organizzato, la sinistra ha perso in questi ultimi decenni ogni capacità di reazione e ogni riferimento reale con la parte più debole del paese. Senza di lui, senza la sua grande capacità critica, la sinistra sopravvissuta al 1992 si è impoverita al punto da tradire i propri valori, lasciando mano libera alla cultura della guerra, alla violenza del capitalismo, al degrado democratico e istituzionale, all’ingiustizia sociale.
E troppo sostenere questa tesi? No. Domandiamoci cosa avrebbe fatto Craxi e il suo PSI per contrastare l’attuale decadenza delle nostre istituzioni, che poi è l’inizio della decadenza dello Stato democratico. Craxi avrebbe reagito con ogni mezzo alla avanzata di una destra come questa. Non sarebbe fuggito dalle proprie responsabilità. Avrebbe fatto sentire, anche a livello internazionale, tutto il peso della sua grande tradizione socialista. Avrebbe fatto opposizione vera, avrebbe contestato, non avrebbe consentito che si arrivasse a questo punto. Avrebbe reagito contro l’impoverimento e l’imbarbarimento della politica attuale, così come ha tentato di fare fino all’ultimo. Ecco perché tocca a noi reagire oggi. E ricostruire dal basso una nuova Casa socialista, grande, larga ed aperta.
Perché senza una grande forza socialista la sinistra è debole, e la sua debolezza favorisce il radicamento della destra.
Perché senza una forza socialista larga, il socialismo, che rimane per molti di noi l’orizzonte ideale della nostra vita, scompare dalla scena politica italiana e internazionale, così come è scomparso senza che nessuno se ne sia accorto, e senza che la cosiddetta sinistra sia stata in grado o abbia voluto fermare questa deriva.
Ecco perché dobbiamo reagire oggi. perché siamo preoccupati delle difficoltà del presente e ancora di più per le incertezze del futuro.
E dobbiamo farlo, adoperandoci per ridare al nostro Paese un nuovo movimento socialista, un nuovo soggetto nel quale possano riconoscersi tutti coloro che sentono il bisogno di un cambiamento radicale. Sentono il bisogno di cambiare rotta, sentono il bisogno del Socialismo come necessità reale.
Non possiamo aspettare che le condizioni esterne cambino le cose a nostro favore, perché non succederà.
Possiamo farlo, insieme a tanti altri, perché abbiamo tutti gli attrezzi politici necessari per poter raggiungere l’obiettivo. A partire dai messaggi che anche Craxi non dimenticò mai di ricordare: la critica del capitalismo è il fondamento dell’esistenza del socialismo; l’emancipazione del lavoro è il nostro obiettivo; la difesa della pace è per noi l’unica alternativa alla barbarie.
Spetta a noi, con una nuova iniziativa politica ricostruire una prospettiva socialista per coprire il vuoto dell’attuale sinistra. Per colmare la grande distanza tra la politica e la realtà, per costruire un’alternativa credibile alla destra, coscienti che solo il socialismo può rappresentare una speranza per le giovani generazioni.
sabato 18 gennaio 2025
SEPARAZIONE DELLE CARRIERE. IO NON CAMBIO IDEA. UNA CERTA SINISTRA CONTINUA A SBAGLIARE di Roberto Biscardini
SEPARAZIONE DELLE CARRIERE. IO NON CAMBIO IDEA. UNA CERTA SINISTRA CONTINUA A SBAGLIARE
di Roberto Biscardini
E’ aperto lo scontro tra il governo e magistratura sul tema della separazione delle carriere e oggi il primo voto alla Camera. È uno scontro che dura da anni, che ha visto sempre vincere la magistratura, e perdere la politica, i governi e i ministri. Spesso intimiditi dalla Anm che ancora oggi dichiara: “sulla separazione delle carriere non si tratta”. Ma perché mai bisognerebbe trattare con loro, se vige il principio fondamentale della separazione dei poteri che loro stessi invocano?
Negli anni abbiamo conosciuto tanti Ministri della giustizia che hanno sostenuto la separazione della carriera e quando sono arrivati al dunque, hanno iniziato a trattare. Hanno dato ai magistrati un dito e loro si sono mangiati il braccio, anzi si sono mangiati il ministro tutto in una volta. Dal ‘94 in poi è successo a quasi tutti i governi, compresi quelli di Berlusconi, eletti per portare a casa questo obiettivo, hanno poi rinunciato scappando a gambe levate. Penoso oggi il richiamo oggi della destra al “sogno di Berlusconi”, anche lui per mille ragioni contro la magistratura non si mise. Voglio ricordare che noi socialisti abbiamo sostenuto la separazione delle carriere tra magistratura inquirente e magistratura giudicante pressoché da sempre, almeno dagli ultimi quarant’anni. Abbiamo fatto precise proposte in sede Bicamerale, e ci siamo dedicati per anni con serietà e competenza. Ricordo personalmente negli anni 2000 le iniziative fatte perché si potesse arrivare alla separazione delle carriere con una modifica costituzionale, ma anche senza, con una semplice legge ordinaria. Tesi sostenuta peraltro dalla Corte Costituzionale quando consentì l’ammissione di un referendum abrogativo che prevedeva l’introduzione della separazione delle carriere per via ordinaria. L’ho sostenuta io in Senato nel XIV Legislatura, pressoché da solo, e allora sul pezzo non c’era né la destra né la sinistra.
Anche per questo non cambio idea. Lo scontro ancora in corso non lascia dubbi: la separazione delle carriere, checché ne dicano i magistrati, non mette assolutamente in discussione l’autonomia della magistratura, ma rappresenta un primo passo per garantire la difesa del cittadino contro una giustizia spesso ingiusta e nello stesso tempo evitare alla magistratura facili strumentalizzazioni.
