martedì 24 agosto 2021

Franco Astengo: Lo spazio politico

LO SPAZIO POLITICO di Franco Astengo La sinistra italiana fatica a ritrovare le condizioni di analisi e di proposta nel definire un proprio spazio sul piano geopolitico ,mentre si sta verificando a livello globale una inedita fase di transizione. Una fase di transizione (militare, economica, tecnologica) le cui coordinate di fondo dovrebbero essere dettate da una (quasi dimenticata?) emergenza sanitaria che ha provocato come primo effetto una esponenziale crescita delle disuguaglianze tra i popoli e nei popoli . Una “emergenza del disuguale” che già stava alla base dell’imponenza del fenomeno migratorio che deve essere considerato come la vera e propria fonte di instabilità su diversi scacchieri oltre all’origine di colossali ingiustizie. Gli avvenimenti militari di questi giorni rappresentano semplicemente la spia di una caduta di egemonia e del presentarsi di nuove condizioni di confronto sul terreno planetario :confronto che si svilupperà soprattutto nel definirsi della contesa per il primato negli approvvigionamenti energetici e dei materiali necessari per attivare la tecnologia indispensabile proprio per affrontare la fase di transizione cui si faceva cenno. Si può allora tornare a ragionare del rischio di una ripresa aggressiva di una sorta di “Bipolarismo Imperiale” (oppure c’è da riprendere l’antico termine utilizzato da Arrigo Cervetto di “Imperialismo Unitario”) ? La domanda è legittima se si pensa che, alla fine, gli USA si muoveranno su di un terreno di ripresa neo-atlantica tentando la strada del confronto diretto con la Cina in un quadro complessivo molto complicato rispetto all’antico schema della “guerra fredda”, pur ricalcandone aspetti significativi. Si assiste, infatti, dopo tanto discettare sulla globalizzazione (del resto sempre presente nella storia, al livello delle dimensioni via, via di volta in volta possibili) e di un conseguente assetto multipolare a una sorta di ritorno a quella “logica dei blocchi” che aveva contraddistinto l’assetto planetario almeno dagli accordi di Yalta alla caduta del muro di Berlino (1944-1989). Uno scenario quella dell’emergere di una logica simile a quella dei “blocchi” che si sta delineando proprio adesso in chiusura della guerra afgana (senza dimenticare l’entrata in scena di attori molto potenti sul piano militare come Iran e Turchia e l’accresciuta presenza russa in Medio Oriente e in Nord Africa, sui terreni di conflitto della Siria e della Libia). Intendiamoci: non si pensa qui di semplificare situazioni che, nel passato e nel presente, hanno sempre assunto elementi di non riducibile complessità, ma esistono nella sostanza alcuni punti di contatto fra quella fase e quella attuale e pesano molto sul complesso della situazione che s’intende analizzare. La vera differenza tra l’allora e l’oggi risiede nel fatto che, almeno dal punto di vista nominale, la fase dell’immediato post-seconda guerra mondiale era contraddistinta da un confronto tra due visioni del mondo opposte, quella capitalistica e quella del “socialismo reale”, mentre oggi si può ben scrivere di confronto tra opposti imperialismi (molto legati fra loro da intrecci non facilmente scioglibili d’affari di varia natura: da quelli energetici a quelli militari e degli apparati industriali e commerciali). Lo schema fondamentale delle alleanze potrebbe però non ricalcare quello del periodo precedente: la richiesta di un rinnovato atlantismo potrebbe trovare l’Europa ridotta alla dimensione della vecchia “testa di ponte” USA degli anni’50 quando CECA e Euratom servirono soprattutto a legittimare il ritorno della Germania (Ovest) sul piano diplomatico e militare. Uno schema semplificato, quello appena preso in esame, ma non certo da utilizzare al gioco del Risiko, ma ben presente sullo scenario mondiale, assieme al ritorno alla marginalità del continente latino-americano e all’utilizzo dell’immenso territorio africano per nuove avventure di stampo coloniale. Come si è già scritto: rispetto al tempo della globalizzazione pare tornato quello della “geopolitica”. In questo contesto che sicuramente è stato qui analizzato in maniera