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sabato 18 giugno 2022
Roberto Biscardini: Si può cambiare il corso stanco degli eventi
SI PUÒ CAMBIARE IL CORSO STANCO DEGLI EVENTI
di Roberto Biscardini
Dopo trent’anni di seconda repubblica, il nostro paese potrebbe essere presto consegnato alla destra peggiore. Non a quella di Berlusconi, membro e alleato del Partito Popolare europeo, ma al partito della Meloni, quello che nel suo simbolo ha ancora la fiamma tricolore del vecchio partito fascista. Un partito che in Europa è percepito alla destra della stessa Le Pen. Certo una donna capace e astuta, atlantista quanto basta, sulle posizioni della destra americana, che ha fatto della sua collocazione all’opposizione, anche di questo ultimo governo, una delle sue migliori carte vincenti.
Tutto è successo per il progressivo decadimento dei partiti. Non ce n’è più uno che faccia da tempo un congresso degno di questo nome. Tutti personalizzati come trent’anni fa, ma con leader sempre meno credibili. Senza un partito che possa vantare un’identità nel solco delle tradizionali culture politiche europee, che nel resto d’Europa non sono assolutamente morte.
Ma soprattutto in assenza di una sinistra che possa presentarsi, in nome delle proprie politiche, come alternativa alla destra. Alternativa sulle cose, non sulla ormai trita logica degli schieramenti, alla ricerca dei campi più o meno larghi. Che poi alla fine nascondono sempre lo stesso problema: come allargarsi al centro, anziché costruire una proposta credibile a sinistra. Il quadro è sconfortante, senza alcuna reazione, dovremmo tenerci un centrosinistra a trazione Pd, che nessuno ormai avrebbe il coraggio di collocare a sinistra e che non lo è per sua stessa ammissione. Dovremmo vivere in un paese in cui la sinistra è morta. E non c’è più, in uno dei più delicati momenti della vita democratica del paese.
Il voto del 12 giugno lo ha dimostrato con assoluta chiarezza. La distanza tra cittadini e sistema politico, ma anche la grande distanza tra il valore democratico del voto e le istituzioni sembra avere toccato il fondo. Che serve votare per un referendum se la storia ci insegna che i risultati non vengono rispettati? Che serve votare per dei partiti che in parlamento non contano nulla? Che serve votare per un partito o uno schieramento, se poi ci troviamo governi come quello attuale e con primi ministri tecnici scelti fuori dal sistema politico nostrano? Espressione di poteri esterni. Da Monti a Draghi passando per Conte, un’anomalia tutta italiana.
E l’astensione ai referendum non può essere attribuita allo strumento in sé. Perché se così fosse, perché il parlamento non ha varato per tempo l’antica riforma per abbassare il quorum e alzare il numero di firme necessarie per indirli? Perché alla politica e al parlamento è più utile avere dei referendum che non vanno a buon fine, che avere dei risultati con cui fare i conti.
E nella trappola sono cadute tutte le istituzioni, anche le più grandi. Anche Draghi e Matterella, che si sono ben guardati di dare il minimo segnale (come almeno la retorica vorrebbe) per invitare i cittadini ad andare a votare, e per sottolineare l’importanza politica del voto.
Insomma anche loro se ne sono “sbattuti”.
La conseguenza è semplice. Se votare è inutile perché non si può cambiare nulla e non si può disturbare i governanti, tanto vale non votare.
Perché votare se non si può infastidire la magistratura? Non si può eccepire sul ruolo italiano nella guerra russo-ucraina. Non si possono valutare gli errori del passato. Non si può eccepire sul ruolo della Nato dal 1991 a oggi. Non si può mettere in discussione il bipolarismo ancorché moribondo. Non si può nemmeno proporre una riforma elettorale in senso proporzionale con sbarramento, tipo quella tedesca, che là funziona benissimo e qui salverebbe la repubblica.
Non si può chiedere al governo di cambiare politica economica, perche Draghi è uno che la sa lunga e viene da lontano. Non si può parlare male della politica dei bonus che tacita il malumore dei cittadini ma scarica il debito sulle future generazioni. Non si può chiedere una riforma per abbassare drasticamente l’età pensionabile. O una riforma del fisco che faccia pagare le tasse in modo veramente proporzionale alla ricchezza. Non si può chiedere al governo di fare qualcosa per alzare i salari e ridurre le diseguaglianze. Siamo l’unico paese europeo che negli ultimi trent’anni ha conosciuto la riduzione dei salari medi, ma non si può protestare. Non si può prendersela con nessuno. O meglio puoi protestare in privato. Puoi organizzare comitati, promuovere momenti di partecipazione tra i tuoi simili, ma fuori dalla politica e fuori della istituzioni. Anzi devi assistere alla decapitazione della democrazia rappresentativa e della democrazia diretta, ma devi stare zitto.
Di fronte a questa voragine si può coprire il vuoto. Lo spazio c’è ed è enorme.
Ma seguendo la via maestra. Occorre ricostruire una forza autenticamente di sinistra e quindi autenticamente socialista. Con chi ci sta. Una forza in grado di intercettare e rispondere alla domanda di nuovo socialismo, assolutamente presente nella società.
Una società che ha bisogno di un socialismo “materialista”, concreto, lontano dalle retoriche dei princìpi e dal “quanto eravamo bravi noi”.
Saldando le aspettative di quell’elettorato popolare classico (socialista e cattolico) oggi abbandonato, con il nuovo elettorato giovanile. Quello che esprime bisogni e speranze diverse.
Un percorso da avviare subito, magari non breve, con una nuova generazione di socialisti, coraggiosi e con le idee chiare. Coscienti del fatto che il corso stanco degli eventi può essere cambiato e che “il sole dell’avvenire” è ancora la leva su cui fare perno.
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