Continua a sbagliare il Pd e una parte della sinistra, e anche oggi ha sbagliato votando contro. Partendo dalla convinzione che la separazione delle carriere “sia l’anticamera della sottomissione dei pm al governo e della compromissione dell’obbligatorietà dell’azione penale”. E quindi questa riforma possa rafforzare il governo Meloni. Un errore, la vera partita della Meloni è il Premierato, che la sinistra non ha ancora iniziato a contrastare veramente. Una battaglia che si combatte veramente contrapponendogli una riforma elettorale di tipo proporzionale con le preferenze, per garantire la libertà di scelta dei cittadini e per avere un parlamento eletto direttamente dal popolo, non dalle segreterie dei partiti. Purtroppo sul punto anche la sinistra è ferma a difendere il bipolarismo, il Rosatellum e cose del genere. E su questo è la principale alleata del centrodestra.
venerdì 17 gennaio 2025
Franco Astengo: Proposte a sinistra
Proposte a Sinistra
1) Avvio di una riflessione posta sul piano dell'analisi circa la prospettiva di delineare una vera e propria "alternativa di società" capace di delineare un quadro opposto alla prospettiva oligarchico/tecnocratica che sta assumendo tratti addirittura egemonici (AI, satelliti, armamenti). Su questo punto mi permetto riassumere quell'idea di "socialismo della finitudine" che conseguirebbe alla necessità di rovesciare il paradigma "sviluppo/limite". “Socialismo della finitudine” per ripartire dall’idea dell’impossibilità, rispetto a quello che abbiamo pensato per un lungo periodo di tempo,di procedere sulla linea dello sviluppo infinito inteso quale motore della storia inesorabilmente lanciato verso “le magnifiche sorti e progressive”. Il primo punto di programma così teoricamente impostato dovrebbe allora essere quello rappresentato dalla progettazione e da una programmazione di un gigantesco spostamento di risorse tale da modificare profondamente il meccanismo di accumulazione dominante. Una progettazione e una programmazione che non potrà essere che governata dal “pubblico” e rivolta alle grandi transizioni in atto: comunicativa, digitale, ecologica.
2) Il tema della pace può essere declinato soltanto intervenendo attivamente sulla politica estera compiendo scelte di programma anche difficili e rovesciando anche alcune impostazioni "storiche" nella sinistra italiana . La presidenza Trump sposterà diversi punti di riferimento mandando in crisi il sistema di relazioni sovranazionali NATO inclusa per sostituirla con un meccanismo di relazioni bilaterali cui la destra italiana si è prontamente acconciata. Questa operazione lascerà scoperto un campo d'intervento decisivo: quello europeo. E' necessario riflettere appunto sullo spazio politico europeo.
Senza farla lunga limitiamoci all’analisi del concetto teorico di “neutralità” che potrebbe essere collegato alla definizione di uno spazio politico europeo e alla presenza di una sinistra sovranazionale.
In senso stretto neutralità è la situazione giuridica regolata dal diritto internazionale di estraneità e di equidistanza di uno Stato in presenza di un conflitto armato, tra gli stati.
L’istituto ha una lunga storia di convenzioni e norme.
Il concetto, invece, pone una serie di problemi, provocati dalla pluralità dei significati di neutralità e dei termini giuridici e politici da esso derivanti (neutralizzazione, neutralismo) ma soprattutto dalla relazione di neutralità con concetti come guerra, terzo, amicizia.
Oggi l’idea di “neutralità” potrebbe essere collegata a una ripresa del discorso su di una “terza via” riferita non semplicemente alla ricerca di un equilibrio tra sistemi politici ma all’elaborazione di una strategia globale posta sul piano delle relazioni internazionali riportando al centro l’idea fondamentale del rapporto Nord/Sud in un quadro di recupero degli organismi sovranazionali nel senso di un re-orientamento nell'utilizzo delle risorse e di complessiva smilitarizzazione.
Potrebbe essere possibile allora avanzare una proposta di struttura politica europea fondata sulla ripresa di alcune concezioni di carattere costituzionale e di ruolo degli organismi elettivi in un disegno di raccordo tra il lavoro dei Parlamenti Nazionali e di quello Europeo.
La sinistra potrebbe tentare di muoversi per costituzionalizzare la neutralità in parallelo con la nascita di uno spazio politico europeo nel quale agire in una dimensione di potestà sovranazionale.
Una sovranazionalità che ritorni ad individuare un nesso con il concetto di neutralità codificato in passato, tra gli altri, da Grozio, Wolff, Vattel e poi ripreso da più parti nel cuore della “guerra fredda” (smilitarizzazione e neutralità: pensiamo al Piano Rapacki).
Una sinistra sovranazionale che recuperi la centralità del diritto pubblico europeo come proprio fondamento nel determinare l’indirizzo della propria politica e ritrovi autonomia nella contesa internazionale.
3) La sollecitazione di una forte ripresa di conflitto sociale deve far parte integrante di questa proposta: in una direzione, quella dell'appoggio ai sindacati nel reclamare un recupero di presenza del mondo del lavoro sul piano politico che passa attraverso la valorizzazione del lavoro dipendente attraverso alcuni pilastri imprescindibili come quello della rappresentanza e della contrattualizzazione nazionale. Il tema del lavoro e del ritorno ad un ruolo conflittuale della sua diretta rappresentanza ci porta direttamente al tema dei referendum (compreso quello sull'autonomia differenziata se sarà ammesso). In un momento di grandissima sfiducia collettiva e di crescita dell'astensione elettorale sarà soltanto aprendo una fase di mobilitazione conflittuale che si potranno trovare le risorse umane sufficienti per superare e vincere la prova referendaria che, considerato attentamente il quadro politico italiano appare come il solo punto di passaggio utile per invertire la tendenza negativa.
Grazie per l'attenzione
Franco Astengo
Valdo Spini: Il centenario dell'assalto al Circolo di cultura
QN 30 dicembre 2024
Ci sono vari modi di passare l’ultimo dell’anno. E quello scelto a Firenze dalle squadracce fasciste per celebrarlo cento anni fa, il 31 dicembre 1924, fu di invadere e devastare il Circolo di Cultura, in Borgo SS. Apostoli 27. Libri, giornali, mobili e suppellettili furono dati alle fiamme in Piazza Santa Trinita. Gli animatori del Circolo erano Carlo e Nello Rosselli con Gaetano Salvemini, Piero Calamandrei, Ernesto Rossi.
