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venerdì 12 gennaio 2024
Franco Astengo: Riformismo
CINQUANT'ANNI FA L'AUSTERITY: IL "MANIFESTO" E IL DIBATTITO SUL RIFORMISMO di Franco Astengo
Cinquant'anni fa di questi tempi l'Italia si trovava nel pieno dell'austerity provocata dalla crisi petrolifera innestata nell'ottobre 1973 dalla guerra dello Yom Kippur tra Israele, Egitto e Siria.
Fu quella l'occasione per uno sviluppo di dibattito all'interno della sinistra nel quale prese l'avvio di una riflessione nell'ambito di quella che era definita "nuova sinistra" e che oggi deve essere ricordata nei suoi termini generali.
Il manifesto ospitò proprio su questa tematica – la qualità nuova della crisi e le sue conseguenze sul riformismo – un dibattito cui partecipa un autorevolissimo gruppo di economisti e non solo: Paolo Sylos Labini, Augusto Graziani, Riccardo Lombardi, Pino Ferraris, Claudio Napoleoni, Rossana Rossanda, Antonio Lettieri, Giorgio Ruffolo, Giorgio Benvenuto, Francesco Indovina, Giorgio La Malfa, Mario Mineo, Luciano Della Mea (il PCI, in quel momento impegnato nella fase iniziale della proposta di "compromesso storico" elaborata da Berlinguer a seguito del golpe cileno dell'11 settembre 1973, non aveva autorizzato nessuno dei suoi dirigenti a partecipare al dibattito come ha ricordato Aldo Garzia nel suo "Da Natta a Natta storia del Manifesto e del Pdup" del 1985)
Valentino Parlato curò poi l’edizione, per il Mulino, di un libro- “Spazio e ruolo del riformismo”- che raccoglie l’intero dibattito che nel quotidiano era uscito dal 13 al 15 gennaio 1974.
Lucio Magri aveva aperto la discussione con un articolo "Breve vita felice di Lord Keynes" e poi lo aveva concluso con altro intervento.
Vale la pena riprendere il fondamento delle tesi sostenute da Magri in quell'occasione non soltanto per via dell'occasione del cinquantenario dalla pubblicazione.
Quel dibattito rimane infatti un punto nodale nella storia della sinistra italiana: un punto ormai dimenticato nel quadro della produzione intellettuale dell'epoca soprattutto perché assunse un significato di "visione" dell'idea di crisi "dello sviluppo e non nello sviluppo" ed ebbe ripercussioni importanti sull'insieme del dibattito teorico a sinistra fin dentro la fase successiva alla caduta del "socialismo reale" e alla conseguente accettazione dell'idea di "fine della storia" e all'abdicazione dalla politica ridotta, da un lato al mito della "governabilità" e dall'altro alla "moltitudine" come levatrice della rivoluzione.
Tornando al filo centrale del discorso va ricordato come Magri non ritenesse più sufficiente leggere genericamente l'andamento della crisi come strutturale essendosi ormai precisata meglio come crisi del meccanismo che presiedeva alla costituzione del risparmio nella forma di capitale.
Magri individuava così l'oggettiva spinta verso il riformismo perchè per rilanciare lo sviluppo economico occorreva un nuovo modello di relazioni, una diversa distribuzione del reddito, un più accentuato ruolo dello Stato nell'economia e nuove relazioni internazionali.
Da qui la necessità di far raccogliere al riformismo basi di massa attraverso la confluenza di diversi interessi nel segno della contraddizione che fare i conti con questo stato di cose riguardava oggettivamente una forza rivoluzionaria.
Da questa analisi derivava la necessità di una diversa direttrice di marcia: occorreva perseguire l'unità del movimento di massa in tutte le sue componenti per avviare la trasformazione della sinistra in una fase di arresto della praticabilità riformistica.
Per far questo, a giudizio di Magri, non era più sufficiente la "centralità operaia" o la "socializzazione della lotta": bisognava darsi un programma di minimi obiettivi nel contesto di una fase recessiva della crisi.
Per questo occorreva non solo difendere la rigidità della condizione operaia in fabbrica, ma proporre un programma alternativo di sviluppo con obiettivi che incidessero sull'andamento della crisi economica.
I riflessi di questa analisi, pur sommariamente descritta in questa occasione, avrebbero riguardato essenzialmente la ricerca di un nuovo rapporto tra movimenti di lotta e istituzioni e tra movimenti e partiti.
Era necessaria una "lunga marcia" dentro la crisi e una diversa politica di alleanze tra i protagonisti dello scontro sociale.
Non era più sufficiente l'azione spontanea dei soggetti sociali ma necessità di un programma su cui orientare le lotte e un incontro critico con le posizioni maggioritarie del movimento operaio allo scopo di delineare posizioni più avanzate sul piano della teoria e della pratica politica.
Roba di cinquant'anni fa: rimane però l'interrogativo su quanto può rimanere di analisi di questo genere soprattutto sul piano della ricerca delle nuove dinamiche sociali e della modifica del concetto di alleanza che potrebbe derivarne anche sul piano politico.
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