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lunedì 5 aprile 2021
Franco Astengo: Europa e sinistra
EUROPA E SINISTRA di Franco Astengo
Care compagne e cari compagni,
mi rivolgo a coloro che hanno attraversato le vicende della sinistra italiana nel corso di questi anni (in particolare l'esperienza del Pdup, ma non solo) restando convinti della necessità di lavorare attorno al tema della necessità di una ricostruzione di presenza politica adeguata all'oggi ma anche legata alla migliore tradizione della nostra storia: una storia troppo spesso trascurata.
Una prima lettura, ancora sommaria, del testo che Simone Oggionni ha dedicato alla figura e all’opera intellettuale e politica di Lucio Magri mi ha convinto di una necessità politica che cerco di riassumere in poche righe ma che avrebbe sicuramente bisogno di essere sviluppata a fondo.
Tutti noi siamo ben coscienti dell’ormai conclamata assenza di una soggettività politica non semplicemente unitaria ma significativa della storia e della capacità di impegno diretto della sinistra italiana nella costruzione e nella rappresentazione dell’alternativa: non affronto qui i dettagli e mi limito al solo titolo.
Il punto sul quale impegnarci,a questo proposito, dovrebbe essere quello di trovare gli elementi di fondo sulla base dei quali avanzare una proposta concreta.
Una proposta concreta che ci faccia poter pensare possibile affrontare proprio il problema della soggettività, superando i grandi limiti di politicismo che ci siamo via, via, trovati di fronte nelle successive fasi che hanno seguito la conclusione della felicemente definita "Repubblica dei Partiti".
Sotto questo aspetto il tema dell’Europa ha rappresentato elemento di equivoco e di divisione in un quadro generale di forte sottovalutazione dell'importanza di uno sviluppo autonomo di una linea di politica estera.
E' stato concesso molto a una visione sostanzialmente populista fino a far crescere quella frattura “sovranista” che ha caratterizzato un non breve periodo della vicenda politica italiana, causando anche a sinistra il presentarsi di aspetti non secondari di ambiguità e contraddizione.
E’ evidente che ,da questo punto di vista, le improvvise conversioni cui abbiamo assistito sulla via della formazione del governo Draghi rappresentino ulteriori aspetti di una molto evidente strumentalità politicista.
Tanto più che si sta modificando, nel suo insieme, non solo il panorama internazionale ma anche il rapporto Europa/USA con la vittoria di Biden, con il nuovo governo identificato come “europeista” e “atlantista” sulla via di un rinnovo del “ciclo atlantico” inteso come pezzo della grande coalizione che si sta costruendo nell’ambito di un tentativo di rinnovato bipolarismo (bipolarismo che potrà essere ricostruito sia pure in un quadro molto più articolato rispetto alla fase USA/URSS/non allineati/ Europa divisa all'interno dei rispettivi blocchi).
Stanno sorgendo forti interrogativi: come si sta ristrutturando in Italia il complesso dei poteri nel momento in cui si sta trasformando il quadro globale?
Un quadro globale (quello che Limes definisce “caoslandia”) segnato dall’idea di una “nuova alleanza” dell’Occidente patrocinata dalla presidenza americana.
L’esito delle elezioni USA ha chiuso sia la fase del “gendarme del mondo” e quella della “America first” e si trova a dover fronteggiare contemporaneamente una superpotenza in grado di competere sul piano economico e,nel contempo, la costruzione di una articolazione non prevista di schieramento (a partire dal ripresentarsi di una faglia est/ovest all’interno dell’Unione Europea).
Allora come si sta modificando e sviluppando attorno a questi elementi l’insieme del sistema di potere economico e politico del nostro Paese dopo gli sbandamenti del governo giallo verde,la Brexit, l’apertura già ricordata di una frattura Est/Ovest all’interno dell’Unione Europea, la parte orientale del Mediterraneo in mano russo/turca e tutto il resto che sta cambiando in una situazione di vera e propria corsa al riposizionamento strategico?
Ho nuovamente schematizzato al massimo e mi scuso ma l’obiettivo è quello di riuscire ad enucleare un punto d’appoggio fondamentale, sulla base del quale in un contesto di complessità non riducibile, riuscire a portare avanti una proposta per la sinistra italiana di identità teorica e di strutturazione politica.
Le conclusioni del testo di Oggionni dedicato a Lucio Magri analizzano un aspetto che mi permetto di giudicare molto importante nella direzione che ho cercato di indicare.
La parte conclusiva di questo lavoro è dedicata, infatti, (con un titolo che per noi che abbiamo vissuto una certa esperienza appare in una qualche misura familiare) “Spazio e ruolo del magrismo, attualità e nodi aperti”.