Il 5 gennaio 1925, il Prefetto di Firenze, dichiarava sciolto per motivi di ordine pubblico il Circolo di Cultura in quanto le sue attività, “provocando giuste rimostranze nel partito dominante…potevano dare luogo a gravi perturbamenti dell’ordine pubblico”.
Nei giorni successivi un libello anonimo “Delitto e Castigo”, da attribuirsi a Piero Calamandrei, si chiedeva, alla luce delle attività svolte, dove fosse il delitto e il perché di quel castigo. Tra l’altro, nella furia di bruciare tutto, erano state bruciate in Piazza Santa Trinita anche copie di organi fascisti, come “Il Popolo d’Italia” e “Gerarchia”.
Era avvenuto che un gruppo di soci, tra cui Carlo Rosselli, Gaetano Salvemini, Manara Valgimigli, Ugo Procacci, dopo il delitto Matteotti (il segretario socialista rapito e ucciso il 10 giugno 1924), aveva fatto una pubblica dichiarazione di adesione al partito di questi (il Psu) per solidarietà nei suoi confronti. E la seconda ondata dello squadrismo fascista aveva colpito.
Il Circolo di Cultura venne rifondato dai soci superstiti nel settembre 1944 e intitolato ai fratelli Carlo e Nello Rosselli nel frattempo uccisi a Bagnoles de l’Orne il 9 giugno 1937 dalla Cagoule, un’organizzazione terroristica di destra francese su mandato dei servizi segreti del governo fascista italiano. Riaprì i lavori del Circolo Piero Calamandrei dicendo: non sono passati vent’anni, ma otto giorni, quanti ce n’erano tra una conferenza e l’altra.
Il Circolo di Cultura politica fratelli Rosselli, da allora attivo, pubblica dal 1981 il trimestrale, “Quaderni del Circolo Rosselli”. Nel 1990 è stato eretto ad Ente Morale dal Presidente della Repubblica ed è nata così la Fondazione Circolo Fratelli Rosselli. Essa tratta e dibatte dei problemi della democrazia italiana, dei partiti e delle istituzioni, di argomenti sociali (il recente “la questione salariale in Italia”), e coltiva lo studio degli ideali e dei programmi del “Socialismo Liberale” dei fratelli Rosselli.
Valdo SPINI
mercoledì 15 gennaio 2025
Spagna, la ministra del lavoro Diaz: "Alziamo il salario minimo a 1.184 euro al mese". E vuole la riduzione dell'orario di lavoro a 37,5 ore - Il Fatto Quotidiano
Roberto Biscardini: Il proporzionale per fermare lo sfascio della nostra democrazia
IL PROPORZIONALE PER FERMARE LO SFASCIO DELLA NOSTRA DEMOCRAZIA
di Roberto Biscardini per Critica Sociale n.9 dicembre 2024
Sono molte le ragioni che hanno spinto alcuni cittadini di diversa estrazione sociale, formazione culturale e orientamento politico a dar vita al comitato referendario “Io voglio scegliere” per modificare l’attuale legge elettorale, il Rosatellum, voluta da Renzi nel 2017.
Per ridare ai cittadini il diritto costituzionale di scegliere col loro voto i propri rappresentanti e di esprimere, come prevede la Costituzione, un voto personale eguale, libero e segreto. Così come ripeteva sempre il nostro amico, avvocato costituzionalista e socialista Felice Besostri che aveva fatto della battaglia per una legge elettorale democratica una battaglia di principio, portando in Corte Costituzionale sia il Porcellum, l’Italicum ed infine il Rosatellum, dove ancora giace senza sentenza.
Leggi elettorali tutte incostituzionali che hanno eletto Parlamenti di fatto incostituzionali.
Quattro quesiti, più una legge di iniziativa popolare per introdurre le preferenze ed abolire le liste bloccate, correggere le peggiori anomalie di una legge falsamente proporzionale, costruita opposta con il sostegno sia dei maggiori partiti del centrosinistra sia del centrodestra, per assegnare la maggioranza parlamentare a coalizioni vincenti, ancorché politicamente non omogenee.
Quindi, una legge che favorisce ammucchiate politiche a sostegno di un modello bipolare.
Sono molte le ragioni che non hanno consentito al comitato “Io voglio scegliere” di raggiungere l’obiettivo, nonostante l’impegno di molti volontari in tutto il territorio nazionale. Da un punto vista tecnico: la carenza di mezzi per sostenere una campagna di comunicazione efficace, l’oggettiva difficoltà di semplificare una materia complessa, compresa la difficoltà di spiegare i quesiti referendari abrogativi che si inserivano su una legge come il Rosatellum che volutamente è tra le più farraginose che abbiamo mai avuto.
Sul piano politico la ragione dell’insuccesso è ancora più semplice: tutte le forze politiche (con l’aiuto dei media e dei sindacati) hanno preferito conservare i propri privilegi incostituzionali e garantire la propria sopravvivenza fuori dalla logica di ciò che comunemente si intende per “requisito minimo” di un sistema democratico.
Ma l’obbiettivo principale era e rimane tuttora valido: modificare la legge elettorale vigente per consentire ai cittadini il diritto elementare di votare i propri parlamentari, sottraendo questo potere alle segreterie dei partiti che, con una serie di alchimie incomprensibili ai più, riescono con questa legge, salvo rare eccezioni, a definire preventivamente la composizione dell’intero Parlamento. Riescono a scegliere a tavolino prima del voto chi sarà eletto e chi no. Facendo così del Parlamento non un parlamento di eletti dal popolo, ma un parlamento di “nominati”.
Partiti che hanno visto con terrore un referendum sulla rappresentanza che avrebbe potuto mettere in discussione quel sistema bipolare che regge dal 1994 che è andato via via sempre più peggiorando dal Mattarellum in poi.
L’essenza della Seconda Repubblica.
