mercoledì 30 giugno 2021

Franco Astengo: Democrazia e sinistra

DEMOCRAZIA E (ANCORA UNA VOLTA) SINISTRA di Franco Astengo La perdita di credibilità della struttura costituzionale della democrazia rappresentativa agita attraverso il sistema dei partiti rappresenta la causa preminente della crisi del sistema politico italiano e anche del definitivo “salto del tappo” all’interno del M5S. Quel M5S che, attraverso meccanismi molto complessi di aggregazione del consenso, aveva illuso molti circa la possibilità di costruzione di un’alternativa. L'esito possibile di questa fase così convulsa potrebbe essere quello di un'ulteriore dispersione di forze verso l'ennesimo incremento di riflusso sociale e non soltanto di astensionismo elettorale. E’ evidente che la democrazia diretta esercitata attraverso il web non può rappresentare un’alternativa di sistema nei riguardi di quelle forme di democrazia rappresentativa e delegata, oggi in crisi. La causa vera di questo complicato stato di cose in atto è dovuta prima di tutto a un mutamento di fondo nella concezione stessa dell’agire politico allorquando si è cominciato a considerare la “governabilità” quale fine esaustivo, abdicando alla capacità di rappresentanza dei diversi settori sociali verso i quali i grandi partiti di massa avevano saputo esercitare forme di pedagogia collettiva indicando la via della formazione di un “blocco storico” all’interno del quale trovare sicurezza di “appartenenza”. La crisi del sistema politico indotta dalle tre cause concomitanti (o concatenate fra loro?) della caduta del muro di Berlino, di Tangentopoli e della cessione di sovranità dello Stato – Nazione implicata dalla stipula del Trattato di Maastricht, fu affrontata semplicisticamente attraverso il taglio di nodi gordiani: via i partiti di massa, via il proporzionale e affermazione di un maggioritario (misto) per creare un bipolarismo “temperato” (pur nella demonizzazione mediatica dell’avversario, e con l’apporto “sostituivo” della magistratura) inteso come panacea di tutti i mali nella logica della dismissione dell'intervento pubblico in economia, dell'abbattimento dello stato sociale e dell'allineamento alla trionfante Europa liberista. La formula elettorale però è soltanto “parte” dell’incardinamento di un sistema politico. Il maggioritario fu inteso, invece, come panacea di tutti i mali perché considerato di capace di produrre la tanto agognata “governabilità” in un mondo con un solo gendarme e nell’Europa a trazione tedesca . Nessuno in quel momento, primi anni ‘90, previde l’instabilità successiva, la crisi del subprime e tutto il resto: mentre a sinistra ci si limitava ad una esternazione movimentista contro la globalizzazione e tutti, proprio tutti, pensavano che all’Est si sarebbero aperte le praterie del mercato libero inteso come nuova frontiera della “fine della storia”. Bipolarismo e maggioritario (con relative tensioni presidenzialiste: si ricordi l’esito della Bicamerale del 1997 presieduta da Massimo D’Alema) da accompagnare, sul piano delle relazioni sociali, con il riformismo blairian-tachteriano e lasciando, in Italia, libero sfogo al “partito – azienda” (sublimazione del passaggio dal “catch all party” al partito – personale) e al conflitto d’interessi con relativo corollario. Risultato di tanta insipienza (qui ridotta in un raccontino all’osso) la ferocia dell’austerità con relativa reazione populista, prima interpretata appunto dall’idea della democrazia diretta, dall’avvento del web, dallo “scambio” assistenzialista mutato nella “fine della povertà”: poi grazie anche all’incredibilità di un trasformismo acrobatico (causa di ulteriore crisi di credibilità complessiva) il passaggio “hard” al populismo sovranista, alimentato dalla situazione internazionale e dall’evidente mistificazione portata avanti dai media sul tema dei migranti (anche perché agitare uno spauracchio ha sempre rappresentato il “classico” della voglia di disporre di un capo che parli direttamente alle masse). Populismo sovranista non contenuto, alla fine, dalla formazione di una governabilità con parvenza di unità nazionale. Una parvenza di unità nazionale basata sulla volontà di spartizione “ineguale” dei fondi europei considerati l’occasione di un “piatto ricco mi ci ficco” come conclusione della più drammatica fase della storia mondiale recente. Ricordando infine che, oggi come oggi, in testa alla fallacia dei sondaggi ci sono i fascisti (saliti dal 4 al 20%) che presto entreranno nel gioco di governo non resta da chiedersi perché a sinistra ci si stracci le vesti per il fallimento del tentativo neo-democristiano di riconversione del M5S. Non si riflette a sufficienza sul fatto che a sinistra ci si stia adagiando nell’europeismo/atlantismo e nel “populismo gentile” del PD , una linea di riferimento che proprio nel PD segna una continuità di linea di riferimento nonostante le scissioni e l'alternarsi nella guida di "carissimi nemici". Il “populismo gentile” del PD (partito che soffre, anche al suo interno, il vuoto lasciato dall'assenza di una autonoma presenza di sinistra) appare contrassegnato da chiari accenti anti parlamentari e dalla voglia di cambiamento della forma di governo. A dimostrazione di questo stato di cose si può indicare prima il voto favorevole nel referendum riguardante la riduzione nel numero dei componenti di Camera e Senato (il cui esito concreto ha cancellato di fatto il bicameralismo) e adesso, nell’ultima idea del segretario PD l’attacco (in perfetto stile Grillo) all’articolo 67. Una sinistra adagiata su queste coordinate apparentemente incapace di mettere in moto un meccanismo di ricostruzione di soggettività per la cui ipotesi stanno invece riaprendosi spazi (molto semplicemente basti pensare alla questione del blocco dei licenziamenti). Una ricostruzione di soggettività a sinistra (fatta salva la necessità di utilizzo razionale degli strumenti di innovazione tecnologica) per la quale, senza voler sprecare eccessi di ottimismo, esistono comunque evidenti condizioni sociali rispetto ai nostri sempre presenti soggetti di tradizionale riferimento : lotta per la pace (atlantismo rampante, neo-bipolarismo, voglia di guerra) tutela del lavoro dipendente nel quadro generale di intensificazione dello sfruttamento e di allargamento complessivo delle disuguaglianze in un quadro di nuova lettura delle fratture sociali e delle prospettive di integrazione (comprese le fratture riguardanti le urgenze ambientali) e ricerca di eguaglianza in una politica di welfare universalistico. Socialdemocrazia keynesiana? Addirittura ritorno di una sorta di “socialismo d’antan” con accenti mutualistici da società fabiana? Può darsi, intanto nella sostanza si tratterebbe di cercar di capire come ci si sia venuti a trovare di fronte alla necessità di recuperare questo vero e proprio smarrimento di senso che ci ha profondamente colpiti.

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