Al proposito ci sarebbe da aprire un discorso specifico di approfondimento sul ruolo avuto, al riguardo di questa elaborazione, dal PdUP come soggetto collettivo e sul “come” quel piccolo partito compì il tragitto dall’aggregazione di “nuova sinistra” a soggetto dell’area comunista, fino al rientro nel PCI (considerando anche la propria maturazione di soggettività avvenuta a dimostrazione della possibilità di un intreccio tra nuova sinistra e tradizione del movimento operaio che si realizzò in una proposta di alternativa sicuramente provvista di una propria consistente base sociale, come dimostrò anche l'esito delle elezioni del 1983) : non apro questo capitolo, segnalo soltanto come questo lavoro collettivo (diciamo dal seminario di Bellaria 1977 in avanti) abbia influito anche sulla stessa elaborazione portata avanti da Magri che pure ne fu il principale esponente.
Non ho citato questi passaggi per una semplice visione nostalgica: resto dell'opinione che quel pezzo di storia politica italiana non solo è stata misconosciuta (anche per un eccesso di visione politicista anche da parte nostra) ma avrebbe bisogno di essere attentamente studiata anche in funzione dell'attuale riflessione.
Torno però al nucleo di discorso che intendevo portare avanti nell’occasione e arrivo alla più stretta attualità.
La questione del governo Draghi ha portato elementi di arretramento rispetto alla prospettiva stessa di ricostruzione del soggetto politico di sinistra: non possiamo però fermarci a questo punto, sottolineando gli elementi di divisione e – magari – cristallizzandoli in due posizioni di assenso versus dissenso.
Il “no” non può essere isolato e il “si” non può essere oggetto di una logica di separatezza definita.
In questo senso cerchiamo di considerare il tema europeo come fondamentale.
Così la lettura questa parte conclusiva del libro citato può aiutarci nel momento in cui, nella sue pagine, si ricorda il testo della dichiarazione comune tra la segreteria del PCI e quella del PdUP redatto in occasione dell’accordo elettorale per le elezioni europee del 1984: “L’Europa come teatro della trasformazione, dell’autonomia, della ricerca di equilibri più avanzati”.
L’accordo PCI- PdUP si inserì,in una dimensione non secondaria rispetto al quadro generale presente in quel momento nel sistema politico italiano, nel pieno della battaglia contro gli euromissili in una situazione che presentava elementi di instabilità/complessità che possono essere trasportati in quell’attualità dei cui tratti salienti ci si è già ricordati poc’anzi.
In quell'accordo si presentava anche un livello di riflessione più avanzato e diverso da quello portato avanti, all'interno dello stesso PCI dalla corrente amendoliana che pure aveva spinto per aprire all'Europa ma era ancora legata ancora a una visione subalterna alla logica della guerra fredda. Un punto di arretratezza che accomunava quella riflessione interna al PCI ad altri pezzi della socialdemocrazia europea ancora arretrati (come lo stesso movimento federalista molto legato a schemi da piena guerra fredda) in un momento nel quale stavano sviluppandosi analisi molto più avanzate (Brandt, Palme, Kreiski).
Vale la pena soffermarci un attimo sull'itinerario che portò il PdUP a compiere quella scelta. Prima di tutto c'è da segnalare che si trattò di un elemento giudicabile in una qualche misura di autonomia dal filone originario di continuità tra il Partito e il Manifesto.
Il Pdup nella fase successiva alla formazione del Partito e della divisione con il gruppo proveniente dall'ex- PSIUP assunse, infatti, in politica estera una posizione via via definita:
a) accentuando il rapporto con le dissidenze dell'Est (si pensi all'apporto fornito al convegno su "Potere e Opposizione nella società post - rivoluzionarie") svoltosi a Venezia nel 1978;
b) allacciando una forte relazione con le forze pacifiste più avanzate della socialdemocrazia europea(in particolare con il Labour). A questo proposito ricordo due momenti: un convegno a Perugia, 1981, il giorno precedente la marcia Perugia - Assisi; la sessione dedicata alla politica internazionale all'interno del congresso di Milano del 1984 nel corso della quale si registrò una importante presenza del pacifismo europeo.
Tornando all'oggi: le scelte di politica estera risultano quanto mai fondamentali all'interno di un possibile itinerario di ricostruzione di soggettività per la sinistra italiana.
L'analisi e l'impegno svolto in quella lontana, delicatissima, fase dal PdUP (da ricordare anche la rivista "Pace e Guerra") possono servire non soltanto come semplice esempio di superamento di divisioni e separatezze che è necessario, adesso come allora, oltrepassare.
Ho semplificato ma mi chiedo e vi chiedo: potremmo cercare elementi di riflessione comune partendo da quel tipo di affermazione sull’Europa che rimane come momento di lascito fondamentale nella storia della sinistra italiana ?
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