Hanno visto con terrore un’iniziativa che nasceva dal basso e che metteva al centro dell’attenzione la centralità della legge elettorale come centralità della questione democratica. Che metteva al centro il tema della democrazia tanto conclamata e tanto calpestata.
Una legge elettorale che ha alimentato un sistema partitocratico senza partiti. Senza partiti governati con “metodo democratico” nonostante l’articolo 49 della Costituzione. Partiti trasformati in puri e semplici comitati elettorali, dentro un sistema politico e istituzionale che ha esso stesso favorito la nascita di partiti quasi tutti personali, che vivono senza congressi, senza radicamento sociale. Partiti contenitori, che portano nelle istituzioni non gli eletti dal popolo, ma i rappresentanti degli apparati e delle segreterie.
E qui arriviamo al punto.
Il comportamento delle forze politiche della Seconda Repubblica (tutte) ci consegnano così una democrazia malata e un Paese che non è più democratico. Causa dell’attacco perfetto che destra e sinistra insieme hanno arrecato alla democrazia rappresentativa e alle istituzioni di questo paese. Causa delle logiche di coalizione, poli o campi, che si sono costruite un sistema istituzionale su misura per blindare la propria sopravvivenza, senza neppure fare la fatica di presentarsi agli elettori con un unico programma elettorale.
Un sistema istituzionale in cui ha prevalso l’offensiva politica contro il ruolo delle assemblee elettive, dai consigli comunali e regionali al parlamento. Dove si è valorizzato il principio negativo della verticalizzazione del potere nelle mani degli esecutivi, sempre più nella prospettiva di mettere tutto il potere nelle mani di un uomo solo.
E così dopo l’elezione diretta dei sindaci e dei presidenti di Regione, l’ipotesi dell’elezione diretta del premier (detto anche Sindaco d’Italia) appare persino naturale. Tanto più che la destra può cavalcare questo suo disegno ricordando a tutti che il premierato era già trent’anni fa nelle corde di molti esponenti della sinistra.
Una sinistra di centro, se non addirittura una sinistra di destra, che si è resa responsabile dell’elezione diretta dei sindaci oggi trasformati in Podestà, dell’elezione diretta dei presidenti di Regione che si credono Governatori e dei premi di maggioranza riconosciuti alle coalizioni vincenti. Una forma di moderne dittature (democrature) nelle quali non è consentito ai rappresentanti dei cittadini né di dare l’indirizzo politico, né di controllare l’esecutivo, e tanto meno ai cittadini di partecipare al processo di formazione delle decisioni.
Così come la cosiddetta sinistra si è resa purtroppo responsabile di aver modificato nel 2001 il Titolo V della Costituzione, aprendo di fatto la strada alla riforma sulla autonomia differenziata che oggi giustamente si vuole abrogare e di aver condiviso con la destra la riduzione del numero dei parlamentari, e prima ancora la riduzione del numero dei consiglieri regionali e comunali. Alla faccia del valore della rappresentanza politica e territoriale e del pluralismo politico nel governo delle istituzioni.
Un consociativismo distruttivo della Costituzione ad opera di tutte le forze politiche.
Adesso dobbiamo fermare lo sfascio della nostra democrazia mettendo il cacciavite nell’ingranaggio, cercando di girare la vite in senso inverso, riportando tutto ai nastri di partenza della nostra democrazia costituzionale, avendo il coraggio di affrontare a testa alta l’esigenza, che non nasce oggi, di mettere mano alle principali leggi elettorali vigenti per dare al paese un sistema elettorale più organico e più omogeneo.
Proprio perché siamo in un momento difficile, tutto ciò si può realizzare, riaprendo, ovunque sia possibile, il tema centrale della nostra democrazia in crisi.
Lo si può fare dal basso con gli strumenti a disposizione di una concreta iniziativa popolare: associazioni culturali, circoli, movimenti, comitati, referendum e leggi di iniziativa popolare. Ma soprattutto cercando di riaprire una discussione e una riflessione dentro i singoli partiti e in particolare dentro i cosiddetti partiti della sinistra. Affinché prendano coscienza degli errori che sono stati commessi e prendano coscienza che una sinistra imballata sul politically correct, radical chic, espressione delle élite, lontana dalle questioni della pace, della democrazia e del lavoro è destinata continuamente a perdere. Così come la crescita costante delle astensioni e la caduta di credibilità della politica, nessuna esclusa, non sono figlie di nessuno ma della non politica di questi ultimi decenni.
Quindi dobbiamo auspicare che i partiti facciano per prima cosa i loro congressi, democratici, e mettano al centro della discussione il tema dello stato della nostra democrazia.
Avendo come primo obiettivo lo smantellamento del sistema bipolare. Quello che abbiamo vissuto negli ultimi trent’anni come eterna contrapposizione tra la il bene e il male. In perfetta sintonia con la “cultura della guerra” che da qualche anno abbiamo capito con chiarezza cosa significa. Sempre in guerra, non per fare gli interessi generali del paese ma per vincere, dove l’avversario politico è un nemico che deve essere distrutto con ogni mezzo, lecito o illecito. Nella cultura della guerra ci sono solo vinti e vincitori e il conflitto è senza limiti. Così che anche dal vocabolario della politica è sparito il dialogo, la collaborazione tra diversi e la mediazione, ma la mediazione è il sale della democrazia. E così è scomparsa anche la politica.
Un sistema bipolare all’italiana estraneo alla nostra cultura politica che ha distrutto la cultura di governo trasformando le coalizioni in semplici cartelli elettorali e macchine per il potere, divise su tutto ma unite per vincere e prendersi tutto.
Quindi superare il bipolarismo e abolire tutti i sistemi elettorali di tipo maggioritario, compresi quelli cosiddetti proporzionali con premio di maggioranza alle coalizioni vincenti (una vera e propria contraddizione in termini tipica di quell’ipocrisia antipolitica che ci trasciniamo da decenni).