a dir poco lacunosa la sinistra italiana è chiamata a riconsiderare lo spazio politico europeo. Lo spazio politico europeo è stato fin qui oggetto di logiche alternative: chi lo ha considerato coincidente con l’UE sposando in toto gli intendimenti maggioritari e chi (sempre confondendo spazio politico europeo e UE) l’ha demonizzato come fonte di totale acquescenza ai meccanismi capitalistici di finanziarizzazione dell’economia. Nella situazione attuale potrebbero invece servire proposte politiche che individuino l’Europa come “spazio politico”. Dovremmo ricercare una progettualità di sinistra misurata sia a livello sovranazionale, sia al livello di quello “Stato –Nazione” la cui cessione di sovranità verso entità “superiori” si sta certamente verificando, ma in una dimensione diversa e molto più “lenta” rispetto a previsioni un po’ precipitose sviluppate negli anni scorsi (un po’ com’è accaduto con il concetto di “lotta di classe”, dato affrettatamente per superato, e adesso tornato prepotentemente alla ribalta date le condizioni di sfruttamento concretamente create dalla gestione capitalistica della fase). Tornano così alla mente concetti che apparivano desueti quali quelli di “neutralità” o di “smilitarizzazione”, considerato anche che da più parti si sta procedendo a passi da gigante a rendere sempre più sofisticato e invadente il proprio apparato militare. Non è questa la sede per avanzare proposte immediate al riguardo di una situazione in così repentino sviluppo, ma appare proprio il caso di definire un ritorno allo sviluppo di alcune concezioni di teoria politica. E’ questo il caso del concetto di “neutralità” sul quale, tra l’altro, al tempo della prima guerra fredda insistettero molto i partiti socialisti occidentali, nello specifico il PSI, che pure aveva una grande tradizione nel merito, se pensiamo al “né aderire, né sabotare” adottato in occasione della prima guerra mondiale. Posizione originale e coraggiosa rispetto agli altri grandi partiti socialisti occidentali, quello francese e l’SPD tedesca che appoggiarono, invece, nella sostanza le azioni di guerra imperialistiche dei rispettivi Paesi votando sia all’Assemblea Nazionale sia al Reichstag i necessari crediti di guerra. Limitiamoci però all’analisi del concetto teorico di “neutralità” che potrebbe essere collegato alla definizione di uno spazio politico europeo e alla presenza di una sinistra sovranazionale. In senso stretto neutralità è la situazione giuridica regolata dal diritto internazionale di estraneità e di equidistanza di uno Stato in presenza di un conflitto armato, tra gli stati. L’istituto ha una lunga storia di convenzioni e norme. Il concetto, invece, pone una serie di problemi, provocati dalla pluralità dei significati di neutralità e dei termini giuridici e politici da esso derivanti (neutralizzazione, neutralismo) ma soprattutto dalla relazione di neutralità con concetti come guerra, terzo, amicizia. Oggi l’idea di “neutralità” potrebbe essere collegata a una ripresa del discorso su di una “terza via” riferita non semplicemente alla ricerca di un equilibrio tra sistemi politici ma all’elaborazione di una strategia globale posta sul piano delle relazioni internazionali riportando al centro l’idea fondamentale del rapporto Nord/Sud. Potrebbe essere possibile allora avanzare una proposta di struttura politica europea fondata sulla ripresa di alcune concezioni di carattere costituzionale e di ruolo degli organismi elettivi in un disegno di raccordo tra il lavoro dei Parlamenti Nazionali e di quello Europeo. La sinistra potrebbe tentare di muoversi per costituzionalizzare la neutralità in parallelo con la nascita di uno spazio politico europeo nel quale agire in una dimensione di potestà sovranazionale. Una sovranazionalità che ritorni ad individuare un nesso con il concetto di neutralità codificato in passato, tra gli altri, da Grozio, Wolff, Vattel e poi ripreso da più parti nel cuore della “guerra fredda”. Una sinistra sovranazionale che recupera la centralità del diritto pubblico europeo come proprio fondamento nel determinare l’indirizzo della propria politica.

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