Andando con coraggio oggi, perché non sia troppo tardi, alle nostre radici costituzionali ed anche a quelle liberali precostituzionali, sbarazzandoci dell’illusione di poter dare al paese, attraverso il maggioritario, più efficacia e governi migliori, più stabilità, e di sapere chi sarà chiamato a governarci il giorno stesso delle elezioni, se non addirittura il giorno prima.
Bisogna avere il coraggio di costruire un grande movimento per mettere davanti a tutto il valore della rappresentanza che solo elezioni di tipo proporzionale con preferenze può garantire.
Per dare ai cittadini con il voto il diritto di scegliere il proprio partito o la lista preferita e di scegliere i propri rappresentanti (cosa che oggi non avviene).
Così che le coalizioni nasceranno dopo il voto, sulla base delle maggioranze che si costruiranno in Parlamento.
Perché vogliamo essere ancora in una repubblica democratica e in una democrazia parlamentare e perché vogliamo che il potere sia restituito alla politica sottraendolo a chi lo detiene senza legittimazione popolare.
E perché siamo convinti, come i nostri padri costituenti, che il sistema elettorale proporzionale sia il più funzionale alla formazione di governi di coalizione ed ha il suo fondamento sul principio fondamentale della collegialità, considerato essenziale per la tenuta del sistema democratico, e per consentire una larga partecipazione dei rappresentanti delle forze politiche nel governo della cosa pubblica.
Un sistema elettorale proporzionale funzionale anche alla rinascita di partiti veri.
In merito alla devastata democrazia italiana, Francesco Pallante, uno dei più importati nostri costituzionalisti italiani, nell’introduzione al libro “Difesa della proporzionale. Il dibattito ne La Rivoluzione Liberale 1922-1925” sostiene: “Se non tutto è ancora perduto e permane una qualche speranza di salvezza, la via d’uscita rimane quella indicata da Gobetti e dai collaboratori de ‘La Rivoluzione Liberale’: tornare al proporzionale. Non, ovviamente, perché una legge elettorale che dia a ciascuno il suo sia di per sé salvifica, ma perché salvifica è la visione delle relazioni politiche e sociali che potrebbe portare con sé”.
Il proporzionale come nuovo inizio, per un’alternativa di sistema, che soprattutto la sinistra dovrebbe promuovere.
Franco Astengo: Un paese stanco
UN PAESE STANCO di Franco Astengo
Un'Italia stanca in un'Europa stanca, dove non si ravvede più la competizione (anche aspra) tra classi e gruppi sociali.
Sembrano tutti adagiati sullo "status quo" e sulla voglia di "legge e ordine".
Un'Italia ancor più che un'Europa nella quale non si riesce più a seguire il flusso ascensionale dei diversi settori sociali posti in rapporto diretto con l'esercizio della politica: con la "politica" intesa come politics che diventerebbe inutile quale attività intellettuale. Basterà il "problem solving" quotidiano limitato a soddisfare l'egoismo di ciascuno. addirittura in una visione ridotta del "corporativo".
Ne deriva un esercizio dell'azione politica ormai quasi definitivamente ridotta a lotta per il potere. Abbiamo trascorso stagioni nel corso delle quali l'azione politica si era allineata al concetto di "fine della storia" limitando la propria esistenza all'idea di "sbloccare il sistema" e in seguito di torcere la formula elettorale in direzione plebiscitaria eliminando la possibilità di scegliere la rappresentanza e imponendo il personalismo ormai ridotto all'apparire mediatico.
Una riduzione di senso dei valori fondativi anche della stessa democrazia liberale portata ad un appuntamento con una trasformazione in "democratura" dove alla fine dovrebbero sempre vincere i fautori della conservazione delle vecchie leggi del "Dio , Patria e Famiglia" .
In sostanza emergerebbero ancora le vecchie leggi del "familismo amorale" che propugnano un rovesciamento culturale proponendo una nuova "egemonia.
Una presunta egemonia che alla fine non rappresenterebbe altro che l'antico rovesciamento delle classi in favore di una borghesia rinchiusa nei propri fortini della ricchezza materiale. Proprio la ricchezza come accumulazione del potere intesa quale unico fattore di valutazione sociale e di accesso nella formazione dei gruppi dirigenti in economia, in politica, nelle cultura.
Un'Italia ancor più che un'Europa che segue il flusso che viene dall'alto capace di proporre tecnologie socialmente anestetizzanti e fautrici di un individualismo ormai più che "proprietario" addirittura "feroce": un individualismo "feroce" su cui si base l'ottimismo dell'apparenza che la destra propaga quale fallace narrazione di un eterno presente.
Un'Italia nella quale non si riesce più a trasformare battaglie che dovrebbero essere di grande spessore collettivo in fattori mobilitanti di proposta dell'agenda politica: ad esempio mi riferisco alla vicenda di Ramy, a quella delle pacifiste portate in questura a Brescia, allo sciopero dei metalmeccanici per il contratto nazionale ormai ridotto a episodio quasi di "nicchia" come del resto lotte sindacali come quella della GKN o al disinteresse generale che circonda l' ulteriore privatizzazione del settore siderurgico di cui i media si occupano soltanto stando dalla parte del "padrone" e ancora allo scivolamento verso una sorta di egemonia del militare nella produzione industriale oltre alla costante ricerca della sottomissione della magistratura nelle sue diversa articolazioni.
Penso al tentativo chiaramente in atto di introdurre elementi anti-costituzionali da stato di polizia, in un quadro di dispregio non solo della legalità ma anche delle basi di convivenza civile (pensiamo al ddl sicurezza): non è la prima volta che questo accade nella storia del dopoguerra. Ci provò già la Democrazia Cristiana negli anni '40- '50 propugnando un "mondo libero" versus "l'impero del male" e avendo come bersaglio la classe operaia, i contadini e il Partito Comunista ma la reazione fu ben più ampia rispetto ai soggetti colpiti e fu sostenuta dagli intellettuali più moderni, da uno spostamento del ceto medio dall'ancora delle posizioni reazionarie, da fermenti ecclesiali fino al Concilio giovanneo: fu la reazione di un'intera generazione successiva a quella che aveva fatto la Resistenza mettendo in campo (luglio '60) i ragazzi con le "magliette a strisce". Il cammino verso il centro-sinistra fu poi costellato di insidie e dal "tintinnar di sciabole" facendo capire a Pietro Nenni che forse "non era arrivato il momento di una maggiore libertà" .
Il Berlinguer del compromesso storico e il Moro della "terza fase" si videro di fronte il rapimento e l'uccisione del politico democristiano in un momento in cui proprio quell'episodio evidenziò una faglia nel sistema dei partiti che ne avrebbe concorso alla fine con la trasformazione del sistema all'insegna dell'idea luhmanniana del "taglio del rapporto tra politica e società", una frattura di cui questa destra rappresenta l'esemplificazione ben oltre i suoi nostalgici. e rivendicati pregressi.
Non è sufficiente il costante richiamo esercitato dalla massima magistratura della Repubblica.
La CGIL ha recentemente invocato una "rivolta sociale" spiegandone coerentemente i termini di riferimento ma l'impressione (anzi più di una impressione) è che l'appello sia rimasto sostanzialmente isolato perché è diversa ormai la concezione del rapporto tra agire politico e agire sociale anche nelle stesse forze che si definiscono ancora come progressiste e costituzionali.
L'Italia è stanca perché l'azione politica pare impossibile, riservata esclusivamente al gioco del potere e la percezione della disuguaglianza e dell'ingiustizia sembra dar luogo soltanto alle due estremità della protesta o della ricerca delle ragioni di accomodamento personale (di cui si colgono segnali nell'intellettualità e nel mondo dei "media"): di mezzo a questi due poli non ci stanno più l'organizzazione, la militanza, e quella che un tempo si chiamava "vigilanza democratica".
Soprattutto non esiste più la capacità di mediazione e di strutturazione dell'opinione pubblica in consenso progettuale un tempo esercitata dal complesso dei corpi intermedi (che - appunto - su quella base fornivano il personale della classe dirigente complessivamente intesa).
Mi sia consentita un'annotazione finale riferita al piano politico immediato: se davvero la Corte Costituzionale darà via libera ai referendum sull'autonomia differenziata e sul lavoro forse sarà l'ultima occasione per dare forma politica a una visione di disagio sociale con una proposta di alternativa posta sul piano istituzionale.
Sarebbe bene che le forze politiche curassero di non sprecarla.
martedì 14 gennaio 2025
Crisi dell'industria senza fine: ventiduesimo calo consecutivo (-1,5%) della produzione. Bankitalia: "Peggiorano le aspettative" - Il Fatto Quotidiano
lunedì 13 gennaio 2025
domenica 12 gennaio 2025
Germania, Spd ufficializza la ricandidatura a cancelliere di Scholz: "Siamo a un bivio, il 23 febbraio non si può sbagliare strada" - Il Fatto Quotidiano
Franco Astengo: Siderurgia
SIDERURGIA: NO A FONDI E ALLO SPACCHETTAMENTO di Franco Astengo
E' il caso di soffermarsi con attenzione sulla prospettiva di vendita del gruppo "Acciaierie d'Italia": premessa la strategicità della produzione siderurgica in una situazione italiana di deficit sul piano della programmazione industriale; considerata la necessità di un riferimento europeo; ricordato il passaggio di privatizzazione del settore avvenuto negli anni'90 e i fallimenti di Riva e di Arcelor Mittal tanto per citare due esempi e il ritorno al pubblico degli stabilimenti di Taranto, Cornigliano e Novi Ligure con la formula - appunto - di Acciaierie d'Italia.
La situazione in itinere vede tre società straniere in lizza per l'acquisizione dell'intero complesso: l'azera Baku Steel Company; gli indiani di Jindal, e il fondo statunitense Bedrock che punta su metalli ed estrazione.
Sono state inoltre avanzate proposte di acquisto per assett parziali da diversi gruppi tra i quali Marcegaglia, Eusider e Sideralba.
Al di là del facile ottimismo ministeriale e delle riflessioni aperte nel Sindacato vanno poste immediatamente in essere alcune proposizioni di principio:
a) no a fondi d'investimento che naturalmente lavorano in funzione dei sottoscrittori e non della produzione nella sua dimensione d'interesse nazionale e sovranazionale;
b) no a spacchettamenti molto pericolosi che frazionerebbe l'indispensabile unità del ciclo produttivo: unica garanzia questa per la conservazione (e sviluppo ) della presenza del settore.
Il tutto si colloca in un quadro complessivo già ricordato ma che vale la pena di ribadire:
Il tessuto produttivo nazionale attraversa, da anni, una crisi strutturale che condiziona l'economia del Paese e non si riesce a varare un’efficace programmazione economica.
Una programmazione che funzioni da vettore per selezionare poche ed efficaci misure, in grado di incrociare la domanda di beni e servizi e promuovere una produzione di medio e lungo periodo.
Appaiono in forte difficoltà anche gli strumenti di rapporto tra uso del territorio e struttura produttiva, ideati allo scopo di favorire crescita e sviluppo: il caso dei distretti industriali, appare il più evidente a questo proposito.
Da più parti si sottolinea, giustamente, il deficit di innovazione e di ricerca.
Ebbene, è proprio su questo punto che appare necessario rivedere il concetto di programmazione e di intervento pubblico in economia: un concetto che, forse, richiama tempi andati, di gestioni disastrose e di operazioni “madri di tutte le tangenti”.
Emerge, infatti, la consapevolezza di dover finanziare l'innovazione produttiva.
Mentre il mercato internazionale si specializzava nei beni di investimento e intermedi, con alti tassi di crescita, l'Italia si specializzava nei beni di consumo, con bassi tassi di crescita.
Nel 1990 (queste le responsabilità politiche vere del pentapartito che si riflettono ancora adesso sulla realtà attuale, assieme al peso dell’aver sottoscritto trattati europei pesantemente vincolanti in assenza di una qualsiasi prospettiva plausibile di tipo politico) i paesi europei erano tutti in condizione di debolezza e tutti, tranne Portogallo, Grecia, e Italia, avevano saputo modificare le proprie capacità tecnico – scientifiche diffuse, al fine di agganciare il mercato internazionale poi posto in crisi dal 2007 in avanti e ancora dalla crescita cinese e adesso nella prospettiva dell'isolamento di marca trumpiana e dall'aggressività di Musk e dagli altri padroni delle "over the top".
In allora i Paesi europei seppero costruire una ripresa industriale portata avanti anche grazie al supporto e all'intervento diretto del settore pubblico, mentre l'Italia ha dovuto importare l'innovazione da altri rinunciando anche allo sviluppo di segmenti alti del mercato del lavoro, dall'informatica, all'elettronica, alla chimica, addirittura all'agroalimentare.
Adesso di fronte alle difficoltà è il momento di rilanciare proprio nella dimensione europea ponendo a quel livello Il nodo della programmazione, dell'innovazione tecnologica ( si pensi ad esempio rispetto al tema dei satelliti il lavoro di Sitael), dell'intervento pubblico potrebbe rappresentare la base di un programma di alternativa rispetto a quello di un governo in apparenza. sovranista ma che sta cedendo a privati stranieri i punti definitori una possibile identità nella comunicazione, nella tecnologia, nella produzione industriale.
sabato 11 gennaio 2025
venerdì 10 gennaio 2025
giovedì 9 gennaio 2025
mercoledì 8 gennaio 2025
martedì 7 gennaio 2025
domenica 5 gennaio 2025
Franco Astengo: Lo spazio politico europeo
LO SPAZIO POLITICO EUROPEO di Franco Astengo
Preso in contropiede da quello che con linguaggio giornalisticamente inappropriato potremmo definire "caso Sala" il governo italiano, nella persona della sua presidente del consiglio, sta tentando una mossa di accreditamento presso la nuova Presidenza USA ,non ancora ufficialmente entrata in carica, ma ben presente sulla scena internazionale anche grazie a una stretta alleanza - per ora in piedi - tra populismo nazionalista e tecnocrazia: un'alleanza che ,per quanto potrà durare, segnerà comunque un momento di frattura nel quadro delle relazioni globali.
Sicuramente il colloquio di Mar - a - Lago ha traguardato il quadro d'insieme che si sta presentando a livello globale affrontando il nodo della posizione (almeno in apparenza) piattamente atlantista assunta dall'esecutivo italiano rispetto all'invasione russa dell'Ucraina.
Un'iniziativa assunta in solitario fuori dal coinvolgimento europeo probabilmente in funzione di sventolare un eventuale risultato positivo quale drappo nazionalista.
Al di là dell'esito immediato dell'operazione il punto da valutare riguardo lo scenario che si sta aprendo: in questo modo, in un momento di forte difficoltà dell'asse franco - tedesco e in una fase di crisi europea di natura militare, industriale, energetica.
Uno scenario che in una maniera soltanto apparentemente paradossale, può verificare l'apertura di uno spazio reale per una iniziativa che consideri l'Europa davvero "spazio politico" su cui collocare un discorso di democrazia, autonomia, progetto di alternativa nel segno di una ritrovata capacità di governo delle grandi transizioni della modernità.
A questo fine risulterà determinante l'esito delle elezioni tedesche prima di tutto verificando se si sarà riusciti a fermare l'ondata dell'AFD, analizzando l'esito elettorale dell'SPD e quello della BSW verso la quale non va concesso credito verso le posizioni di "sinistra conservatrice".
Nello stesso tempo servirebbe una evoluzione del NFP in Francia e l'avvio di una riflessione in Italia capace di avviare un discorso tra sinistra e forze democratiche che tenga il quadro della democrazia europea al primo posto.
Si dirà (giustamente): troppi "se" in un quadro complessivo che appare segnato dal ritardo delle forze politiche e da un eccesso del considerarsi l'ombelico di sé stessi.
Si tratta di valutare se davvero può essere messo al primo posto lo spazio politico europeo in una espressione di autonomia e di allineamento non scontato alla logica dei blocchi.
Quella "logica dei blocchi" giocata sul filo di un nuovo equilibrio del terrore e della ridefinizione di spazi di esclusività nel dominio che sembra rappresentare un obiettivo delle grandi potenze una volta ridefinito il ruolo degli USA tra "America first" e "gendarme del mondo" riaprendo la storia dopo che qualcuno nel dopo '89 ne aveva decretato la chiusura.
sabato 4 gennaio 2025
venerdì 3 gennaio 2025
Franco Astengo: Ricordo di Felice Besostri
RICORDO DI FELICE BESOSTRI PROTAGONISTA DELLA DEMOCRAZIA E DEL SOCIALISMO di Franco Astengo
Il centenario del discorso con cui, alla Camera dei Deputati, Benito Mussolini rivendicava l'assassinio Matteotti e apriva la strada al completamento della dittatura coincide (ci sono due giorni di differenza) con il primo anniversario della scomparsa di Felice Besostri, fiero antifascista e protagonista del socialismo e della democrazia per un lungo intenso periodo nella storia della sinistra italiana.
Il ricordo del compagno Felice deve quindi corrispondere alla necessità di opporsi alla condizione politica attuale che, per una sorta di "ironia della storia", vede al potere proprio gli eredi diretti dell'era fascista.
Besostri era stato l'autore di due capolavori giuridici inchiodando alla Consulta prima la legge elettorale del 2005, il famigerato "Porcellum", e successivamente il tentativo di modifica avviato nel 2015 (e approvato con il voto di fiducia al governo Renzi) denominato "Italikum" e mai entrato in vigore.
Felice aveva lavorato fino all'ultimo istante per contrastare anche l'attuale, chiaramente incostituzionale, formula elettorale promuovendo ancora i ricorsi, animando il Comitato per la Democrazia Costituzionale e tante altre iniziative.
Assieme al faro rappresentato dalla Costituzione e dall'obiettivo della piena applicazione del dettato proposto dalla nostra Carta Fondamentale, Felice ha vissuto fino in fondo l'ideale socialista nella sua più pura essenza dell'uguaglianza e della democrazia: non elenco qui incarichi e attività come quelle portate avanti nel Gruppo di Volpedo e nell'Associazione per il Rinnovamento della Sinistra, ricordando soltanto l'idea del Dialogo "Gramsci - Matteotti" attraverso il quale si intendeva coltivare l'idea dell'unità di una sinistra capace di valorizzare la propria identità storica e assieme segnalare (richiamandoci ai martiri dell'antifascismo) il pericolo di una destra autoritaria , "cattiva", antidemocratica-
Un compagno probabilmente non valutato appieno dai vertici della sinistra italiana nel corso della sua indefessa attività (avvocato, insegnante, senatore) di cui abbiamo bisogno di perpetuare il ricordo per non smarrire il senso della nostra lotta.
giovedì 2 gennaio 2025
Franco Astengo: Fuggire dall'eterno presente
Ho provato a sintetizzare la proposta di "socialismo della finitudine" in un quadro complessivo di riferimento al fine di realizzare un confronto sui temi dello sviluppo progettuale e della concreta finalizzazione della soggettività politica. Grazie in anticipo a quante/i vorranno misurarsi su questi temi magari contribuendo ad aprire una discussione di merito.
Mi scuso in anticipo per sinteticità e improvvisazione nella struttura analitica del testo.
FUGGIRE DALL'ETERNO PRESENTE di Franco Astengo
Sembrano tutti ( o quasi) convinti che il tempo scorra in un eterno presente dove si cerca di festeggiare per allontanare l'angoscia: quella che stiamo vivendo però è una crisi diversa dove la connessione tecnocrazia/guerra appare davvero come l'iceberg su cui l'umanità balla la sua fine.
E' svanito il rimando escatologico, la previsione del futuro e il richiamo al passato che potrebbe ancora formare un ponte.
La politica sembra ridotta al "problem solving" e l'improvvisazione si camuffa da pragmatismo.
La sinistra ha bisogno di acquisire coscienza di questo stato di cose e di imporsi fuori dalla pigrizia per cambiare paradigma.
E' richiesto un tale sforzo di rielaborazione cui nessuna generazione è mai stata chiamata, a partire dalla prima rivoluzione industriale e dal sorgere del capitalismo e dall’organizzarsi della classe operaia nei sindacati e nei partiti di massa.
E’ questo , della presa d’atto dell’avvenuto mutamento di paradigma, il senso di una proposta d’analisi che mi sono permesso di definire come del “socialismo della finitudine”.
“Socialismo della finitudine” per ripartire dall’idea dell’impossibilità, rispetto a quello che abbiamo pensato per un lungo periodo di tempo,di procedere sulla linea dello sviluppo infinito inteso quale motore della storia inesorabilmente lanciato verso “le magnifiche sorti e progressive”.
Il primo punto di programma così teoricamente impostato dovrebbe allora essere quello rappresentato dalla progettazione e da una programmazione di un gigantesco spostamento di risorse tale da modificare profondamente il meccanismo di accumulazione dominante.
Oggi il ritorno della guerra come prospettiva globale, il riferimento a innovazioni tecnologiche in grado di mutare il quadro di riferimento sociale, l'emergere di tensioni "dittatoriali" sconvolgono l’assetto consolidato in un momento in cui si stava attraversando una forte difficoltà per quell’accelerazione nei meccanismi di scambio che abbiamo definito come “globalizzazione”.
Si è verificato l’ingresso nel novero delle grandi potenze di nuovi attori politici portatori di diversi sistemi di governo della politica e dell’economia, a partire dalla Cina e guardando anche alla spuria aggregazione dei BRICS in tempi in cui nel post-globalizzazione paiono emergere prospettive di consolidamento in blocchi dell'equilibrio mondiale.
La coscienza della propria appartenenza e la volontà politica di determinare il cambiamento rimangono fattori insuperabili e necessari come motore di qualsivoglia iniziativa della trasformazione dello stato presente delle cose.
Attenzione però lo stato presente delle cose va cambiato sia nel senso della condizione oggettiva della nostra esistenza sia in quello dell'assunzione di una consapevolezza soggettiva del vivere con gli altri. Da questa consapevolezza tra individuale e collettivo "si realizza la vita d'insieme che è solo la forza sociale, si crea il "blocco storico"" (Gramsci Quaderno 11). Come auspicava Luckas "la coscienza di classe trova il suo superamento nell'universale riconoscimento della propria appartenenza al genere umano".
La coscienza della propria appartenenza deve così sfociare nella convinzione di un'umanità che richiede l'uguaglianza. La volontà politica del"soggetto" va allora impegnata nella ricerca di un socialismo possibile nella forma di un nuovo umanesimo. Un umanesimo socialista posto "contro" il modello di quello realizzato e fallito ma anche oltre forme di socialdemocrazia incapaci di porsi anche soltanto nella semplice prospettiva del riformismo.
Punto di partenza dell'umanesimo socialista: rimanere fedeli ad un'etica della trasformazione in quanto opposizione allo sfruttamento dell'uomo sull'uomo , dell'uomo sulla donna, di un genere umano che ritiene senza limiti l'antropizzazione della natura.
Va disegnato l' orizzonte di un “Socialismo della finitudine” inteso come valore universale esprimendo l’intenzione di ripartire dall’idea del dover ripensare la teoria della linea dello sviluppo infinito inteso quale motore di una storia inesorabilmente lanciata verso “le magnifiche sorti e progressive”. Socialismo della finitudine” come idea che, nella sua dimensione teorica, riesca a comprendere quanto di “senso del limite” sia necessario acquisire proprio al fine di realizzare quel mutamento sociale posto nel senso del passaggio dall’individualismo competitivo fin qui egemone nella post - modernità verso nuove forme di soggettività collettiva ponendosi l'obiettivo di riuscire a proporre un mutamento di quell'offerta politica che oggi appare così debole e confusa.
mercoledì 1 gennaio 2025
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